Il Giudice ordinario non ha giurisdizione sull’atto amministrativo che autorizza all’uso di un predicato cognomizzato

Quando l’azione usurpativa ex articolo 7 c.c. si fonda sull’asserita illegittimità del provvedimento che concede un’aggiunta al cognome, l’atto amministrativo rileva come causa della lesione del diritto dedotto in giudizio e non solo come mero antecedente logico della decisione pertanto, non può essere oggetto né di esame né di disapplicazione da parte del Giudice ordinario.

Il caso Tizio agisce con l'azione a tutela del nome, di cui all' art 7 c.c. , nei confronti di Caio, che è stato autorizzato all'uso di un predicato cognomizzato, presente anche nel cognome dell'attore ma attribuito a quest'ultimo per l'appartenenza ad una determinata discendenza, mentre il resistente è stato autorizzato ad usarlo sulla base di ragioni affettive legate al luogo d'origine della famiglia paterna . L'attore chiede che sia dichiarato illegittimo l' uso del predicato cognomizzato e che lo stesso sia inibito al resistente, con conseguente condanna al risarcimento del pregiudizio subito e causato dallo svilimento della funzione identificatrice del cognome. La vicenda processuale La Corte d'appello rigetta la domanda attorea sulla base di due rilievi da un lato perché il requisito consistente nell' indebito utilizzo del nome, necessario per il proficuo esperimento dell'azione ex art 7 c.c. , non è sussistente nella fattispecie de qua giacché il resistente fa uso del nome sulla base di un provvedimento amministrativo autorizzatorio dall'altro lato il giudice di secondo grado nega la sua giurisdizione sulla causa giacché la stessa ha come oggetto la legittimità dell'atto amministrativo che è ritenuto lesivo del diritto al nome. Il ricorrente presenta ricorso per Cassazione e anche il giudice di legittimità rigetta il ricorso. La tutela del diritto al nome La Cassazione rammenta la funzione del cognome come strumento identificativo della persona Corte Cost. numero 13/1994 e ribadisce che l' azione ex art 7 c.c. , che tutela il nome, si estende anche alla cognomizzazione del predicato nobiliare ex multis C. Cass. numero 2426 del 1991 Cass. numero 10936/1997 Cass. numero 2426/1999 Cass. numero 32155/2023 . Infatti, i predicati di titoli nobiliari costituiscono elementi di individuazione e di identità della persona e a queste condizioni possono essere “cognomizzati” ed entrare a far parte del nome Cass. numero 10936/1997 . Il problema e la soluzione della Cassazione Il ricorrente afferma la piena giurisdizione del Giudice ordinario sulla base del fatto che l'esistenza di un provvedimento amministrativo, che aggiunge un predicato al cognome del resistente, non può avere svolto alcun ruolo degradante sul diritto soggettivo dell'attore alla tutela del suo nome. Pertanto, spetta al Giudico ordinario il potere di disapplicazione dell'atto amministrativo al fine di decidere nel merito sull'azione usurpativa. La Corte di Cassazione non accoglie il ricorso e, nel richiamare un precedente delle Sezioni Unite sentenza numero 2925/1971 , all'opposto afferma che il provvedimento amministrativo di concessione dell'aggiunta di cognome ha effetti costitutivi e quindi non può essere oggetto di esame incidentale da parte del Go ai fini della disapplicazione. Nel caso di specie il presupposto dell'azione usurpativa è proprio l'atto amministrativo asseritamente illegittimo che rileva come causa della lesione del diritto dedotto in giudizio e non solo come mero antecedente logico della decisione . Pertanto, la questione non può prospettarsi come pregiudiziale in senso tecnico e non si può riconoscere il potere di disapplicazione al giudice ordinario Cass. numero 2588/2002 .

Presidente Genovese – Relatore Iofrida Fatti di causa La Corte d'appello di Milano, con sentenza numero 2527/2022 , ha confermato la decisione di primo grado che - in giudizio promosso, dinanzi al Tribunale di Sondrio, da Ra.Di., figlio di Ra.Di., a sua volta nipote, per parte di padre, di Papa Pio XI, nato con il nome Ra.Ac., cui la desinenza Di. era stata aggiunta al cognome dagli ascendenti in forza di decreto motu proprio del Re Vittorio Emanuele III del 16/7/36 nel quale si specificava che l'aggiunta del suffisso Di. al cognome Ra. era concessa soltanto ai discendenti legittimi e naturali di ambo i sessi per continuare in linea retta mascolina da Ra.Fe. , nei confronti di Ra.Di., al fine di sentire dichiarare illegittimo utilizzo da parte del convenuto del predicato Di. , con inibitoria a tale ulteriore uso e accertamento del pregiudizio subito dall'attore per svilimento della funzione identificatrice del predicato cognomizzato Di. , stante la voluta confusione tra i legittimi congiunti di Papa Pio XI e persone che nulla hanno a che vedere con la famiglia del Pontefice, il tutto previa disapplicazione del decreto del Ministro dell'Interno del 22/11/2015 che, sulla base del R.D. n 1238/1939, aveva consentito l'aggiunta, al cognome Ra., del predicato Di. sulla base delle allegate ragioni affettive verso la città di D, dove aveva origine la famiglia paterna - aveva declinato la propria giurisdizione, in quanto oggetto del contendere era proprio l'atto amministrativo con cui il convenuto era stato autorizzato ad aggiungere al cognome il predicato Di. . In particolare, i giudici di appello hanno osservato che a nella specie, non ricorre il requisito richiesto dall' articolo 7 c.c. , nell'azione contro l'usurpazione del nome altrui, dell' indebito utilizzo , in quanto l'uso da parte di Ra.Di. del cognome con l'aggiunta della desinenza Di. è avvenuto in forza del decreto ministeriale del 2015 b nella specie, il giudice ordinario non può disapplicare l'atto amministrativo previa una valutazione incidentale della sua legittimità come mero antecedente o questione pregiudiziale in senso tecnico, in quanto la cognizione dell'atto amministrativo, ritenuto lesivo del diritto soggettivo al nome, costituisce l'oggetto diretto dell'accertamento richiesto. Avverso la suddetta pronuncia, Ra.Di. propone ricorso per cassazione, notificato 17/2/2023, affidato a due motivi, nei confronti di Ra.Di. che resiste con controricorso . Entrambe le parti hanno depositato memorie. Ragioni della decisione 1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione per errata applicazione , ex articolo 360 numero 1 c.p.c. , degli articolo 24,113,103 Cost., e 4 e 5 l. 2248/1865 all. E, per avere la Corte d'appello confermato la decisione di primo grado che aveva declinato la propria giurisdizione in favore del giudice amministrativo con il secondo motivo, si denuncia la violazione , ex articolo 360 numero 3 c.p. -c., dell'articolo 7 c.c , per avere la Corte d'appello ritenuto che non possa configurarsi un indebito utilizzo del cognome a fronte del provvedimento ministeriale di concessione dell'aggiunta del cognome. 2. Le censure, da trattare unitariamente in quanto connesse, sono infondate. 2.1. Assume il ricorrente, nella prima censura, che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario nel presente giudizio promosso ex articolo 7 c.c. a tutela del diritto al nome strumento fondamentale identificativo della persona, rientrante nel diritto soggettivo, fondamentale e perfetto, all'identità personale e specificamente del diritto alla cognomizzazione del predicato, divenuto parte del cognome, non potendo assumere rilievo ostativo il fatto che il resistente abbia ottenuto un provvedimento amministrativo, ampliativo, di modifica del cognome, da intendersi rilasciato con la clausola implicita o esplicita di salvezza dei diritti dei terzi . Invero, il giudizio si svolge tra privati, per indebito utilizzo del cognome, e il provvedimento amministrativo non può avere svolto alcun ruolo degradante sul diritto soggettivo perfetto del ricorrente, il quale non ha preso parte nel procedimento pubblicistico tra l'amministrazione e un terzo, potendo la legittimità del provvedimento nella specie contestata per violazione dell' articolo 89 , comma 3, DPR 396/2000 essere sindacata dal giudice ordinario, adito in sede civile per assunta violazione di un diritto soggettivo, attraverso la chiesta disapplicazione degli effetti dell'atto. Nella seconda censura, si lamenta che la Corte d'appello, sia pure confermando la statuizione di primo grado di declinatoria di giurisdizione, abbia comunque ritenuto infondata nel merito l'azione per indebito utilizzo del cognome ex articolo 7 c.c. , laddove il carattere indebito della condotta del resistente emergeva dal fatto che l'utilizzo del predicato Di. aveva determinato un'errata percezione sociale della persona del resistente che viene del tutto indebitamente identificato come appartenente alla famiglia di cui faceva parte il Pontefice . 2.2. L'azione c.d. di usurpazione di predicato cognomizzato di Desio è promossa dall'attuale ricorrente, cui la desinenza di Desio è stata aggiunta al cognome dagli ascendenti in forza di decreto motu proprio del Re Vittorio Emanuele III del 16/7/36 , nei confronti di Ra.Di., per il preteso uso indebito, da parte di quest'ultimo, del predicato cognomizzato Di. e per il preteso pregiudizio derivatone al primo articolo 7 comma 1 cod. civ. . Ma, nella specie, il giudice di merito adito ha rilevato che il resistente non usa di fatto il suddetto nome cognome , essendo stato autorizzato con decreto ministeriale del 22/11/2005 alla modifica integrativa del cognome, finalizzata ad individuare l'origine della famiglia paterna Di. e l'aggiunta del cognome materno Le. , e che nel giudizio l'accertamento dell'illegittimità del decreto ministeriale del 2005, ai sensi dell'articolo 89, comma 3, DPR 396/2000 , assumeva un ruolo centrale e non aveva valenza di mera pregiudiziale tecnico, con conseguente insussistenza dei presupposti per una disapplicazione in via incidentale dell'atto amministrativo. Orbene, secondo l'insegnamento della Corte Costituzionale, accanto alla tradizionale funzione del cognome quale segno identificativo della discendenza familiare, con le tutele conseguenti a tale funzione, occorre riconoscere che il cognome stesso in alcune ipotesi già gode di una distinta tutela anche nella sua funzione di strumento identificativo della persona Corte cost. 3 febbraio 1994, numero 13 . Fra queste ipotesi la giurisprudenza di questa Corte ha ammesso anche la c.d., cognomizzazione del predicato nobiliare Cass. Civ., numero 2426 del 7-3-1999 da ultimo Cass. 32155/23 . Si tratta dei casi in cui una specifica denominazione di varia origine geografica, fisica, storica, caratteriale, ecc. acquista la particolare forza individualizzante di uno specifico casato o di una stirpe, dalla cui appartenenza un soggetto intenda ricavare e far derivare un diritto soggettivo al nome Cass., Sent. numero 10936 del 7-11-1997 . Il tema è stato affrontato soprattutto con riferimento ai titoli nobiliari italiani, in relazione ai quali, questa Corte sent. numero 2361 del 1978 sent. numero 2426 del 7-3-1991 ha chiarito che l'azione diretta ad acquisire come parte del cognome il predicato di un titolo nobiliare ai sensi della XIV disposizione transitoria della Costituzione va proposta in via contenziosa ordinaria nei confronti del Pubblico Ministero e di eventuali privati controinteressati . La c.d. cognomizzazione dei predicati di titoli nobiliari è quindi possibile, nei limiti fissati dalla sentenza della Corte costituzionale numero 101 del 1967 e nei limiti della tutela giurisdizionale che nell'ordinamento riceve il diritto al nome articolo 2 Cost. articolo 7 c.c. . In particolare, va ricordato che la specifica tutela prevista dall' articolo 7, del cod. civ. non riguarda solo facoltà di interdire fatti di usurpazione o spossessamento o abuso di titolo, ma anche atti di rivendicazione, in senso proprio, di cognomi connessi a titoli o denominazioni di casato. Nella specie, la modifica del cognome del resistente è stata autorizzata con decreto ministeriale ai sensi dell' articolo 89 DPR 396/2000 . Questa Corte a Sezioni Unite, nella pronuncia numero 2925/1971, ha precisato che Per affermare la giurisdizione del giudice ordinario o del giudice amministrativo non è sufficiente tener conto della qualificazione data dall'attore all'interesse di cui domanda la tutela, o del fatto che egli neghi in radice il potere di cui l'atto impugnato costituisce la estrinsecazione, o si sostenga piuttosto che la questione concerne il modo di essere del potere, ma occorre invece qualificare giuridicamente la questione prospettata, tenendo conto dei termini in cui essa e impostata concretamente, al fine di stabilire se, in rapporto ad essi e con riferimento alla disciplina legale della materia l'interesse individuale che si assume leso sia in realtà configurabile direttivamente come diritto soggettivo o interesse legittimo. Appartiene, in conseguenza, alla giurisdizione amministrativa la cognizione della controversia nella quale l'avente diritto ad un determinato cognome per titolo di nascita chieda la dichiarazione di illegittimità del decreto del Capo dello stato di concessione dell'aggiunta dello stesso cognome ad altri e, di conseguenza, la dichiarazione di illegittimità ed illiceità dell'uso da parte degli stessi di tale cognome. Il potere del Capo dello stato di autorizzare cambiamenti od aggiunte di nomi e cognomi ha, infatti, natura di concessione costitutiva di diritti a favore dei concessionari ed e pienamente discrezionale, sicché i soggetti che hanno diritto al proprio nome per nascita si trovano, rispetto all'esercizio di tale potere, nella posizione di terzi portatori di un interesse, sia pure qualificato al retto esercizio dello stesso, in quanto con l'esatta applicazione della disciplina normativa può essere mantenuta o in Sede di tutela ristabilita l'idoneità del cognome ad identificare in modo più o meno specifico il portatore di esso per titolo di nascita . Le Sezioni Unite, adire in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, in giudizio tra privati vertente sull'indebito utilizzo di un cognome aggiunto per effetto di decreto presidenziale, hanno osservato, di fronte alla modificazione della domanda dell'attore, a seguito dell'eccezione di difetto di giurisdizione proposta dal convenuto, nel senso di chiedere declaratoria di uso indebito del cognome da parte dei convenuti, previo accertamento incidentale della illegittimità del decreto presidenziale, che il provvedimento presidenziale di concessione dell'aggiunta di cognome, per i suoi effetti costitutivi inscindibili inter partes ed erga omnes non può essere oggetto di esame incidentale circa la sua illegittimità ai fini della disapplicazione per la tutela di questa o quella concreta situazione giuridica, nei confronti cioè solo di alcuni determinati soggetti e non pure della generalità dei consociati. In motivazione, si è affermato che Invero, ogni persona ha diritto al nome comprensivo del prenome e del cognome, articolo 6 cod. civ. che per legge le è attribuito, essendo il nome il mezzo di identificazione della persona nei rapporti con le altre persone. È un diritto che è anche un dovere essere, essendo necessario per l'ordine e la pace sociale che ciascuna persona sia identificata con un nome che valga ad indicarla specificamente. Tutta la complessa e minuziosa disciplina degli atti dello stato civile e dei servizi relativi risponde a questa fonda mentale esigenza pubblica di identificare anzitutto ogni singola persona per poterne poi seguire le vicende della vita in relazione ai suoi rapporti con le altre persone, con l'aggregato sociale, con lo Stato. In tal modo il nome è certa mente un requisito indispensabile della persona, quale soggetto di un ordinamento giuridico, un requisito della sua vita di relazione, necessario per determinarla e differenziarla. La disciplina del diritto al nome, perciò, non può prescindere in alcun momento da questa struttura complessa ed indivisibile del nome come diritto e come dovere, come modo di essere necessario dell'individuo nei confronti con gli altri individui assoggettati al medesimo ordinamento giuridico nell'interesse dell'individuo cui il nome è attribuito ma an che e soprattutto nell'interesse dell'aggregato sociale del quale egli fa parte, con l'implicazione di molteplici relazioni, neppure determinabili a priori . Nella specie i convenuti avevano acquisito il contestato cognome aggiunto sulla base di un decreto del Capo dello Stato, provvedimento concessivo regolato negli articolo 153segg. r. decreto legge 9 luglio 1939 numero 1238. Le Sezioni Unite, sempre in motivazione, hanno osservato che Il potere cosi attribuito al Capo dello Stato, del quale in passato è stata affacciata perfino l'appartenenza a prerogativa personale di lui, è indubbiamente di natura amministrativa, ha carattere di piena discrezionalità, anche in presenza di opposizione alla domanda da parte degli interessati a che il cambiamento o l'aggiunta del cognome non siano disposti, ed è qualificato dalla dottrina come atto di concessione, costitutivo, come tale, di diritti soggettivi a favore dei concessionari con la trascrizione e l'annotazione sui registri dello stato civile, esso acquista efficacia costitutiva erga omnes e tale efficacia è dalla legge considerata tanto inscindibile da quella verso il richiedente ed 'eventuali interessati opponenti, che essa dispone articolo 163 citato r. decreto del 1939 che gli effetti del decreto autorizzante il cambiamento o l'aggiunta del nome rimangono sospesi fino all'adempimento delle formalità ora dette nei registri dello stato civile. In presenza del potere attribuito al Capo dello Stato di autorizzare cambiamenti o aggiunte di nomi e cognomi, i portatori di un nome per titolo di nascita hanno sì un diritto soggettivo da vantare, ma tale diritto, che ha per contenuto l'uso del nome nell'esplicazione dei rapporti del titolare con i terzi, non implica il divieto che altri assuma o aggiunga al proprio lo stesso nome per un diverso titolo stabilito dalla legge, quale è indubbiamente la concessione ottenuta con decreto del Capo dello Stato. Di conseguenza, il titolare del cognome, non potendo opporre il suo diritto all'esercizio del potere del Capo dello Stato concernente la detta concessione, si trova ad essere, rispetto all'esercizio di tale potere, nella posizione di terzo portatore di un interesse, sia pure qualificato, al retto esercizio del potere stesso, in quanto con l'esatta applicazione della disciplina normativa di esso può essere mantenuta o, in sede di tutela, ristabilita l'idoneità del cognome ad identificare in modo più o meno specifico il portatore di esso per titolo di nascita . Di conseguenza non può riconoscersi un limite al cennato potere del Presidente della Repubblica, nel rispetto dell'uso legittimo che altri faccia del nome, se i privati interessati, nonostante la provocatio ad opponendum fatta con l'avviso, pubblicato nelle disposte forme legali, della presentazione della domanda di cambiamento o di aggiunta di cognome, possono non denunziare l'esistenza a proprio favore di situazioni giuridiche attive che sarebbero pregiudicate dall'accoglimento della domanda, sicché il decreto presidenziale sia emesso nell'ignoranza di tali particolari situazioni personali, nonostante la piena legittimità del procedimento che deve precedere l'emissione del decreto . Nella specie, avendo i convenuti avuto attribuito con decreto del Presidente della Repubblica il diritto di aggiungere al proprio il cognome contestato, l'uso che essi facevano di tale cognome non poteva ritenersi indebito, tanto che l'attore, non potendo la tutela del suo diritto al cognome prescindere dall'annullamento del provvedimento di concessione emesso a favore dei convenuti, ne aveva chiesto l'annullamento, velando la domanda con accorgimenti formali, quale l'apodittico richiamo agli articolo 4 e 5 legge 20 marzo 1865 numero 2248 , all. E , come oggetto di accertamento incidentale, essendo in realtà l'azione è diretta a togliere al decreto di concessione gli effetti suoi propri, a prescindere dalla lesione effettiva del diritto dell'atto . Le Sezioni Unite aggiungevano che il provvedimento presidenziale di concessione dell'aggiunta di cognome, per i suoi effetti costitutivi inscindibili inter partes ed erga omnes, non può essere oggetto di esame incidentale circa la sua illegittimità ai fini della disapplicazione per la tutela di questa o di quella concreta situazione giuridica, nei confronti cioè solo di alcuni determinati soggetti e non pure della generalità dei consociati come l'efficacia costitutiva del decreto opera erga omnes così la dichiarazione d'invalidità dev'essere operativa erga omnes. E questo risultato può con seguirsi, data la natura amministrativa del provvedimento, solo con la pronuncia di annullamento, che solo il giudice amministrativo può emettere . In effetti, il diniego ministeriale di autorizzazione al mutamento di nome, ai sensi degli articolo 153 e seguenti del R.D. 9 luglio 1939 numero 1238, recante l'Ordinamento dello stato civile oggi abrogato dall'articolo 110 del nuovo regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell' articolo 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997, numero 127 , emanato con D.P.R. 3-11-2000, numero 396 , costituiva, come affermato anche dal Consiglio di Stato cfr. IV Sez., numero 906/89 numero 26/86 numero 2572/2004 , provvedimento eminentemente discrezionale, in cui la salvaguardia dell'interesse pubblico alla tendenziale stabilità del nome, connesso ai profili pubblicistici dello stesso come mezzo di identificazione dell'individuo nella comunità sociale, può venire contemperata con gli interessi di coloro che quel nome intendano mutare o modificare nonché di coloro che a quel mutamento intendano opporsi. Dalla natura discrezionale dell'impugnato provvedimento di diniego discendeva - secondo i principi - che il sindacato giurisdizionale dello stesso poteva essere condotto dal giudice amministrativo, in sede di impugnazione del diniego amministrativo di mutamento del nome, quanto al vizio intrinseco dello sviamento, sotto il limitato profilo della manifesta irragionevolezza delle argomentazioni amministrative o del difetto di motivazione Cons. Stato numero 2275/2004 . Il DPR 396/2000 ha previsto, all'articolo 89, Modificazione del nome o del cognome, nel testo vigente ratione temporis anteriormente alle modifiche di cui al DPR numero 54/2012 nella specie, l'atto amministrativo di autorizzazione alla modifica integrativa del cognome del controricorrente è del 2005 , che 1. Salvo quanto disposto per le rettificazioni, chiunque vuole cambiare il nome o aggiungere al proprio un altro nome ovvero vuole cambiare il cognome perché ridicolo o vergognoso o perché rivela origine naturale, deve farne domanda al prefetto della provincia del luogo di residenza o di quello nella cui circoscrizione è situato l'ufficio dello stato civile dove si trova l'atto di nascita al quale la richiesta si riferisce. 2. Nella domanda si deve indicare la modificazione che si vuole apportare al nome o al cognome oppure il nome o il cognome che si intende assumere. 3. In nessun caso può essere richiesta l'attribuzione di cognomi di importanza storica o comunque tali da indurre in errore circa l'appartenenza del richiedente a famiglie illustri o particolarmente note nel luogo in cui si trova l'atto di nascita del richiedente o nel luogo di sua residenza . L'articolo 90 prevede che il prefetto, assunte informazioni sulla domanda, se la ritiene meritevole di essere presa in considerazione, autorizzi con suo decreto il richiedente a fare affiggere all'albo pretorio del comune di nascita e di attuale residenza del medesimo richiedente un avviso contenente il sunto della domanda. L'articolo 91 contempla la possibilità di fare opposizione anche da parte di chi vanti ragioni impeditive rispetto all'istanza del richiedente la modifica. Si tratta comunque di una procedura amministrativa atta a consentire la possibile modifica o integrazione del cognome sulla base dell'esercizio di discrezionalità amministrativa. Ora, non può negarsi che l'azione di usurpazione promossa dal ricorrente ex articolo 7 c.c. , richiedendo la verifica del presupposto dell'indebito utilizzo del nome altrui, implicava l'accertamento dell'illegittimità del provvedimento amministrativo che autorizzava, nel 2005, il controricorrente all'aggiunta nel cognome Ratti della desinenza Di. , non in via meramente incidentale, ma come questione principale del thema decidendum. Il petitum sostanziale dell'azione giudiziaria promossa dal ricorrente, rivolta all'accertamento dell'asserito illegittimo utilizzo del cognome ovvero del predicato cognomizzato da parte del resistente, non di fatto ma in forza di decreto ministeriale del 2005, implicava necessariamente l'accertamento dell'illegittimità del provvedimento amministrativo come questione principale e non come mera pregiudiziale tecnica. Secondo questa Corte appartiene alla cognizione del giudice ordinario la controversia in cui venga in rilievo un diritto soggettivo nei cui confronti la pubblica amministrazione eserciti un'attività vincolata, dovendo verificare soltanto se sussistano i presupposti predeterminati dalla legge per l'adozione di una determinata misura, e non esercitando, pertanto, alcun potere autoritativo correlato all'esercizio di poteri di natura discrezionale tra le altre, Cass., S.U., 25 settembre 2017, numero 22254 Cass., S.U., 11 maggio 2018, numero 11576 Cass., S.U., 28 maggio 2020, numero 10089 Cass., S.U., 14 marzo 2022, numero 8188 . Il potere di disapplicazione dell'atto amministrativo illegittimo da parte del giudice ordinario può essere esercitato unicamente nei giudizi tra privati e nei soli casi in cui l'atto illegittimo venga in rilievo, non già come fondamento del diritto dedotto in giudizio, bensì come mero antecedente logico, sicché la questione venga a prospettarsi come pregiudiziale in senso tecnico Cass. Sez. Unumero 2244/2015 , non già come fondamento del diritto dedotto in giudizio. Questa Corte a sezioni Unite Cass. 2588/2002 ha quindi ribadito che Il giudice ordinario può disapplicare l'atto amministrativo, ai sensi dell'articolo 5 della legge numero 2248 del 1865 all. E, solo quando la valutazione della legittimità del medesimo debba avvenire in via incidentale, ossia quando l'atto non assume rilievo come causa della lesione del diritto del privato, ma come mero antecedente, sicché la questione della sua legittimità viene a prospettarsi come pregiudiziale in senso tecnico e non come principale . In motivazione, si legge la inapplicabilità, nella specie, della norma suddetta costituisce conclusione certamente esatta in base alla generale considerazione, svolta sotto il profilo processuale secondo la prospettiva delineata dall' articolo 34 c.p.c. , che il giudice ordinario non ha il potere di risolvere incidenter tantum una questione, qualora la risoluzione di essa importi, con il sindacato di legittimità su un atto amministrativo riservato esclusivamente ad un giudice speciale, la conseguente risoluzione della questione principale se tale atto debba spiegare tutti i suoi effetti nel giudizio pendente innanzi al giudice di ordinario . E il presupposto dell'indebito asserito utilizzo del predicato cognomizzato, ai fini della tutela dettata dall' articolo 7 c.c. , era appunto proprio l'illegittimità del decreto ministeriale di modifica in senso integrativo del cognome del controricorrente. L'atto amministrativo asseritamente illegittimo viene qui in rilievo proprio come fondamento del diritto dedotto in giudizio, non come mero antecedente logico, cosicché la questione relativa non viene a prospettarsi come pregiudiziale in senso tecnico, con potere di disapplicazione da parte del giudice ordinario. 3. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte respinge il ricorso condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.000,00, a titolo di compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell 'articolo 13, comma 1 quater del DPR 115/200 2, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.