Non c’è estorsione se il datore di lavoro prospetta una rinuncia anche solo parziale alla retribuzione

Il Collegio si interroga sulla tipicità e tassatività dell’estorsione perpetrata dal datore di lavoro in relazione all’orientamento giurisprudenziale secondo cui «integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, in presenza di una aspettativa di assunzione, costringa l’aspirante lavoratore ad accettare condizioni di lavoro contrarie alla legge e ai contratti collettivi».

La casistica giurisprudenziale in materia è variegata e attiene all'estorsione posta in essere dal datore di lavoro in due momenti distinti, il primo riguarda la fase di instaurazione del contratto di lavoro, mentre il secondo attiene alla fase dell'esecuzione dello stesso. La giurisprudenza ha analizzato fattispecie tra loro ben distinte seppur tutte riconducibili all'applicazione del principio di diritto così massimato «integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato del lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell'offerta sulla domanda, costringe i lavoratori, con minacce larvate da licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate». Poiché, appunto, le situazioni in cui viene applicato tale principio sono diverse, atteso che alcune attengono alla fase di instaurazione del rapporto di lavoro, mentre altre alla fase esecutiva, il Collegio si interroga circa il rispetto dei principi di tipicità e tassatività della fattispecie. La minaccia estorsiva ha diversi significati tutti accomunati dall'idoneità della condotta a incutere timore e coartare la volontà altrui occorre considerare, però, che il male minacciato dipendente dalla volontà dell'agente deve essere valutato alla luce dell'eventuale condotta omissiva alla quale lo stesso è tenuto, perché tale considerazione è dirimente nel caso in cui il datore di lavoro prospetti al lavoratore l'omissione o l'astensione di determinate condotte. D'altro canto, però, occorre anche raffrontare il danno arrecato alla vittima con la situazione patrimoniale nella quale la stessa versa prima della minaccia e successivamente alla realizzazione della stessa. Rapportando queste coordinate alla situazione lavorativa del datore di lavoro che prospetta al lavoratore, prima dell'assunzione, la rinuncia anche solo parziale alla retribuzione e la perdita dell'opportunità di lavoro, difetta il requisito della minaccia perché non sussiste un diritto dell'aspirante lavoratore a essere assunto a determinate condizioni. Questo anche alla luce del fatto che non esistono, al momento, minimi salariali da rispettare, nonché «un diritto soggettivo alla parità di trattamento […], non essendo consentito alcun controllo di ragionevolezza da parte del giudice sugli atti di autonomia, sia collettiva che individuale, sotto il profilo del rispetto delle clausole generali di correttezza e buona fede, che non sono invocabili in caso di eventuali diversità di trattamento non ricadente in alcuna delle ipotesi legali e tipizzate di discriminazione vietata» cfr. Cass. civ., sez. lav., ord., numero 13617 del 2020 . Non sussiste nemmeno il requisito dell'altrui danno in relazione alla condizione di non occupazione del lavoratore rispetto cui la mancata occupazione lavorativa non incide sulla sua condizione reddituale. Diverso è invece il caso di modifiche al rapporto di lavoro in fase esecutiva del contratto, quando il datore di lavoro costringe il lavoratore ad accettare modifiche peggiorative del rapporto di lavoro e prospetti come conseguenza della non accettazione, l'interruzione del rapporto di lavoro. In tale situazione, infatti, sussiste sia l'elemento della minaccia perpetrata dal datore di lavoro ai danni del lavoratore, che quello della modifica peggiorativa della situazione patrimoniale di quest'ultimo e, quindi, il danno per la vittima. Il discrimine tra le due situazioni di ricerca di forza lavoro e comportamento estorsivo del datore di lavoro è segnato dall'esistenza o meno di un rapporto di lavoro già in essere, pur se solo di fatto e non conforme ai tipi legali. Solo nella seconda ipotesi, infatti, si ravvisano gli estremi del reato previsto dall'articolo 629 c.p.

Presidente Rosi – Relatore Di Paola Ritenuto in fatto 1. La Corte d'appello di Palermo, con la sentenza impugnata in questa sede, ha confermato la condanna alle pene di giustizia, e al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, pronunciata nei confronti di B.G. dal Tribunale di Marsala in data 20 febbraio 2020, in ordine ai reati di estorsione continuata in danno di alcuni dipendenti della propria impresa e di diffamazione aggravata in danno di B.M.A 2. Ha proposto ricorso la difesa dell'imputato deducendo, con il primo motivo, violazione di norme processuali previste a pena di nullità, in relazione all'articolo 420 ter cod. proc. penumero la Corte d'appello, pur in presenza di un'istanza di differimento dell'udienza per impedimento dell'imputato per motivi di salute, aveva celebrato ugualmente l'udienza del 12 gennaio 2022, con violazione dei diritti di difesa. 2.1. Con il secondo motivo si deduce vizio della motivazione per manifesta illogicità in relazione all'omessa pronuncia sulla richiesta istruttoria di acquisizione del fascicolo relativo alla querela sporta dall'imputato nei confronti della parte civile B.M.A. per il reato di furto e l'errata applicazione dell'articolo 507 cod. proc. penumero La Corte d'appello aveva affermato che il Tribunale aveva accolto la richiesta, acquisendo la relativa documentazione aveva, quindi, rigettato la richiesta di rinnovazione istruttoria sul punto, non considerando che gli unici documenti acquisiti erano quelli della richiesta di archiviazione e del successivo decreto di archiviazione inoltre, era manifestamente illogica la motivazione relativa all'irrilevanza dei documenti allegati alla querela in particolare, la fotografia che smentiva l'attendibilità della B.M.A., ritraendola con la refurtiva nella sua disponibilità all'interno della propria vettura, incidendo così sia sulla prova del delitto di estorsione, sia sull'assenza del carattere diffamatorio delle comunicazione del B.G. . 2.2. Con il terzo motivo si deduce l'illegittimità delle ordinanze pronunciate nel giudizio di primo grado, alle udienze del 7 novembre 2019 e del 20 gennaio 2020, per la mancata assunzione di una prova decisiva la richiesta acquisizione del fascicolo processuale a carico della B.M.A. e per la violazione dei diritti di difesa, attesa l'istanza di rinvio condizionata alla mancata acquisizione degli atti indicati. 2.3. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge, in relazione agli articolo 110 e 629 cod. penumero , 190, 192 e 500 cod. proc. penumero e vizio della motivazione era carente la motivazione sul profilo della credibilità della teste B.M.A., alla luce del contenuto dell'intera istruttoria dibattimentale. Egualmente errata la valutazione delle prove testimoniali, che avevano escluso qualsivoglia minaccia da parte dell'imputato nell'esecuzione del rapporto di lavoro, essendo risultato che l'instaurazione dei rapporti con i dipendenti era stata frutto di una libera scelta degli stessi, a fronte della prospettazione di non essere assunti ove non avessero accettato le condizioni imposte dal ricorrente era stato ignorato il dato, acquisito all'istruttoria, della corresponsione di retribuzioni superiori a quelle indicate nelle buste paga. 2.4. Con il quinto motivo si deduce violazione di legge, in relazione agli articolo 595 cod. penumero , 190, 192 e 500 cod. proc. penumero e vizio della motivazione era rimasto privo di argomenti logici l'assunto secondo il quale, pur non risultando indicato negli articoli giornalistici incriminati il nominativo della B.M.A., doveva ritenersi integrata la condotta diffamatoria in danno della parte civile anche in relazione a tale profilo era carente la motivazione in punto di attendibilità della persona offesa costituita parte civile. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito specificati. 1.1. Il primo motivo è manifestamente infondato. All'udienza indicata dal ricorrente non si è svolta alcuna attività rilevante ai fini difensivi la discussione delle parti è avvenuta, infatti, alla successiva udienza del 25 febbraio 2022, ove il difensore presente ha preso parte alle attività processuali illustrando le proprie conclusioni. 1.2. Il secondo ed il terzo motivo sono entrambi reiterativi di quelli già proposti in sede d'appello la Corte territoriale pagg. 3-5 ha chiarito in dettaglio gli eventi processuali, ha illustrato il contenuto della richiesta difensiva, il suo accoglimento attraverso la verifica sollecitata circa la pendenza di indagini a carico della B.M.A., l'acquisizione dei provvedimenti allegati dal P.M. onerato della verifica, nonché l'assenza del carattere di decisività della prova documentale indicata dal ricorrente, a fronte di un quadro probatorio del tutto coerente e sufficiente per sostenere il giudizio di responsabilità. 1.3. Il quinto motivo è reiterativo, oltre che manifestamente infondato. Il ricorrente insiste nel rilevare che l'omessa indicazione del nome della dipendente nel corpo degli articoli pubblicati, ove si addebitava la condotta di furto esclusa dalle indagini svolte, impedirebbe di ritenere integrato il delitto di diffamazione, in contrasto con il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità che ravvisa il delitto di diffamazione quando, pur in assenza di indicazioni nominative, l'espressione lesiva dell'altrui reputazione sia riferibile a persone individuabili e individuate per la loro attività, «sia pure da parte di un numero limitato di persone, attraverso gli elementi della fattispecie concreta, quali la natura e la portata dell'offesa, le circostanze narrate, oggettive e soggettive, e i riferimenti personali e temporali» Sez. 6, numero 2598 del 06/12/2021, dep. 2022, F., Rv. 282679 - 01 Sez. 5, numero 2784 del 21/10/2014, dep. 2015, Zullo, Rv. 262681 - 01 Sez. 5, numero 7410 del 20/12/2010, dep. 2011, A., Rv. 249601 - 01 fatti che le sentenze di merito avevano accertato e verificato. 1.4. E', invece, fondato il quarto motivo. Il principio richiamato dal provvedimento impugnato, secondo il quale «integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, in presenza di una aspettativa di assunzione, costringa l'aspirante lavoratore ad accettare condizioni di lavoro contrarie alla legge e ai contratti collettivi» Sez. 2, numero 8477 del 20/02/2019, Scialpi, Rv. 275613 - 01 in precedenza, Sez. 2, numero 16656 del 20/04/2010, Privitera, Rv. 247350 - 01 Sez. 2, numero 36642 del 21/09/2007, Levanti, Rv. 238918 - 01 ad avviso del Collegio richiede un approfondimento in ordine alla conciliabilità di un orientamento, a lungo espresso dalla giurisprudenza di legittimità, con i principi di tipicità e tassatività della fattispecie incriminatrice. E' necessario premettere, prima di affrontare la questione di diritto, che la casistica giudiziaria concernente il tema del delitto di estorsione, realizzato attraverso lo strumento contrattuale del rapporto di lavoro subordinato, presenta una molteplicità di forme di manifestazione, spaziando dalla fase dell'instaurazione del rapporto per giungere ai momenti esecutivi del contratto, momenti distinti e diversi come si approfondirà in seguito nel corso dei quali la parte economicamente più forte può ricorrere a una pluralità di clausole negoziali, o semplicemente approfittando del contesto economico sociale e dei riflessi sulle aspettative di lavoro della parte debole, per comprimere la capacità della controparte di scegliere liberamente se, e in quali termini, accedere alla conclusione di un accordo per la prestazione di attività di lavoro ovvero dare corso all'esecuzione del rapporto contrattuale il che implica una serie numerosissima di condotte potenzialmente riconducibili alla nozione di minaccia, rilevante per la configurazione del delitto di estorsione, che può assumere carattere attivo o omissivo. A dispetto della diversità delle singole fattispecie, il panorama della giurisprudenza di legittimità restituisce un quadro di assoluta coesione è costante nella giurisprudenza di legittimità il richiamo al principio massimato secondo il quale «integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato del lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell'offerta sulla domanda, costringe i lavoratori, con minacce larvate di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alla prestazioni effettuate» ma la lettura delle motivazioni delle singole decisioni fa trasparire l'applicazione di quel principio a situazioni tra loro del tutto differenti così che il medesimo principio è richiamato tanto in decisioni che fanno riferimento all'uso delle prospettazioni dei pregiudizi economici nei confronti di lavoratori nel corso dell'esecuzione del rapporto - così Sez. 2, numero 3724 del 29/10/2021, dep. 2022, Lattanzio, Rv. 282521 - 01 - così come in sentenze ove si apprezza l'incidenza delle condotte di minaccia nella fase genetica del rapporto - Sez. 2, numero 11107 del 14/2/2017, Tessitore, Rv. 269905-01 Sez. 2, numero 677 del 10/10/2014, dep. 2015, Di Vincenzo, Rv. 261553 . Di qui, la necessità di verificare se l'applicazione indifferenziata del principio ora ricordato a fattispecie tra loro diverse perché relative d'un lato a situazioni riguardanti la fase di costituzione, di fatto o formale, di rapporti di lavoro, dall'altro a vicende che riguardano invece la fase di esecuzione di rapporti già instaurati sia coerente con la tipicità della fattispecie incriminatrice. 1.5. Se è pacifico che la minaccia estorsiva è nozione multiforme Sez. 2, numero 11922 del 12/12/2012, dep. 2013, Lavitela, Rv. 254797 - 01 Sez. 2, numero 2702 del 18/11/2015, dep. 2016, Nuti, Rv. 265821 - 01 , il cui tratto comune è l'idoneità della condotta nell'incutere timore e nel coartare l'altrui volontà, va però considerato che la necessaria dipendenza del male minacciato dalla volontà dell'agente impone di verificare, ove la minaccia abbia carattere omissivo, che rispetto al male prospettato l'agente abbia l'obbligo giuridico di impedirlo poiché solo chi abbia l'obbligo giuridico di evitare la realizzazione di un male o di prestare aiuto al soggetto in pericolo può minacciare l'omissione del proprio intervento Sez. 2, numero 1295 del 28/03/1984, Bernardo, Rv. 164048 - 01 . Questa considerazione ha carattere dirimente nel verificare il ricorrere del delitto di estorsione nelle ipotesi in cui il soggetto agente prospetti alla potenziale persona offesa, in termini di minaccia, l'astensione dal porre in essere determinate condotte. Allo stesso modo, anche il riscontro dell'effetto dannoso per la vittima, in conseguenza della mancata adesione alla richiesta del soggetto agente, va operato ponendo a raffronto la situazione patrimoniale della persona offesa, esistente al momento della prospettazione minacciosa, con quella conseguente alla realizzazione del male minacciato. 1.6. Fissate tali coordinate, è agevole constatare che la prospettazione da parte del datore di lavoro agli aspiranti dipendenti, al momento dell'assunzione e quindi prima che si sia instaurato un rapporto di lavoro, dell'alternativa tra la rinunzia, anche parziale, alla retribuzione formalmente concordata o ad altre prestazioni e la perdita dell'opportunità di lavoro, difetta in primo luogo del requisito della minaccia, non sussistendo prima della conclusione dell'accordo un diritto dell'aspirante lavoratore ad esser assunto a determinate condizioni, considerate altresì l'assenza di livelli minimi salariali, come dimostra l'esperienza contemporanea, e l'insussistenza a favore del lavoratore subordinato [di] un diritto soggettivo alla parità di trattamento non essendo consentito alcun controllo di ragionevolezza da parte del giudice sugli atti di autonomia, sia collettiva che individuale, sotto il profilo del rispetto delle clausole generali di correttezza e buona fede, che non sono invocabili in caso di eventuale diversità di trattamento non ricadente in alcuna delle ipotesi legali e tipizzate di discriminazione vietate Sez. Lav., Ordinanza numero 13617 del 02/07/2020, Rv. 658069 - 01 per l'analoga conclusione, in relazione alla prospettata stipula di contratti di locazione a condizioni diverse e meno favorevoli per il conduttore, vigente la normativa vincolistica del c.d. equo canone , Sez. 2, numero 1295 del 28/03/1984, Bernardo, Rv. 164048 - 01 Sez. 2, numero 8751 del 08/03/1986, Silvestrini, Rv. 173621 - 01 . Manca, inoltre, il requisito dell'altrui danno, in ragione della preesistente condizione di disoccupazione per i lavoratori che dovrebbero assumere la veste di persone offese , rispetto alla quale il mancato conseguimento di un'opportunità di impiego, rappresentante un dato di certo patrimonialmente positivo, non incide però negativamente sulla condizione reddituale della parte in questo senso Sez. 6, numero 6620 del 03/12/2021, dep. 2022, Giovinazzo, Rv. 282903 - 01 Sez. 2, numero 21789 del 04/10/2018, dep. 2019 Roscino, Rv. 275783 - 09 . A diverse conclusioni deve, invece, giungersi nelle ipotesi in cui il datore di lavoro, per costringere i dipendenti ad accettare modifiche del rapporto di lavoro, in senso peggiorativo per le condizioni dei lavoratori, prospetti alla vittima la conseguenza - in caso di mancata adesione alle proposte di modifica delle condizioni originariamente pattuite - dell'interruzione del rapporto mediante licenziamento o presentazione forzata di dimissioni v. le ricordate Sez. 2, numero 11107 del 14/02/2017, Tessitore Sez. 2, numero 677 del 10/10/2014, dep. 2015, Di Vincenzo, nonché Sez. 2, numero 50074 del 27/11/2013, Bleve, Rv. 257984 - 01 Sez. 2, numero 656 del 04/11/2009, dep. 2010, Perez, Rv. 246046 - 01 tra le decisioni non massimate, Sez. 2, numero 25979 del 4/5/2018, Magri Sez. 2 numero 52607 del 31/10/2018, Del Villano in tale condizione, si individuano sia il dato della minaccia, realizzata facendo ricorso ad un strumento in sé rispondente ad una facoltà della parte contrattuale che viene però strumentalizzato come mezzo di coercizione dell'altrui volontà per finalità illecite Sez. 2, numero 14325 del 08/03/2022, Coppola, Rv. 282980 - 01 Sez. 2, numero 34242 del 11/07/2018, Del Zompo, Rv. 273542 - 01 Sez. 6, numero 47895 del 19/06/2014, Vasta, Rv. 261217 - 01 , sia il profitto del datore di lavoro - che consegue le medesime prestazioni lavorative violando il convenuto rapporto di corrispondenza con le proprie obbligazioni - sia il danno per la vittima, che viene privata di diritti già acquisiti per effetto della conclusione del contratto di lavoro. 1.7. Emerge, dunque, dalla comparazione delle decisioni su indicate come il discrimine che segna il confine tra ipotesi di opportunistica ricerca di forza lavoro tra categorie di soggetti in attesa di occupazione e condotte riconducibili al paradigma del delitto di estorsione è rappresentato dall'esistenza di un rapporto di lavoro già in atto, pur se solo di fatto o non conforme ai tipi legali, rispetto al quale integra il fatto tipico del delitto di cui all'articolo 629 cod. penumero la pretesa di ottenere vantaggi patrimoniali da parte del datore di lavoro, attraverso la modifica in senso peggiorativo delle previsioni dell'accordo concluso tra le parti, destinate a regolare gli aspetti aventi rilevanza patrimoniale, prospettando l'interruzione del rapporto attraverso il licenziamento del dipendente o l'imposizione delle dimissioni . Il vantaggio perseguito costituente ingiusto profitto può essere rappresentato non solo da modificazioni delle pattuizioni contrattuali che riducano o eliminino diritti del lavoratore ciò che costituisce il danno subito dalla persona offesa , consentendo al datore di lavoro risparmi di spesa o minori esborsi, ma anche dall'imposizione di formule contrattuali che, simulando la regolamentazione del rapporto in termini difformi da quelli reali e riconoscendo al dipendente livelli retributivi e indennità in realtà non corrisposte, comporta per il datore di lavoro il vantaggio di impiegare dipendenti con condizioni contrattuali apparentemente rispettose delle norme inderogabili a tutela dei diritti dei lavoratori, mentre costoro sono costretti a subire conseguenze patrimoniali negative ad esempio, risultando percettori di redditi in misura superiore a quella reale, con i connessi obblighi tributari per l'ipotesi della sottoscrizione di buste paga attestanti il pagamento di somme maggiori rispetto a quelle effettivamente versate, Sez. 2, numero 677 del 10/10/2014, dep. 2015, Di Vincenzo, cit. . 1.8. La Corte territoriale ha omesso di operare il necessario accertamento, per ciascuno dei lavoratori indicati nelle imputazioni come soggetti alle condotte di pressione psicologica da parte del ricorrente, diretto a verificare se le minacce messe in atto dall'imputato fossero dirette all'instaurazione del rapporto di lavoro a determinate condizioni ovvero se, in presenza di un rapporto già avviato, pur se in nero , fossero rivolte alla rinuncia alle condizioni contrattuali convenute o ad altri diritti spettanti ai singoli lavoratori. 2. Il provvedimento impugnato, pertanto, deve essere annullato con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Palermo, che provvederà ad applicare il principio di diritto su enunciato accertando per ciascuno dei rapporti di lavoro individuati se le minacce poste in essere fossero finalizzate all'instaurazione del rapporto di lavoro, alle condizioni preventivamente imposte, o se siano state dirette a modificare le condizioni di rapporti di lavoro già avviati. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al delitto di estorsione con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d'appello di Palermo. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso quanto al delitto di diffamazione e rimette ai giudici del rinvio anche la liquidazione delle spese tra le parti del presente giudizio.