Detenzione di arma clandestina: sanzione anche per il possesso non denunciato delle relative munizioni

La Corte di Cassazione chiarisce che a fronte della detenzione di un’arma clandestina, deve essere sanzionato anche il possesso non denunciato delle relative munizioni.

Condannato in via definitiva un uomo, la Cassazione respinge l'obiezione difensiva mirata a ridurre gli addebiti mossi dall'accusa. I Giudici chiariscono che se le armi che possono essere detenute previa denuncia all'autorità di pubblica sicurezza sono da considerare un tutt'uno con le munizioni che ne siano la ordinaria detenzione – di tal che l'omessa denuncia della detenzione di queste munizioni non assume autonomo rilievo penale –, a conclusioni opposte si deve giungere nel caso di munizioni che potrebbero costituire, per calibro e numero, l'ordinaria dotazione di un' arma comune da sparo clandestina , perché priva del numero di matricola , e dunque in assoluto non detenibile . A margine del processo a carico di un uomo accusato di maltrattamenti in famiglia ai danni della moglie, finisce nei guai anche per il possesso illecito di un'arma clandestina e delle relative munizioni . Acclarate le condotte aggressive nei confronti della donna, i giudici ritengono evidente la colpevolezza dell'uomo, catalogato come «una persona violenta, che dava continuamente in escandescenze e che reagiva con toni offensivi, molesti, sproporzionati e, come tali, lesivi della dignità della consorte» e, quindi, sufficienti per parlare di maltrattamenti in famiglia. Resta aperto il fronte relativo alla detenzione di un'arma e di alcune munizioni . Anche in questo caso, però, l'uomo soccombe sia in primo che in secondo grado per i giudici di merito è doveroso parlare di «detenzione illegale e ricettazione di un'arma clandestina e di alcune munizioni». Presentato ricorso per cassazione, l'avvocato che difende l'uomo sostiene vada sanzionata solo la detenzione di un'arma clandestina, inglobando in quella condotta illecita anche il possesso illegale di alcune munizioni. Secondo il legale, «l'elemento materiale del reato e l'interesse protetto dalle due norme sono identici, sicché considerare le due fattispecie come autonome porterebbe alla conseguenza di punire due volte» il suo cliente «per la medesima condotta». Per i magistrati di Cassazione, però, la visione proposta dalla difesa non ha alcun fondamento. Ciò significa che va confermata la condanna dell'uomo sotto processo sia per la detenzione di un'arma clandestina che per il possesso illegale di alcune munizioni. In premessa, comunque, viene richiamato il pronunciamento emesso dalla Corte di Appello, laddove i giudici hanno evidenziato come la contravvenzione avesse ad oggetto «la detenzione di quattro munizioni di arma comune da sparo» mentre l'altro delitto contestato all'uomo «riguardava la detenzione di un'arma clandestina» e hanno poi presentato come «del tutto diverse le condotte materiali dei fatti contestati in ciascuna delle due imputazioni». A legittimare questa visione anche il principio secondo cui «nell'ipotesi di detenzione illegale di munizioni che, per numero e calibro, costituiscono ordinaria dotazione di un'arma clandestina detenuta dal medesimo soggetto e nel medesimo contesto, si configura l' autonomo reato di detenzione abusiva di armi , con esclusione dell'assorbimento nella fattispecie di detenzione di arma clandestina, trattandosi di munizioni che non sono ricollegabili ad alcuna arma comune da sparo suscettibile di essere detenuta legalmente». Non a caso, la normativa esime dalla denuncia dell'arma, prevista dal ‘Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza', «chi, in possesso di armi regolarmente denunciate, detenga munizioni per armi comuni da sparo [non] eccedenti la dotazione di mille cartucce a pallini per fucili da caccia», e, in particolare, «tale norma è stata interpretata, in coerenza con la ratio di esonerare da adempimenti inutili quella che appare la regolarità e cioè il possesso di quantitativi di munizioni normali, per l'uso cui è destinata l'arma regolarmente denunciata, nel senso che la denuncia di una pistola per uso di difesa comprenda anche la dotazione delle munizioni contenute nel caricatore della stessa arma con cui viene acquistata». In conclusione, quindi, «se, dunque, le armi che possono essere detenute previa denuncia all'autorità di pubblica sicurezza sono da considerare un tutt'uno con le munizioni che ne siano la ordinaria detenzione – di tal che l'omessa denuncia della detenzione di queste munizioni non assume autonomo rilievo penale –, a conclusioni opposte si deve giungere nel caso di munizioni che potrebbero costituire, per calibro e numero, l'ordinaria dotazione di un'arma comune da sparo clandestina – perché priva del numero di matricola – e dunque in assoluto non detenibile». Perciò, «la clandestinità e la conseguente non detenibilità dell'arma impediscono di ritenere non dovuta, e quindi penalmente irrilevante, la denuncia della detenzione di munizioni che non sono ricollegabili ad alcuna arma comune da sparo suscettibile di essere legalmente detenuta», chiosano i Giudici di Cassazione.

Presidente Rocchi – Relatrice Toscani Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 23 dicembre 2021, la Corte d'appello di Palermo ha confermato quella con la quale il Tribunale di Termini Imerese, in data 2 novembre 2020, aveva ritenuto T.S. responsabile dei reati di maltrattamenti ai danni della moglie M.C., di detenzione illegale e ricettazione di un'arma clandestina e di alcune munizioni. L'affermazione di responsabilità si fonda sulle dichiarazioni della persona offesa, giudicate genuine e attendibili, oltre che riscontrate da quanto dichiarato dai figli della coppia, V. e G. T., nonché da più conversazioni telefoniche intercorse tra la persona offesa e l'imputato, registrate dalla prima all'insaputa del secondo. La Corte ha disatteso tutte le obiezioni difensive e, ribadita la solidità del quadro probatorio a carico di T.S., reputata, invece, inverosimile e contraria alle risultanze di prova la versione alternativa da questi resa secondo cui i pur esistenti dissidi coniugali erano causati esclusivamente da problemi economici e dalle continue pretese di M.C. che rifiutava di svolgere attività lavorativa , ha ribadito l'affermazione di responsabilità per i reati suindicati. 2. Ricorre T.S. per cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, e deduce due motivi. 2.1 Con il primo denuncia mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in punto di affermazione di responsabilità per il delitto di maltrattamenti in famiglia. La Corte di appello non avrebbe dato adeguata spiegazione delle numerose discordanze esistenti tra il narrato della persona offesa e quello dei due figli tali difformità - giusta la tesi difensiva - minerebbero la credibilità della prima. Inoltre, il Giudice di secondo grado avrebbe trascurato, nella ricostruzione degli accadimenti, quanto riferito dall'imputato che, lungi dal negare alcuni episodi, ne ha fornito una diversa chiave di lettura. Dopo aver riprodotto per stralcio ovvero per sintesi le dichiarazioni della donna e, in antitesi, quelle dell'imputato, la difesa evidenzia come sarebbe stata del tutto negletta la testimonianza a discarico di G.T., padre del ricorrente. Conclusivamente, ritiene la difesa che - ove correttamente ricostruiti i fatti - gli stessi non avrebbero potuto integrare la fattispecie penale dei maltrattamenti in famiglia nell'interpretazione data dalla Corte di legittimità, di cui riproduce ampia giurisprudenza. 2.2. Con il secondo motivo, lamenta la violazione di legge in punto di mancato assorbimento nel reato di cui al capo d , relativo alla detenzione dell'arma clandestina, la contravvenzione di cui all' articolo 697 cod. penumero contestata al capo c . Osserva il ricorrente che l'elemento materiale del reato e l'interesse protetto dalle due norme sono identici, sicché considerare le due fattispecie come autonome porterebbe alla conseguenza di punire due volte l'imputato per la medesima condotta. 3. Il Sostituto Procuratore generale, Assunta Cocomello, intervenuto con requisitoria scritta depositata in data 19 dicembre 2023, ha concluso chiedendo la declaratoria d'inammissibilità del ricorso. 4. In data 28 dicembre 2023, sono pervenute note di trattazione scritta a firma dell'avv. Maria Calogera Favari con le quali si è riportata al ricorso del quale ha ribadito la richiesta di accoglimento. Considerato in diritto 1. Il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità. 2. Tutte le doglianze nelle quali si articola il primo motivo non sono consentite perché interamente versate in fatto e, comunque, manifestamente infondate. 2.1. Appare opportuno, in via preliminare, rilevare che l'articolo 606, comma 1, lett. e , cod. proc. penumero , nel prevedere il sindacato sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per cassazione, non abilita il giudice di legittimità a effettuare un'indagine sul discorso giustificativo della decisione, finalizzata a sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, dovendo la Corte di cassazione limitarsi a verificare l'adeguatezza delle considerazioni svolte dal giudice di merito per motivare il suo convincimento. La mancanza, la manifesta illogicità e la contraddittorietà della motivazione, come vizi denunciabili in sede di legittimità, devono possedere una consistenza tale da risultare percepibili ictu oculi, dovendo il sindacato al riguardo essere circoscritto a rilievi di macroscopica evidenza, mentre restano ininfluenti le minime incongruenze e devono considerarsi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano concettualmente incompatibili con la decisione adottata sempre che, ovviamente, siano spiegate in modo razionale ed adeguato, e senza vizi giuridici, le ragioni del convincimento in tal senso, conservano validità, e meritano di essere tuttora condivisi, i principi affermati da Cass. Sez. U., numero 47289 del 24/9/2003 , Petrella, Rv. 226074 Sez. U., numero 12 del 31/5/2000, Jakani, Rv. 216260 Sez. U., numero 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794 . Deve, ancora, escludersi per il giudice di legittimità la possibilità di «un'analisi orientata ad esaminare in modo separato ed atomistico i singoli atti, nonché i motivi di ricorso su di essi imperniati» e quindi «di fornire risposte circoscritte ai diversi atti ed ai motivi ad essi relativi», ciò che «si risolverebbe in una impropria riedizione del giudizio di merito e non assolverebbe alla funzione essenziale del sindacato sulla motivazione» Cass. Sez. 6, numero 14624 del 20/3/2006 , Vecchio, Rv. 233621 , ovvero di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o di adottare nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti Cass. Sez. 3, numero 18521 del 11/1/2018 , Ferri, Rv. 273217 Sez. 6, numero 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099 Sez. 6, numero 27429 del 4/7/2006, Lobriglio, Rv. 234559 . 2.2. Nel caso in esame, la Corte di appello ha esaminato funditus tutti i temi segnalati da T.S. con i motivi d'impugnazione e fornito risposte complete, coerenti con le evidenze istruttorie, prive di tangibili fratture razionali e ossequiose dei canoni ermeneutici enunciati dalla giurisprudenza di legittimità con particolare riferimento alla valutazione della parola della persona offesa , a fronte delle quali il ricorrente si pone in un'ottica ispirata alla mera confutazione delle conclusioni raggiunte dai giudici di merito e alla formulazione di letture alternative del compendio istruttorio, del tutto inidonee a mettere in luce profili di manifesta illogicità o contraddittorietà. La critica alla sentenza di appello nella parte in cui - ad avviso del ricorrente - avrebbe trascurato la versione alternativa dell'imputato e ancorato la conferma della condanna alle testimonianze non omogenee e, come tali, non credibili della persona offesa, del fratello, nonché dei figli della coppia, non si confronta con l'articolata motivazione spesa dal Giudice di secondo grado p. 3 e s della sentenza impugnata sul punto. Invero, la Corte territoriale, dopo avere - con motivazione logicamente coerente - chiarito che molte delle discrasie segnalate dall'appellante in realtà erano insussistenti e, ove esistenti, comunque non incidenti sul complessivo giudizio di attendibilità di ciascuno dei testimoni le cui dichiarazioni, dunque, si riscontrano reciprocamente , ha altresì passato in rassegna i numerosi episodi diversamente ricostruiti da parte del ricorrente e, segnatamente, l'episodio del cugino venuto da Milano , l'episodio della visita ginecologica , quello del registratore , infine l'episodio delle toppe , evidenziando come in ciascuno di tali episodi la diversità della versione alternativa dell'imputato verteva solo sui motivi che avevano creato, di volta in volta, il dissenso dello stesso. Ha quindi rilevato - con motivazione logicamente coerente - che, in nessun caso era stata scalfita la parte significativa del racconto della persona offesa, secondo la quale T.S. era una persona violenta, che dava continuamente in escandescenze , che reagiva con toni offensivi, molesti, sproporzionati e - come tali - lesivi della dignità della donna, tali da integrare certamente l'abitualità richiesta dalla norma penale incriminatrice per la sua configurabilità. Tale motivazione non è in alcun modo avversata nel ricorso che - come detto - si limita a riprodurre le medesime censure contenute nell'atto di appello. 3. Analoghe considerazioni valgono per il secondo motivo di ricorso che, a sua volta, riproduce pedissequamente il secondo motivo di appello, in punto di assorbimento della condotta di cui all' articolo 697 cod. penumero , contestata al capo c , in quella di cui all' articolo 23 legge numero 110 del 1975 , contestata al capo d . La Corte ha, superato l'obiezione difensiva evidenziando come la contravvenzione avesse a oggetto la detenzione di quattro munizioni di arma comune da sparo, laddove il delitto contestato sub d riguardava la detenzione di un'arma clandestina, rimarcando come del tutto diverse fossero le condotte materiali dei fatti contestati in ciascuna delle due imputazioni. Così motivando il Giudice di secondo grado si è correttamente posto nel solco dell'insegnamento di questa Corte secondo cui «Nell'ipotesi di detenzione illegale di munizioni che, per numero e calibro, costituiscono ordinaria dotazione di un'arma clandestina detenuta dal medesimo soggetto e nel medesimo contesto, si configura l'autonomo reato di cui all' articolo 697 cod. penumero , con esclusione dell'assorbimento nella fattispecie di cui all' articolo 23 legge 18 aprile 1975, numero 110 , trattandosi di munizioni che non sono ricollegabili ad alcuna arma comune da sparo suscettibile di essere detenuta legalmente». Sez. 1, numero 1898 del 17/09/2020, dep. 2021, Scalfari, Rv. 280298 . Osserva, invero, il Collegio che la giurisprudenza che ha affermato il principio secondo cui la detenzione illegale di munizioni costituenti l'ordinaria dotazione di arma comune da sparo, a sua volta oggetto di detenzione illegale, è assorbito nella fattispecie di detenzione illegale dell'arma Sez. 1, 16/12/2013, Shatku, Rv. 258922 si fonda sull'ulteriore assunto dell'insussistenza della fattispecie di cui all' articolo 697 cod. penumero nel caso di omessa denuncia della detenzione di munizioni che costituiscano ordinaria dotazione di arma comune da sparo legalmente detenuta Sez. 1, 28/03/2008, D'Urso, Rv. 240280 Sez. 1, 05/02/2016, Aiello, Rv. 269888 . Questo orientamento ha invero superato altro, più risalente - che aveva, invece, ravvisato la menzionata contravvenzione nella descritta fattispecie sul rilievo che la normativa stabilisce la obbligatorietà della denuncia alla autorità di pubblica sicurezza sia delle armi che delle munizioni detenute, senza prevedere casi in cui la seconda non sia dovuta Sez. 1, 13/10/1986 numero 10805, Marigliano, Rv. 173936 - valorizzando la portata della norma di cui all' articolo 26 legge numero 110/1975 che esime dalla denuncia di cui all'articolo 38 Testo Unico leggi di pubblica sicurezza «chi, in possesso di armi regolarmente denunciate, detenga munizioni per armi comuni da sparo non eccedenti la dotazione di 1000 cartucce a pallini per fucili da caccia». In particolare, tale norma è stata interpretata, in coerenza con la ratio di esonerare da adempimenti inutili quella che appare la regolarità e cioè il possesso di quantitativi di munizioni normali , per l'uso cui è destinata l'arma regolarmente denunciata, nel senso che la denuncia di una pistola per uso di difesa comprenda anche la dotazione delle munizioni contenute nel caricatore della stessa con cui viene acquistata. Se, dunque, le armi che possono essere detenute previa denuncia all'autorità di pubblica sicurezza sono da considerare un tutt'uno con le munizioni che ne siano la ordinaria detenzione - di tal che l'omessa denuncia della detenzione di queste munizioni non assume autonomo rilievo penale - a conclusioni opposte si deve giungere nel caso di munizioni che potrebbero costituire, per calibro e numero, l'ordinaria dotazione di un'arma comune da sparo clandestina - perché priva del numero di matricola - e dunque in assoluto non detenibile. La clandestinità e la conseguente non detenibilità dell'arma, dunque, impedisce di ritenere non dovuta, e quindi penalmente irrilevante, la denuncia della detenzione di munizioni che non sono ricollegabili ad alcuna arma comune da sparo suscettibile di essere legalmente detenuta. 3. Il ricorso dev'essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e - per i profili di colpa connessi all'irritualità dell'impugnazione Corte cost. numero 186 del 2000 - di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare, in rapporto alle questioni dedotte, in euro tremila. In caso di diffusione del presente provvedimento, vanno conseguentemente, omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell' articolo 52 d.lgs. 196/03 , in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell 'articolo 52 d.lgs. 196/0 3, in quanto imposto dalla legge.