Fermo restando che, ai fini dell’accertamento del mobbing in ambito lavorativo, il giudice deve valutare complessivamente i fatti allegati a sostegno della domanda del lavoratore, in caso di accertata insussistenza del mobbing bisogna comunque accertare se sussista un’ipotesi di responsabilità del datore di lavoro per non avere adottato tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore.
Questo è il principio cristallizzato dalla Corte di Cassazione chiamata a pronunciarsi su due questioni pressochè identiche Cass. civ., sez. lav., ord. 12 febbraio 2024 numero 3822 e 3791, testi disponibili a breve . Le sentenze impugnate, pronunciate, rispettivamente, dalla Corte d'Appello di Milano e dalla Corte d'Appello di Ancona, vedevano rigettare la richiesta di risarcimento presentata da due diverse assistenti amministrative scolastiche nei confronti del MIUR per i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a causa di comportamenti vessatori subiti sul posto di lavoro. Indagando sulla sussistenza e sulla configurabilità degli estremi del mobbing, la Cassazione ha dapprima ricordato che «l'elemento qualificante va ricercato non nella legittimità o illegittimità dei singoli atti bensì nell'intento persecutorio che li unifica, che deve essere provato da chi assume di avere subito la condotta vessatoria e che spetta al giudice del merito accertare o escludere, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto […] a tal fine la legittimità dei provvedimenti può rilevare, ma solo indirettamente perché, ove facciano difetto elementi probatori di segno contrario, può essere sintomatica dell'assenza dell'elemento soggettivo che deve sorreggere la condotta, unitariamente considerata» Cass. numero 26684/2017 . In altri termini «così come una pluralità di comportamenti illegittimi non implica, di per sé, il mobbing, allo stesso modo la legittimità di ogni singolo comportamento non esclude l'intento vessatorio. Quella che non può mancare è la valutazione complessiva della pluralità di fatti allegati come integranti il mobbing, fermo restando che la prova dell'elemento soggettivo è facilitata nel caso di comportamenti illeciti ed è, al contrario, resa più ardua dalla riscontrata legittimità di tutti i comportamenti denunciati come unitariamente finalizzati alla persecuzione e all'isolamento del lavoratore». Ciò posto, anche nel caso in cui fosse esclusa la sussistenza del mobbing, il giudice di merito deve valutare e accertare l'eventuale responsabilità del datore di lavoro per aver anche solo colposamente omesso di impedire che l'ambiente stressogeno provocasse un danno alla salute del ricorrente. In accoglimento dei due ricorsi, i Supremi Giudici hanno in conclusione affermato che « ai fini dell'accertamento dell'ipotesi di mobbing in ambito lavorativo, il giudice del merito deve procedere alla valutazione complessiva, e non meramente atomistica, dei fatti allegati a sostegno della domanda, al fine di verificare la sussistenza sia dell'elemento oggettivo pluralità continuata di comportamenti dannosi , che dell'elemento soggettivo intendimento persecutorio nei confronti della vittima in caso di accertata insussistenza del mobbing, il giudice del merito deve comunque accertare se, sulla base dei fatti allegati a sostegno della domanda, sussista un'ipotesi di responsabilità del datore di lavoro per non avere adottato tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, erano necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore nell'apprezzare la sussistenza di un danno alla salute e del nesso causale tra questo e l'ambiente di lavoro, il giudice non può prescindere da un esame critico delle risultanze della svolta c.t.u. medico legale per affidarsi esclusivamente a proprie intuizioni e convinzioni personali su aspetti il cui apprezzamento richiede particolari competenze tecniche».