L’erede, successore nella stessa situazione giuridica del defunto, non è titolare di un diritto autonomo, ma di un diritto derivativo che lo legittima ad impugnare per revocazione o con l’opposizione di terzo una sentenza effetto di dolo o collusione ai danni del suo dante causa, tanto che, se a costui sia rimasto precluso, per scadenza del termine o per altro motivo, l’esercizio delle azioni trasmissibili con l’eredità, la medesima preclusione vale anche per il successore.
Nel 2023 la Corte d'appello di Milano confermava una sentenza del Tribunale di Busto Arsizio, la quale aveva dichiarato inammissibile la domanda di revocazione, ex articolo 395 numero 1 c.p.c., di una sentenza emessa nel 2017 sempre dal Tribunale di Busto Arsizio, con la quale era stata disposta l'adozione di una donna, da parte del fratello dell'attore. La Corte territoriale respingeva il gravame e confermava la valutazione del giudice di prime cure, secondo il quale la domanda di revocazione era inammissibile per difetto di legittimazione attiva dell'attore, considerato il fatto che questi aveva adito la Corte non in qualità di erede bensì di fratello dell'adottante deceduto nel 2020 , senza essere stato parte del giudizio, all'esito del quale era stata dichiarata l'adozione della donna, inizialmente assunta come badante dell'adottante. In particolare, il ricorrente aveva sostenuto che la prova della sua legittimazione attiva derivava dal fatto che erano state da lui avviate le procedure per la nomina di un amministratore di sostegno del fratello che non aveva avuto né una moglie, né figli , per l'interdizione dello stesso, da parte del PM, nonché dagli atti penali che avevano portato alla condanna della resistente per reati commessi ai danni del padre adottivo, di circonvenzione di incapace e per aver indotto l'uomo, dopo essere stata assunta come badante, ad adottarla. In particolare, la CdA milanese aveva ritenuto che l'appellante, fratello dell'adottante, avrebbe potuto far valere il suo interesse a rimuovere l'avvenuta adozione unicamente con il rimedio dell'opposizione di terzo, ex articolo 404 c.p.c., costituendo la revocazione un mezzo ordinario di impugnazione, ex articolo 323 c.p.c., riservato soltanto a coloro che hanno preso parte al precedente giudizio. L'uomo dunque propone ricorso per Cassazione avverso tale sentenza, sulla base di due motivi. L'adottata resiste in giudizio con controricorso. Con il primo motivo il ricorrente lamenta il fatto che egli, in qualità di erede del fratello defunto, è titolare del diritto di impugnare per revocazione una sentenza effetto di dolo «ai suoi danni». Ritiene, infatti, che gli eredi dell'adottante siano «parti del procedimento d'adozione», avendo la possibilità, ai sensi dell'articolo 298, comma 4 c.c., di presentare al Tribunale memorie e osservazioni per opporsi all'adozione. Chiede, altrimenti, sollevarsi questione di legittimità costituzionale di tale disposizione in relazione all'articolo 3 Cost., sussistendo una disparità di trattamento tra la posizione dei genitori dell'adottando o del coniuge dell'adottante – il cui consenso all'adozione è previsto dall'articolo 297 c.c. – e gli eredi dell'adottante. In via subordinata, con il secondo motivo lamenta il fatto che la CdA e prima ancora il Tribunale di Busto Arsizio non abbiano riqualificato l'azione di revocazione in opposizione di terzo revocatoria, essendo previsto dal comma 2 dell'articolo 404 c.p.c. «che taluni terzi possano attaccare la sentenza, quando questa è l'effetto di dolo a loro danno». La donna eccepisce l'inammissibilità e l'infondatezza nel merito del ricorso. In particolare, relativamente al secondo motivo, afferma che comunque, anche in caso di riqualificazione della domanda originaria, l'azione di opposizione di terzo revocatoria risultava proposta oltre il termine di trenta giorni dalla scoperta del dolo, che nella specie doveva ritenersi essere intervenuta già dal 2017, in quanto, con una querela proposta dallo stesso ricorrente, questi aveva lamentato il dolo della resistente, e inoltre, nel procedimento penale apertosi a carico della donna, egli aveva avuto conoscenza della sentenza di adozione. La Suprema Corte, nel ritenere infondato il primo motivo afferma che sono parti del procedimento di adozione di maggiorenne esclusivamente l'adottante, l'adottando e il pubblico ministero. Questi sono i soli soggetti legittimati a impugnare il provvedimento di adozione. La revoca dell'adozione può pronunciarsi soltanto per fatti tassativi e particolarmente gravi. Uniche cause sono attualmente rappresentate dall'indegnità dell'adottato articolo 306 c.c. e da quella dell'adottante articolo 307 c.c. . Secondo l'articolo 313 c.c., a conclusione del procedimento, il Tribunale, in camera di consiglio, sentito il P.M. e omessa ogni altra formalità di procedura, provvede con sentenza decidendo di fare luogo o meno all'adozione della persona maggiore di età. Il provvedimento che, secondo la formulazione originaria della norma, doveva rivestire la forma di decreto motivato, a seguito della modifica introdotta dalla L. numero 149 del 2001 assume ora la veste di sentenza, la quale, ai sensi del comma 2 dell'articolo 313 c.c., è impugnabile da parte dell'adottante, dell'adottando e del P.M. entro il termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione, dinanzi alla Corte d'Appello, che decide in camera di consiglio, sentito il P.M. Per i Supremi Giudici, la previsione contenuta nel comma 4 dell'articolo 298 c.c., invocato dal ricorrente, non ha il significato da lui voluto di riconoscimento da parte del legislatore della qualità di parte nel procedimento di adozione dell'erede dell'adottante. Infatti, la disposizione codicistica deve essere letta unitamente al comma 3 che contempla l'ipotesi in cui l'adottante muoia «dopo la prestazione del consenso e prima dell'emanazione del decreto», stabilendo che si possa comunque procedere al compimento degli atti necessari per l'adozione. Tuttavia, come osserva la Prima Sezione, questa ipotesi non ricorre nella fattispecie in esame poiché la morte dell'adottante è intervenuta tre anni dopo la pronuncia della sentenza di adozione. Detta sentenza, a distanza di tre anni dalla pubblicazione, è stata impugnata dal ricorrente fratello dell'adottante per revocazione per dolo di una parte ai danni dell'altra, ex articolo 395 numero 1 c.p.c. Per i Giudici di piazza Cavour, essendo l'erede, in qualità di successore a titolo universale, titolare di un diritto derivativo e subentrando il medesimo nella stessa situazione giuridica del defunto, l'impugnativa è condizionata a quei medesimi fatti costitutivi, modificativi ed estintivi che condizionavano l'azione del precedente titolare. Pertanto, a prescindere dalla questione relativa alla qualificazione della domanda proposta e alla legitimatio ad causam, il subentro, in caso di morte della parte, del successore a titolo universale , ex articolo 110 c.p.c., nella stessa posizione processuale del proprio autore, presuppone che il processo sia pendente. Laddove il processo sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l'erede, successore universale, può impugnare per revocazione solo se il dante causa non sia decaduto dall'impugnativa. Pertanto, doveva essere dimostrato che, ai sensi dell'articolo 396 c.p.c., per il dante causa deceduto la scoperta del dolo fosse avvenuta dopo la scadenza del termine per impugnare, mentre il ricorrente ha soltanto dedotto di aver scoperto il dolo della donna dopo il decesso dell'adottante. Inammissibile per la Suprema Corte è altresì il secondo motivo di ricorso anche qualora la domanda potesse essere qualificata come opposizione di terzo revocatoria, deve comunque ritenersi esclusa la legittimità ad agire del ricorrente, essendo riconosciuta tale azione solo «ai creditori o agli aventi causa di una delle parti», non rientrando gli eredi in quest'ultima categoria. Con l'ordinanza numero 3768 del 2024, la Prima Sezione civile della Corte di cassazione respinge il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del giudizio di legittimità.
Presidente Genovese – Relatrice Iofrida Fatti di causa Con sentenza numero 18/2023, pubblicata il 9/1/2023, la Corte d'appello di Milano confermava la sentenza numero 836/2021 del Tribunale di Busto Arsizio, che aveva dichiarato inammissibile la domanda di revocazione, ex articolo 395 numero 1 c.p.c. per dolo della parte , proposta, nel 2020, da F. G., della sentenza numero 85/2017, pronunciata il 12/5/2017 dal Tribunale di Busto Arsizio, con cui era stata disposta l'adozione di C. C. da parte di F. D., fratello dell'attore. La Corte territoriale respingeva il gravame del F. G. il quale sosteneva che la prova della sua legittimazione attiva derivava dall'essere state avviate procedure per la nomina di un amministratore di sostegno del fratello, che non aveva moglie e figli, da esso F. G., e per l'interdizione dello stesso, dal PM, nonché dagli atti penali che avevano portato alla condanna della C. C. a tre anni di reclusione ed € 1.200,00 di multa, per reati commessi ai danni del padre adottivo, di circonvenzione di incapace e induzione indotta, in quanto dopo essere stata assunta come badante, nel settembre 2016, aveva indotto il F. D. ad adottarla, e che «egli era venuto a conoscenza del dolo della C. C.» soltanto «il 21.2.2020 con la richiesta di copia del procedimento di sequestro preventivo» e confermava la valutazione fatta dal giudice di prime cure, secondo cui la domanda di revocazione era inammissibile per difetto di legittimazione attiva di F. G., in virtù del fatto che costui aveva adito la Corte in qualità, non di erede ma, di fratello di F. D., deceduto il OMISSIS , senza essere stato parte del giudizio, all'esito del quale era stata dichiarata l'adozione di C. C Invero, la Corte d'appello di Milano rilevava che l'appellante F. G., in quanto fratello di F. D., avrebbe potuto far valere il suo interesse a rimuovere l'avvenuta adozione unicamente con il rimedio dell'opposizione di terzo ex articolo 404 c.p.c., mentre la revocazione costituiva un mezzo ordinario di impugnazione, ex articolo 323 c.p.c., riservato soltanto a coloro che hanno preso parte al precedente giudizio Avverso tale sentenza, F. G. propone ricorso per cassazione, notificato il 24/3/2023, affidandosi a due motivi, nei confronti di C. C. che resiste con controricorso . Il ricorrente ha depositato memoria. Ragioni della decisione Il ricorrente lamenta a con il primo motivo la violazione e falsa applicazione dell'articolo 395 numero 1 c.p.c., sostenendo che egli, in qualità di erede di F. D., è titolare del diritto di impugnare per revocazione una sentenza effetto di dolo «ai suoi danni», in quanto, a parere del ricorrente, gli eredi dell'adottante sono «parti del procedimento d'adozione», tanto che, ai sensi dell'articolo 298, comma 4, c.p.c., quest'ultimi possono presentare al Tribunale memorie e osservazioni per opporsi all'adozione, chiedendo, altrimenti, sollevarsi questione di legittimità costituzionale di detta disposizione in relazione all'articolo 3 Cost., sussistendo una disparità di trattamento tra la posizione dei genitori dell'adottando o del coniuge dell'adottante – il cui consenso all'adozione è previsto dall'articolo 297 c.c. – e gli eredi dell'adottante b con il secondo motivo, in via subordinata, violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 numero 3 c.p.c., degli articolo articolo 395 e 404 c.p.c. , denunciando che la Corte d'appello e, ancor prima il Tribunale di Busto Arsizio, non abbiano riqualificato l'azione di revocazione in opposizione di terzo revocatoria, essendo previsto dal comma 2 dell'articolo 404 c.p.c. «che taluni terzi… possano attaccare la sentenza, quando questa è l'effetto di dolo a loro danno». 2. La controricorrente eccepisce l'inammissibilità ed infondatezza nel merito del ricorso, rilevando, in relazione al secondo motivo, che l'azione di opposizione di terzo revocatoria, ove possa così essere riqualificata l'originaria domanda, risultava proposta oltre il termine di trenta giorni dalla scoperta del dolo, che nella specie, come anche eccepito in primo grado, doveva ritenersi essere intervenuta già dal 2017, in quanto, con una querela dal medesimo F. G. proposta, nell'aprile di quell'anno, quest'ultimo lamentava l'asserito dolo della resistente, e inoltre nel procedimento penale apertosi a carico di essa C. C. egli aveva avuto conoscenza della sentenza di adozione. 3. La prima doglianza è infondata. Il ricorrente deduce di avere agito in qualità di fratello ed erede dell'adottante e di essere come tale legittimato. 3.1. Deve anzitutto rilevarsi che parti del procedimento di adozione di maggiorenne in esame sono esclusivamente l'adottante, l'adottando ed il pubblico ministero. E gli stessi soggetti sono i soli legittimati ad impugnare il decreto di adozione. Ai sensi dell'articolo 305 c.c., l'adozione si può revocare soltanto nei casi di a revoca per indegnità dell'adottato articolo 306 c.c. , quando l'adottato abbia «attentato» alla vita dell'adottante o del suo coniuge oppure alla vita dei suoi discendenti o degli ascendenti o si sia reso colpevole nei loro confronti di un delitto punibile con pena detentivi non inferiore nel minimo a tre anni b revoca per indegnità dell'adottante. Il testo originario dell'articolo 313 c.c., è stato modificato ad opera della L. numero 184 del 1983, che ha previsto l'obbligo di motivazione del decreto di adozione di persone di maggiore età e, inserendovi un secondo comma, la reclamabilità alla Corte d'appello da parte dell'adottante, dell'adottato e del pubblico ministero, Successivamente, la L. numero 149 del 2001 ha previsto per l'adozione la forma della sentenza e la possibilità di proporre «impugnazione» alla corte d'appello da parte dei medesimi soggetti. Questa Corte ha affermato che « il decreto che pronunzia l'adozione di persone di maggiore età articolo 314 c.c. è costitutivo dell'adozione, produce effetti direttamente incidenti sullo status dell'adottato ed è connotato dalla stabilità, comprovata dalla circostanza della previsione della sua revocabilità soltanto in casi tassativi e specifici articolo 305-309 c.c. , in conseguenza di fatti sopravvenuti e con efficacia ex tunc pertanto, poiché siffatto decreto ha natura di provvedimento decisorio e definitivo, i vizi sia processuali sia sostanziali che, eventualmente, lo inficiano e ne determinano la nullità si convertono in motivi di impugnazione e possono essere fatti valere esclusivamente con il mezzo di impugnazione previsto dall'ordinamento, con la conseguenza che la decadenza dall'impugnazione comporta che gli stessi, in applicazione del principio stabilito dall'articolo 161 c.p.c., non possono essere più dedotti, neppure con la actio nullitatis » Cass. 13171/2004 conf. Cass. 12556/2012, con la quale si è confutata la tesi dei ricorrenti secondo cui il reclamo ex articolo 313 c.c. potrebbe ammettersi soltanto per i vizi processuali o per l'assenza dei presupposti di legge dell'adozione, mentre quelli sostanziali, quali mancanza o vizi del consenso, incapacità legale o naturale, scopo illecito, ecc., sarebbero stati esperibili le ordinarie azioni negoziali di nullità o annullamento . Sempre in tema di adozione di maggiorenni, anche in Cass. 4694/1992, pur affermandosi che il consenso dell'adottante assume carattere negoziale e quindi resta soggetto alla disciplina concernente i negozi privatistici, che inquadra si è aveva poi precisato il principio secondo cui «nel caso di incapacità naturale dell'adottante al momento della prestazione del consenso, la mancanza di una espressa previsione normativa circa le persone legittimate a far valere la suddetta situazione invalidante, raffrontata alla dettagliata e specifica indicazione delle categorie di persone e congiunti legittimati a proporre le singole azioni dettata dal codice civile in materia di diritto di famiglia, esclude che possa trovare applicazione in materia la disposizione generale di cui all'articolo 428 cod. civ., atteso che tale norma, nel consentire l'esercizio dell'azione anche agli eredi e aventi causa, appare volta a tutelare interessi essenzialmente patrimoniali, con la conseguenza che soggetto legittimato a proporre l'azione di impugnazione del consenso dell'adottante è soltanto lo stesso adottante, titolare della posizione soggettiva in contestazione, dovendo tale azione considerarsi esclusivamente personale e non trasmissibile, se non esercitata in vita dal detto titolare del rapporto adottivo» tale principio è stato tanto più ribadito nella successiva numero 12556/2012 essendosi scelta la tesi della necessità di fare valere anche i vizi sostanziali del decreto di adozione con il reclamo previsto dall'ordinamento . Il disposto del quarto comma dell'articolo 298 c.c. secondo cui «gli eredi dell'adottante possono presentare al tribunale memorie e osservazioni per opporsi all'adozione» non ha il significato voluto dal ricorrente, di riconoscimento da parte del legislatore della qualità di parte nel procedimento di adozione dell'erede dell'adottante. La disposizione deve infatti essere letta unitamente al terzo comma dell'articolo 298 c.c., che contempla l'ipotesi in cui l'adottante muoia «dopo la prestazione del consenso e prima della emanazione del decreto», stabilendo che si possa comunque procedere «al compimento degli atti necessari per l'adozione» la procedura di adozione resta aperta e possono essere sentiti gli eredi dell'adottante che aveva espresso il consenso all'adozione prima del decesso . Ma tale ipotesi non ricorre nella fattispecie, essendo il decesso dell'adottante intervenuto nel 2020, tre anni dopo che la sentenza di adozione della C. C. era stata pronunciata, nel 2017. La questione di legittimità costituzionale, con la quale si pongono sullo stesso piano, ipotizzando disparità di trattamento e violazione del principio di eguaglianza, i genitori dell'adottando o il coniuge dell'adottante che devono prestare assenso all'adozione , da un lato, e «gli eredi dell'adottante», dall'altro, è manifestatamente infondata, per la sola considerazione che anche i genitori dell'adottando e il coniuge dell'adottante non sono parti del processo di adozione. 3.2. Nella specie, la sentenza di adozione, a distanza di tre anni dalla pubblicazione, è stata impugnata dal fratello dell'adottante per revocazione per dolo di una parte ai danni dell'altra, ex articolo 395 numero 1 c.p.c Il rimedio generale prescelto deve ritenersi in astratto ammissibile cfr. Cass. 4780/1991, in fattispecie di adozione di minorenne . Orbene, la Corte d'appello ha rilevato che, essendo la revocazione, ex articolo 395 c.p.c. nella specie proposta per dolo della parte, l'adottanda, poi adottata, C. C. , un mezzo ordinario di impugnazione, secondo i principi generali in tema di interesse e legittimazione ad impugnare, sono soltanto coloro che hanno preso parte al precedente giudizio che la possono esperire. La motivazione deve essere corretta, ai sensi dell'articolo 384 c.p.c In effetti, al giudizio di revocazione devono partecipare gli stessi soggetti che hanno preso parte al processo conclusosi con la pronuncia di cui si chiede la revoca, come già chiarito da questa Corte [Cass. 3228/1987, in cui si è precisato che in caso abbia partecipato al giudizio definito con la sentenza oggetto di revocazione un ente soppresso, deve essere convenuto il soggetto al primo succeduto ex lege, per assunzione delle relative funzioni nella successiva Cass. numero 1583/2020, inoltre, si è affermato che, stante «la peculiare natura della revocazione, che mira a restaurare il processo nelle condizioni in cui avrebbe dovuto trovarsi quello concluso con la sentenza revocanda se l'errore revocatorio non ci fosse stato», è «indefettibile la perfetta identità delle persone in relazione a tutte le parti processuali della sentenza revocanda anche nel giudizio di revocazione»]. Questa Corte, con riguardo alla revocazione ed alla posizione dell'erede, ha affermato che «l'erede, nella sua qualità di successore nella stessa situazione giuridica del defunto, non è titolare di un diritto autonomo, ma di un diritto derivativo ad impugnare per revocazione o con l'opposizione di terzo, una sentenza effetto di dolo o collusione ai danni del suo autore, con la conseguenza che se a costui sia rimasto precluso, per scadenza del termine o per altro motivo, l'esercizio della suddetta azione come anche, di ogni altra azione trasmissibile con l'eredità la medesima preclusione vale anche per il successore» Cass. 35/1971, in relazione a fattispecie in cui il defunto era decaduto dall'impugnativa per inosservanza del termine ex articolo 325 c.p.c. sia ai sensi dell'articolo 404, comma 1, c.p.c., sia ai sensi dell'articolo 395 numero 1 c.p.c., perché consapevole del dolo o della collusione, cosicché si è ritenuto che non potesse aver trasmesso l'azione alla moglie, erede testamentaria, non essendo la stessa mai entrata a far parte del suo patrimonio conf. Cass. 8284/2016 . Essendo dunque l'erede, in qualità di successore a titolo universale, titolare di un diritto derivativo e subentrando il medesimo nella stessa situazione giuridica del defunto, l'impugnativa è condizionata a «quei medesimi fatti costitutivi, modificativi ed estintivi, che condizionavano l'azione del precedente titolare» se al dante causa sia rimasto precluso, per tardività o altro motivo, l'esercizio di una determinata azione trasmissibile con l'eredità, la stessa preclusione varrà per il suo successore. Ne consegue che, anche se, come affermato nel presente ricorso dal ricorrente ma negato nella sentenza di primo grado , il F. G. avesse speso, nella citazione del 2020, introduttiva del giudizio di revocazione della sentenza di adozione del 2017, anche la qualità di unico erede del fratello D. che non aveva né moglie né figli, salvo l'adottata C.C. , in base a quanto sopra chiarito, deve escludersi che lo stesso F. G. fosse legittimato ad agire, atteso che l'erede dell'adottante non è parte del processo di adozione, dove non vi aveva infatti preso parte, e che non poteva succedere al de cuius F. D., in quanto egli era titolare di una posizione derivata, non autonoma e non poteva subentrare in una impugnativa in relazione alla quale il de cuius era già decaduto. Nella memoria, il ricorrente ribadisce che il proprio ricorso si fonda sulla mancata considerazione della qualità di parte nel processo, con conseguente sua legittimazione all'azione di revocazione dell'adozione, dell'odierno ricorrente quale unico erede del fratello, circostanza non valutata dal Tribunale e dalla Corte d'appello. Avendo il ricorrente agito quale fratello ed erede dell'adottante e avendo «dimostrato» di essere suo successore, nella stessa posizione giuridica del fratello, non si potrebbe quindi affermare che «i successori di una delle parti non possono subentrare nella posizione di una delle parti processuali». Orbene, a prescindere dalla questione relativa alla qualificazione della domanda proposta e alla legitimatio ad causam, il subentro, in caso di morte della parte, del successore a titolo universale , ex articolo 110 c.p.c., nella stessa posizione processuale del proprio autore, presuppone che il processo sia pendente. Laddove il processo sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l'erede, successore universale, può impugnare per revocazione solo se, alla luce dei principi di diritto sopra richiamati, il dante causa non sia decaduto dall'impugnativa. Doveva essere allora dimostrato che, ai sensi dell'articolo 396 c.p.c., per il dante causa deceduto la scoperta del dolo fosse avvenuta dopo la scadenza del termine per impugnare. Ma il ricorrente ha soltanto dedotto che «egli» aveva scoperto il dolo della C. C. nell'anno 2020 dopo il decesso dell'adottante . Ciò che non basta. 4. Il secondo motivo è inammissibile. La Corte d'appello ha ritenuto che il F. G. non fosse legittimato ad impugnare per revocazione ex articolo 395 numero 1 c.p.c. la sentenza di adozione, in quanto terzo rimasto estraneo al precedente giudizio, e che l'unico rimedio impugnatorio esperibile era l'opposizione di terzo ex articolo 404 c.p.c., nella specie non esperita. Il ricorrente lamenta, in relazione a tale statuizione, che la domanda dal medesimo proposta in cui si contestava, sostanzialmente, l'opponibilità a sé della sentenza di adozione perché frutto del dolo dell'adottando doveva essere «riqualificata» come opposizione di terzo, essendo previsto dal secondo comma dell'articolo 404 c.p.c., che «gli aventi causa o i creditori di una delle parti possono fare opposizione alla sentenza, quando è l'effetto di dolo o collusione a loro danno». Orbene, fermo che l'attore F. G. non era legittimato a far valere la pretesa nullità di una sentenza che era stata resa inter alios, in quanto la legittimazione ad agire per revocazione compete solo a chi avesse assunto la qualità̀ di parte di quel giudizio, salvo l'ipotesi di successione nel diritto del de cuius trasmesso con l'eredità, deve rilevarsi che, quand'anche potesse la domanda qualificarsi come opposizione di terzo revocatoria ai sensi dell'articolo 404, cpv. c.p.c., piuttosto che come azione ai sensi dell'articolo 395, numero 1 c.p.c., avendo il F. G. lamentato essenzialmente che la causa di adozione era stata frutto di una macchinazione fraudolenta ai suoi danni, deve, in ogni caso, escludersi che il F. G. avesse la legittimazione ad agire in opposizione di terzo revocatoria, essendo riconosciuta tale azione solo «ai creditori o agli aventi causa di una delle parti», non rientrando gli eredi in quest'ultima categoria. Questa Corte ha infatti chiarito che «L'erede, nella sua qualità di successore nella stessa situazione giuridica del defunto, non è titolare di un diritto autonomo, ma di un diritto derivativo ad impugnare per revocazione o con l'opposizione di terzo, una sentenza effetto di dolo o collusione ai danni del suo autore, con la conseguenza che se a costui sia rimasto precluso, per scadenza del termine o per altro motivo, l'esercizio della suddetta azione come anche, di ogni altra azione trasmissibile con l'eredità la medesima preclusione vale anche per il successore» Cass. numero 35/1971 conf. Cass. 8284/2016 . Si è quindi affermato che quando la legge parla di «aventi causa», senza ulteriori specificazioni, intende riferirsi, al più, soltanto ai successori a titolo particolare e che dalla formulazione dell'articolo 404, secondo comma, cod. proc. civ. non si ricavano elementi per ritenere che il legislatore abbia inteso derogare a tale principio generale Cass. 2323/1994 . Deve comunque ribadirsi, per quanto in questa sede interessa, che l'erede, successore nella situazione giuridica del defunto, non sia titolare di un diritto autonomo, ma di un diritto derivativo che lo legittima ad impugnare per revocazione o con l'opposizione di terzo una sentenza effetto di dolo o collusione ai danni del suo autore, tanto che, se a costui sia rimasto precluso l'esercizio delle azioni trasmissibili con l'eredità, la medesima preclusione vale anche per il successore. Il successore, a titolo universale, non può̀ pertanto essere considerato terzo poiché́ è l'effettivo titolare del diritto in contestazione, assumendo la stessa posizione del suo dante causa, come conformata da quest'ultimo, e venendo a profittare di tutti i diritti, le azioni e le facoltà̀ inerenti al titolo. La sentenza impugnata deve essere quindi soltanto corretta nella motivazione ex articolo 384 c.p.c. 5. Pertanto, il ricorso va respinto. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte respinge il ricorso condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 3.000,00, a titolo di compensi, oltre € 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13. Dispone che, ai sensi del D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.