Droga occultata nell’appartamento della coppia ma il concorso di entrambi nel reato non è automatico

Secondo la Cassazione, il solo dato della convivenza nell’appartamento e della facilità di accesso al luogo dove era stato rinvenuto lo stupefacente non sono sufficienti a dimostrare il concorso di colpa del compagno a fronte della totale assunzione di colpa della donna.

Due conviventi venivano condannati, con giudizi separati, per detenzione illecita di sostanze stupefacenti. Si trattava di marijuana in parte essiccata e in parte in fase di essicazione per un totale di circa 4 kg occultata all'interno di uno stabile abbandonato confinante con l'abitazione dove l'uomo si trovava agli arresti domiciliari. Secondo i giudici che avevano condannato quest'ultimo, gli elementi fattuali portavano a ritenere che il quantitativo di stupefacente fosse ascrivibile non solo alla donna, che nell'immediatezza dei fatti se ne era assunta la responsabilità, ma anche al compagno. La difesa ha proposto ricorso in Cassazione dolendosi, per quanto rilevante, della mancanza di prove circa il concorso materiale e morale nel reato contestato ascrivibile invece alla compagna. Inoltre, il solo elemento della convivenza non può essere determinante per l'affermazione di responsabilità. La Cassazione ritiene fondato il ricorso. Infatti per configurare il concorso nel delitto di indebita detenzione di stupefacenti a fini di spaccio «è necessario un contributo causale in termini, sia pur minimi, di facilitazione della condotta delittuosa, mentre la semplice conoscenza o anche l'adesione morale, l'assistenza inerte non realizzano la fattispecie concorsuale» Cass. penumero sez. IV numero 3924/1998 . Sussiste inoltre il concorso con la mera volontà di adesione all'altrui attività criminosa, manifestata in forme di agevolazione della detenzione, nella consapevolezza di apportare un contributo causale alla condotta di altri già in atto, assicurando all'agente una certa sicurezza o garantendo anche implicitamente una collaborazione Cass. penumero sez. VI numero 9986/1998 . Altre forme di contributo causale determinanti sono state individuate nella giurisprudenza nell'occultamento, nella custodia e nel controllo dello stupefacente Cass. penumero sez. IV numero 40167/2004 . Nella vicenda in esame la responsabilità a carico del ricorrente è stata affermata sulla base dell'accertato accesso al luogo di occultamento della sostanza tramite un agile passaggio dall'appartamento in cui la coppia viveva e in cui il ricorrente stava scontando gli arresti domiciliari e dell'inattendibilità dell'affermazione della compagna di essere l'unica titolare. La Cassazione precisa però che «l'apporto conoscitivo cui la Corte territoriale è pervenuta attraverso il giudizio di inattendibilità della donna, se da un canto può giustificare l'elisione, con riferimento alla posizione del ricorrente, di un dato a costui favorevole in quanto astrattamente idoneo ad escludere la responsabilità la parte del propalato che ha inteso attribuire solo alla dichiarante la titolarità dello stupefacente , il risultato neutro in tal modo raggiunto, d'altro canto, non costituisce un elemento idoneo a dimostrare, in positivo, la sussistenza di un contributo a titolo di concorso». Il ricorso viene dunque accolto con annullamento della sentenza con rinvio alla Corte d'appello.

Presidente Fidelbo – Relatore Costantini Ritenuto in fatto 1. T.P.A. ricorre avverso la decisione della Corte di appello di Cagliari - Sezione Distaccata di Sassari, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Nuoro che lo aveva dichiarato colpevole in ordine al delitto di cui agli articolo 99, quarto comma, ultimo periodo, 61, primo comma, numero 11-quater , cod. penumero e 110 cod. penumero 73, comma 4, e 80, comma 2, d.P.R. numero 309 del 1990, condannandolo alla pena di anni quattro, mesi due di reclusione ed euro 15.000 di multa. Secondo l'accusa il T.P.A., in concorso con la propria convivente - giudicata separatamente -, avrebbe illecitamente detenuto un'ingente quantità di sostanza stupefacente del tipo marijuana parte essiccata e parte in fase di essiccazione contenente complessivamente chilogrammi 3.930,48 di principio attivo sufficiente per la predisposizione di 157.219 dosi medie singole , occultata all'interno di uno stabile abbandonato confinante con l'abitazione ove si trovava agli arresti domiciliari fatti accertati ad OMISSIS il OMISSIS . Secondo quanto rilevato dalla Corte di appello, gli elementi valorizzati dalla decisione di primo grado erano sufficienti a ritenere che il quantitativo di stupefacente rinvenuto fosse ascrivibile, non solo alla convivente, che nell'immediatezza del fatto se ne era assunta l'esclusiva titolarità, ma anche al T.P.A., persona all'epoca dei fatti detenuta agli arresti domiciliari e, come la donna, in condizione di accedere all'immobile in cui erano stati trovati involucri di sostanza stupefacente del tipo marijuana. La decisione evidenzia come il quantitativo della sostanza stupefacente, che supera i due chilogrammi di principio attivo, sia compatibile con i principi della giurisprudenza di questa Corte in tema di aggravante ex articolo 80, comma 2, d.P.R. numero 309 del 1990 e la pena fosse stata determinata in maniera congrua dal primo giudice. 2. Per il tramite del difensore Avv. Elena Ledda, il ricorrente deduce quattro motivi di ricorso. 2.1. Con il primo motivo deduce vizi di motivazione e violazione di legge ex articolo 606, comma 1, lett. b ed e , cod. proc. penumero con riferimento all'articolo 73 d.P.R. numero 309 del 1990 ed all'articolo 192 cod. proc. penumero in relazione agli articolo 3,24 e 111 Cost., articolo 546, lett. e , numero 1 e numero 4, cod. proc. penumero . La Corte di appello non ha dato conto delle prove che deponevano per il consapevole concorso morale e materiale del T.P.A. nel reato contestato, tali da agevolare o rafforzare la condotta posta in essere dalla convivente che, sin da subito, ha attribuito a sé stessa la titolarità dello stupefacente. I testi della difesa, colleghi di lavoro avevano riferito di non essersi mai fermati durante il percorso che percorrevano per andare e ritornare dal lavoro, che il T.P.A. era autorizzato a svolgere durante l'esecuzione della misura cautelare degli arresti domiciliari, mentre i militari competenti avevano evidenziato la frequenza dei controlli a cui il T.P.A. era periodicamente sottoposto. Non sussiste, pertanto, alcuna possibilità, a causa dell'attività lavorativa e dei controlli della polizia giudiziaria, che il ricorrente potesse occuparsi della detenzione dello stupefacente, costituendo mero pregiudizio la parte della motivazione che spiega le dichiarazioni della convivente quale tentativo di tenere il T.P.A. al riparo dalle accuse mossegli. 2.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione dell'articolo 110 cod. penumero nella parte in cui è stato attribuito il concorso nel reato sulla base della sola convivenza con la compagna che si era assunta ogni responsabilità in merito. Non sussiste alcun elemento probatorio dal quale potersi evincere la pur irrilevante connivenza del ricorrente nella condotta di reato della donna. Non è emerso dalle indagini quale sia stato il contributo morale e fattuale all'attività di detenzione della sostanza stupefacente riferibile alla compagna P. 2.3. Con il terzo motivo si deducono vizi di motivazione e violazione degli articolo 62-bis e 133 cod. penumero la concessione delle circostanze attenuanti generiche avrebbero consentito di applicare al ricorrente una pena più congrua. 2.4. Con il quarto motivo si deduce l'errata applicazione del criterio del cumulo materiale delle due aggravanti ad effetto speciale in luogo del cumulo giuridico previsto dall'articolo 63, quarto comma, cod. penumero allorché si verta in ipotesi di concorso di più circostanze aggravanti ad effetto speciale. Considerato in diritto 1. Il primo e secondo motivo, nella parte in cui censurano la motivazione in ordine al contributo - materiale o morale - fornito dal T.P.A. alla condotta di detenzione della convivente, è fondato. 2. Ai fini dell'integrazione del concorso nel reato ed in particolare, per quel che concerne il caso sottoposto a scrutinio, nel delitto di illecita detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente, è necessario un contributo causale in termini, sia pur minimi, di facilitazione della condotta delittuosa, mentre la semplice conoscenza o anche l'adesione morale, l'assistenza inerte non realizzano la fattispecie concorsuale Sez. 4, numero 3924 del 05/02/1998, Brescia, Rv. 210638 cfr. anche Sez. 6, numero 11383 del 20/10/1994, Bonaffini, Rv. 199634 . Di contro, per la configurazione del concorso, è sufficiente la partecipazione all'altrui attività criminosa con la volontà di adesione, che può manifestarsi in forme agevolative della detenzione, consistente nella consapevolezza di apportare un contributo causale alla condotta altrui già in atto, assicurando all'agente una certa sicurezza ovvero garantendo, anche implicitamente, una collaborazione in caso di bisogno, in modo da consolidare la consapevolezza nell'altro di poter contare su una propria attiva collaborazione cfr., con riferimento al concorso del coniuge, Sez. 6, numero 9986 del 20/05/1998, Costantino, Rv. 211587 . Sotto altro, ma pertinente aspetto, tenuto conto che l'accesso ai luoghi in cui è stata rinvenuta la sostanza stupefacente sono stati ritenuti, in concreto, accessibili unicamente dall'immobile in cui abitavano il T.P.A. e la convivente, deve farsi cenno all'indirizzo interpretativo di questa Corte secondo cui la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato va individuata nel fatto che, mentre la prima postula che l'agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, nel concorso di persona punibile è richiesto, invece, un contributo partecipativo - morale o materiale - alla condotta criminosa altrui, caratterizzato, sotto il profilo psicologico, dalla coscienza e volontà di arrecare un contributo concorsuale alla realizzazione dell'evento illecito Sez. 6, numero 14606 del 18/02/2010, Iemma, Rv. 247127 Sez. 4, numero 4948 del 22/01/2010, Porcheddu, Rv. 246649 . In ordine al contributo partecipativo, significativo è il contributo quanto meno all'occultamento, custodia e controllo dello stupefacente che, per essere finalizzati ad evitare che lo stesso venga rinvenuto e quindi a protrarne la illegittima detenzione, costituiscono apporto concorsuale al reato in questione Sez. 4, numero 40167 del 16/06/2004, Volpe, Rv. 229565 . Il principio di diritto si è ritenuto ricorresse proprio nei casi di convivenza nella stessa abitazione, consentendo di valutare in termini di concorso di persone l'apporto, per esempio, del figlio, titolare dell'appartamento in cui lo stupefacente era nascosto Sez. 4, numero 12777 del 12/10/2000, Zurolo F, Rv. 217903 . 3. Ciò detto in generale quanto ai canoni che avrebbero dovuto sovrintendere alle valutazioni operate dai Giudici di merito, la responsabilità a carico del ricorrente e, conseguentemente, il contributo dato alla condotta della convivente P. sono stati ritenuti sussistenti sulla base dell'accertato accesso al luogo di occultamento della sostanza per il tramite di un agile passaggio dall'appartamento in cui conviveva la coppia e della valorizzazione dell'inattendibile versione resa dalla donna che ha dichiarato di esserne l'esclusiva titolare. 3.1. Per giungere a detta conclusione la Corte territoriale, per mezzo di articolata motivazione, ha messo in evidenza come costituisse dato incontestato il fatto che l'accesso sul luogo in cui era stata rinvenuta la sostanza stupefacente era stato effettuato dall'abitazione in cui era agli arresti domiciliari il ricorrente ed in cui conviveva con la compagna che aveva dichiarato, nell'immediatezza dei fatti, di essere l'esclusiva detentrice della sostanza stupefacente sequestrata. La decisione ha fondato l'illazione sul contenuto delle testimonianze dei verbalizzanti e delle foto effettuate all'atto della perquisizione queste davano conto di come l'accesso al casolare abbandonato in cui è stata ritrovata la sostanza stupefacente, seppure astrattamente possibile da altri punti esterni dell'edificio, proprio per le condizioni in cui tali luoghi si presentavano, si era realizzato proprio dall'abitazione del T.P.A 3.2. Per dimostrare, inoltre, che il ricorrente avesse concorso nel delitto della P., la Corte di merito ha assegnato preponderante valenza alla ritenuta inattendibilità della donna, specie nella parte in cui aveva dichiarato di essere stata l'esclusiva titolare della sostanza stupefacente che gli era stata consegnata alcuni giorni prima da un connazionale - che conosceva da lunga data ma di cui non ricordare o intendeva riferire il nome - al solo fine di farla essiccare. Dalla ritenuta implausibilità della versione resa dalla P. in ordine ai tempi ed ai motivi della detenzione, la Corte di appello è pervenuta alla conclusione che le dichiarazioni fossero tese a coprire la responsabilità del convivente in ordine alla detenzione della sostanza stupefacente. 3.3. Proprio tale passaggio della motivazione realizza una frattura logica tra la responsabilità della donna e quella concorrente del convivente, visto che l'illazione non risulta supportare l'ipotizzato contributo, morale o materiale, che l'uomo avrebbe dato all'indiscussa condotta posta in essere dalla donna che, da quanto evidenziato nella decisione, risulta essere stata creduta nella parte in cui ha affermato di essere la titolare della sostanza stupefacente, ma non anche allorché se ne è assunta l'esclusiva titolarità. Poiché la questione non afferisce alla quota della responsabilità della convivente, ma attiene, piuttosto, alla necessaria individuazione di elementi che portino ad ritenere accertato un contributo che a detta detenzione avrebbe dato il convivente, il Collegio osserva come non si si riveli sufficiente dimostrare che le dichiarazioni della convivente non fossero compatibili solo in parte con un'esclusiva detenzione della sostanza stupefacente, se non si evidenziano, al contempo, quali sono le ragioni che portano a ritenere che proprio il convivente abbia fornito un apporto morale o materiale alla fattispecie contestata ex articolo 110 cod. penumero . Se, infatti le dichiarazioni della convivente possono essere ritenute inattendibili, la valutazione in tali termini espressa non risulta ex se idonea a corroborare una ricostruzione indiziaria in ordine all'ipotizzato contributo fornito dall'uomo, senza rendere anche una logica spiegazione delle ragioni che hanno portato a ritenere esistente un contributo sorretto su dati certi e non, invece, fondato proprio sulle stesse dichiarazioni che si assumono inattendibili. In conclusione, l'apporto conoscitivo cui la Corte territoriale è pervenuta attraverso il giudizio di inattendibilità della donna, se da un canto può giustificare l'elisione, con riferimento alla posizione del ricorrente, di un dato a costui favorevole in quanto astrattamente idoneo ad escludere la responsabilità la parte del propalato che ha inteso attribuire solo alla dichiarante la titolarità dello stupefacente , il risultato neutro in tal modo raggiunto, d'altro canto, non costituisce un elemento idoneo a dimostrare, in positivo, la sussistenza di un contributo a titolo di concorso che spettava alla Corte di appello ricostruire in concreto l'assenza di prove dell'innocenza dell'imputato, pertanto, non può essere sufficiente a dimostrare la sua responsabilità. 4. Da quanto sopra consegue l'annullamento della sentenza con rinvio alla Corte di appello di Cagliari che dovrà, attenendosi ai principi di diritto sopra espressi in merito ai presupposti per la integrazione del concorso nel reato di detenzione di sostanza stupefacente posto in essere dalla P., rimotivare in ordine al contributo - se del caso - fornito dal T.P.A 5. I residui motivi afferenti alla sussistenza della aggravante dell'ingente quantità e in merito alla determinazione della pena risultano superati dalla presente decisione di annullamento e dalla previa verifica della sussistenza della responsabilità del ricorrente. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Cagliari.