Quando vengono stipulate più assicurazioni a copertura dello stesso rischio senza l’accordo degli assicuratori cd. assicurazione plurima , l'assicuratore che ha pagato ha diritto di regresso contro gli altri, ex articolo 1910, comma 4 c.c., in misura proporzionale all’indennizzo contrattualmente dovuto da ciascuno degli altri assicuratori.
La vicenda processuale La società assicuratrice Alfa ha assicurato la responsabilità civile di una clinica e dei suoi dipendenti e, in occasione di un caso di responsabilità di uno dei sanitari, ha tenuto indenni i propri assicurati pagando il risarcimento ai terzi danneggiati. Il medico responsabile del danno, tuttavia, ha stipulato anch'egli un'assicurazione della propria responsabilità civile con la società assicuratrice Beta. Viene in rilievo un'ipotesi di assicurazione plurima, di cui all'articolo 1910 c.c., per cui la società Alfa, solvente, ha convenuto in giudizio la società Beta per l'affermazione del suo diritto di regresso. In primo grado la domanda è stata rigettata mentre in sede d'impugnazione la Corte d'appello ha affermato il diritto di regresso della società Alfa quantificandolo nella misura nel 50% dell'indennizzo pagato al terzo danneggiato. La società Beta ha impugnato, quindi, la sentenza di secondo grado lamentando la violazione dell'articolo 1910 c.c., giacché la ripartizione dell'indennizzo tra gli assicuratori che hanno assunto il medesimo rischio si dovrebbe compiere, secondo la ricorrente, in proporzione ai rispettivi massimali assicurati e non agli indennizzi dovuti. Il problema La Corte di Cassazione è stata chiamata a stabilire in che misura debba determinarsi il regresso fra gli assicuratori nell'ipotesi prevista all'articolo 1910, comma 4, c.c. ovvero quando uno degli assicuratori abbia pagato per l'intero. Si tratta di questione raramente affrontata dalla giurisprudenza di legittimità, su cui sussistono due tesi. La tesi della proporzionalità al massimale Un primo orientamento ritiene che la quota di danno a carico di ciascun assicuratore, e quindi di regresso cui ha diritto l'assicuratore solvente, è da calcolare in modo proporzionale al massimale garantito cfr. Trib. di Roma 2.3.2005 . Pertanto la misura del regresso è data dal prodotto del danno causato dal sinistro per il massimale, diviso la sommatoria dei massimali garantiti da tutti gli assicuratori. Tale tesi si fonda sul principio per cui l'assicuratore che garantisce il valore maggiore incassa il premio maggiore e, quindi, equamente, è tenuto a sopportare il peso maggiore. La tesi della proporzionalità all'indennizzo Un altro orientamento afferma che la quota, invece, debba essere calcolata in proporzione all'indennizzo dovuto cfr. Trib. Arezzo 16.10.2009 e Trib. Massa 28.2.2017 numero 176 . Ne consegue che la misura del regresso è data dal prodotto tra il danno causato dal sinistro per l'indennizzo dovuto dal singolo assicuratore, diviso la sommatoria degli indennizzi dovuti da tutti gli assicuratori. Tale tesi viene accolta dal Giudice di legittimità sulla base, in primo luogo, di un criterio letterale il regresso, ex articolo 1910, comma 4, c.c. è proporzionato “all'indennità dovuta” da ciascun assicuratore. La Cassazione rileva come questo termine nel codice civile sia sempre stato inteso per indicare l'indennizzo dovuto e mai il valore assicurato o il massimale dell'assicurazione. In secondo luogo per i giudici di legittimità tale tesi va privilegiata anche in virtù di un criterio finalistico la ratio dell'articolo 1910 c.c. è quella di ridurre, in presenza di più assicuratori, il peso economico del sinistro per ciascuno di essi e ciò può realizzarsi solo se il regresso è calcolato in base all'indennizzo. In terzo luogo tale tesi va preferita anche sulla base di un criterio logico se il massimale fosse illimitato la quota di regresso, se la stessa fosse parametrata al massimale, sarebbe incalcolabile.
Presidente - Relatore Fatti di causa 1. L'esposizione dei fatti di causa sarà limitata alle sole circostanze ancora rilevanti nella presente sede. La società omissis s.p.a. che in seguito muterà ragione sociale, per effetto di successive fusioni ed incorporazioni, dapprima in omissis s.p.a., e poi in omissis s.p.a. d'ora innanzi, “la omissis ” aveva assicurato la responsabilità civile della clinica denominata “ omissis ” di omissis e dei suoi dipendenti. In occasione di un parto avvenuto all'interno della clinica patì lesioni permanenti il neonato. I genitori ne ascrissero la responsabilità ad uno dei sanitari operanti, il dott. P.E.L.S., e la omissis tenne indenne i propri assicurati pagando a titolo di risarcimento direttamente nelle mani dei terzi danneggiati l'importo di euro 1.502.442. 2. Allegando questi fatti, nel 2010 la omissis convenne dinanzi al Tribunale di Milano la società omissis che in seguito muterà ragione sociale in omissis d'ora innanzi, “ omissis ” , esponendo che - il medico responsabile del danno aveva stipulato anch'egli una assicurazione della propria responsabilità civile con la omissis - di conseguenza il medesimo rischio la responsabilità civile del sanitario era risultato coperto da due polizze quella stipulata dalla omissis anche per conto altrui ex articolo 1891 c.c. e quella stipulata da P.E.L.S. nell'interesse proprio - ricorreva dunque una ipotesi di assicurazione plurima, ai sensi dell'articolo 1910 c.c. - la omissis , avendo risarcito i danneggiati dell'intero danno, aveva diritto di regresso nei confronti della omissis ai sensi dell'articolo 1910, quarto comma, c.c 3. Con sentenza 11.8.2012 numero 9350 il Tribunale di Milano rigettò la domanda, ritenendo che la polizza stipulata dalla omissis fosse operante solo “a secondo rischio”, cioè nel solo caso di incapienza o inefficacia di altre assicurazioni stipulate a copertura del medesimo rischio. La sentenza fu appellata dalla omissis . 4. Con sentenza 23.3.2013 numero 1267 la Corte d'appello di Milano rigettò il gravame. Tale sentenza, impugnata per cassazione dalla omissis , fu cassata con rinvio da questa Corte, con sentenza 9.6.2016 numero 11819. 5. Riassunto il giudizio, con sentenza 10.5.2018 numero 2338 la Corte d'appello di Milano accolse parzialmente il gravame della omissis . La Corte d'appello ritenne sussistente una ipotesi di assicurazione plurima, e di conseguenza ha ritenuto sussistente il diritto di regresso della omissis . Ha, poi, stabilito la misura del regresso nel 50% dell'indennizzo pagato da omissis al terzo danneggiato. Ha motivato tale decisione osservando che ambedue i contratti stipulati da omissis e omissis “coprono interamente la responsabilità del coassicurato fino alla concorrenza della somma corrisposta da omissis , come del resto riconosciuto inizialmente dall'odierna appellata nella costituzione in giudizio”. Conseguentemente la Corte d'appello condannò la omissis alla rifusione in favore della omissis del 50% dell'indennizzo da quest'ultima pagato ai danneggiati, “in solido con la omissis ” d'ora innanzi, “la omissis ” , società che la sentenza impugnata riferisce essere cessionaria del portafoglio della omissis , “intervenuta volontariamente”. 6. La sentenza pronunciata in sede di rinvio è stata impugnata per cassazione dalla omissis e dalla omissis con ricorso fondato su un motivo. La omissis ha resistito con controricorso. 7. La causa, fissata per l'adunanza camerale del 30.3.2023, con ordinanza interlocutoria 28.4.2023 numero 11302 è stata rinviata a nuovo ruolo per la discussione in pubblica udienza e fissata per il 3.10.2023 quindi, con provvedimento presidenziale è stata tolta dal ruolo per impedimento del relatore e rifissata per l'odierna udienza. Ambo le parti hanno depositato memoria sia prima dell'adunanza camerale del 30.3.2023, sia prima della prevista e poi rinviata udienza del 3.10.2023, sia prima dell'odierna udienza. La seconda e la terza memoria della omissis , tuttavia, si limitano a richiamare quanto già esposto nei precedenti atti. Il Procuratore Generale ha chiesto il rigetto del ricorso. Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni. ragioni della decisione 1. Preliminarmente rileva la Corte che né la sentenza impugnata, né il ricorso, né il controricorso, né le memorie, indicano in quale fase processuale la omissis sia intervenuta nel giudizio. Deve tuttavia ritenersi che esso possa dirsi avvenuto solo nel giudizio di rinvio infatti la cessione del portafoglio del ramo danni dalla omissis alla omissis è avvenuto con effetto dal 31.3.2013 Bollettino IVASS numero 4/2013, p. 139 e quindi successivamente alla pubblicazione della prima sentenza d'appello, avvenuta, come detto, il 23.3.2013 , mentre nel primo giudizio di legittimità il controricorso della omissis fu ritenuto inammissibile per difetto di procura. Nondimeno, nella sentenza qui impugnata, la Corte d'appello ha pronunciato una condanna nei confronti della omissis , così implicitamente, ma inequivocamente, mostrando di ritenere ammissibile il suo intervento in causa sicché, non essendovi state impugnazioni sul punto, la questione della legittimità del suddetto intervento in causa della omissis è coperta dal giudicato. 2. Ancora in via preliminare rileva la Corte che la sentenza impugnata ha espressamente definito la omissis “cessionaria del portafoglio assicurativo” della omissis p. 6 e l'ha condannata in solido con la cedente omissis . Sul punto rileva questa Corte che la sentenza impugnata non ha accertato né quale fosse la legge applicabile alla cessione di portafoglio cedente e cessionaria avevano ambedue la sede nel Regno Unito , né se il debito di regresso potesse ritenersi sorto dal contratto stipulato tra la omissis e P.E.L.S., e come tale trasferito alla omissis è noto infatti che la cessione del portafoglio assicurativo differisce dalla cessione d'azienda perché ha ad oggetto solo i contratti e non anche i beni organizzati per l'esercizio dell'impresa, sicché, in mancanza di patti ad hoc, non era automatica l'applicazione dell'articolo 2560, secondo comma, c.c. . Tuttavia, anche in questo caso, l'assenza di impugnazioni avverso la suddetta condanna in solido solleva il Collegio dalla necessità di esaminare la suddetta questione. 3. Con l'unico motivo le due società ricorrenti lamentano la violazione dell'articolo 1910 c.c Deducono che la ripartizione dell'indennizzo tra due assicuratori che hanno assunto il medesimo rischio si deve compiere in proporzione dei rispettivi massimali assicurati, e non degli indennizzi dovuti. E, poiché la omissis aveva garantito un massimale di 5.165.000 euro, mentre la omissis aveva garantito un massimale di 1.549.370,70 euro, pari al 22,37% della somma dei due massimali, il regresso della seconda si sarebbe dovuto ammettere solo per l'importo di euro 336.193,93, pari appunto al 22,37% dell'indennizzo pagato dalla omissis ai terzi danneggiati. 4. Le società ricorrenti chiedono a questa Corte di stabilire quale regola proporzionale debba applicarsi per stabilire la misura del regresso fra assicuratori, nell'ipotesi prevista dall'articolo 1910, quarto comma, c.c., e dunque se tale misura vada stabilita a in proporzione del massimale garantito e dunque in misura pari al prodotto del danno per il massimale garantito dal singolo assicuratore, fratto il cumulo dei massimali garantiti da tutti gli assicuratori coinvolti , oppure b in proporzione dell'indennizzo dovuto e dunque in misura pari al prodotto del danno per l'indennizzo concretamente dovuto dal singolo assicuratore, fratto il cumulo degli indennizzi dovuti da tutti gli assicuratori coinvolti . Tale questione non vede unanime la dottrina, né la rara giurisprudenza che ha avuto occasione di occuparsene. 5. Un primo orientamento ritiene che la quota di danno a carico di ciascun assicuratore e quindi, specularmente, la misura del regresso cui ciascun assicuratore ha diritto debba calcolarsi in proporzione del valore assicurato da ciascuno di essi. Nell'assicurazione di responsabilità che è assicurazione di patrimoni e non di cose , nella quale non esiste un valore assicurato, la misura del regresso andrebbe dunque calcolata in proporzione del massimale garantito. La misura del regresso sarà quindi data, secondo questo orientamento, dal prodotto del danno causato dal sinistro per il massimale, fratto la sommatoria dei massimali garantiti da tutti gli assicuratori che hanno coperto il medesimo rischio. 5.1. Questa soluzione è così giustificata l'assicuratore che garantisce il valore maggiore corre un rischio maggiore ed incassa un premio maggiore. Pertanto, in caso di sinistro è giusto ed equo che sopporti il peso maggiore. In giurisprudenza, questa opinione risulta condivisa da Trib. Roma, 02-03-2005 e, per quel che può valere, dalla Corte d'appello del Quinto Circuito Federal jurisdiction [Usa] Court Appeals Fifth Circuit di New Orleans USA 14-04-2004, in causa Adams c. Unione Mediterranea Sicurtà, in un caso in cui il giudice straniero fu chiamato ad applicare la legge italiana. Ambedue le decisioni sono motivate in modo apodittico. 6. Un secondo orientamento ritiene che la quota di indennizzo gravante su ciascun assicuratore e quindi, specularmente, la misura del regresso a lui spettante vada calcolata in proporzione non già del valore assicurato, ma dell'indennizzo concretamente dovuto in base al contratto. La misura del regresso sarà dunque data, secondo questo orientamento, dal prodotto del danno causato dal sinistro per l'indennizzo dovuto dal singolo assicuratore, fratto la sommatoria degli indennizzi dovuti da tutti gli assicuratori che hanno coperto il medesimo rischio. 6.1. Questa conclusione viene giustificata con tre argomenti a la lettera della legge che fa riferimento “all'indennità dovuta” b l'inapplicabilità dell'altro sistema, nel caso di concorso con un assicuratore che abbia garantito un massimale illimitato c le iniquità che produrrebbe l'altro sistema, quando uno degli assicuratori, pur avendo garantito un valore maggiore di quello garantito dagli altri, paghi però un indennizzo inferiore, ad es. perché ha stipulato una sottoassicurazione, oppure per la presenza di franchigie o scoperti. In questi casi si osserva che la regola di riparto in proporzione del massimale potrebbe addirittura azzerare il diritto di regresso, oppure esporre l'assicuratore a dover versare agli altri assicuratori una somma eccedente l'indennizzo che avrebbe dovuto pagare all'assicurato, se non vi fossero state altre polizze. In giurisprudenza questa opinione risulta condivisa - ma senza un particolare approfondimento motivazionale - da Trib. Arezzo, 16/10/2009 e da Trib Massa, 28/02/2017 numero 176 in quest'ultimo caso assunse le vesti di parte attrice in regresso una delle due società oggi ricorrenti, e sostenne - con successo - una tesi esattamente opposta a quella qui invocata . 7. Ritiene la Corte che il secondo orientamento debba essere preferito per sia in base all'interpretazione letterale, sia in base all'interpretazione finalistica, sia in base all'interpretazione logica. 7.1. Dal punto di vista letterale, l'articolo 1910, quarto comma, c.c. stabilisce che nell'ipotesi di assicurazione plurima il regresso spettante all'assicuratore solvens sia proporzionale “alle indennità dovute” in base al contratto. La parola “indennità”, in tutto il Capo XX del Titolo III del Libro Quarto del codice, è sempre utilizzata per indicare l'indennizzo concretamente dovuto, e mai per indicare il valore assicurato nell'assicurazione danni o il massimale nell'assicurazione della responsabilità civile in tal senso essa compare negli articolo 1911,1915,1916,1917,1930 c.c. nonché negli articolo 2742,2767,2952 c.c Anche il comma terzo dell'articolo 1910 c.c. stabilisce che nel caso di assicurazione plurima “l'assicurato può chiedere a ciascun assicuratore l'indennità dovuta secondo il rispettivo contratto”. E nessuno ha mai dubitato che questa norma faccia riferimento all'indennizzo dovuto, non certo al massimale garantito ché in questa seconda ipotesi non avrebbe senso. È dunque insostenibile che la medesima espressione “indennità dovuta secondo il rispettivo contratto” nel terzo comma dell'articolo 1910 c.c. e nell'intero blocco normativo che disciplina il contratto di assicurazione sia stata sempre usata per indicare l'indennizzo, e soltanto nel quarto comma dell'articolo 1910 c.c. quell'espressione sia stata usata per indicare il massimale. E tanto a prescindere dalla considerazione che difficilmente potrebbe, anche solo da un punto di vista squisitamente semantico, rinvenirsi nel lemma “indennità” un significato equiparabile a “massimale”, per come i due concetti sono elaborati nel linguaggio comune e in quello specialistico di settore. 7.2. Al medesimo risultato conduce l'interpretazione finalistica. La ratio dell'articolo 1910, quarto comma, c.c. è ridurre, in presenza di più assicuratori, il peso economico del sinistro per ciascuno di essi. Questa ratio non è un vantaggio per l'assicuratore, ma per la massa degli assicurati, dal momento che il minor costo dei sinistri ha per effetto indiretto la riduzione del premio puro. Dunque, è coerente con tale ratio una interpretazione della norma che, nel caso di assicurazione del medesimo rischio presso diversi assicuratori, consenta a ciascuno di essi di trarre vantaggio dalla presenza degli altri. Questo risultato è sempre garantito se la misura del regresso è calcolata in proporzione dell'indennizzo da ciascuno dovuto, secondo la regola proporzionale già in precedenza ricordata. Lo stesso risultato non sarebbe invece garantito dall'interpretazione secondo cui la misura del regresso andrebbe proporzionata all'importo del massimale. Questo criterio, infatti, può comportare la perdita di qualsiasi vantaggio per l'assicuratore, il quale, pur avendo garantito un massimale elevato, per effetto di franchigie o scoperti sia tenuto a pagare un indennizzo modesto. 7.3. In terzo luogo, dal punto di vista dell'interpretazione logica, rileva la Corte che un'assicurazione della responsabilità civile potrebbe essere stipulata anche per un massimale illimitato. Ma il criterio di determinazione della quota di regresso in proporzione del massimale non sarebbe applicabile in caso di massimale illimitato. Infatti, un numero finito diviso per infinito dà per risultato un infinitesimo tendente a “0” all'infinito, sicché la formula “danno per massimale fratto somma dei massimali” comporterebbe che la quota a carico dell'assicuratore con massimale illimitato sarebbe sempre “tendente a zero all'infinito”, e quindi indeterminabile. 7.4. Dal punto di vista comparatistico, ancora, può essere utile ricordare che in un ordinamento prossimo al nostro sul piano del diritto assicurativo, quello francese, fino al 1982 vigeva il principio di riparto del costo del sinistro tra vari assicuratori secondo il criterio proporzionale riferito al massimale. Poi, con la legge 13.7.1982, è stato modificato l'articolo 121-4 del Code des Assurances, e sostituita la regola della proporzione rispetto al massimale con la regola della proporzione rispetto all'indennizzo dovuto, a causa per l'appunto delle “difficoltà applicative” del precedente sistema. 8. Detto delle ragioni per le quali va condivisa l'interpretazione dell'articolo 1910 c.c. sostenuta dalla parte controricorrente, deve ora aggiungersi che la tesi la quale determina la misura del regresso fra assicuratori in proporzione del massimale da ciascuno di essi garantito non può condividersi non solo in quanto recessiva rispetto all'altra, ma pure per indipendenti plurime ragioni. In primo luogo, l'opinione secondo cui il regresso tra assicuratori ex articolo 1910 c.c. va determinato in misura proporzionale al massimale garantito è una tesi più postulata che motivata dagli autori che la sostennero per primi. È, in secondo luogo, una tesi che contrasta con la lettera della legge per le ragioni già indicate. Infine, la tesi qui ripudiata non può essere condivisa perché sconta un antico pregiudizio. L'assicurazione plurima in antico era vietata perché si riteneva che, se un rischio era già coperto da una polizza, una nuova ed identica assicurazione sarebbe stata nulla per inesistenza del rischio. Soltanto con il codice di commercio del 1882 si ammise l'assicurazione plurima, ma pur sempre a condizione che la seconda polizza operasse nel caso di inefficacia della prima articolo 426 cod. comm. , oppure che le varie assicurazioni fossero stipulate simultaneamente articolo 427 cod. comm. . In questi casi, infatti, secondo la dottrina dell'epoca, non poteva dirsi che il rischio fosse inesistente, perché nessuna assicurazione veniva stipulata prima delle altre. L'opinione secondo cui, se una cosa è già assicurata contro i danni, ciò può ridurre - fino ad annullarlo - il rischio sottoscritto dagli assicuratori successivi al primo, ebbe per corollario l'opinione che il costo del sinistro, se questo è coperto da più assicuratori, deve ripartirsi fra essi in proporzione del rischio corso e non in base all'indennizzo dovuto. Oggi, tuttavia, non si dubita che il rischio naturale cui la cosa assicurata è esposta e cioè la probabilità statistica di avveramento dell'evento avverso è cosa ben diversa dal rischio giuridico la presenza di uno o più assicuratori in grado di coprire i costi del sinistro . Se dunque la presenza di più assicuratori non riduce la probabilità statistica di avveramento dell'evento, l'assicuratore che stipula il secondo contratto in ordine di tempo non si accolla affatto un rischio minore in termini di probabilità statistica. E, se non corre un rischio naturale minore rispetto agli altri assicuratori, non ha senso pretendere di giustificare la misura del regresso in base “al rischio corso”. 9. Il ricorso va dunque rigettato in applicazione del seguente principio di diritto Se più assicuratori hanno coperto in modo indipendente l'uno dall'altro il medesimo rischio c.d. assicurazione plurima , quello tra loro che ha pagato all'assicurato l'intero indennizzo dovuto secondo il contratto ha diritto di regresso in misura proporzionale rispetto all'indennizzo contrattualmente dovuto da ciascuno degli altri assicuratori. Tale misura si determina moltiplicando il danno patito dall'assicurato per l'indennizzo concretamente dovuto dal singolo assicuratore e dividendo il prodotto per la sommatoria degli indennizzi concretamente dovuti da tutti gli assicuratori. 7. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno compensate interamente tra le parti, ex articolo 92 c.p.c., in considerazione della novità della questione nella giurisprudenza di legittimità e delle contrastanti opinioni dottrinarie su essa. Per questi motivi la Corte di cassazione - rigetta il ricorso - compensa interamente le spese tra le parti - ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, del d.P.R. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.