Il motivo di ricorso più interessante della sentenza in oggetto è il secondo, attinente alla prescrizione dell’azione disciplinare. L’avvocato protagonista della vicenda in esame evidenzia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 56, commi 1 e 3, l. numero 247/2012.
Il Collegio, accogliendo la suddetta doglianza, ricorda che «nel nuovo ordinamento professionale forense, l'azione disciplinare si prescrive nel termine di sei anni dal fatto da ogni interruzione decorre un nuovo termine della durata di cinque anni se gli atti interruttivi sono più d'uno, la prescrizione decorre dall'ultimo di essi, ma in nessun caso il termine di sei anni può essere prolungato di oltre un quarto. Pertanto, il termine complessivo di prescrizione dell'azione disciplinare deve intendersi in sette anni e mezzo» Cass. numero 20464/2023 . Inoltre, nell'ultimo periodo del comma 3 dell'articolo 56, l. numero 247/2012, «ai fini della prescrizione dell'azione disciplinare, non si computa il tempo delle eventuali sospensioni». E l'articolo 54 della stessa legge prevede che, «se agli effetti della decisione è in-dispensabile acquisire atti e notizie appartenenti al processo penale, il procedimento disciplinare può essere a tale scopo sospeso a tempo determinato. La durata della sospensione non può superare complessivamente i due anni e durante il suo decorso è sospeso il termine di prescrizione». La Corte sottolinea anche che «la regola del non-computo non dipende dalla positiva e concreta incidenza o influenza, nel procedimento disciplinare, delle notizie e degli atti acquisiti dal processo penale. La sospensione della prescrizione, disposta nel corso del procedimento disciplinare perché, secondo una prognosi ex ante, quella acquisizione appariva indispensabile, opera quantunque gli atti del processo penale si siano, ex post, rivelati non utili ai fini della decisione disciplinare». Nel caso di specie, il termine di prescrizione opera nel massimo sette anni e mezzo e non si computa il tempo delle sospensioni, la prescrizione dell'azione disciplinare è maturata subito dopo il deposito del ricorso per cassazione. Pertanto, ne consegue l'accoglimento, in questi limiti, del motivo di ricorso in oggetto.
Presidente Cassano – Relatore Giusti Fatti di causa 1. – Con un esposto al Consiglio dell'ordine degli avvocati di Gori-zia in data 23 febbraio 2015, la società Est Più Spa lamentava il comportamento deontologicamente scorretto dell'avv. Ca.St. nello svolgimento dell'incarico affidatogli il 29 settembre 2012, avente ad oggetto l'attività di recupero dei crediti della società. Nell'esposto veniva richiamato il contenuto del contratto, dove si prevedeva che l'attività venisse resa senza alcun onere e spesa per il cliente e, quindi, senza compenso per il professionista , con autorizzazione all'avvocato ad effettuare gli incassi direttamente dal debito-re. La società esponente deduceva che nel corso del mandato professionale il legale aveva riscosso ingenti somme di denaro spettanti alla Est Più senza riversarle alla legittima titolare. A seguito di tale esposto, veniva avviato un procedimento disciplinare a carico dell'avv. Ca.St. per i seguenti capi di incolpazione a non avere, in violazione dell'articolo 44 del previgente codice deontologico forense, messo immediatamente a disposizione della parte assistita le somme riscosse per conto della stessa nel corso del mandato professionale, per l'importo dichiarato di euro 284. 500 violazione commessa in Monfalcone, in data 25 novembre 2014 b in violazione dell'articolo 44 del previgente CDF, aver trattenuto somme ricevute da terzi imputandole al compenso, nono-stante la volontà contraria pattizia assunta con il cliente an-cora in Monfalcone, il 25 novembre 2014 c avere, in violazione dell'articolo 44 del previgente CDF, trattenuto somme ricevute da terzi imputandole alle anticipazioni sostenute, senza darne avviso al cliente e in spregio del patto contrario assunto in Monfalcone, in data 25 novembre 2014 d non avere, in violazione dell'articolo 40, primo comma, del previgente CDF, informato con la cadenza pattuita il cliente sul-lo svolgimento del mandato a lui affidato in Monfalcone, fino al 25 novembre 2014 e avere, in violazione dell'articolo 38, primo comma, del previgente CDF, continuato ad incassare in nome e per conto del cliente le somme a questo dovute anche dopo il 30 novembre 2013 violazione commessa in Monfalcone fino al 25 novembre 2014 . Stante la contemporanea pendenza anche di un procedimento penale in relazione alla medesima vicenda, il Consiglio distrettuale di disciplina, con ordinanza del 10 febbraio 2017, deliberava la sospensione del procedimento, dapprima per un anno e poi dal 5 aprile 2018 fino al 20 settembre 2018. All'esito del giudizio penale svoltosi dinanzi al Tribunale di Gorizia, i relativi atti venivano acquisiti dal CDD, il quale, tuttavia, li riteneva irrilevanti, attesa la possibilità di ricostruire la vicenda disciplinare sulla base del contratto d'opera intellettuale stipulato il 28 settembre 2012 poi prorogato nel 2013 e della lettera dell'avv. Ca.St. del 25 novembre 2014. Il CDD rilevava che le clausole negoziali escludevano qualsiasi consenso della società cliente alla compensazione e che la lettera conteneva l'espresso riconoscimento da parte del professionista della avvenuta percezione di un importo pari ad euro 284.500. Per tali ragioni, l'organo di disciplina accertava la sussistenza de-gli addebiti disciplinari contestati e irrogava all'incolpato la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione forense per la durata di sei mesi. 2. – Avverso la decisione del Consiglio distrettuale di disciplina, l'avv. Ca.St. ha proposto ricorso al Consiglio nazionale forense. Il Consiglio nazionale forense, con sentenza numero 121-2023 resa pubblica mediante deposito in segreteria il 13 giugno 2023, ha rigettato il ricorso. In via preliminare, il CNF ha disatteso l'eccezione di prescrizione dell'azione disciplinare sollevata dall'incolpato. Il giudice speciale – premesso che l'illecito disciplinare di mancata messa a disposizione e di trattenimento del denaro ha natura permanente, trattandosi di condotta connotata dalla continuità della violazione deontologica – ha osservato che nel caso di specie, poiché l'avv. Ca.St. con la missiva del 25 novembre 2014 ha manifestato il proprio diritto di trattenere le somme richieste a titolo di compensazione con le spese sostenute e i compensi maturati, è in tale data che si è avuta la cessazione della permanenza. Nell'applicare la norma di cui all'articolo 56 della legge numero 247 del 2012, il Consiglio nazionale forense ha osservato che il termine prescrizionale di sei anni, in ogni caso mai suscettibile di prolungamento oltre il termine complessivo di sette anni e mezzo, deve farsi decorrere dal 25 novembre 2014, data in cui l'avv. Ca.St. ha, con lettera, manifestato il proprio diritto a trattenere gli importi in compensazione, determinando, appunto, la cessazione della permanenza della condotta. La scadenza del termine prescrizionale ha subito, secondo il CNF, uno spostamento in avanti, segnatamente al 9 novembre 2023, dovendosi considerare i periodi di sospensione determinati dalla con-temporanea pendenza del giudizio penale. Il CNF, nel sussumere la fattispecie di mancata messa a disposizione delle somme incassate per conto della società nell'articolo 41 del CDF vigente ratione temporis anziché, come riportato nel relativo capo di incolpazione, nell'articolo 44 , ha sottolineato l'idoneità della citata lettera, avente portata confessoria, a provare l'illecito disciplinare. La mancata messa a disposizione di somme complessivamente cospicue per un ampio margine temporale, secondo il Consiglio nazionale forense, giustifica di per sé solo la pronuncia di responsabilità e la sanzione irrogata, a prescindere dal sindacato sulla legittimità della compensazione, che è stata fatta valere, comunque, a distanza di molto tempo dal momento in cui sono avvenuti gli incassi. Neppure il potere conferito con il mandato di incassare somme per conto della parte assistita poteva giustificare il trattenimento di tali somme, non avendo il mandato alcuna valenza derogatoria rispetto alle specifiche previsioni contrattuali, che puntualmente richiede-vano il versamento degli importi al cliente entro il giorno quindici di ogni mese. Il giudice disciplinare ha sottolineato che non si sono verificate le condizioni richieste per la compensazione, ossia alternativamente il consenso della parte assistita, la liquidazione giudiziale del compenso o l'accettazione della richiesta di pagamento. Inoltre, il CNF ha osservato che l'eventuale illegittimità alla luce degli articolo 2229 e ss. cod. civ. e 13-bis della legge numero 247 del 2012 delle clausole contrattuali che escludevano qualsivoglia compenso in favore del professionista, non giustifica la contestata condotta di trattenimento degli importi ricevuti la disciplina deontologica, infatti, costituisce un sistema autonomo rispetto a quello civilistico, avendo la diversa finalità di tutelare la dignità della classe forense e la fiducia che la collettività ripone in essa. Dunque, ha proseguito il CNF, deve escludersi che la compensazione, nata per assecondare esigenze di economicità del sistema e dei traffici giuridici, faccia venir meno il di-svalore legato all'illecito disciplinare. 3. – Per la cassazione della sentenza del Consiglio nazionale fo rense l'avv. Ca.St. ha interposto ricorso, con atto notificato il 12 luglio 2023, sulla base di due motivi. Il Consiglio dell'ordine degli avvocati di Gorizia è rimasto intimato. Motivi della decisione 1. – Con il primo motivo violazione e falsa applicazione degli articolo 54 e 55 della legge numero 247 del 2012 e dell'articolo 653 cod. proc. penumero il ricorrente invoca la sentenza numero 1044-2022 con la quale la Corte d'appello di Trieste, nell'ambito del procedimento penale instaurato a carico dell'avv. Ca.St., ha dichiarato di non doversi procedere per difetto di querela per il reato di appropriazione indebita di cui all'articolo 646 cod. penumero e ha pronunciato l'assoluzione perché il fatto non sussiste con riferimento al reato di patrocinio infedele di cui all'articolo 380 cod. penumero Ad avviso del ricorrente, il CNF, nell'omettere qualsivoglia riferimento al giudicato formatosi all'esito del giudizio penale, avrebbe vio-lato l'articolo 55 della legge numero 247 del 2012, il quale impone il proscioglimento in sede disciplinare in presenza di una sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste o l'incolpato non lo ha commesso, essendo tali formule preclusive di un'autonoma valutazione dei mede-simi fatti. Con il secondo motivo, il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell'articolo 56, commi 1 e 3, della legge numero 247 del 2012, in relazione al termine di prescrizione dell'azione disciplinare stabilito in sette anni e sei mesi. Il ricorrente evidenzia che tale norma pone un termine di prescrizione dell'azione disciplinare pari a sei anni dalla commissione del fatto, suscettibile di prolungamento non superiore ad un quarto nel caso in cui intervenga più di un evento interruttivo. Su questa base, il ricorrente censura la decisione del Consiglio nazionale forense per avere spostato in avanti, sino al 9 novembre 2023, il termine prescrizionale, già spirato in data 25 maggio 2022. 2. – Il primo motivo è infondato. Ai sensi dell'articolo 54 della legge numero 247 del 2012, il procedimento disciplinare si svolge ed è definito con procedura e con valutazioni autonome rispetto al processo penale avente per oggetto i medesimi fatti. Il giudicato penale non preclude in sede disciplinare una rinnovata valutazione dei fatti accertati dal giudice penale, essendo diversi i presupposti delle rispettive responsabilità e i beni giuridici protetti. Le uniche decisioni penali totalmente vincolanti per il giudice disciplinare sono quelle pronunciate con le formule il fatto non sussiste e l'imputato non lo ha commesso , sempreché, da un lato, vi sia perfetta e completa coincidenza tra i fatti contestati nelle due sedi e, dall'altro, la sussistenza del fatto reato o la sua attribuzione all'imputato siano state escluse con riferimento a tutti gli elementi rilevanti sul piano disciplinare. Secondo quanto prevede l'articolo 55 della legge professionale forense, infatti, deve essere pronunciato il proscioglimento anche in sede disciplinare quando, per gli stessi fatti, l'autorità giudiziaria ha emesso sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché l'imputato non lo ha commesso. Tale disposizione traspone nell'ordinamento professionale forense la norma dell'articolo 653 cod. proc. penumero , secondo cui la sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare da-vanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l'imputato non lo ha commesso. In sostanza, la legge numero 247 del 2012, con riferimento al processo disciplinare degli avvocati, ha introdotto la “valutazione autonoma dei fatti” da parte del giudice disciplinare rispetto a quella operata dal giudice penale, con il solo evidente limite dell'esclusione definitiva, conseguente alla sentenza irrevocabile di assoluzione, della sussistenza degli stessi fatti o della loro commissione da parte dell'imputato Cass., Sez. Unumero , 13 maggio 2021, numero 12902 Cass., Sez. Unumero , 5 settembre 2023, numero 25947 . Se ne deve inferire che, là dove non si sia in presenza delle formule assolutorie il fatto non sussiste e l'imputato non lo ha commesso , che vincolano – nel processo a carico di avvocati – il giudice disciplinare all'accertamento operato dal giudice penale che ha escluso l'ontologia del fatto o la sua commissione da parte dell'imputato, le altre formule assolutorie non sono vincolanti nel giudizio disciplinare, quanto all'accertamento dei fatti costituenti illeciti sul piano deontologico. Se ne deve ricavare, altresì, che in tanto le decisioni penali pronunciate con le formule il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso dispiegano efficacia vincolante per il giudice disciplinare, in quanto la contestazione disciplinare si esaurisca negli stessi comportamenti già sottoposti al vaglio del giudice penale. L'assoluzione con la formula perché il fatto non sussiste o perché l'imputato non lo ha commesso, in altri termini, preclude la valutazione in sede disciplinare del medesimo fatto. 3. – Tanto premesso in via di principio, occorre rilevare che, nel caso di specie, l'avv. Ca.St. è stato sottoposto a procedimento penale, tra l'altro, per il reato di cui all'articolo 646 cod. penumero per essersi appropriato, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, nella sua qualità di legale incaricato dalla società Est Più con contratto del 28 settembre 2012 del recupero crediti vantati nei confronti della clientela morosa della società affidante, di somme spettanti alla società, assumendo di aver maturato il credito di euro 284.500 nei confronti di Est Più e provvedendo a compensare detto credito con pari incassi ottenuti da parte dei debitori. Con sentenza in data 18 novembre 2020, il Tribunale di Gorizia ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'avv. Ca.St. per il reato di cui all'articolo 646 cod. penumero per difetto della prescritta condizione di procedibilità, e sul punto la pronuncia di primo grado è stata confermata dalla Corte d'appello di Trieste con la sentenza in data 14 settembre 2022, depositata il 4 ottobre 2022. Poiché solo la sentenza penale irrevocabile di assoluzione per essere rimasto accertato che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso ha efficacia di giudicato nel procedimento disciplinare a carico degli avvocati, la sentenza di non doversi procedere per difetto di querela non ha alcuna efficacia extrapenale, e dunque non preclude, al Consiglio distrettuale di disciplina e al Consiglio nazionale forense, di procedere autonomamente all'accertamento ed alla valutazione dei fatti rilevanti in sede disciplinare. Correttamente, pertanto, il CNF – alla luce dei documenti depositati dall'esponente e dall'incolpato, da cui risultavano pacifici sia il rapporto tra le parti, come disciplinato dal contratto del 28 settembre 2012, prorogato nel 2013, sia la percezione da parte dell'avv. Ca.St. della somma di euro 284.500 – ha proceduto ad una autonoma valutazione, di certo non preclusa dalla sentenza di non doversi procedere per difetto di una condizione di procedibilità, della condotta contestata al ricorrente, consistente nella mancata messa a disposizione del cliente delle somme incassate per suo conto. Dunque, la statuizione di non doversi procedere in ordine alla imputazione di appropriazione indebita non spiega, all'evidenza, alcuna efficacia in ordine alla sussistenza del fatto come accertato dalla decisione impugnata. 4. – Occorre in questa sede tener conto della circostanza che la citata sentenza della Corte d'appello di Trieste ha, altresì, mandato assolto l'avv. Ca.St., perché il fatto non sussiste, dal reato di cui al capo b , che gli era stato contestato per essersi reso infedele ai doveri professionali assunti nei confronti della società Est Più, avendo assunto il patrocinio al fine di procedere al recupero dei crediti vantati da tale società nei confronti dei clienti morosi, provvedendo ad emettere parcella in violazione degli accordi contrattuali esistenti, non versando al mandante le somme incassate dai clienti morosi ma trattenendole ed assumendo che dette cifre erano sostanzialmente dovute a titolo di parcella per l'attività svolta. Al riguardo, devesi tuttavia osservare che la sentenza della Corte d'appello di Brescia ha escluso la sussumibilità della fattispecie concretamente contestata ed accertata in quella astrattamente prevista dal delitto di cui all'articolo 380 cod. penumero , riguardando essa inadempimenti di specifiche clausole contrattuali concernenti un rapporto d'opera e non l'inosservanza di doveri professionali pertinenti al man-dato difensivo inerente a un processo innanzi all'autorità giudiziaria. In altri termini, secondo la sentenza della Corte territoriale, le violazioni contrattuali dedotte e contestate dal pubblico ministero, rilevanti ai fini dell'integrazione del reato di cui all'articolo 646 cod. penumero , non ricadono nell'ambito applicativo del reato di patrocinio infedele, che richiede necessariamente una condotta irrispettosa dei doveri professionali inerenti all'assistenza di una delle parti di un procedi-mento giudiziario. Dalla sentenza della Corte d'appello si ricava, dunque, che la fattispecie del delitto di infedele patrocinio richiede e presuppone, sia per l'interesse tutelato che per la stessa lettera della norma dell'articolo 380 cod. penumero , l'instaurazione di un procedimento dinanzi all'autorità giudiziaria e la violazione di doveri professionali connessi con il relati-vo mandato difensivo. Se così è, ne deriva che tale assoluzione non rileva nella specie, perché la Corte d'appello non ha escluso la sussistenza delle condotte e degli inadempimenti contestati in sede disciplinare vale a dire il non avere, il professionista, riversato e messo a disposizione di Est Più le somme riscosse per suo conto , ma ha sottolineato che l'infedeltà ai doveri professionali non aveva riguardato il mandato difensi-vo inerente a un processo dinanzi all'autorità giudiziaria, laddove nel reato di patrocinio infedele la condotta che viene in gioco è quella che crea nocumento agli interessi della parte difesa, assistita o rappresentata dinanzi all'autorità giudiziaria. 5. – Per le stesse ragioni, detta assoluzione perché il fatto non sussiste dal reato di cui all'articolo 380 cod. penumero non è neppure preclusiva dell'accertamento, da parte del CNF, della condotta del capo d dell'incolpazione. Invero, da un raffronto tra l'incolpazione, di cui al capo d , ascritta al ricorrente, ritenuta sussistente dal Consiglio distrettuale di disciplina con la decisione confermata dal Consiglio nazionale forense, e quella oggetto della sentenza penale emerge che tra gli addebiti disciplinari non vi è quello riferibile al reato di patrocinio infedele, dal quale il ricorrente è stato assolto. La condotta di cui al capo d concerne il non avere, l'avv. Ca.St., informato con la cadenza pattuita il cliente sullo svolgimento del mandato a lui affidato. Al riguardo, il CNF ha ritenuto dimostrato che l'avv. Ca.St. non ha adempiuto all'obbligo di informazione secondo le modalità e nei tempi previsti dall'articolo 5 del contratto di affidamento di incarico ha osservato che la norma deontologica prescrive che l'avvocato è tenuto a informare la parte assistita ogni qualvolta questi ne faccia richiesta ha sottolineato che nella fattispecie, per espressa pattuizione, l'avv. Ca.St. aveva l'obbligo, che non risulta adempiuto, di rendicontare con cadenza annuale l'attività svolta e le pratiche con esito negativo, con le motivazioni dell'esito negativo e la valutazione finale circa i presupposti per la dichiarazione di inesigibilità del credito. La condotta contestata in sede disciplinare, anche sotto il capo d , non ricade nell'ambito applicativo del reato di patrocinio infedele, che richiede una condotta irrispettosa dei doveri professionali inerenti all'assistenza di una delle parti di un procedimento giudiziario. Costituiscono infedeltà ai doveri professionali, ad esempio, la violazione del segreto professionale, la soppressione, l'alterazione e in genere l'omessa produzione di mezzi di prova, l'intenzionale trascuranza dei termini, l'occultamento di notizie o la comunicazione di notizie false o fuorvianti, l'omissione dolosa della difesa e, in ogni caso, quelle infedeltà che impediscono alla parte di ottenere i risultati attesi con l'esplicazione di un'attività professionale rispondente ai requisiti della correttezza e lealtà e idonea a garantire più in generale la tutela dell'interesse pubblico al buon andamento della giustizia. La Corte d'appello di Trieste, assolvendo l'avv. Ca.St. dal reato di patrocinio infedele, non ha escluso la materialità della condotta che gli è stata contestata sul piano disciplinare sub d . 6. – Deve invece essere accolto, nei sensi di cui in motivazione, il secondo motivo di ricorso, attinente alla prescrizione dell'azione disciplinare. 7. – Il regime di prescrizione applicabile è, ratione temporis, quello introdotto dall'articolo 56 della legge numero 247 del 2012 l'illecito contestato, infatti, è stato commesso successivamente al 2 febbraio 2013, data di entrata in vigore della citata disposizione. Nel nuovo ordinamento professionale forense, l'azione disciplinare si prescrive nel termine di sei anni dal fatto da ogni interruzione decorre un nuovo termine della durata di cinque anni se gli atti interruttivi sono più d'uno, la prescrizione decorre dall'ultimo di essi, ma in nessun caso il termine di sei anni può essere prolungato di oltre un quarto. Pertanto, il termine complessivo di prescrizione dell'azione disciplinare deve intendersi in sette anni e mezzo Cass., Sez. Unumero , 17 luglio 2023, numero 20464 . Si tratta di una novità della nuova legge, la quale segue, sotto questo profilo, criteri di natura penalistica, laddove secondo la disciplina previgente, ispirata a un criterio di natura civilistica, la prescrizione, una volta interrotta, riprendeva a decorrere nuovamente per altri cinque anni. Va anche sottolineato che, per effetto di quanto disposto nell'ultimo periodo del comma 3 dell'articolo 56 della legge numero 247 del 2012, ai fini della prescrizione dell'azione disciplinare, non si computa il tempo delle eventuali sospensioni. Nella medesima direzione, l'articolo 54 della stessa legge prevede che, se agli effetti della decisione è in-dispensabile acquisire atti e notizie appartenenti al processo penale, il procedimento disciplinare può essere a tale scopo sospeso a tempo determinato. La durata della sospensione non può superare complessivamente i due anni e durante il suo decorso è sospeso il termine di prescrizione. Nella specie, pendente il giudizio penale, il procedimento disciplinare è stato sospeso, a tempo determinato, due volte la prima volta, con ordinanza del 10 febbraio 2017, per un anno la seconda, con provvedimento adottato all'udienza del 5 aprile 2018, sino al 20 settembre 2018. Quanto alla decorrenza del termine prescrizionale, non è contestato che le condotte di rilievo disciplinare si sono protratte fino al 25 novembre 2014, sicché è a tale momento che occorre avere riguardo per il decorso della prescrizione. Conseguentemente, il termine di prescrizione, della durata massima di sette anni e mezzo, decorrente dal 25 novembre 2014, si è protratto fino al 25 maggio 2022. Tale termine, tuttavia, va spostato in avanti, considerando i periodi di sospensione del procedimento disciplinare disposti, per acqui-sire atti e notizie appartenenti al processo penale, ai sensi dell'articolo 54 della legge numero 247 del 2012. Non può dunque seguirsi il ricorrente quando sostiene che la prescrizione sarebbe maturata già alla data del 25 maggio 2022, sul rilievo che dovrebbe considerarsi ininfluente la sospensione intervenuta per acquisire atti e notizie attinenti al processo penale. Il motivo di censura non può, pertanto, essere accolto nella sua assolutezza. 8. – Va tuttavia rilevato che la determinazione della durata del termine di prescrizione configura una quaestio iuris sulla identifica-zione della durata massima del procedimento disciplinare e del regime prescrizionale applicabile, di competenza del giudice, anche di legittimità. Poiché durante la sospensione del procedimento disciplinare disposta ai sensi dell'articolo 54 della legge numero 247 del 2012 è sospeso il termine di prescrizione, ciò significa che il tempo della sospensione non si computa nel tetto dei sette anni e mezzo Cass., Sez. Unumero , 31 ottobre 2023, numero 30202 . La regola del non-computo non dipende dalla positiva e concreta incidenza o influenza, nel procedimento disciplinare, delle notizie e degli atti acquisiti dal processo penale. La sospensione della prescrizione, disposta nel corso del procedi-mento disciplinare perché, secondo una prognosi ex ante, quella acquisizione appariva indispensabile, opera quantunque gli atti del processo penale si siano, ex post, rivelati non utili ai fini della decisione disciplinare. Poiché, dunque, nella specie il termine di prescrizione opera nel massimo sette anni e mezzo e non si computa il tempo delle sospensioni la prima volta, per un anno la seconda, dal 5 aprile 2018 al 20 settembre 2018 , la prescrizione dell'azione disciplinare è maturata subito dopo il deposito del ricorso per cassazione, ossia il 9 novembre 2023. In questi limiti, va, pertanto, accolto il secondo motivo. 9. – L'intervenuta prescrizione dell'azione disciplinare determina la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata e l'estinzione dell'illecito disciplinare. Resta assorbito l'esame dell'istanza di sospensione, in via cautelare, dell'esecuzione della decisione gravata. 10. – La sopravvenuta maturazione della prescrizione durante la pendenza del giudizio di cassazione giustifica la compensazione delle spese del giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione, e rigetta il primo cassa senza rinvio la sentenza impugnata per intervenuta prescrizione dell'azione disciplinare dichiara compensate le spese del giudizio. Dispone che, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma per finalità di informazione su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi dell'interessato.