La rinuncia alla servitù va manifestata per iscritto

La rinuncia al diritto di servitù deve manifestarsi per iscritto, a pena di nullità, e non può essere provata per testi o da fatti concludenti.

Questo il principio affermato dalla ordinanza in commento, depositata il 21 febbraio 2024 dalla Suprema Corte e che offre lo spunto per fare chiarezza sul regime probatorio in tema di servitù. Il caso riguarda la divisione di alcuni terreni tra coeredi , a seguito della quale il fratello sottoscriveva una missiva in cui si impegnava a procedere alla chiusura di due varchi esistenti sul suo fondo ed aventi affaccio sulla proprietà della sorella. Assumendo l' inadempimento del fratello, la signora adiva il Tribunale di Lanciano onde sentirlo condannare alla ridetta chiusura, seppur l'obbligo non risultava trascritto nell'atto di divisione il fratello si costituiva contestando gli addebiti e precisando che sui due fondi insisteva una servitù di passaggio , costituita per destinazione del padre di famiglia, a favore del proprio fondo e gravante su quello dell'attrice in subordine, chiedeva l'accertamento dell'avvenuto acquisto della servitù per usucapione. All'esito del giudizio, il Tribunale accoglieva la domanda principale e condannava l'erede alla chiusura dei due ingressi la decisione veniva confermata anche in sede di appello, laddove veniva valorizzato l'impegno scritto assunto dal fratello, confermato anche da prova testimoniale sul punto. Diversamente, la Corte escludeva l'esistenza di prove in ordine all'asserita servitù di passaggio ed affermava che non poteva essere dichiarata quella per destinazione del padre di famiglia, giacchè il proprietario originario non aveva mai utilizzato le due aperture per accedere sulla strada pubblica, piuttosto, si era servito di altro passaggio, ed il varco aperto dalla sorella sul proprio terreno era stato realizzato dopo l'assegnazione. Avverso la sentenza di gravame è stato interposto ricorso in Cassazione dal fratello, affidato a 12 motivi, la sorella ha resistito con controricorso. Il Collegio ha accolto le istanze del ricorrente in particolare, la Corte ha rilevato che il giudice di seconde cure aveva omesso di valutare l'atto di frazionamento e la documentazione ad esso afferente che, invece, avevano valenza decisiva per affermare l'esistenza di opere visibili e permanenti, predisposte dall'unico proprietario, prima della divisione del fondo. Come noto, infatti, l'invocata servitù si costituisce, ope legis , per il fatto che al momento della separazione dei fondi o del frazionamento, vi siano segni manifesti ed inequivoci di una situazione oggettiva di subordinazione o di servizio, che integri il contenuto proprio di una servitù. Ciò, indipendentemente da qualsiasi volontà, tacita o presunta, dell'unico proprietario nel determinarla o mantenerla. In sintesi, per costituire la servitù prediale per destinazione del padre di famiglia è necessario che le opere destinate al suo esercizio, preesistano alla divisione e che, dopo la separazione, sia mancata una manifestazione di volontà contraria al perdurare della relazione di sottoposizione di un fondo, nei confronti dell'altro. Tale tipo di servitù non è soggetta nè a manifestazione di volontà, né a trascrizione, pertanto, nel caso di specie, sarebbe stato necessario accertare esclusivamente se le due aperture costituivano, o meno, segni visibili e permanenti all'esercizio della servitù di passaggio, mentre l'esame del titolo era necessario solo alla ricognizione dello stato dei luoghi. La Corte, dunque, ha ritenuto di cassare la gravata sentenza sul punto, come pure in riferimento all'eccepita violazione degli articolo 1350, 1353 e 1362 c.c. , avuto riguardo al presunto accordo sottoscritto dai fratelli, in sede di divisione. Il Collegio, infatti, ha osservato che la rinuncia al diritto di servitù deve manifestarsi per iscritto , a pena di nullità, e non può essere provata per testi o da fatti concludenti, così come aveva erroneamente fatto la Corte del merito. Né la rinuncia poteva risultare dalla missiva del 2010 inviata dal fratello alla sorella, poiché il documento si limitava a confermare il contenuto di un accordo verbale , in relazione ad un atto che richiedeva la forma scritta ad substantiam e non poteva essere idoneo a provare l'esistenza di un atto nullo, per difetto di forma qualora si fosse accertata la rinunzia in forma orale . La prova di un contratto per il quale è richiesta la forma scritta, hanno chiarito gli Ermellini, non può discendere da un negozio di mero accertamento, il quale potrebbe, in tesi, eliminare le eventuali incertezze sulla situazione giuridica, non già sostituirne il titolo costitutivo. Ciò premesso, la sentenza è stata cassata con emanazione del seguente principio di diritto «la rinuncia al diritto di servitù deve rivestire, ai sensi dell' articolo 1350,. numero 5, c.c. , la forma scritta sotto pena di nullità e non può quindi risultare da fatti concludenti né può essere provata con testi o da un atto di ricognizione o di accertamento».

Presidente Orilia – Relatore Giannaccari Fatti di causa Il giudizio trae origine dalla domanda proposta innanzi al Tribunale di Lanciano da G. V. nei confronti del fratello G. M., per chiedere che venisse accertato l'inadempimento del convenuto all'obbligo, assunto oralmente in sede di divisione, di procedere alla chiusura dei due ingressi esistenti sul suo fabbricato ed aventi affaccio sulla particella omissis di proprietà attrice tale impegno non era stato formalizzato nell'atto di divisione ma era ribadito in una missiva del 13 luglio 2010 diretta da G. M. alla sorella. Il convenuto G. M. si costituì per resistere alla domanda e dedusse l'esistenza di una servitù di passaggio attraverso i due ingressi, costituita per destinazione del padre di famiglia a favore del proprio fondo e gravante su quello dell'attrice in via subordinata, chiedeva l'accertamento dell'avvenuto acquisto della servitù per usucapione. Il Tribunale di Lanciano accolse la domanda principale e condannò il convenuto alla chiusura delle due aperture, rigettando la domanda riconvenzionale. La Corte d'appello di L'Aquila confermò la decisione di primo grado. Secondo la Corte territoriale, l'impegno per iscritto di G. M. di chiudere le due aperture prospicienti sull'area di proprietà dell'attrice risultava dalla missiva del 13.7.2010, con la quale egli confermava il suo impegno assunto in sede di divisione, nonchè dalle risultanze della prova testimoniale. In ordine al rilievo che la chiusura delle due aperture costituisse una rinuncia alla servitù di passaggio, la Corte territoriale osservò che non vi fosse prova dell'esistenza della servitù di passaggio, della sua estensione e delle modalità di esercizio in quanto non risultava menzione nell'atto di divisione al contrario, nell'atto pubblico si attestava che la servitù di passaggio era stata costituita in favore della proprietà di G. V. attraverso la particella omissis del fratello G. M Secondo la Corte di merito, non poteva neppure essere invocata la costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia in quanto l'originario proprietario non aveva mai utilizzato le due aperture per accedere alla via pubblica, sia perché aveva sempre utilizzato un altro passaggio, sia perché il varco aperto da G. V. sul terreno a lei assegnato era stato realizzato dopo la divisione, sicché le due aperture non potevano essere considerate segni visibili e permanenti destinati all'esercizio della servitù. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso G. M. sulla base di dodici motivi. G. V. ha resistito con controricorso Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell'articolo 380-bis.1 cod. proc. civ. In prossimità della camera di consiglio, il ricorrente ha depositato memoria. Ragioni della decisione Per ragioni di pregiudizialità logico -giuridica, va esaminato il settimo motivo di ricorso, con il quale si deduce l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell'articolo 360, comma 1, numero 5 c.p.c., con riferimento all'esistenza di opere visibili e permanenti destinate dal de cuius all'esercizio della servitù. Sostiene il ricorrente che prima della divisione, per accedere alla porzione di fabbricato distinto dalle p.lle omissis e omissis , si transitava dalla strada pubblica attraverso le particelle omissis e omissis , passando per un battuto in cemento su cui si affacciavano le due porte, che costituirebbero opere visibili e permanenti per l'esercizio del diritto di passaggio fino alla strada comunale. L'esistenza di dette porte risulterebbe dalla documentazione fotografica nonché dalla rappresentazione grafica del frazionamento del 2.7.1992 del terreno e del fabbricato. In seguito alla divisione ed al frazionamento, il terreno di cui alle p.lle omissis e omissis era stato assegnato al ricorrente mentre il terreno con il manufatto, di cui alle p.lle omissis e omissis era stato assegnato all'attrice. Le due porte di ingresso e la pavimentazione in cemento, che collegava il fabbricato alla strada comunale, costituirebbero opere visibili e permanenti di cui la Corte d'appello non avrebbe tenuto conto ai fini della costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, nonostante l'assenza di una volontà contraria delle parti consacrata nel titolo. Il ricorrente sottolinea come nell'atto notarile non vi fossero dichiarazioni volte ad escludere la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, ai sensi dell'articolo 1062 c.c., né poteva trarsi la volontà del ricorrente di rinunciare al diritto dalla missiva del 13.7.2010 in quanto, in tale atto, il ricorrente avrebbe condizionato la chiusura delle porte alla modifica della servitù di passaggio dalle scale che davano accesso ai terreni della “solagna”. Peraltro, la prova per testimoni non sarebbe inammissibile perché volta a provare un accordo verbale, che integrava un patto antecedente o successivo ad un atto avente forma scritta ad substantiam. Il motivo è fondato. Va preliminarmente evidenziato che, nel caso in esame, pur ravvisandosi una cosiddetta “doppia conforme”, non è applicabile l'articolo 348 ter comma V c.p.c. in quanto il giudizio d'appello è stato introdotto in data antecedente all'11.9.2012. L'articolo 54 del D.L. 83/2012 convertito nella L.134/2012, che esclude la censura del vizio di cui all'articolo 360, comma 1, numero 5 c.p.c., prevede l'applicabilità della normativa ai giudizi introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dall'11.9.2012 mentre, nel caso in esame, l'appello è stato notificato il 6.8.2012. Ciò premesso, si osserva che la Corte d'appello v. pag. 7 ha escluso la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia in favore del fondo assegnato al ricorrente p.lla omissis in quanto nell'atto di divisione si dava atto che “era la sorella G. V. ad avere diritto di servitù di passaggio per accedere alla via pubblica attraverso la p.lla OMISSIS di proprietà del fratello G. M., ove esisteva originariamente l'unico accesso alla via pubblica”. La Corte d'appello ha proseguito pagg. 7 e 8 affermando che non poteva essere invocata la costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia in quanto “il dante causa originario proprietario dei fondi poi divisi non aveva mai utilizzato le due aperture per cui è giudizio per accedere alla via pubblica, avendo in primo luogo sempre utilizzato un altro passaggio sulla strada, mentre il varco aperto da G. V. sul terreno a lei assegnato era stato creato dopo la divisione Dunque, le due aperture in discussione non possono affatto ritenersi quali opere visibili idonee all'esercizio della pretesa servitù di passaggio”. Nel giungere a tale conclusione, la Corte d'appello ha però omesso di esaminare l'atto di frazionamento e la documentazione ad esso allegata, che erano decisivi per accertare l'esistenza di opere visibili e permanenti predisposte dall'unico proprietario prima della divisione del fondo, dalle quali evincere l'asservimento di un fondo in favore di un altro fondo. Il giudice d'appello ha, invece, fondato la decisione, sulle deposizioni testimoniali in ordine all'utilizzo delle porte per l'accesso alla via pubblica da parte dell'originario proprietario. E' evidente l'errore di valutazione in quanto la servitù per destinazione del padre di famiglia si costituisce ope legis per il fatto che al momento della separazione dei fondi o del frazionamento dell'unico fondo, vi siano opere o segni manifesti ed inequivoci di una situazione oggettiva di subordinazione o di servizio, che integri de facto il contenuto proprio di una servitù, indipendentemente da qualsiasi volontà, tacita o presunta, dell'unico proprietario nel determinarla o nel mantenerla. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, il requisito della subordinazione deve essere ricercato non già nell'intenzione del proprietario del fondo, bensì nella natura delle opere oggettivamente considerate, in quanto nel loro uso normale determinino il permanente assoggettamento del fondo vicino all'onere proprio della servitù Cass. Civ., Sez. II, 12.2.2014, numero 3219 Cass. Civ., Sez. II, 2.12.1997, numero 12197 . Perché possa costituirsi la servitù prediale per destinazione del padre di famiglia, infatti, è necessario che le opere destinate all'esercizio della servitù preesistano alla divisione o all'alienazione del fondo e che, all'atto della loro separazione, sia mancata una manifestazione di volontà contraria al perdurare della relazione di sottoposizione di un fondo nei confronti dell'altro Cassazione civile sez. II, 05/04/2016, numero 6592 . L'apparenza è indispensabile per poter ritenere costituita la servitù per destinazione del padre di famiglia, dato che tale tipo di servitù non è soggetta a manifestazione di volontà e, perciò, nemmeno a trascrizione Cass. Civ. Sez. II, 14.7.1962 numero 1017 . Nel caso di specie, era irrilevante, ai fini della costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia il mancato utilizzo delle aperture da parte dell'originario proprietario, e, trattandosi di servitù che si costituisce “de facto”, nessuna previsione doveva essere contenuta nel titolo mentre era decisivo accertare se le due aperture costituivano segni visibili e permanenti dell'esercizio della servitù di passaggio. L'esame del titolo era necessario ai soli fini della ricognizione dello stato dei luoghi o per verificare se vi fosse un'espressa volontà volta all'esclusione della servitù per destinazione del padre di famiglia mentre era decisivo l'esame dell'atto di frazionamento e della documentazione ad esso allegata, che davano conto dell'esistenza o meno di una situazione oggettiva di subordinazione o di servizio, essendo irrilevante la volontà dell'originario proprietario o l'utilizzo delle aperture nel corso degli anni. La Corte d'appello ha poi erroneamente valorizzato l'accesso alla via pubblica pag. 7, ultimo rigo della sentenza impugnata per escludere la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia mentre tale requisito – come è noto è un elemento costitutivo delle sole servitù di passaggio coattivo, come previsto dall'articolo 1051 c.c. Si rende pertanto necessario nuovo esame. Passando all'esame degli altri motivi, con il primo di essi si deduce la violazione dell'articolo 1350 c.c., in relazione all'articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.c. e la nullità della sentenza per violazione dell'articolo 112 c.p.c., per avere la Corte d'appello ritenuto dimostrata, attraverso la prova per testi, l'esistenza di un accordo verbale tra le parti, antecedente alla divisione, con il quale il coerede, cui era stato assegnato il fabbricato di cui alle p.lle OMISSIS - OMISSIS , avrebbe dovuto chiudere i due ingressi che si affacciavano sul terreno assegnato all'altro coerede. Osserva il ricorrente che l'accordo, oltre ad avere ad oggetto un diritto che non era nella disponibilità delle parti, avrebbe richiesto la forma scritta a pena di nullità, ai sensi dell'articolo 1350 c.c. e la nullità sarebbe rilevabile d'ufficio perché G. V. avrebbe agito per chiedere l'adempimento di un contratto nullo. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 1350 c.c., in relazione all'articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.c e la nullità della sentenza per violazione dell'articolo 112 c.p.c., per avere la Corte d'appello tratto la prova dell'esistenza dell'accordo sulla chiusura delle due aperture dalla missiva del 13.7.2010, diretta da G. M. alla sorella con la quale il ricorrente confermava il suo impegno di chiudere le due aperture prospicienti sull'area di proprietà della predetta che aveva assunto in sede di divisione. Tale missiva non sarebbe vincolante perché l'accordo richiederebbe la forma scritta ad substantiam. Con il terzo motivo di ricorso, si denuncia la violazione degli articolo 1350 c.c., 2723 c.c., 2724 c.c. e 2725 c.c., in relazione all'articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.c., per avere la Corte di merito ritenuto provato per testimoni un accordo verbale avente ad oggetto un atto dispositivo della proprietà, per il quale sarebbe richiesta la prova scritta ad substantiam. Con il decimo motivo di ricorso, si deduce la violazione degli articolo 1353 c.c. e 1362 c.c., con riferimento alla missiva del 13.7.2010, con la quale il ricorrente avrebbe subordinato la chiusura delle due aperture alla condizione che la sorella procedesse alla chiusura delle scale che davano accesso alla solagna. La Corte d'appello avrebbe errato nel ritenere che detta condizione fosse frutto di un ripensamento del ricorrente, violando il criterio letterale nell'interpretazione dell'atto nella parte in cui si affermava che la “promessa di chiudere le entrate sulla citata p.lla è condizionata da parte mia alla correzione del passaggio sulle scale suddette”. La Corte non avrebbe, inoltre, tenuto conto degli altri criteri di interpretazione dell'atto unilaterale previsti dagli articolo 1363 e segg. c.c. e, conseguentemente, non avrebbe accertato l'esistenza della condizione. Questi quattro motivi, che vanno esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione, sono fondati. Questa Corte, con orientamento consolidato ha affermato che la rinuncia al diritto di servitù deve rivestire la forma scritta, sotto pena di nullità, e non può quindi risultare da fatti concludenti né può essere provata a mezzo della prova per testi Cassazione civile sez. II, 22/05/2015, numero 10662 Cass. Sez. 2, Sentenza numero 5302 del 07/12/1977, Cass. Sez. 2, Sentenza numero 835 del 05/02/1980 . Nel caso in esame la Corte d'Appello ha disatteso questo principio ed è quindi incorsa in errore di diritto, avendo ritenuto valido un patto concluso oralmente con cui il ricorrente si obbligava alla chiusura di due aperture verso il fondo della sorella, senza porsi il problema di accertare se un tale patto configurasse una rinunzia ad una servitù di passaggio e, come tale, fosse soggetto alla forma scritta ad substantiam, ai sensi dell'articolo 1350 c.c. In particolare, la Corte di merito ha ritenuto provato attraverso la prova testimoniale l'esistenza di un accordo verbale tra le parti, antecedente alla divisione, con il quale il coerede cui sarebbe stato assegnato il fabbricato di cui alle p.lle omissis - omissis avrebbe dovuto chiudere i due ingressi che si affacciavano sul terreno assegnato all'altra coerede, nonostante si trattasse di atto per il quale era richiesta la forma scritta a pena di nullità. Né la rinuncia al diritto poteva risultare dalla missiva del 13.7.2010, inviata da G. M. alla sorella, con la quale il ricorrente confermava il suo impegno di chiudere le due aperture prospicienti l'area di proprietà della predetta, facendo riferimento all'impegno che aveva assunto in sede di divisione. Tale documento, infatti, limitandosi a confermare il contenuto di un accordo verbale in relazione ad un atto che richiedeva la forma scritta ad substantiam, non poteva essere certamente idoneo a provare l'esistenza di un atto nullo per difetto di forma qualora si fosse accertata la rinunzia in forma orale . Detta missiva, intervenuta dopo l'atto di divisione, non poteva sostituire il titolo costitutivo, essendo necessario, invece, un contratto con forma scritta dal quale risultasse la volontà attuale delle parti di estinguere un diritto, essendo irrilevante che una delle parti, anche in forma scritta, abbia fatto riferimento ad un precedente rapporto qualora questo non sia documentato Cass. 11.4.2016, numero 7055 in materia di acquisto derivativo della proprietà Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza numero 9687 del 18/06/2003, numero 9687 . Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in materia contrattuale, il principio in base al quale per i contratti aventi ad oggetto il trasferimento della proprietà immobiliare è richiesta la forma scritta ad substantiam importa che l'atto scritto costituisca lo strumento necessario ed insostituibile per la valida manifestazione della volontà produttiva degli effetti del negozio. Ne consegue che, in tale ipotesi, la manifestazione scritta della volontà di uno dei contraenti non può essere sostituita da una dichiarazione confessoria dell'altra parte, non valendo tale dichiarazione ne' quale elemento integrante il contratto ne' quand'anche contenga il preciso riferimento ad un contratto concluso per iscritto come prova del medesimo Cass. Sez. 3, Sentenza numero 9687 del 18/06/2003 . La prova di un contratto per il quale è richiesta la forma scritta ad substantiam, non può discendere da un negozio di mero accertamento, il quale può eliminare incertezze sulla situazione giuridica, ma non già sostituirne il titolo costitutivo. Si rende pertanto necessario un nuovo esame anche in relazione a tali questioni. Il ricorso va, pertanto accolto anche in relazione ai motivi accolti la sentenza impugnata va cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di L'Aquila in diversa composizione, che, si atterrà al seguente principio di diritto “la rinuncia al diritto di servitù deve rivestire, ai sensi dell'articolo 1350 numero 5 cc, la forma scritta, sotto pena di nullità, e non può quindi risultare da fatti concludenti né può essere provata con testi o da un atto di ricognizione o di accertamento”. Vanno dichiarati logicamente assorbiti i restanti motivi, con cui si censura l'interpretazione dell'atto di divisione del 1992 quarto motivo la violazione dell'articolo 345 c.p.c., in relazione alla deduzione in grado d'appello dell'utilizzo delle due aperture da parte dell'originario proprietario per accedere alla via pubblica quinto motivo la prova del transito sesto motivo l'omessa motivazione e omesso esame circa un fatto decisivo in relazione all'acquisto per usucapione della servitù di passaggio ottavo e nono motivo , l'inammissibilità della testimonianza resa dal coniuge della G. V. sull'accordo verbale undicesimo motivo e erronea valutazione delle deposizioni testimoniali sempre sull'accordo verbale dodicesimo motivo . P.Q.M. accoglie il primo, secondo, terzo, settimo e decimo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata in ordine ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità innanzi alla Corte d'appello di L'Aquila in diversa composizione.