Come riconoscere il danno da perdita della capacità lavorativa specifica? Quale rilievo della persistente pur ridotta capacità lavorativa? Quale rilevanza dello stato di disoccupazione del danneggiato?
La Cassazione si pronunzia su queste questioni, che possono interferire sul principio generale per cui il danno va liquidato ponendo a base del calcolo il reddito che la vittima avrebbe potuto conseguire proseguendo nell'attività lavorativa andata perduta a causa dell'illecito o dell'inadempimento. Il caso A seguito di un errore medico, in un intervento chirurgico di eliminazione di calcolo ureterale, a Tizio residuavano postumi di prostatite, neuropatia del pudendo e sintomatologia dolorosa pelvica, con impossibilità di mantenere posture fisse prolungate ed esigenze ravvicinate di minzione. In sostanza non poteva più svolgere il proprio lavoro di autotrasportato e chiedeva il risarcimento del danno patrimoniale da mancato guadagno comprensivo sia dell'omessa retribuzione che dell'omessa contribuzione previdenziale per perdita della capacità lavorativa specifica. Il danneggiato al momento dell'evento dannoso era disoccupato, involontariamente. Sul punto il Tribunale rigetto la domanda la Corte di Appello l'ha parzialmente accolto sulla base dei seguenti rilievi il danneggiato aveva provato sia il reddito derivante dall'attività di autotrasportatore, sia di avere ricevuto una proposta di assunzione come autista che non aveva potuto accettare proprio a causa delle condizioni di salute dopo l'intervento chirurgico l'incapacità lavorativa non era assoluta, in quanto il CTU aveva chiarito che, sebbene non potesse continuare a svolgere l'attività di autotrasportatore, tuttavia il danneggiato avrebbe potuto svolgere altri lavori, purché non comportanti posture obbligate protratte o un importante impegno fisico pertanto, doveva ritenersi equo l'importo pari ad un terzo della liquidazione già operata per il danno non patrimoniale. La questione In sostanza la questione sottoposta alla Suprema Corte verte su alcuni aspetti in tema di risarcimento del danno da perdita della capacità lavorativa specifica. Se questo va liquidato ponendo a base del calcolo il reddito che la vittima avrebbe potuto conseguire proseguendo nell'attività lavorativa andata perduta a causa dell'illecito o dell'inadempimento, quale rilievo può assumere la persistente pur ridotta capacità lavorativa? Quale rilevanza dello stato di disoccupazione del danneggiato? La soluzione Con un ragionamento stringente, il Collegio osserva che in tema di danni alla persona, l'invalidità di gravità tale da non consentire alla vittima la possibilità di attendere neppure a lavori diversi da quello specificamente prestato al momento del sinistro, e comunque confacenti alle sue attitudini e condizioni personali ed ambientali, pur integrando non già la lesione di un modo di essere del soggetto rientrante nell'aspetto del danno non patrimoniale costituito dal danno biologico, bensì un danno patrimoniale attuale in proiezione futura da perdita di chance, costituisce, tuttavia, un danno patrimoniale ulteriore e distinto rispetto al danno da incapacità lavorativa specifica e piuttosto derivante dalla riduzione della capacità lavorativa generica , il quale, sempre che ne sia accertata la sussistenza, anche in base ad elementi utili ad un giudizio prognostico presuntivo prospettati dal danneggiato, va stimato con valutazione necessariamente equitativa ex articolo 1226 c.c. invece, il distinto danno patrimoniale da lucro cessante, inteso come perdita dei redditi futuri in relazione al lavoro svolto al momento dell'evento dannoso, va provato dal danneggiato mediante la dimostrazione che il sinistro abbia determinato la cessazione del rapporto lavorativo in atto e la perdita, per il futuro, del relativo reddito. In tal caso, il reddito perduto dalla vittima recte le retribuzioni, comprensive di tutti gli elementi accessori e probabili incrementi, anche pensionistici, che essa avrebbe potuto ragionevolmente conseguire in base allo specifico rapporto di lavoro perduto costituisce la base di calcolo per la quantificazione del danno da perdita della capacità lavorativa specifica, la quale, peraltro, deve tener conto anche della persistente – benché ridotta – capacità del danneggiato di procurarsi e mantenere, seppur con accresciute difficoltà il cui peso deve essere adeguatamente considerato , un'altra attività lavorativa retribuita. Questo danno, in applicazione del principio dell'integralità del risarcimento sancito dall'articolo 1223 c.c., deve essere pertanto liquidato moltiplicando il reddito perduto per un adeguato coefficiente di capitalizzazione, utilizzando quali termini di raffronto, da un lato, la retribuzione media dell'intera vita lavorativa della categoria di pertinenza, desunta da parametri di rilievo normativi o altrimenti stimata in via equitativa, e, dall'altro, coefficienti di capitalizzazione affidabili, in quanto aggiornati e scientificamente corretti, quali, ad esempio, quelli approvati con provvedimenti normativi per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali oppure quelli elaborati specificamente nella materia del danno aquiliano. Questi criteri presuppongono, in linea generale, un rapporto lavorativo in atto al momento dell'evento dannoso. In caso di assenza del presupposto della specifica attualità del rapporto di lavoro al momento dell'illecito, assume rilievo che lo stato di disoccupazione, oltre a non dipendere dalla volontà o dalla colpa del lavoratore bensì da vicende incolpevoli riguardanti la sua persona o da vicende oggettive di impresa , sia contingente e temporaneo, sussistendo la ragionevole certezza o addirittura la positiva dimostrazione che, se non vi fosse stato l'illecito, il danneggiato avrebbe ripreso lo svolgimento della medesima attività lavorativa o comunque di un'attività confacente alle sue attitudini, idonea a produrre lo stesso reddito. Nel caso specifico, il giudice del merito avrebbe dovuto tenere conto delle accertate circostanze il danneggiato aveva sempre svolto l'attività lavorativa di autotrasportatore al momento dell'illecito si trovava in stato di disoccupazione non per propria volontà o colpa, ma per vicende oggettive che avevano colpito l'impresa datrice di lavoro dichiarata fallita comunque sussisteva la ragionevole certezza – se non la positiva dimostrazione – che lo stato di disoccupazione sarebbe cessato, con ripresa della medesima attività lavorativa, ove non vi fosse stato l'illecito, per avere egli ricevuto una proposta di assunzione da un'altra impresa, in concomitanza con la cessazione del trattamento di disoccupazione. La Corte territoriale, pur dando espressamente conto dell'accertamento di queste circostanze, in modo contraddittorio, non ha tenuto conto, nella liquidazione del danno da perdita della capacità lavorativa specifica, delle retribuzioni che il danneggiato avrebbe potuto conseguire in base all'attività lavorativa perduta a causa dell'illecito, ma, al contrario, ha indebitamente attribuito rilievo negativo alla situazione di disoccupazione contraddicendo la premessa sulla base della quale tale situazione non avrebbe potuto ridondare a detrimento del creditore e alla residua capacità lavorativa generica indicata nella relazione peritale la quale avrebbe potuto assumere limitato rilievo al più in sede di quantificazione del risarcimento, da operarsi comunque ponendo alla base del calcolo le retribuzioni non conseguite a causa del lavoro perduto . Conclusioni La Suprema Corte afferma il seguente principio di diritto «in applicazione del principio dell'integralità del risarcimento sancito dall'articolo 1223 cod. civ., la necessità che il danno da perdita della capacità lavorativa specifica sia liquidato ponendo a base del calcolo il reddito che la vittima avrebbe potuto conseguire proseguendo nell'attività lavorativa andata perduta a causa dell'illecito o dell'inadempimento salva l'esigenza di tener conto anche della persistente – benché ridotta – capacità del danneggiato di procurarsi e mantenere un'altra attività lavorativa retribuita , sussiste non solo nell'ipotesi di cessazione di un rapporto lavorativo in atto al tempo dell'evento dannoso, ma anche nell'ipotesi in cui la vittima versi in stato di disoccupazione, ove si tratti di disoccupazione involontaria e incolpevole, nonché temporanea e contingente, sussistendo la ragionevole certezza o la positiva dimostrazione che il danneggiato, qualora fosse rimasto sano, avrebbe stipulato un nuovo rapporto di lavoro avente ad oggetto la medesima attività lavorativa o comunque una attività confacente al proprio profilo professionale».
Presidente Travaglino – Relatore Spaziani Fatti di causa 1. Il Tribunale di Busto Arsizio, con sentenza 28 marzo 2018, numero 607, condannò l'Azienda Socio-Sanitaria omissis di seguito omissis e il dott. A.M.B., in solido tra loro, a risarcire ad A.F. i danni da quegli subìti a seguito della imprudente ed imperita esecuzione, in data 6 settembre 2010, di un intervento chirurgico di eliminazione di calcolo ureterale, esitata in fessurazione della parete vescicale periureterale, da cui erano residuati postumi di prostatite, neuropatia del pudendo e sintomatologia dolorosa pelvica, con impossibilità di mantenere posture fisse prolungate ed esigenze ravvicinate di minzione. Il Tribunale liquidò il danno non patrimoniale nell'importo di Euro 120.000 , accolse parzialmente il capo di domanda relativo al danno patrimoniale emergente da spese mediche ritenendo che la domanda fosse circoscritta a quelle sostenute sino alla data della citazione 3 febbraio 2015 e rigettò quello relativo al danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa specifica, formulato sul presupposto che il danneggiato di anni 32 al tempo dell'intervento chirurgico non avrebbe potuto continuare a svolgere l'attività lavorativa di autotrasportatore che aveva sempre esercitato. 2. La Corte d'appello di Milano – adìta con impugnazione principale dall'Azienda Sanitaria e dal professionista e con impugnazione incidentale dal danneggiato –, con sentenza 3 dicembre 2019, numero 4794, ha rigettato la prima e ha parzialmente accolto la seconda, aggiungendo alla somma di Euro 120.000 liquidata dal primo giudice a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale , quella di Euro 40.000 a titolo di risarcimento del danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa. La Corte territoriale ha deciso sulla base dei seguenti rilievi I diversamente da quanto rilevato dal primo giudice, A.F. aveva provato sia il reddito derivante dall'attività di autotrasportatore che aveva sempre svolto anche negli anni 2009 e 2010 mediante produzione delle relative dichiarazioni dei redditi , sia di avere ricevuto una proposta di assunzione come autista nel novembre 2010 allorché versava in stato di temporanea disoccupazione che non aveva potuto accettare proprio a causa delle condizioni di salute in cui si era venuto trovare dopo l'intervento chirurgico del settembre precedente del resto, lo stato di disoccupazione antecedente l'evento – di cui non era provato il carattere volontario – non poteva ridondare a suo danno II peraltro, l'incapacità lavorativa non era assoluta, in quanto il CTU aveva chiarito che, sebbene non potesse continuare a svolgere l'attività di autotrasportatore per l'impossibilità di mantenere la stazione seduta per un tempo prolungato e per disturbi minzionali , tuttavia il sig. A.F. avrebbe potuto svolgere altri lavori, purché non comportanti posture obbligate protratte o un importante impegno fisico III tutto ciò considerato, la valutazione equitativa del danno patrimoniale da perdita della capacità di lavoro doveva essere ancorata «alla permanente invalidità accertata, alle conseguenze derivate anche in termini di danno psichico, e tenuto conto anche dell'età del danneggiato», cosicché doveva ritenersi equo l'importo di Euro 40.000 «pari, appunto ad un terzo della liquidazione già operata» IV quanto al danno emergente da spese mediche future, sebbene se ne dovesse riconoscere la sussistenza alla luce delle risultanze della CTU, occorreva però confermare il rilievo circa la novità e la conseguente tardività della domanda, non ritualmente formulata né nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado né nella memoria di cui all'articolo 183 numero 1 cod. proc. civ 3. Per la cassazione della sentenza della Corte milanese ricorre A.F., sulla base di tre motivi. Rispondono con controricorso l'A.S.S.T. OMISSIS . La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell'articolo 380-bis.1. cod. proc. civ Il pubblico ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte. Il ricorrente ha depositato memoria. Ragioni della decisione 1.1. Con il primo motivo viene denunciata, ai sensi dell'articolo 360 numero 4 cod. proc. civ., la nullità della sentenza sotto due profili alternativi da un lato, il ricorrente censura la violazione dell'articolo 112 cod. proc. civ, per omessa pronuncia, sull'assunto che la Corte di merito, con l'illustrata statuizione sul pregiudizio patrimoniale futuro, avrebbe mancato di provvedere sulla domanda, da lui specificamente formulata, di risarcimento del danno patrimoniale da mancato guadagno comprensivo sia dell'omessa retribuzione che dell'omessa contribuzione previdenziale per perdita della capacità lavorativa specifica, «limitando la propria motivazione alla sola considerazione di una residua “potenziale” limitata capacità lavorativa generica» dall'altro lato, alternativamente, A.F. censura la violazione dell'articolo 132 cod. proc. civ., per vizio motivazionale costituzionalmente rilevante, sull'assunto che l'illustrata statuizione, pur ritenendo accertati i presupposti per la liquidazione del danno patrimoniale da mancato guadagno per l'abolizione della capacità lavorativa specifica attività prestata prima dell'evento capacità reddituale carattere transeunte e non colpevole dello stato di disoccupazione radicale abolizione della attitudine ad esercitare il lavoro concretamente svolto di autotrasportatore , avrebbe contraddittoriamente e illogicamente negato la liquidazione del relativo danno, sul rilievo della «ipotetica possibilità» di svolgimento di altra attività, tra l'altro comunque «non confacente con la propria professionalità». 1.2. Con il secondo motivo viene denunciata, ai sensi dell'articolo 360 numero 3 cod. proc. civ., la violazione e/o la falsa applicazione degli articolo 1223,1226,2056,2729 e 2697 cod. civ., nonché dell'articolo 137 del d.lgs. numero 209/2005 Codice delle assicurazioni private . Segnatamente, il ricorrente deduce la violazione del principio dell'integralità del risarcimento, postulato dall'articolo 1223 cod. civ. e la violazione dei criteri di liquidazione del danno da mancato guadagno osserva che la stessa sentenza impugnata aveva ritenuto provati lo svolgimento, da parte sua, dell'attività di autotrasportatore per dieci anni dal 2001 al 2010 , documentata con l'esibizione dei contratti di lavoro, delle buste paga e dei certificati CUD, la percezione delle retribuzioni pari ad Euro 22.659,60 nell'anno 2009 e il versamento dei contributi previdenziali, nonché lo stato di disoccupazione conseguito all'evento dannoso subìto, con perdita, per il futuro, del reddito precedentemente prodotto conclude che, pertanto, anziché procedere alla liquidazione equitativa in proporzione al danno non patrimoniale, la Corte d'appello avrebbe dovuto liquidare il danno patrimoniale futuro certo da lucro cessante per perdita della capacità lavorativa specifica mediante le necessarie operazioni di capitalizzazione, tenendo conto della misura del reddito, del grado di incapacità del 100% e degli anni di vita lavorativa. 2. I primi due motivi di ricorso – da esaminare congiuntamente, stante l'evidente connessione – sono fondati. 2.1. Va premesso che, in tema di danni alla persona, l'invalidità di gravità tale da non consentire alla vittima la possibilità di attendere neppure a lavori diversi da quello specificamente prestato al momento del sinistro, e comunque confacenti alle sue attitudini e condizioni personali ed ambientali, pur integrando non già la lesione di un modo di essere del soggetto rientrante nell'aspetto del danno non patrimoniale costituito dal danno biologico, bensì un danno patrimoniale attuale in proiezione futura da perdita di chance, costituisce, tuttavia, un danno patrimoniale ulteriore e distinto rispetto al danno da incapacità lavorativa specifica e piuttosto derivante dalla riduzione della capacità lavorativa generica , il quale, sempre che ne sia accertata la sussistenza, anche in base ad elementi utili ad un giudizio prognostico presuntivo prospettati dal danneggiato, va stimato con valutazione necessariamente equitativa ex articolo 1226 cod. civ. cfr., tra le più recenti, Cass. 13/06/2023, numero 16844 Cass. 12/07/2023, numero 19922 Cass. 15/9/2023, numero 26641 . 2.2. Invece, il distinto danno patrimoniale da lucro cessante, inteso come perdita dei redditi futuri in relazione al lavoro svolto al momento dell'evento dannoso, va provato dal danneggiato mediante la dimostrazione che il sinistro abbia determinato la cessazione del rapporto lavorativo in atto e la perdita, per il futuro, del relativo reddito. In tal caso, il reddito perduto dalla vittima recte le retribuzioni, comprensive di tutti gli elementi accessori e probabili incrementi, anche pensionistici, che essa avrebbe potuto ragionevolmente conseguire in base allo specifico rapporto di lavoro perduto costituisce la base di calcolo per la quantificazione del danno da perdita della capacità lavorativa specifica, la quale, peraltro, deve tener conto anche della persistente – benché ridotta – capacità del danneggiato di procurarsi e mantenere, seppur con accresciute difficoltà il cui peso deve essere adeguatamente considerato , un'altra attività lavorativa retribuita Cass. 23/05/2023, numero 14241 Cass. 07/07/2023, numero 19355 . Questo danno, in applicazione del principio dell'integralità del risarcimento sancito dall'articolo 1223 cod. civ., deve essere pertanto liquidato moltiplicando il reddito perduto per un adeguato coefficiente di capitalizzazione, utilizzando quali termini di raffronto, da un lato, la retribuzione media dell'intera vita lavorativa della categoria di pertinenza, desunta da parametri di rilievo normativi o altrimenti stimata in via equitativa, e, dall'altro, coefficienti di capitalizzazione affidabili, in quanto aggiornati e scientificamente corretti, quali, ad esempio, quelli approvati con provvedimenti normativi per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali oppure quelli elaborati specificamente nella materia del danno aquiliano Cass.28/04/2017, numero 10499 Cass. 25/06/2019, numero 16913 . 2.3. L'applicazione di questi criteri, i quali presuppongono, come detto, in linea generale, un rapporto lavorativo in atto al momento dell'evento dannoso, non è tuttavia esclusa nell'ipotesi in cui – come nella fattispecie – pur mancando il presupposto della specifica attualità del rapporto di lavoro al momento dell'illecito, tuttavia lo stato di disoccupazione, oltre a non dipendere dalla volontà o dalla colpa del lavoratore bensì da vicende incolpevoli riguardanti la sua persona o da vicende oggettive di impresa , sia inoltre contingente e temporaneo, sussistendo la ragionevole certezza o addirittura la positiva dimostrazione che, se non vi fosse stato l'illecito, il danneggiato avrebbe ripreso lo svolgimento della medesima attività lavorativa o comunque di un'attività confacente alle sue attitudini, idonea a produrre lo stesso reddito. 2.4. In proposito, va ricordato il principio affermato da questa Corte secondo il quale, ai fini della liquidazione del danno da perdita o riduzione della capacità lavorativa di un soggetto adulto che, al momento dell'infortunio, non svolgeva alcun lavoro remunerato, il giudice del merito, nel procedere con equo apprezzamento delle circostanze del caso, deve chiedersi a se possa ritenersi che la vittima, qualora fosse rimasta sana, avrebbe cercato e trovato un lavoro confacente al proprio profilo professionale b se i postumi residuati dall'infortunio consentano o meno lo svolgimento di un lavoro confacente al profilo professionale del danneggiato Cass. 26/05/2020, numero 9682 . 2.5. Orbene, in conformità a tale principio – e traendone le conseguenti implicazioni – il giudice del merito, nella fattispecie in esame, avrebbe dovuto tenere conto delle seguenti accertate circostanze che A.F. aveva sempre svolto l'attività lavorativa di autotrasportatore che al momento dell'illecito si trovava in stato di disoccupazione non per propria volontà o colpa, ma per vicende oggettive che avevano colpito l'impresa datrice di lavoro, la quale era stata dichiarata fallita che comunque sussisteva la ragionevole certezza – se non la positiva dimostrazione – che lo stato di disoccupazione sarebbe cessato, con ripresa della medesima attività lavorativa, ove non vi fosse stato l'illecito, per avere egli ricevuto una proposta di assunzione da un'altra impresa nel novembre del 2010, in concomitanza con la cessazione del trattamento di disoccupazione. Invece, pur dando espressamente conto dell'accertamento delle predette circostanze positive le quali neutralizzavano quella negativa della mancanza del rapporto lavorativo in atto al momento dell'illecito la Corte territoriale, in modo contraddittorio, non ha tenuto conto, nella liquidazione del danno da perdita della capacità lavorativa specifica, delle retribuzioni che A.F. avrebbe potuto conseguire in base all'attività lavorativa perduta a causa dell'illecito, ma, al contrario, ha indebitamente attribuito rilievo negativo alla situazione di disoccupazione contraddicendo la premessa sulla base della quale tale situazione non avrebbe potuto ridondare a detrimento del creditore e alla residua capacità lavorativa generica indicata nella relazione peritale la quale avrebbe potuto assumere limitato rilievo al più in sede di quantificazione del risarcimento, da operarsi comunque ponendo alla base del calcolo le retribuzioni non conseguite a causa del lavoro perduto ed ha liquidato irragionevolmente il danno patrimoniale di cui era stato invocato il ristoro nella misura di un terzo del danno non patrimoniale già liquidato dal primo giudice, così incorrendo sia nel dedotto vizio di motivazione costituzionalmente rilevante sia nella denunciata violazione di legge. 2.6. Va dunque affermato il seguente principio “in applicazione del principio dell'integralità del risarcimento sancito dall'articolo 1223 cod. civ., la necessità che il danno da perdita della capacità lavorativa specifica sia liquidato ponendo a base del calcolo il reddito che la vittima avrebbe potuto conseguire proseguendo nell'attività lavorativa andata perduta a causa dell'illecito o dell'inadempimento salva l'esigenza di tener conto anche della persistente – benché ridotta – capacità del danneggiato di procurarsi e mantenere un'altra attività lavorativa retribuita , sussiste non solo nell'ipotesi di cessazione di un rapporto lavorativo in atto al tempo dell'evento dannoso, ma anche nell'ipotesi in cui la vittima versi in stato di disoccupazione, ove si tratti di disoccupazione involontaria e incolpevole, nonché temporanea e contingente, sussistendo la ragionevole certezza o la positiva dimostrazione che il danneggiato, qualora fosse rimasto sano, avrebbe stipulato un nuovo rapporto di lavoro avente ad oggetto la medesima attività lavorativa o comunque una attività confacente al proprio profilo professionale”. I primi due motivi di ricorso vanno, pertanto, accolti. 3. Con il terzo motivo viene denunciata la violazione degli articolo 112,115 e 116 cod. proc. civ Il ricorrente censura la statuizione con cui la Corte territoriale ha ritenuto tardiva la domanda di condanna al risarcimento del danno patrimoniale emergente derivante dalle spese mediche e di cura sostenute dopo la citazione introduttiva del primo grado di giudizio. Deduce che egli aveva chiesto «il rimborso delle spese mediche e di cura sostenute», intendendo riferirsi, con tale locuzione, a tutte le spese mediche e di cura necessarie. 3.1. Il motivo è infondato. Va premesso che, sebbene la rilevazione e l'interpretazione del contenuto della domanda costituisca oggetto di un giudizio di fatto riservato al giudice del merito Cass. 10/06/2020, numero 11103 Cass.21/09/2023, numero 27181 , tuttavia tale giudizio è censurabile in sede di legittimità quando risulti alterato il senso letterale o il contenuto sostanziale dell'atto interpretato Cass. 05/02/2004, numero 2148 o quando, attraverso il non corretto esercizio dell'operazione interpretativa, vengano violati i limiti costituiti, da un lato, dall'esigenza di rispetto del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato e, dall'altro, dal divieto di sostituire d'ufficio un'azione diversa da quella espressamente e formalmente proposta Cass. 16/10/1979, numero 5399 Cass. 25/02/2019, numero 5402 . Nel caso di specie, il ricorrente ha dedotto che con la citazione introduttiva aveva chiesto «il rimborso delle spese mediche e di cura sostenute». In tale locuzione non vi è alcun accenno alle spese che sarebbero state sostenute in futuro, le quali, tra l'altro, in difetto di dimostrazione contraria, neppure può ritenersi che fossero state già individuate e preventivate con certezza al momento della notificazione della citazione. Non è dunque censurabile, per la violazione dei suddetti limiti di legittimità, l'interpretazione del giudice del merito diretta a circoscrivere il contenuto della domanda alle spese sostenute sino al momento della citazione, né può dirsi che in tal modo egli abbia alterato il senso letterale o il contenuto sostanziale dell'atto processuale interpretato. Il terzo motivo di ricorso va pertanto rigettato. 4. In definitiva, vanno accolti i primi due motivi e va rigettato il terzo. La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d'appello di Milano, in diversa composizione, la quale rinnoverà la liquidazione del danno patrimoniale futuro da perdita della capacità lavorativa specifica di cui A.F. aveva domandato il ristoro, attenendosi ai principi sopra enunciati. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità articolo 385, terzo comma, cod. proc. civ. . P.Q.M. La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso e rigetta il terzo cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione.