Elezione di domicilio unitamente all’atto di appello: la Cassazione salva la norma

Anche se l'imputato ha dichiarato o eletto domicilio nel corso del procedimento, in base al nuovo assetto normativo disegnato dalla Riforma Cartabia, per le impugnazioni avverso le sentenze pronunciate dopo il 30 dicembre 2022 data di entrata in vigore del d.lgs. numero 150/2022 è necessario, a pena di inammissibilità, eleggere o dichiarare nuovo domicilio ai fini della notificazione dell'atto introduttivo del giudizio.

La quarta sezione penale di legittimità respinge anche i sollevati dubbi di legittimità costituzionale dell'articolo 581, comma 1-ter, c.p.p., ritenendo che la norma di nuovo conio abbia solo introdotto un requisito di ammissibilità dell'impugnazione afferente alla forma dell'atto, ma non ha stabilito limiti alla facoltà di impugnare. La fattispecie concreta Una donna, condannata in primo grado per guida in stato di ebrezza, propone appello. L'impugnazione viene dichiarata inammissibile perché non era allegata al gravame la elezione di domicilio – introdotta dalla Riforma Cartabia – necessaria per poter procedere alla notifica della vocatio in iudicium del giudizio di seconde cure. Contro l'ordinanza che ha dichiarato l'inammissibilità dell'appello e l'esecutività della sentenza ha interposto ricorso per cassazione ritenendo che in base all'articolo 571, comma 3, c.p.p., ancora in vigore, il difensore conserva la facoltà di impugnazione per l'imputato sia quale difensore precedentemente nominato, sia quale procuratore speciale a tal fine designato. Invece, il comma 1-ter dell'articolo 581 c.p.p. alla stessa stregua del successivo comma 1-quater sul mandato ad hoc ad impugnare per l'imputato assente impone una cesura nel percorso di difesa tecnica che, invece, deve essere in grado di operare con continuità e senza inutili ostacoli lungo l'intero iter processuale. Per tali ragioni si individuano profili di contrasto con i precetti costituzionali attinenti al diritto di difesa e la disparità di trattamento avverso l'incondizionato diritto di impugnazione del pubblico ministero e della parte civile. Necessità di un'ulteriore dichiarazione o elezione di domicilio da depositare unitamente all'atto di impugnazione Nell'esame del ricorso si premette che uno dei due difensori di fiducia dell'imputata cui è stata conferita procura speciale in data anteriore alla pronuncia di primo grado propose appello contro la sentenza di condanna di prime cure congiuntamente all'altro difensore di fiducia. L'appello fu quindi proposto da entrambi i difensori, uno in tale veste articolo 571, comma 3, c.p.p. o uno in quello di procuratore speciale articolo 571, comma 1, c.p.p. . Nel corpo dell'atto di appello i difensori scrissero che l'imputata era domiciliata presso lo studio di uno dei due difensori facendo riferimento ad elezione di domicilio effettuata prima dell'entrata in vigore del d.lgs. numero 150/2022 che ha ridisegnato l'assetto previgente modificando la regola per cui la determinazione del domicilio dichiarato o eletto era valido per ogni stato e grado del procedimento. Dopo la Riforma Cartabia, invece, quando l'impugnazione è proposta dall'imputato o nel suo interesse, ai fini della notifica dell'atto introduttivo del giudizio di appello, è necessaria un'apposita dichiarazione o elezione di domicilio, ai sensi del nuovo articolo 581, comma 1-ter c.p.p. L'articolo 89 d.lgs. numero 150/2022 ha anche dettato una disciplina transitoria stabilendo che le vecchie norme operassero per l'impugnazione delle sentenze pronunciate fino al 30 settembre 2022, ma ne esclude l'applicabilità con riferimento alle sentenze successive a tale data. Essendo stata pronunciata la sentenza poi appellata nel gennaio del 2023 e l'atto di appello depositato a marzo 2023, la novella trovava applicazione dovendosi escludere che la dichiarazione o elezione di domicilio già presente in atti possa esimere l'impugnante dal depositarne una nuova. Si ritiene pertanto corretta la valutazione della Corte territoriale che ha dichiarato l'inammissibilità dell'impugnazione perché mancante del nuovo domicilio. Respinta l'eccezione di incostituzionalità sollevata dalla difesa I Giudici di legittimità ritengono che l'articolo 581, comma 1-ter, c.p.p. non deragli dai binari di legalità costituzionale perché la norma non è idonea a limitare il diritto di impugnazione se l'imputato agisce personalmente o nomina un procuratore speciale a tal fine. Per gli Ermellini non risulta dimostrata tale limitazione, soprattutto laddove l'imputato è stato presente in giudizio si suppone abbia mantenuto i contatti col difensore e non si comprende perché in questa situazione l'accusato non sarebbe in grado di fornire al proprio legale una dichiarazione o elezione di domicilio, prevista proprio a tutela dell'accusato, cui l'ordinamento deve assicurare l'effettiva conoscenza della pendenza del processo che presuppone la conoscenza dell'impugnazione . Non si ravvisa, dunque, nessuna cesura nella continuità del rapporto defensionale tale da incrinare la stessa logica della difesa tecnica. Bilanciamento tra durata ragionevole e conoscenza del processo da parte dell'imputato La scelta compiuta dal legislatore – prosegue il collegio della quarta sezione di Cassazione – mira ad evitare che possano esservi difficoltà nella notifica con allungamento dei tempi processuali. Diventa necessario, quindi, contemperare due tra i più importanti principi in materia di giusto processo da un lato quello della ragionevole durata del processo dall'altro quello di garantire l'effettiva conoscenza del processo. Contemperamento che non si realizzerebbe laddove – come nel caso di specie – fosse prevista la domiciliazione dell'imputato appellante presso il difensore in quanto non si garantirebbe la conoscenza del processo dell'accusato . Tale ultimo passaggio motivazionale relega sempre più in ombra, sullo sfondo, il ruolo del difensore, togliendo al contempo autonomia alla stessa persona accusata la quale, con la domiciliazione presso il difensore manifesta chiaramente la volontà di conoscere il procedimento tramite il suo legale . Anche il difensore di parte civile deve depositare la dichiarazione o elezione di domicilio Per la sentenza in commento, l'articolo 581, comma 1-ter, c.p.p. ha introdotto un requisito di ammissibilità dell'impugnazione afferente alla forma dell'atto, ma non ha stabilito limiti alla facoltà di impugnare. La previsione di un tale requisito di ammissibilità non è irragionevole perché impone un adempimento non particolarmente oneroso e, soprattutto, persegue le indicate finalità coerenti con il fair trial. Respinti anche i dubbi di incostituzionalità legati alla paventata asimmetria col diritto di impugnazione del pubblico ministero e del difensore di parte civile che discende – per i Giudici di legittimità – dalla diversità delle posizioni del difensore rispetto a quella dei rappresentanti dell'accusa pubblica e privata. Con specifico riguardo alle parti civile, inoltre, si specifica che gravando tale onere su tutte le parti private, anche il difensore delle parti civili, alla stessa stregua del difensore dell'imputato, deve depositare a pena di inammissibilità, insieme all'atto di impugnazione, la dichiarazione o elezione di domicilio dei propri assistiti. In corso l'abrogazione dell'articolo 581, comma 1-ter, c.p.p. Nonostante le rassicurazioni del Ministro della Giustizia di intervenire sulle disposizioni dell'articolo 581, commi 1-ter e 1-quater, c.p.p., queste norme non erano stata toccate dal decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo numero 150/2022. Ciò è stato uno dei motivi dell'astensione proclamata dall'Unione delle Camere Penali la settimana scorsa astensione che sembra aver maturato i suoi frutti in quanto, come si legge nella nota dell'8 febbraio «È certamente una buona notizia che il Senato abbia approvato l'emendamento che abroga il comma 1-ter dell'articolo 581 c.p.p. e sia pure parzialmente il comma 1-quater dello stesso articolo, introdotti dalla legge Cartabia. Si tratta, infatti, di un primo passo in linea con la richiesta di abrogazione integrale di quei due commi formulata da tempo dall'Unione delle Camere Penali al Ministro Nordio, trattandosi di norme inique che sottopongono il diritto di impugnazione a inutili e odiosi formalismi imposti a pena di inammissibilità».

Presidente Dovere – Relatore Vignale Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 26 maggio 2023, la Corte di appello di Torino ha dichiarato l'inammissibilità dell'appello proposto dai difensori di fiducia di F.M. avverso la sentenza di condanna emessa il 19 gennaio 2023 dal Tribunale di Torino. L'inammissibilità è stata dichiarata ai sensi dell'articolo 581, comma 1 ter, cod. proc. penumero , perché, diversamente da quanto previsto da questa norma, all'atto di impugnazione non era allegata la dichiarazione o elezione di domicilio necessaria per poter procedere alla notifica dell'atto introduttivo del processo di appello. In ragione della inammissibilità dell'atto di appello, la Corte territoriale ha dichiarato esecutiva la sentenza di primo grado con la quale F.M. è stata ritenuta responsabile del reato di cui all'articolo 186, comma 2, lett. c e comma 2 bis d.lgs. 30 aprile 1992, numero 285. 2. Contro l'ordinanza che ha dichiarato l'inammissibilità dell'appello e l'esecutività della sentenza appellata, F.M. ha proposto tempestivo ricorso per mezzo dell'avv. Roberto Rossi, difensore di fiducia al quale, in data 27 giugno 2022, aveva conferito procura speciale a proporre ricorso per cassazione. Premesso che, nel corso del procedimento, l'imputata aveva eletto domicilio presso l'altro difensore di fiducia - avv. Carmina Malaspina del foro di Torino - e che nell'atto di gravame tempestivamente depositato tale elezione di domicilio è stata richiamata, la difesa censura la decisione della Corte di appello articolando due motivi di ricorso. 2.1. Col primo motivo, chiede a questa Corte di sollevare questione di legittimità costituzionale dell'articolo 581, comma 1 ter, cod. proc. penumero e dell'articolo 89d.lgs. 10 ottobre 2022 numero 150 per contrasto con gli articolo 3,24,27 e 111 della Costituzione. Secondo i difensori, pur non essendo esplicitamente riconosciuta nella Carta costituzionale che richiama espressamente il solo ricorso per cassazione , la facoltà di appellare le sentenze di condanna a pena detentiva senza limiti e preclusioni ingiustificate «rappresenta un profilo insopprimibile del diritto di difesa dell'imputato». A sostegno di tale conclusione il ricorso cita la sentenza della Corte cost. numero 34 del 26 febbraio 2020, secondo la quale «il potere di impugnazione dell'imputato si correla al fondamentale valore espresso dal diritto di difesa articolo 24 Cost. , che ne accresce la forza di resistenza al cospetto di sollecitazioni di segno inverso». Ricorda, inoltre, che come la Corte costituzionale ha sottolineato l'articolo 14, paragrafo 5, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato a New York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, numero 881 e l'articolo 2 del Protocollo numero 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con legge 9 aprile 1990, numero 98 prevedono, «a favore della persona dichiarata colpevole o condannata per un reato», «il diritto a far riesaminare la decisione da una giurisdizione superiore o di seconda istanza». Nel ricorso si sostiene che l'articolo 581, comma 1 ter, cod. proc. penumero crea una «evidente asimmetria» tra accusa e difesa. In caso di assoluzione, infatti, il Pubblico ministero può esercitare il proprio potere di impugnazione «senza alcun ulteriore passaggio», mentre la norma in esame impone al difensore che intenda proporre impugnazione ai sensi dell'articolo 571, comma 3, cod. proc. penumero oppure ai sensi dell'articolo 571, comma 1, quale procuratore speciale di chiedere all'imputato una dichiarazione o elezione di domicilio nei ristretti termini previsti dall'articolo 585 cod. proc. penumero Secondo la difesa, tale ingiustificata disparità di trattamento emerge anche nel raffronto tra l'imputato e la parte civile. Ai sensi dell'articolo 581, comma 1 quater, cod. proc. penumero , infatti, il difensore dell'imputato assente deve munirsi di apposito mandato ad impugnare, mentre il difensore della parte civile conserva il diritto all'impugnazione sulla base di una procura rilasciata prima della sentenza da impugnare e, secondo la giurisprudenza di legittimità, anche in presenza di una procura alle liti non contenente l'espresso richiamo al potere d'impugnazione. A tali argomentazioni se ne aggiungono altre. La difesa della ricorrente sostiene che, mentre l'articolo 571, comma 3, cod. proc. penumero mantiene inalterata la facoltà di impugnazione sia per chi difende l'imputato al momento del deposito del provvedimento sia per il difensore nominato a tal fine, i commi 1 ter e 1 quater dell'articolo 581 cod. proc. penumero impongono una «cesura» nel percorso della difesa tecnica, che, invece, deve essere posta in grado di operare con continuità e senza inutili ostacoli lungo l'intero iter processuale. Osserva, inoltre, che l'aver previsto il deposito, contestualmente all'atto di appello, della dichiarazione o elezione di domicilio è del tutto irragionevole e perciò in contrasto con le invocate norme costituzionali se si considera in primo luogo, che, di regola, l'imputato dichiara o elegge domicilio per l'intero procedimento ben prima della presentazione dell'atto di appello e, in quella sede, viene avvertito che deve comunicare l'eventuale modifica del domicilio dichiarato o eletto in secondo luogo, che, ai sensi dell'articolo 164 cod. proc. penumero , «la determinazione del domicilio dichiarato o eletto è valida per le notificazioni dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare, degli atti di citazione a giudizio ai sensi degli articoli 450, comma 2, 456, 552 e 601, nonché del decreto penale di condanna, salvo quanto previsto dall'articolo 156, comma 1». Secondo la difesa, tale assetto normativo rende superfluo ogni ulteriore adempimento in sede di impugnazione sicché è irragionevole che sia stato previsto, a pena di inammissibilità dell'appello, il contestuale deposito della dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio. Altrettanto irragionevole - si sostiene - è la sanzione dell'inammissibilità, essendo in tal modo valorizzata un'esigenza, quella di semplificare la notifica della citazione al giudizio conseguente all'impugnazione, che potrebbe essere soddisfatta prevedendo la domiciliazione ex lege dell'imputato presso il difensore. Nel caso di specie, osservano i difensori, la notificazione era comunque possibile sulla base dell'elezione di domicilio presente in atti, alla quale, secondo una interpretazione costituzionalmente orientata, si sarebbe dovuto fare riferimento. 2.2. Col secondo motivo, la difesa deduce vizi di motivazione ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. e , cod. proc. penumero Osserva che, nel caso di specie, nell'atto di impugnazione era presente l'indicazione che l'imputata era «domiciliata presso lo studio del difensore avv. Malaspina» sicché nell'atto era «incorporata» l'elezione di domicilio richiesta a pena di inammissibilità dal citato articolo 581, comma 1 ter. 3. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. Per ragioni di logica espositiva deve essere preliminarmente esaminato il secondo motivo di ricorso, col quale la difesa sostiene che, nel caso di specie, la disposizione prevista dall'articolo 581, comma 1 ter, cod. proc. penumero è stata rispettata essendo stato specificato nell'atto di appello che l'imputata aveva eletto domicilio presso il difensore avv. Malaspina. Secondo l'impostazione difensiva, la motivazione del provvedimento impugnato sarebbe viziata perché non avrebbe tenuto conto di tale dato obiettivo ritenendo necessaria ai fini dell'ammissibilità dell'appello un'apposita dichiarazione o elezione di domicilio allegata all'atto di gravame. 2. Dall'esame degli atti - necessario e possibile in ragione del vizio dedotto - emerge che l'avv. Roberto Rossi del foro di Perugia, difensore di fiducia dell'imputata cui era stata conferita procura ad impugnare in data anteriore alla pronuncia della sentenza di primo grado , propose appello contro la sentenza di condanna pronunciata in primo grado «congiuntamente» all'altro difensore di fiducia avv. Carmina Malaspina del foro di Torino. L'appello fu proposto dunque da entrambi i difensori, ai sensi dell'articolo 571, comma 3, cod. proc. penumero dal solo avv. Rossi, anche ai sensi dell'articolo 571, comma 1, cod. proc. penumero Nel corpo dell'atto non sottoscritto dall'imputata , i difensori scrissero che la F.M. era domiciliata presso lo studio dell'avv. Malaspina così facendo riferimento ad una elezione di domicilio che reca la data del 21 giugno 2022 e testualmente recita «ai sensi dell'articolo 161 cod. proc. penumero elegge domicilio in Piossasco, Via P.» indirizzo corrispondente a quello dello studio dell'avv. Malaspina . Questa elezione di domicilio fu compiuta ai sensi dell'articolo 161 cod. proc. penumero nel testo all'epoca vigente. Se non revocata, dunque, era destinata a produrre effetti per tutta la durata del giudizio, ivi compreso il giudizio di appello. L'articolo 164 cod. proc. penumero nel testo previgente stabiliva infatti «la determinazione del domicilio dichiarato o eletto è valida per ogni stato e grado del procedimento, salvo quanto è previsto dagli articolo 156 e 613, comma 2». Tale assetto normativo è stato modificato dal d.lgs. numero 150/2022. In particolare, sono state modificate le disposizioni che riguardano la notificazione all'imputato non detenuto degli atti introduttivi del giudizio di primo grado e di quello di appello. Per quanto rileva in questa sede, devono essere prese in considerazione le seguenti norme - l'articolo 157 bis Notifiche all'imputato non detenuto successive alla prima , che, al primo comma, recita «In ogni stato e grado del procedimento, le notificazioni all'imputato non detenuto successive alla prima, diverse dalla notificazione dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare, della citazione in giudizio ai sensi degli articoli 450, comma 2, 456, 552 e 601, nonché del decreto penale di condanna, sono eseguite mediante consegna al difensore di fiducia o di ufficio» - l'articolo 157 ter cod. proc. penumero Notifiche degli atti introduttivi del giudizio , il cui terzo comma stabilisce che «In caso di impugnazione proposta dall'imputato o nel suo interesse, la notificazione dell'atto di citazione a giudizio nei suoi confronti è eseguita esclusivamente presso il domicilio dichiarato o eletto ai sensi dell'articolo 581, commi 1 ter e 1 quater» - l'articolo 164 cod. proc. penumero in base al quale «La determinazione del domicilio dichiarato o eletto è valida per le notificazioni dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare, degli atti di citazione in giudizio ai sensi degli articoli 450, comma 2, 456, 552 e 601, nonché del decreto penale, salvo quanto previsto dall'articolo 156, comma 1.». Dal combinato disposto di queste norme si desume che la dichiarazione o elezione di domicilio non è più «valida per ogni stato e grado del procedimento», ma, quando l'impugnazione è proposta dall'imputato o nel suo interesse, ai fini della notificazione dell'atto di citazione nel giudizio di appello, è necessaria una apposita dichiarazione o elezione di domicilio ai sensi dell'articolo 581, commi 1 ter e 1 quater cod. proc. penumero L'articolo 89 del d.lgs. numero 150/2022 ha dettato una disciplina transitoria in questa materia e ha stabilito che le disposizioni degli articolo 157 ter, comma 3, 581, commi 1 ter e 1 quater, e 585, comma 1 bis, cod. proc. penumero si applichino «per le sole impugnazioni proposte avverso sentenze pronunciate in data successiva all'entrata in vigore» del decreto stesso. Il d.l. 31 ottobre 2022, numero 162 - convertito con modificazioni dalla legge 30 dicembre 2022, numero 199 - ha fissato tale entrata in vigore al 30 dicembre 2022. La disposizione transitoria stabilisce dunque, in termini espliciti, che le disposizioni previgenti possano continuare ad operare per l'impugnazione delle sentenze pronunciate fino al 30 dicembre 2022, ma ne esclude l'operatività con riferimento alle sentenze successive a quella data. Nel caso di specie, la sentenza di condanna nei confronti di F.M. è stata pronunciata dal Tribunale di Torino il 19 gennaio 2023 e l'atto di appello è stato depositato il 4 marzo 2023, sicché non v'è dubbio che l'articolo 581, comma 1 ter, cod. proc. penumero debba trovare applicazione. L'insieme delle disposizioni processuali sopra indicate, inoltre, rende evidente che l'elezione di domicilio eseguita il 21 giugno 2022, ancorché inizialmente idonea a produrre effetti «per ogni stato e grado del giudizio», non è più tale e non ha valore ai fini del giudizio di impugnazione. Per poter validamente impugnare nell'interesse dell'imputato le sentenze pronunciate in epoca successiva al 30 dicembre 2022, infatti, è necessario depositare una dichiarazione o elezione di domicilio finalizzata alla notifica dell'atto di citazione nel giudizio di impugnazione. 2.1. Per quanto esposto, la motivazione dell'ordinanza impugnata non può ritenersi carente. Se è vero, infatti, che nell'atto di appello si faceva riferimento a una elezione di domicilio preesistente, è pur vero che, sulla base delle norme vigenti, unitamente all'impugnazione avrebbe dovuto essere depositata, a pena di inammissibilità, una dichiarazione o elezione di domicilio finalizzata alla notificazione dell'atto introduttivo del giudizio. In sintesi l'esistenza di un'elezione di domicilio anteriore alla presentazione dell'impugnazione, pur trascurata dalla ordinanza impugnata, è circostanza di fatto inidonea a incidere sulle ragioni di diritto in forza delle quali è stata dichiarata l'inammissibilità dell'appello. 3. Deve ora essere esaminata l'eccezione d'incostituzionalità sollevata dalla difesa. Tale esame dev'essere condotto con esclusivo riferimento alla previsione dell'articolo 581, comma 1 ter, cod. proc. penumero Nel caso in esame, infatti, l'articolo 581, comma 1 quater, che riguarda l'impugnazione proposta dal difensore dell'imputato nei cui confronti si sia proceduto in assenza, non trova applicazione perché - come emerge dalla lettura della sentenza del Tribunale di Torino - nel corso del giudizio di primo grado la F.M. è comparsa e si è sottoposta ad esame. 4. Come noto, il d.lgs. 10 ottobre 2022, numero 150 è stato adottato sulla base della delega conferita dalla legge 27 settembre 2021, numero 134 «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari» . Nell'introdurre l'articolo 581, comma 1 ter, il legislatore delegato ha riprodotto pedissequamente il contenuto dell'articolo 1, comma 13, lett. a della legge delega, che così recitava «prevedere che con l'atto di impugnazione, a pena di inammissibilità, sia depositata dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione dell'atto introduttivo del giudizio di impugnazione». Il legislatore delegato si è attenuto, inoltre, ai principi contenuti nell'articolo 1, comma 6 lett. f , della legge delega in base al quale, in caso «di impugnazione proposta dall'imputato o nel suo interesse», si doveva prevedere che la notificazione dell'atto di citazione dell'imputato nel giudizio di impugnazione fosse compiuta «presso il domicilio dichiarato o eletto, ai sensi della lettera a del comma 13». Come anche la difesa ricorda, la disposizione in esame è volta ad assicurare l'agevole esecuzione delle notifiche del decreto di citazione nel giudizio di impugnazione e quindi la speditezza e la celerità di questo giudizio. Tale esigenza è stata coordinata con la necessità di garantire all'imputato l'effettiva conoscenza della pendenza del processo che presuppone la conoscenza dell'impugnazione . Secondo la difesa, introducendo l'articolo 581, comma 1 ter, cod. proc. penumero , il legislatore ha «surrettiziamente stravolto» il regime delle impugnazioni. Ha previsto, infatti, un nuovo requisito di ammissibilità dell'appello e ha imposto al difensore che pure conserva un autonomo diritto ad impugnare ai sensi dell'articolo 571, comma 3, cod. proc. penumero di depositare, unitamente all'atto di impugnazione, anche la dichiarazione o elezione di domicilio dell'imputato nel cui interesse ha operato. Analogo onere - si osserva - è imposto al difensore che sia stato nominato al fine di proporre impugnazione e anche al difensore al quale prima o dopo la pronuncia del provvedimento sia stata conferita una procura speciale ad impugnare. L'argomento è sviluppato richiamando la giurisprudenza costituzionale sul diritto di impugnazione, ma il ricorso non spiega perché il sistema delle impugnazioni sarebbe stravolto da una scelta legislativa con la quale si chiede all'imputato nel cui interesse sia stata proposta una impugnazione di attualizzare l'informazione relativa al luogo in cui l'atto introduttivo del giudizio deve essergli notificato. In particolare, il ricorso non chiarisce perché questa scelta limiterebbe l'autonoma facoltà di appello del difensore e per quale motivo sarebbe una scelta irragionevole, confliggente con i principi in materia di «giusto processo». 5. La previsione secondo la quale l'atto di impugnazione deve essere accompagnato dall'indicazione del luogo in cui l'imputato vuole che gli sia notificata la citazione a giudizio non è certamente idonea a limitare il diritto ad impugnare se l'imputato agisce personalmente o nomina un difensore proprio a tal fine. Nel ricorso, infatti, si sostiene che tale previsione limiterebbe il diritto ad impugnare del difensore che assiste l'imputato al momento del deposito del provvedimento e del procuratore speciale nominato prima dell'emissione del provvedimento stesso. Che una tale limitazione sia conseguenza della norma in esame, però, è apoditticamente affermato e non dimostrato il ricorso non spiega perché un imputato che sa della celebrazione del processo di primo grado ed è stato presente in giudizio, non dovrebbe aver manutenuto contatti col proprio difensore al fine di conoscere l'esito di quel processo, né chiarisce perché, in questa situazione, l'imputato non sarebbe in grado di fornire al proprio difensore una dichiarazione o elezione di domicilio. Trascura, inoltre, che la dichiarazione o elezione di domicilio è prevista proprio a tutela dell'imputato, cui l'ordinamento deve assicurare la conoscenza effettiva della pendenza del processo. Si deve ricordare, allora, che, ai sensi dell'articolo 175 cod. proc. penumero , l'imputato può essere restituito nel termine per impugnare se prova che, per caso fortuito o forza maggiore, non ha potuto proporre una tempestiva impugnazione e ciò comporta che egli potrebbe essere restituito nel termine qualora provasse che, per le stesse ragioni, non ha potuto fornire per tempo al proprio difensore l'elezione o dichiarazione di domicilio da allegare all'impugnazione. Va ribadito, inoltre, che l'articolo 581, comma 1 ter, cod. proc. penumero , riguarda imputati che hanno partecipato al giudizio e, di conseguenza, hanno potuto instaurare un rapporto con i difensori che li hanno assistiti situazioni nelle quali non si giustifica l'affermazione contenuta a pag. 6 del ricorso secondo la quale la necessità per il difensore di mettersi in contatto con l'imputato determinerebbe una « cesura nella continuità del rapporto defensionale» tale da incrinare «la stessa logica di una difesa tecnica posta in grado di operare con continuità e senza inutili ostacoli lungo l'intero percorso processuale». Non si vede, infatti, in che modo l'adempimento richiesto dall'articolo 581, comma 1 ter, cod. proc. penumero possa limitare la continuità dell'operato del difensore e certamente tale adempimento non è inutile , atteso che l'esercizio del diritto di difesa presuppone la consapevole partecipazione dell'imputato alla celebrazione di un processo del quale deve essere personalmente informato. 6. Come si è detto, oltre a garantire l'effettiva conoscenza della pendenza del processo, la disposizione in esame mira ad evitare che possano esservi difficoltà nella notifica e che il doveroso rispetto delle garanzie dell'imputato possa incidere negativamente sui tempi del giudizio conseguente all'impugnazione. La scelta compiuta dal legislatore, dunque, contempera due tra i più importanti princìpi in materia di giusto processo da un lato, il principio della ragionevole durata, oggetto di esplicita previsione costituzionale articolo 111, comma 2, Cost. dall'altro, il principio per cui deve essere garantita all'imputato la conoscenza effettiva della celebrazione del processo, affermato dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo con le sentenze Somogy c. Italia del 18 maggio 2004 e Sejdovic c. Italia del 10 novembre 2004, quest'ultima confermata dalla Grande Camera con sentenza del 1 Marzo 2006 sull'argomento, Sez. U, numero 23948 del 28/11/2019, dep. 2020, Ismail, Rv. 279420 . Un tale contemperamento non sarebbe realizzato se - come suggerito de iure condendo nell'atto di ricorso - fosse prevista la domiciliazione ex lege dell'imputato appellante presso il difensore. Questa soluzione, infatti, non potrebbe garantire, oltre alla celerità della notifica, anche la conoscenza effettiva della pendenza del processo da parte dell'imputato. 7. Alla luce delle considerazioni svolte, il Collegio ritiene che la norma della cui costituzionalità si dubita abbia introdotto un requisito di ammissibilità dell'impugnazione afferente alla forma dell'atto, ma non abbia introdotto limiti alla facoltà di impugnare. La previsione di tale requisito di ammissibilità non è irragionevole perché impone un adempimento non particolarmente oneroso e, soprattutto, perché persegue finalità coerenti con i principi del giusto processo favorisce la celerità del giudizio e fa sì che l'impugnazione sia espressione di un effettivo interesse dell'imputato, consapevole della pendenza del processo, e quindi anche della presentazione dell'atto di impugnazione e della effettiva celebrazione di un ulteriore grado di giudizio in tal senso Sez. 4, numero 43718 del 11/10/2023, Ben Khalifa, Rv. 285324 Sez. 4, numero 44376/23 del 19/10/2023, Marino, non massimata . Poiché non restringe la facoltà di impugnare, ma individua - in termini per nulla irragionevoli - un requisito necessario dell'atto di impugnazione, la disposizione di cui all'articolo 581, comma 1-ter, cod. proc. penumero non si pone in contrasto con i principi costituzionali richiamati dalla ricorrente. È utile ricordare tuttavia che - come la Corte costituzionale ha affermato nella motivazione della sentenza numero 34 del 26 febbraio 2020 - «la garanzia del doppio grado di giurisdizione non fruisce, di per sé, di riconoscimento costituzionale ex plurimis, sentenze numero 274 e numero 242 del 2009, numero 298 del 2008, numero 26 del 2007, numero 288 del 1997, numero 280 del 1995 ordinanze numero 316 del 2002 e numero 421 del 2001 », sicché limitazioni a tale diritto possono essere previste, purché giustificate, in termini di adeguatezza e proporzionalità, rispetto all'obiettivo perseguito. 8. Secondo la difesa, la disposizione di cui all'articolo 581, comma 1 ter, e quella non rilevante nel presente giudizio di cui all'articolo 581, comma 1 quater, cod. proc. penumero determinano una «asimmetria» tra il potere di impugnazione riconosciuto al difensore e quello riconosciuto al Pubblico ministero in caso di assoluzione. Si legge nel ricorso pag. 5 che «all'esito di eventuali condanne ingiuste, il difensore dovrebbe [ ] attivarsi, proprio al cospetto di un imputato assente, e per questo non facilmente raggiungibile, o di un imputato presente che ha già dichiarato l'elezione di domicilio presso lo studio del difensore, per sollecitarlo a valutare l'opportunità di assumere - suo tramite - una specifica iniziativa processuale a tutela dei suoi diritti, mentre il rappresentante della pubblica accusa, impegnato nello stesso giudizio in qualità di semplice Sostituto Procuratore della Repubblica, manterrebbe intatto il suo potere di appellare la sentenza di assoluzione senza alcun ulteriore passaggio». Alla luce delle argomentazioni sin qui sviluppate la tesi non ha pregio mentre il difensore agisce nell'interesse dell'imputato e per questo può essere onerato del compito di acquisire da lui una elezione di domicilio, la stessa cosa non può dirsi per il Pubblico ministero e per la parte civile che intendano impugnare una sentenza di assoluzione. È ragionevole, dunque, che il legislatore non abbia imposto loro l'onere di contattare l'imputato per ottenere da lui un'elezione di domicilio e la lamentata «asimmetria» discende dalla concreta diversità della posizione del difensore rispetto a quella dei rappresentanti dell'accusa pubblica e privata. È appena il caso di rilevare, poi, che la necessità di garantire la conoscenza della celebrazione del processo riguarda le parti private e non certo la pubblica accusa - che è impersonalmente rappresentata in giudizio dagli uffici della Procura e della Procura generale della Repubblica - sicché non v'è ragione di chiedere al Pubblico ministero appellante di dichiarare o eleggere domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio. 9. Nel ricorso si sostiene che la norma in esame determina una ingiustificata disparità di trattamento tra l'imputato e la parte civile. A sostegno di tale affermazione, si sottolinea che il difensore dell'imputato assente deve munirsi di apposito mandato ad impugnare, mentre il difensore della parte civile conserva il diritto all'impugnazione sulla base di una procura rilasciata prima della sentenza da impugnare. L'argomentazione così sviluppata riguarda la disposizione di cui all'articolo 581, comma 1 quater, cod. proc. penumero ed è irrilevante in questa sede, sicché non v'è ragione di esaminarla. Con riferimento alla disposizione prevista dall'articolo 581, comma 1 ter, cod. proc. penumero , nessuna disparità di trattamento tra imputato e parte civile può essere neppure ipotizzata. In tal senso è sufficiente rilevare - che questa disposizione impone, a pena di inammissibilità, alla parte che impugna l'onere di allegare all'atto di impugnazione la dichiarazione o elezione di domicilio e non modifica le regole che disciplinano il diritto di nomina del difensore - che tale onere grava, per espressa previsione di legge, sulle «parti private» e sui loro difensori - che, pertanto, anche il difensore delle parti civili, esattamente come il difensore dell'imputato, deve depositare a pena di inammissibilità, insieme all'atto di impugnazione, la dichiarazione o elezione di domicilio dei propri assistiti. 10. Per quanto esposto, gli argomenti con i quali la questione di legittimità costituzionale è stata prospettata sono irrilevanti con riferimento alla disposizione di cui all'articolo 581, comma 1 quater, cod. proc. penumero e manifestamente infondati con riferimento alla disposizione di cui all'articolo 581, comma 1 ter, cod. proc. penumero Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato, perché - ai sensi dell'articolo 581, comma 1 ter, cod. proc. penumero - l'esistenza di una elezione di domicilio anteriore alla presentazione dell'impugnazione, ancorché richiamata nell'atto di gravame, non rende ammissibile l'appello. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale numero 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell'articolo 616 cod. proc. penumero , l'onere di versare la somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.