Va annullato l'accordo di separazione sottoscritto dal coniuge, bersaglio di minacce e intimidazioni?

In materia di annullamento del contratto per vizi della volontà, si verifica l'ipotesi della violenza, invalidante il negozio giuridico, qualora uno dei contraenti subisca una minaccia specificamente finalizzata ad estorcere il consenso alla conclusione del contratto, proveniente dalla controparte o da un terzo e di natura tale da incidere, con efficienza causale, sul determinismo del soggetto passivo, che in assenza della minaccia non avrebbe concluso il negozio.

Conseguentemente, il contratto non può essere annullato ex articolo 1434 c.c. ove la determinazione della parte sia stata determinata da timori meramente interni ovvero da personali valutazioni di convenienza, senza cioè che l'oggettività del pregiudizio risalti quale idonea a condizionare un libero processo determinativo delle proprie scelte. Il caso Un uomo conveniva in giudizio la moglie dinanzi al Tribunale di Foggia al fine di ottenere l'annullamento dell'accordo di separazione consensuale raggiunto dai coniugi e successivamente omologato, che egli aveva sottoscritto nonostante non fosse stato previsto un assegno di mantenimento in suo favore e ciò ancorchè, in ragione del proprio stato di disoccupazione, non fosse stato previsto un suo obbligo di contribuzione al mantenimento della figlia, affidata in modo condiviso ad entrambi i genitori, con collocazione presso la madre, e pur in presenza di un enorme divario economico esistente rispetto alla moglie. A fondamento della propria domanda il ricorrente, ripercorsa inizialmente la propria vicenda matrimoniale, aveva affermato che, a seguito di una serie di atti intimidatori e di minacce, si era visto costretto a sottoscrivere l'accordo congiunto di separazione che gli era stato sottoposto, senza la possibilità di vedersi riconosciuto il mantenimento e di ottenere migliori condizioni di quelle già previste. Riteneva, pertanto, che il processo di formazione della sua volontà, già destabilizzato, era stato ulteriormente condizionato e che la separazione, a quelle condizioni, doveva considerarsi un'imposizione, che lo aveva privato di qualsiasi diritto economico, nonostante la notevole differenza economica e patrimoniale esistente tra i coniugi, oltre al fatto di essere stato fortemente limitato nel proprio rapporto con la figlia. Il Tribunale aveva rigettato la domanda attorea, ritenendola priva di riscontro probatorio. Avverso la pronuncia l'uomo proponeva ricorso dinanzi alla Corte d'Appello di Bari, la quale respingeva il gravame. L'uomo dunque proponeva ricorso per Cassazione, sulla base di due motivi. La donna resisteva in giudizio con controricorso. Osservazioni Con il primo motivo di ricorso l'uomo si duole del fatto che la Corte territoriale non abbia adeguatamente valutato le risultanze probatorie e non si sia fatta carico della situazione fisica e psicologica nella quale egli si trovava in seguito al suo allontanamento dalla casa coniugale, e neppure della posizione di assoluta preminenza sociale ed economica della famiglia della moglie nel Comune nel quale essi vivevano e dei metodi “persuasivi” con i quali era stato minacciato. Con il secondo motivo di ricorso, poi, il ricorrente ritiene che nella sentenza impugnata la Corte bolognese abbia dato atto delle risultanze delle prove testimoniali soltanto apparentemente. I motivi del ricorso sono ritenuti meritevoli di accoglimento. In primo luogo i Supremi giudici ritengono che la CdA, nel disattendere la prospettazione dell'appellante – il quale aveva riferito di molteplici episodi ritenuti minatori ed intimidatori subiti direttamente e, a suo parere, indirizzati anche nei confronti della propria famiglia di origine e tali da coartare la sua volontà, tenuto conto della posizione di netta preminenza sociale ed economica della famiglia della moglie nel territorio di appartenenza – si sia limitata a ritenere che il compendio probatorio, del quale l'appellante aveva sollecitato una differente lettura, era inidoneo a provare l'esistenza degli episodi di violenza morale e dell'eventuale efficacia causale degli stessi al condizionamento della sua volontà nell'esplicare la propria libertà negoziale. Dunque, a fronte di tale statuizione, le censure evidenziano la falsa interpretazione dei presupposti applicativi della disciplina, compiuta in sede di merito con riferimento al caso in esame in ragione della mera apparenza della motivazione. Per gli Ermellini, in tema di violenza morale quale vizio invalidante del consenso i requisiti previsti dall'articolo 1435 c.c. possono atteggiarsi diversamente a seconda che la coazione venga esercitata in modo esplicito, manifesto e diretto, oppure attraverso un comportamento intimidatorio, oggettivamente ingiusto, anche ad opera di un terzo. In ogni caso è necessario che la minaccia sia stata specificamente diretta ad estorcere la dichiarazione negoziale della quale si deduce l'annullabilità e risulti di natura tale da incidere, con efficacia causale concreta, sulla libertà di autodeterminazione dell'autore di essa. Il contratto non può, quindi, essere annullatoex articolo 1434 c.c.nell'ipotesi in cui la parte abbia agito perchè indotta da timori meramente interni o mossa da personali valutazioni di convenienza, senza cioè che l'oggettività del pregiudizio risulti idonea a condizionare un libero processo determinativo delle proprie scelte. Ad avviso della Prima Sezione, dunque, la CdA non ha proceduto a correlare la disamina delle deposizioni testimoniali agli elementi effettivamente rilevanti per l'accertamento richiesto, riguardante la prospettata coartazione della volontà del ricorrente in epoca antecedente e coeva al momento della sottoscrizione dell'accordo, essendo stato dato essenziale rilievo a quanto accaduto dopo la sottoscrizione dell'accordo. Inoltre, una deposizione testimoniale non era da ritenersi integralmente de relato, avendo il teste assistito ed ascoltato le frasi rivolte al ricorrente dal suocero almeno in un'occasione. Infine, per i Supremi giudici la CdA non ha effettuato alcuna valutazione in merito ad alcuni fatti narrati dal ricorrente, nemmeno per smentirne l'attendibilità e manca ogni apprezzamento, anche negativo, circa i rapporti economici intercorrenti tra le parti prima e dopo la separazione e la posizione economica del ricorrente sulla quale questi si era lungamente soffermato deducendone l'avvenuto pregiudizio e sulla rilevanza economica e sociale della famiglia della donna, risultando, invece, meramente apparente la motivazione sull'assenza di capacità intimidatoria di quanto detto dal suocero, il cui contenuto non risulta analizzato dalla CdA, nonchè sul contesto socio-culturale. Conclusione Con l'ordinanza numero 4440/2024, i giudici della Prima Sezione civile della Corte di Cassazione accolgono il ricorso, cassano la decisione impugnata nei limiti dell'accoglimento e rinviano la causa alla CdA di Bari, in diversa composizione, la quale provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Presidente Genovese – Relatore Tricomi Rilevato che D.B. convenne nel 2015 T.R. dinanzi al Tribunale di Foggia per sentire accogliere la domanda di annullamento ex articolo 1427 c.c. e, quindi, dichiarare nullo per vizio del consenso ex articolo 1434 c.c. l'accordo di separazione consensuale raggiunto dai coniugi in data 02.02.2011 ed omologato il successivo 09.02.2011 dal Tribunale di Foggia, che egli aveva sottoscritto nonostante non fosse stato previsto un assegno di mantenimento in suo favore, e ciò ancorché, in ragione del suo stato di disoccupazione non fosse stato previsto un suo obbligo di contribuzione al mantenimento della figlia, affidata in modo condiviso ai genitori e collocata presso la madre, e pur in presenza di un  enorme divario economico esistente rispetto alla moglie. In fatto, a sostegno della propria domanda, l'attore, ripercorsa la vicenda matrimoniale, espose di avere contratto matrimonio con T. R. in data 14.02.2002, che dalla loro unione era nata la figlia P., in data OMISSIS , che l'unione era giunta a conclusione nel marzo del 2010 e che a seguito di ciò era stato allontanato dagli affari di famiglia, nonostante egli, assunto come impiegato, in realtà avesse svolto funzioni dirigenziali occupandosi sia delle aziende di famiglia che delle altre aziende del suocero che i suoi tentativi di recuperare il rapporto coniugale era stati ostacolati e che aveva subito ripetute minacce ad opera di ignoti ed atti intimidatori, culminati nell'avergli fatto trovare un gatto impiccato dietro il bungalow dove si era sistemato, minacce che, a suo parere, erano state rivolte anche nei confronti della sua famiglia di origine - che rischiava di vedere pregiudicati i propri affari dai dissapori insorti con la famiglia T., di grande rilievo economico e sociale nella zona, e di vedere condizionata negativamente la possibilità di incontrare la nipote, tanto che la madre gli aveva chiesto di rinunciare a tutte le pretese economiche in sede di separazione  - che il suocero, alla presenza di un testimone, lo aveva invitavano a lasciare Vieste, minacciandolo di fargli passare guai, analoghi a quelli del gatto che a seguito anche di altri episodi si era sentito costretto a sottoscrivere l'accordo separativo congiunto che gli era stato sottoposto, senza la possibilità di vedersi riconosciuto il mantenimento e di ottenere migliori condizioni di quelle già previste, sicché il processo di formazione della sua volontà, già destabilizzato, era stato ulteriormente condizionato e che la separazione, a quelle condizioni, era una imposizione, che lo aveva privato di qualsivoglia diritto economico nonostante la abissale differenza economica e patrimoniale dei coniugi, oltre al fatto di essere stato fortemente limitato nel suo rapporto con la figlia. Il Tribunale di Foggia, istruita la causa anche con escussione di testi ed interrogatorio formale della convenuta, con sentenza numero 440/2021, rigettò la domanda attorea perché ritenuta priva di riscontro probatorio. La Corte di appello di Bari ha respinto l'appello proposto da D. B., ritenendo che il compendio probatorio, del quale l'appellante aveva sollecitato una differente lettura, era inidoneo a provare l'esistenza degli episodi di violenza morale e dell'eventuale efficacia causale degli stessi al condizionamento della sua volontà nell'esplicare la propria libertà negoziale. A tal fine, ha ribadito che i testi di parte convenuta, così come i testi di parte attrice non avevano confermato le allegazioni del D. B., poste a fondamento della domanda. Ha aggiunto che “Quanto potenzialmente detto da T. M. padre dell'appellata al D. B. apparirebbe, invero, ben lontano, avuto riguardo alla persona dell'appellante e al contesto socio-culturale, dal costituire una minaccia tale da impressionare e incutere timore, nei termini chiariti dalla giurisprudenza summenzionata.”. D. B. ha proposto ricorso con due mezzi per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Bari, pubblicata il 30 settembre 2022. T. R. ha replicato con controricorso. È stata disposta la trattazione camerale. Considerato che 2.1.- Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli articolo 1427,1434 e 1435 c.c. Il ricorrente si duole che la Corte di appello, pur avendo affermato che «Affinchè la violenza, come vizio della volontà di una parte, possa costituire causa di annullamento del negozio, il combinato disposto degli articolo 1434 e 1435 c.c. richiede che questa, valutato il soggetto passivo e il contesto sociale nella quale avviene, sia di natura tale da impressionare una persona sensata e far temere un male ingiusto e notevole per sé o il suo patrimonio. In tema, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che “in tema di violenza morale, quale vizio invalidante il consenso, i requisiti previsti dall'articolo 1435 c.c. possono variamente atteggiarsi, a seconda che la coazione si eserciti in modo esplicito, manifesto e diretto, o, viceversa, mediante un comportamento intimidatorio, oggettivamente ingiusto, anche ad opera di un terzo .- è in ogni caso necessario che la minaccia sia stata specificamente diretta ad estorcere la dichiarazione negoziale della quale si deduce l'annullabilità e risulti di natura tale da incidere, con efficacia causale concreta, sulla libertà di autodeterminazione dell'autore di essa” cfr. Cass. sent. numero 19974 del 10.08.2017 », non abbia poi valutato le risultanze probatorie alla luce di detti principi e non si sia fatta carico né della situazione, fisica e psicologica, in cui egli versava a seguito del suo allontanamento dalla casa coniugale, né tantomeno della posizione di assoluta preminenza sociale ed economica della famiglia T. nel piccolo comune di Vieste e dintorni ed ancor meno dei metodi a dir poco “persuasivi” con i quali era stato minacciato. 2.2.- Con il secondo motivo si denuncia la nullità della sentenza per omessa motivazione travisamento e omesso esame delle prove testimoniali poste a base della medesima. Il ricorrente deduce la mancanza di motivazione. Sostiene, quindi, che nella sentenza impugnata, solo “apparentemente” si dà atto delle risultanze delle prove testimoniali, segnatamente le deposizioni della madre M. P. e di C. G., ritenute determinanti dalla Corte di appello per escludere la fondatezza della domanda, in quanto le medesime risultano non valutate non correttamente nel loro complessivo contenuto. 2.3.- I motivi, da trattare congiuntamente per connessione, sono fondati e vanno accolti. 2.4.- Come è noto, la motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando pur se graficamente esistente e, eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull'esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del minimo costituzionale richiesto dall'articolo 111 comma 6 Cost. Cass. numero 13248 del 30/06/2020 e non rende percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture Cass. numero 13977/2019 . 2.5.- Orbene, la Corte territoriale, nel disattendere la prospettazione della parte appellante - che aveva riferito di plurimi episodi ritenuti minatori ed intimidatori subiti direttamente e, a suo parere, indirizzati anche nei confronti della sua famiglia di origine e tali da coartare la sua volontà, in ragione della posizione di netta preminenza sociale ed economica della famiglia della T. R. nel territorio di appartenenza  - ha affermato che pag. 6 “il compendio probatorio … è inidoneo a provare l'esistenza degli episodi di violenza morale e dell'eventuale efficacia causale degli stessi al condizionamento della sua volontà nell'esplicare la propria libertà negoziale… i testi di parte convenuta, così come i testi di parte attrice non hanno confermato le allegazioni del D. B., poste a fondamento della propria domanda. Dirimente appare sul punto – al netto di mere ricostruzioni difensive sull'eventuale condizionamento psicologico della teste, estranee a questa sede - quanto dichiarato dalla teste M. P., madre dell'appellante ella, pur non a conoscenza della maggior parte di quanto articolato nei capitoli di prova, ha confermato di aver avuto e di avere incontri con la nipote minore figlia del D. B. e della T. R. , sia che - all'epoca della separazione - la famiglia dell'appellata si avvaleva dell'autofficina di famiglia. Dello stesso tenore, le dichiarazioni di C. M., moglie del fratello del D. B., con riferimento ai rapporti tra l'appellante e la figlia.» e ne ha dedotto «Pertanto, il timore tale da incidere sulla propria volontà negoziale sia di allontanamento della figlia dalla famiglia paterna sia dell'interruzione dei rapporti commerciali, lesivo per l'impresa familiare, appare smentito. L'unico teste ad aver riferito un singolo episodio di minacce, tali da poter astrattamente integrare la violenza morale, è C. G., amico del D. B La Corte osserva, tuttavia, che… il valore ed il rilievo probatorio della sua deposizione deve considerarsi doppiamente manchevole. Da un lato, infatti, i fatti sono stati appresi de relato dall'appellante e dall'altro, quandanche fossero riscontrabili, sarebbero inidonei a raggiungere lo standard richiesto dall'art, 1435 c.c. per costituire causa di annullamento di un negozio… Quanto potenzialmente detto da T. M. padre dell'appellata al D. B. apparirebbe, invero, ben lontano, avuto riguardo alla persona dell'appellante e al contesto socio-culturale, dal costituire una minaccia tale da impressionare e incutere timore, nei termini chiariti dalla giurisprudenza summenzionata». A fronte di tale statuizione, le censure, che non si esauriscono in una critica alle valutazioni di merito compiute dalla Corte di appello per escludere la configurazione della violenza morale in danno di D. B. atta a coartarne la volontà, evidenziano la falsa interpretazione dei presupposti applicativi della disciplina, compiuta in sede di merito con riferimento al caso in esame in ragione della mera apparenza della motivazione. Va ricordato che in tema di violenza morale, quale vizio invalidante del consenso, i requisiti  previsti dall'articolo 1435 c.c., possono variamente atteggiarsi, a seconda che la coazione si eserciti in modo esplicito, manifesto e diretto, o, viceversa, mediante un comportamento intimidatorio, oggettivamente ingiusto, anche ad opera di un terzo è in ogni caso necessario che la minaccia sia stata specificamente diretta ad estorcere la dichiarazione negoziale della quale si deduce l'annullabilità e risulti di natura tale da incidere, con efficacia causale concreta, sulla libertà di autodeterminazione dell'autore di essa Cass. numero 27323/2022 Cass. numero 19974/2017 conf. Cass. numero 15161/2015 . Invero, in  materia di annullamento del contratto per vizi  della volontà, si verifica l'ipotesi della violenza, invalidante il negozio giuridico, qualora uno dei contraenti subisca  una  minaccia specificamente finalizzata ad estorcere il consenso alla conclusione del contratto, proveniente dalla controparte o da un terzo e di natura tale da incidere, con efficienza causale, sulla specifica capacità di determinazione del soggetto passivo, che in assenza della minaccia non avrebbe concluso il negozio. Ne consegue che il contratto non può essere annullato ex articolo 1434 c.c., ove la determinazione della parte sia stata indotta da timori meramente interni, ovvero da personali valutazioni di convenienza, senza cioè che l'oggettività del pregiudizio risalti quale idonea a condizionare un libero processo determinativo delle proprie scelte  Cass. numero 235/2007 Cass. numero 20305/2015 Cass. numero 12058/2022 . 2.8.- Orbene, a fronte di questi principi, la Corte di appello non ha proceduto a correlare la disamina delle deposizioni testimoniali agli elementi effettivamente rilevanti per l'accertamento richiesto, concernente la prospettata coartazione della volontà del ricorrente in epoca antecedente e coeva al momento della sottoscrizione dell'accordo, giacché – per affermare che era stato smentito il timore manifestato da D. B. - è stato dato essenziale rilievo, a ciò che accadde dopo la sottoscrizione dell'accordo, sia in relazione all'andamento della frequentazione familiare con la minore, che ai rapporti economici e lavorativi con la famiglia T Inoltre, come si evince dal ricorso, la deposizione di C. G., trascritta in osservanza dell'onere di specificità, non era integralmente de relato, avendo egli assistito ed ascoltato le frasi rivolte a D. B. dal suocero almeno in una occasione. Va rilevato, inoltre, che non si rinviene alcuna valutazione in merito ad alcuni fatti narrati da D. B. ad es. episodio avvenuto presso il bungalow nemmeno per smentirne l'attendibilità manca ogni apprezzamento, anche negativo, circa i rapporti economici intercorrenti tra le parti prima e dopo la separazione e la posizione economica di D. B., su cui il ricorrente si era lungamente soffermato deducendone l'avvenuto pregiudizio, e sulla rilevanza economica e sociale della famiglia T., mentre risulta meramente apparente la motivazione sulla assenza di capacità intimidativa di quanto detto da T. M., il cui contenuto non è analizzato dalla Corte di appello, e sul contesto socio-culturale. A tutto ciò la Corte di appello di Bari, in applicazione dei principi esposti, dovrà provvedere in sede di rinvio. 3.- In conclusione, il ricorso va accolto la sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio della causa, anche per la statuizione sulle spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Bari in diversa composizione. Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del d.lgs. numero 196 del 2003, articolo 52. P.Q.M. Accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata nei limiti dell'accoglimento e rinvia la causa alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del d.lgs. numero 196 del 2003, articolo 52.