Tutela paesaggistica e ambientale: l'intervento della Corte Costituzionale

Nell'attuale panorama giuridico, una recente sentenza della Corte costituzionale ha posto in luce l’illegittimità della legge del governo del territorio della Regione Lombardia, per violazione del riparto di competenze tra Stato e Regioni, con riferimento alle sanzioni previste per la tutela del paesaggio e dell’ambiente.

Il ricorso La sentenza numero 19 del 10 gennaio 2024, depositata il 19 febbraio 2024, è stata pronunciata in conseguenza della questione di legittimità costituzionale rimessa dal TAR Lombardia, sezione staccata di Brescia, nel procedimento tra una S.p.a di seguito il “Ricorrente” o “Società ricorrente” ed un Comune per l'annullamento dell'ordinanza numero 74/2020 del 18 maggio 2020 e la relativa perizia di stima, con cui il Comune ha ingiunto al Ricorrente il pagamento dell'importo di € 709.204,16 a titolo di sanzione pecuniaria ai sensi degli articoli 167 d.lgs. numero 42/2004 e 83 L.R. 12/2005. Gli interventi comprendevano «la sostituzione e riorganizzazione degli impianti di ventilazione della sala macchina con relativa struttura metallica di sostegno e piano grigliato per la loro ispezione e manutenzione installazione di barriere acustica fonoassorbente» realizzate dalla Società ricorrente in assenza di autorizzazione paesaggistica e di permesso di costruire. Tali opere erano state, dapprima, oggetto di ordinanza di demolizione e riduzione in pristino, nonché di una successiva istanza di sanatoria edilizia ex articolo 36 d.P.R. 380/2001 T.U.E. e di accertamento di compatibilità paesaggistica ex articolo 167 d.lgs. 42/2004 “cod. beni culturali” o solo “Codice” , presentate dalla Ricorrente in seno al procedimento - allora in corso – dinanzi alla Provincia di Mantova per il rilascio del Provvedimento Autorizzatorio Unico ai sensi dell'articolo 27-bis d.lgs. numero 152/2006. All'esito del procedimento, il Comune ha adottato provvedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica e ha contestualmente irrogato la sanzione pecuniaria di cui all'articolo 167 del cod. beni culturali nella misura indicata di € 709.204,16, sulla scorta di apposita perizia di stima. La perizia, infatti, dopo aver escluso la sussistenza di un danno ambientale, ha quantificato la sanzione pecuniaria sulla scorta del criterio previsto dall'articolo 83 L.R. 12/2005 Legge del governo del territorio della Regione Lombardia , secondo cui «L'applicazione della sanzione pecuniaria, prevista dall'articolo 167 del d. lgs. numero 42/2004, in alternativa alla rimessione in pristino, è obbligatoria anche nell'ipotesi di assenza di danno ambientale e, in tal caso, deve essere quantificata in relazione al profitto conseguito e, comunque, in misura non inferiore all'ottanta per cento del costo teorico di realizzazione delle opere e/o lavori abusivi desumibile dal relativo computo metrico estimativo». La Società ricorrente ha chiesto l'annullamento del provvedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica nella parte in cui aveva comminato la sanzione pecuniaria e la conseguente rideterminazione della stessa nella misura minima prevista. Nelle more del giudizio, veniva notificata al Ricorrente la cartella esattoriale, con la quale l'Agenzia delle Entrate, su incarico del Comune, ha ordinato di pagare entro 60 giorni il complessivo importo di € 1.068.616,57, di cui € 709.204,16 per la sanzione pecuniaria dovuta in forza dell'ordinanza numero 74/2020 ai sensi dell'articolo 167 del Codice, oltre ad interessi, atto già impugnato con il ricorso introduttivo. Con motivi aggiunti, la Società ricorrente ha impugnato, dunque la predetta cartella esattoriale e ne ha chiesto l'annullamento per motivi di illegittimità derivata, reiterando i profili di illegittimità già dedotti con l'atto introduttivo e formulando altresì domanda cautelare di sospensione della cartella impugnata. Il quadro normativo e giurisprudenziale La questione giuridica affrontata dalla Corte costituzionale si colloca in un contesto normativo e giurisprudenziale complesso e, dunque, occorre esaminarlo così come ricostruito nella sentenza in commento. L'articolo 167 del cod. beni culturali, al comma 1 prevede che «in caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti dal Titolo I della Parte terza, il trasgressore è sempre tenuto alla rimessione in pristino a proprie spese, fatto salvo quanto previsto al comma 4». Per regola generale, dunque, le opere realizzate senza la prescritta autorizzazione paesaggistica, in violazione dell'articolo 146 cod. beni culturali disposizione contenuta nel Titolo I della Parte terza del codice , non sono suscettibili di “sanatoria”, tramite il pagamento di una somma di denaro, ma comportano l'applicazione della sanzione di carattere reale della riduzione in pristino. Le uniche deroghe alla sanzione ripristinatoria sono contemplate al comma 4 dello stesso articolo 167, secondo cui l'autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica dopo la realizzazione delle opere onde tale accertamento viene comunemente definito “postumo” nei seguenti casi tassativi per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati per l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del T.U.E. In queste ipotesi, il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area è ammesso a presentare domanda di accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi, ai sensi del comma 5 articolo 167 cod. beni culturali. Il medesimo comma 5 prevede che, qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. Tale importo è determinato mediante perizia di stima. L'attuale formulazione è il risultato della modifica introdotta dall'articolo 27, comma 1, d.lgs. numero 157/2006. La previgente disposizioni prevedeva, infatti, che «in caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti dal Titolo I della Parte terza, il trasgressore è tenuto, secondo che l'autorità amministrativa preposta alla tutela paesaggistica ritenga più opportuno nell'interesse della protezione dei beni indicati nell'articolo 134, alla rimessione in pristino a proprie spese o al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. La somma è determinata previa perizia di stima». La modifica del 2006 ha significativamente innovato la disciplina prevedendo che l'Amministrazione non abbia più la discrezionalità di scegliere fra riduzione in pristino e misura pecuniaria, nonché relegando quest'ultima ad alcune fattispecie, previo accertamento della loro compatibilità paesaggistica. Ciò premesso, vengono qui in rilievo i criteri di calcolo della somma dovuta dal trasgressore, che il legislatore statale ha individuato nel «maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione». L'articolo 167 cod. beni culturali, infatti, si esprime in termini di “indennità pecuniaria” in relazione all'importo che il trasgressore è tenuto a pagare, una volta accertata la compatibilità paesaggistica degli interventi. Inoltre, il comma 5 del citato articolo prevede, come già detto, che l'importo della «sanzione pecuniaria» sia determinato previa perizia di stima. Secondo il costante orientamento giurisprudenziale, tale indennità non costituisce una forma di risarcimento del danno, ma una sanzione amministrativa applicabile a prescindere dalla concreta produzione di un danno ambientale. «Nella previsione normativa, il danno viene in considerazione solo come criterio di commisurazione della sanzione – in alternativa al profitto conseguito – e non come parametro che ne condiziona l'anumero L'assenza di un danno ambientale non ostacola, dunque, il potere sanzionatorio, ma assume rilievo sotto il profilo della quantificazione dell'importo dovuto, che sarà ragguagliata al solo profitto conseguito» tra le molte, Consiglio di Stato, sez. II, 30 ottobre 2020, numero 6678 Consiglio di Stato, sez. II, 25 luglio 2020, numero 4755 . La Giurisprudenza qualifica, dunque, la misura in esame come sanzione riparatoria alternativa al ripristino dello stato dei luoghi. A tal riguardo, il Consiglio di Stato ha chiarito che, «proprio in funzione della sua natura di carattere ripristinatori[o] alternativa alla demolizione», la sanzione viene ragguagliata «al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione» e, in base all'articolo 167 d.lgs. 42/2004, le somme «sono utilizzate per finalità di salvaguardia, interventi di recupero dei valori ambientali e di riqualificazione delle aree degradate» Consiglio di Stato, sez. VI, 30 giugno 2023, numero 6380 e numero 6381 . L'articolo 83 della legge della Regione Lombardia numero 12/2005, attualmente in vigore, come introdotto dall'articolo 27, comma 1, della legge reg. Lombardia numero 17 del 2018, prevede che «L'applicazione della sanzione pecuniaria, prevista dall'articolo 167 del d.lgs. 42/2004, in alternativa alla rimessione in pristino, è obbligatoria anche nell'ipotesi di assenza di danno ambientale e, in tal caso, deve essere quantificata in relazione al profitto conseguito e, comunque, in misura non inferiore all'ottanta per cento del costo teorico di realizzazione delle opere e/o lavori abusivi desumibile dal relativo computo metrico estimativo e dai prezzi unitari risultanti dai listini della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura della provincia, in ogni caso, con la sanzione minima di cinquecento euro». Il testo nella sua versione anteriore prevedeva «L'applicazione della sanzione pecuniaria, prevista dall'articolo 167 del D.Lgs. 42/2004, in alternativa alla rimessione in pristino, è obbligatoria anche nell'ipotesi di assenza di danno ambientale e, in tal caso, deve essere quantificata in relazione al profitto conseguito e, comunque, in misura non inferiore a cinquecento euro». Nella versione originaria, dunque, la disposizione si limitava a prevedere che la sanzione si dovesse applicare anche in assenza di danno e fosse in tal caso determinata esclusivamente sulla base del profitto conseguito dal trasgressore. Con la modifica introdotta dall'articolo 27, comma 1, della legge reg. numero 17/2018 è stato mantenuto il minimo inderogabile di cinquecento euro, ma, per determinare la sanzione pecuniaria in caso di assenza di danno ambientale, si è aggiunto l'ulteriore criterio parametrato al costo teorico di realizzazione degli interventi abusivi. In quest'ultima versione, l'articolo 83 è interpretabile nel senso che la nuova misura percentuale pari all'ottanta per cento di detto costo che non può «in ogni caso» scendere al di sotto di cinquecento euro, in forza della previsione di chiusura si applicherà sia nel caso in cui il «profitto conseguito» dal trasgressore risulti inferiore ad essa o di incerta quantificazione, sia nel caso in cui anche il profitto, come il danno ambientale, non sussista. La questione di legittimità costituzionale Ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale, si può passare ad analizzare i dubbi di compatibilità costituzionale, espressi dal giudice rimettente, dell'articolo 83 della legge di governo del territorio della Regione Lombardia, in riferimento all'articolo 117, secondo comma, lettera s , della Costituzione nonché rispetto agli articolo 146 e 167, comma 5 del Codice. In estrema sintesi si sostiene che la questione di legittimità costituzionale investe la parte della disposizione regionale che stabilisce la misura della sanzione, secondo le modalità indicate dalla stessa disposizione, con previsione di un minimo inderogabile il legislatore regionale, adottando una disposizione difforme da quella stabilita dall'articolo 167 cod. beni culturali, potrebbe aver invaso la competenza legislativa in materia di «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali», attribuita in via esclusiva allo Stato dall'articolo 117, secondo comma, lettera s , Cost. la disciplina delle sanzioni per la violazione dell'articolo 146 cod. beni culturali rientrerebbe nella potestà legislativa esclusiva dello Stato, sarebbe precluso alle regioni di introdurre sanzioni ulteriori o diverse, anche solo nel quantum, rispetto a quelle fissate dalla legge statale. La Regione Lombardia sostiene, a difesa del proprio operato, che l'articolo 83, non essendo in contrasto con il dettato normativo nazionale, non possa ledere la potestà legislativa statale. Anzi, nella tesi prospettata, l'intervento regionale, viene descritto come volto a colmare un vuoto legislativo che consentirebbe di estendere l'applicazione anche nell'ipotesi di opere abusive non recanti alcun danno e dalle quali non deriva alcun profitto per il trasgressore. La Corte costituzionale, superando le difese regionali, ha accertato la violazione del riparto di competenze tra Stato e Regione, ed ha dichiarato illegittimità costituzionale dell'articolo 83 della Legge Reg. Lombardia numero 12/2005. Non può non osservarsi, infatti, come l'articolo 167, comma 5 del Codice preveda una sanzione amministrativa pecuniaria di natura riparatoria. Non è dubitabile quindi che la norma regionale censurata incida sulla determinazione del quantum di tale sanzione. La sanzione viene comminata a causa dell'inosservanza della disciplina relativa alla tutela del vincolo paesaggistico-ambientale e, in particolare, dell'inosservanza delle norme che regolano l'autorizzazione paesaggistica, la quale, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, «deve essere annoverata tra gli istituti di protezione ambientale uniformi, validi in tutto il territorio nazionale» tra le molte, Corte costituzionale numero 201 del 2021 Corte cost. numero 246 del 2017 Corte cost. numero 238 del 2013 . Di conseguenza, la disciplina sostanziale, cui si riferisce la sanzione, deve necessariamente ascriversi alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, essendo palese l'esistenza di un interesse unitario alla tutela del paesaggio e ad una parità di trattamento in tutto il territorio nazionale della tipologia di abusi paesaggistici. Ne deriva che «le ineludibili esigenze di uniformità di trattamento appena evidenziate impediscono al legislatore regionale di intervenire con norme difformi dalle previsioni statali di tutela paesaggistica in senso stretto sentenza numero 201 del 2021 , come quelle che disciplinano l'inosservanza del regime autorizzatorio». In questa prospettiva, neppure l'assenza di un danno ambientale potrebbe costituire una ragione idonea a scindere il collegamento tra sanzione e disciplina della tutela paesaggistica, come invece sostenuto a propria difesa dalla Regione. La Corte, dunque, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 83 della Legge regionale lombarda sull'ineludibile presupposto che l'irrogazione della sanzione tragga origine dall'inosservanza delle disposizioni che disciplinano uno dei fondamentali istituti di protezione ambientale, quale l'autorizzazione paesaggistica. Pertanto, è indubbia la riconducibilità della norma censurata alla sfera degli interessi pubblici concernenti la tutela dell'ambiente e del paesaggio, la cui cura è riservata in via esclusiva allo Stato.