Chiamata in correità e valore delle dichiarazioni rese dall’imputato al collaboratore di giustizia

La pronuncia in commento si occupa della valenza probatoria delle dichiarazioni rese in precedenza dall’imputato al collaboratore di giustizia, considerandole come confessione.

L'imputato era condannato per il delitto di omicidio, in qualità di esecutore. La difesa presentava ricorso in Cassazione, lamentando tra gli altri, la inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dai collaboratori relative alle informazioni apprese dallo stesso imputato, per l'impossibilità di esaminare la fonte primaria. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, sul rilievo che le dichiarazioni autoaccusatorie da essi provenienti, riferite dai collaboratori, hanno natura confessoria . Procedendo con ordine, deve rilevarsi innanzi tutto che, ai sensi dell' articolo 187 c.p.p. , oggetto della prova sono i fatti che si riferiscono all'imputazione . Il thema probandum logicamente deve trovare preciso ancoraggio ai principi di rilevanza e di pertinenza , onde evitare il rischio di rendere indeterminato l'oggetto stesso dell'accertamento penale. Sotto altro aspetto, l' articolo 192 c.p.p. , al comma 1 che detta la regola generale, secondo cui il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati, raccordando così, con corrispondenza biunivoca, l'aspetto valutativo all'obbligo di motivazione. Il principio in esame non è posto in crisi dalle previsioni contenute nei commi successivi dell' articolo 192 c.p.p. , in cui si codifica, forse superfluamente, apparendo sufficiente la previsione contenuta nel comma 1 dello stesso articolo, un “segnale didattico” per la valutazione di dati probatori che, isolatamente considerati, si rivelano di minore efficacia dimostrativa, quali - da un lato - gli indizi in genere e - dall'altro - quegli specifici indizi costituiti dai contributi dichiarativi di coimputati del medesimo reato, di imputati in procedimento connesso a norma dell' articolo 12 c.p.p. e di imputati di un reato collegato ex articolo 371 c.p.p., comma 2, lett. b i primi, per integrare la prova del fatto, devono essere gravi, precisi e concordanti la valutazione probatoria dei secondi è subordinata anche alla simultanea presenza di altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità. La selezione di tali linee-guida lungo le quali il giudice, nell'operazione intellettiva di valutazione di questa tipologia di prove, deve muoversi si atteggia a metodo euristico, normativamente imposto, per scrutinare prove legalmente acquisite e verificarne la conducenza rispetto all'enunciazione accusatoria si pone, almeno in apparenza, come deroga al principio del libero convincimento, senza determinarne, però, un'effettiva contrazione o addirittura il superamento sotto il profilo contenutistico non introduce, in via indiretta, un limite negativo di prova legale a tale principio e quindi una regola di esclusione probatoria lascia al decidente, in assenza di qualunque indicazione aprioristica di segno contrario, la libertà di utilizzare anche propalazioni di chiamanti in correità o in reità prive di riscontri e legittimamente acquisite, non per inferirne la sicura sussistenza del fatto a carico dell'accusato caso in cui è necessaria la conferma ab extra , ma nella prospettiva, per esempio, di evidenziare una trama di mendacio ordita in danno del medesimo soggetto, attinto da chiamate plurime. Il principio cardine del libero convincimento del giudice , ribadito anche nel nuovo codice di rito, trova un limite nella norma di cui all' articolo 192 c.p.p. , comma 3, laddove prescrive che le dichiarazioni provenienti dai chiamanti in correità o in reità non possono , di per sé sole, costituire prova piena della responsabilità dell'imputato , e che le stesse assumono il valore di prova solo in presenza di riscontri probatori esterni. I riscontri devono essere indipendenti dalla chiamata, e cioè devono provenire da fonti estranee alla chiamata stessa, in modo da evitare il cosiddetto fenomeno della circolarità , da evitare, cioè, che sia la stessa chiamata a convalidare, in definitiva, se stessa. Non occorre che il riscontro esterno abbia lo spessore di una prova autosufficiente, perché, in caso contrario, la chiamata non avrebbe alcun rilievo, perché la prova si fonderebbe su tale elemento esterno e non sulla chiamata in correità. Per riscontro , si deve intendere qualsiasi elemento o dato probatorio , non predeterminato nella specie e qualità, e quindi avente qualsiasi natura , sicché può consistere in elementi di prova sia rappresentativa che logica, e può consistere anche in un'altra chiamata in correità, a condizione che la stessa sia totalmente autonoma e avulsa rispetto alla prima. Da qui la constatazione che, in ordine alla valutazione della portata del riscontro, rivive intatto, fermo restando l'obbligo della motivazione, il principio del libero convincimento del giudice. In altri termini, quanto alla tipologia e all'oggetto dei riscontri, la genericità dell'espressione altri elementi di prova utilizzata dall' articolo 192 c.p.p. , comma 3, legittima l'interpretazione secondo cui, in subiecta materia , vige il principio della libertà dei riscontri , nel senso che questi, non essendo predeterminati nella specie e nella qualità, possono essere di qualsiasi tipo e natura, ricomprendere non soltanto le prove storiche dirette, ma ogni altro elemento probatorio, anche indiretto, legittimamente acquisito al processo e idoneo, anche sul piano della mera consequenzialità logica, a corroborare, nell'ambito di una valutazione probatoria unitaria, il mezzo di prova ritenuto ex lege bisognoso di conferma. Non si richiede che il riscontro integri la prova del fatto, giacché, se così fosse, perderebbe la sua funzione gregaria , sarebbe da solo sufficiente a sostenere il convincimento del giudice e verrebbe meno la necessità di far leva anche sulla prova principale, ritenuta da sola non sufficiente. Peraltro, la circostanza che il narrato extraprocessuale proveniente dalla fonte primaria non entra nel circuito dialettico, ma è veicolato nel processo attraverso i relata di coimputati o imputati in procedimento connesso o collegato, non si pone in contrasto con la Costituzione. Non si versa, infatti, nell'ipotesi in cui la persona che fornisce, per percezione diretta, la notizia si sottrae volontariamente, per libera scelta, all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore articolo 111 Cost. , comma 4, e articolo 526 c.p.p. , comma 1- bis . Si è di fronte, invece, all'impossibilità oggettiva di esaminare la fonte originaria, perché deceduta o perché riveste la qualità soggettiva di imputato. Soccorre, al riguardo, il comma quinto dell' articolo 111 Cost. , che prevede espressamente una deroga al principio del contraddittorio nella formazione della prova, ove si verifichi una causa oggettiva esterna, normativamente regolata, che lo impedisca. L'espressione “accertata impossibilità di natura oggettiva”, utilizzata nella norma costituzionale, implica che tale situazione formi oggetto di discussione tra le parti processuali, con la conseguenza che il contraddittorio viene recuperato attraverso il dibattito sull'esistenza in concreto del requisito dell'impossibilità oggettiva e la valutazione sull'attendibilità delle propalazioni de relato, considerate nel loro duplice aspetto di prova rappresentativa e di prova critica. L' articolo 195 c.p.p. , comma 3, legittima l'utilizzabilità dei relata , qualora l'esame del confidente diretto risulti impossibile per le ragioni non tassative ivi indicate morte, infermità, irreperibilità o per altre, come si è detto, alle prime assimilabili fonte diretta che, rivestendo lo status di imputato, non si sottopone all'esame . La pronuncia in commento si conforma all'orientamento a mente del quale le dichiarazioni autoaccusatorie da essi provenienti, riferite dai collaboratori , hanno natura confessoria e devono essere valutate - una volta positivamente apprezzata la propalazione de relato del collaboratore alla stregua dei criteri stabiliti dall' articolo 192 c.p.p. , comma 3, - secondo il regime proprio della confessione , che ne subordina l'efficacia probatoria alla sola condizione della genesi spontanea e sincera, in modo da escluderne la riconducibilità a costrizioni esterne o a possibili intenti autocalunniatori Cass. numero 43681 del 2015 Cass. numero 13085 del 2013 . Invero, secondo l' articolo 195 c.p.p. , allorché la fonte diretta rivesta la qualifica di imputato di procedimento connesso o di teste assistito, ex articolo 210 e 197- bis c.p.p. Cass., Sez. unumero , numero 20804 del 2012 , non sussiste alcun obbligo del giudice del dibattimento di procedere all'escussione della fonte primaria allorché questa sia rappresentata dallo stesso imputato, trattandosi di soggetto processuale che non può mai essere chiamato a rendere dichiarazioni in grado di pregiudicare la sua posizione Cass. numero 29821 del 2014 e che, ai sensi dell' articolo 494 c.p.p. , ha sempre la facoltà di rendere in ogni stato del dibattimento le dichiarazioni che ritiene opportune, interloquendo sulle propalazioni della fonte indiretta che lo chiamino in causa al fine di controbatterle.

Presidente Di Nicola – Relatrice Toscani Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in preambolo, la Corte di assise di appello di Napoli ha confermato quella resa il 18 gennaio 2021 con la quale la Corte di assise della stessa città aveva dichiarato Na.Re. responsabile dell'omicidio di Ci. e Do.Gi. capo A , dei connessi reati d'illecita detenzione e porto di più armi capo B , di ricettazione capo C dell'autovettura Ford Focus utilizzata per la commissione del primo reato, nonché della rapina capo D ai danni di Pi.Be. e Sa.Or Quanto al grave fatto di sangue, all'imputato è specificamente contestato di avere concorso, con il ruolo di esecutore, unitamente a Ma.Hu., Al.Ma. e Ge.Es., giudicati separatamente, al duplice omicidio - aggravato anche dal metodo camorrista e dalla finalità di agevolare il gruppo di camorra Am. - Pa., all'epoca in contrapposizione con il clan Di.La. - dei germani Gi., referenti del commercio degli stupefacenti nel territorio di A del clan Di.La Ritenuta l'aggravante di cui all' articolo 61 numero 1 cod. penumero assorbita in quella di cui all'articolo 7 legge numero 203 del 1991 , oggi articolo 416-bis.1., applicata la disciplina della continuazione dei reati, il primo giudice aveva condannato l'imputato alla pena dell'ergastolo, con isolamento diurno per la durata di un anno. 2. Le acquisizioni probatorie - costituite dagli atti d'indagini svolte all'epoca dell'omicidio in merito alle quali hanno deposto i testi Ma. e Ra. , dalla sentenza della Corte di assise di Napoli in data 14 novembre 2008, irrevocabile il 19 aprile 2013, di condanna per gli stessi reati di Al.Ma. e Ge.Es., nonché le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Pa.Am., Ca.Ce., Anumero Ca., Pa.Ri., Bi.Di., Lu.Me., Anumero Za., Anumero Ac., Gi.Mi. ed Em.Za. quelle dei due ultimi propalanti acquisite con il consenso delle parti - hanno condotto i giudici di merito a una conforme ricostruzione dell'agguato, avvenuto in A il 3 giugno 2006. Il fatto è avvenuto dopo diversi appostamenti finalizzati all'avvistamento delle vittime che viaggiavano su due motocicli e che subirono dapprima lo speronamento, quindi l'aggressione armata di quattro persone e, tra queste, il ricorrente , le quali - giunte a bordo di un'autovettura Ford Focus - avevano esploso all'indirizzo delle vittime plurimi colpi di più armi da fuoco, determinandone la morte, poi dandosi alla fuga con i mezzi di trasporto oggetto di rapina. Il proposito criminoso è stato individuato come insorto nel solco di contrasti tra gruppi di camorra, in rivalità per la conquista del territorio di A e, in particolare, nell'intenzione del gruppo - di cui facevano parte Al.Ma., Ge.Es., Ma. e lo stesso Na.Re. - di acquisire, a scapito dei Gi., il monopolio del traffico di droga in A, trovando appoggio nel contrapposto gruppo Am. - Pa Si è, inoltre, ritenuto acclarato che, una volta deliberato l'agguato, la sua esecuzione fosse stata preceduta da un'accurata predisposizione di uomini e mezzi, nonché da almeno un precedente tentativo, non andato a buon fine per l'assenza delle vittime. La Corte di assise di appello ha disatteso tutte le obiezioni mosse dalle difese, delle quali si darà conto nell'esposizione dei motivi di ricorso per cassazione, e ha quindi operato una ricostruzione degli accadimenti e delle fonti di prova, confermando modalità esecutive, movente e paternità dell'efferato crimine, nonché i connessi reati di detenzione e porto delle armi utilizzate per commetterlo, della ricettazione e della rapina. La Corte territoriale ha, altresì, confermato la sussistenza della circostanza aggravante della premeditazione e di quella di cui all'articolo 7 legge numero 203 del 1991 oggi articolo 416-bis.1 cod. penumero , quindi negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ha, infine, avallato la decisione di primo grado con riferimento alla misura della pena. 2. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso Na.Re., a mezzo del difensore di fiducia avv. Claudio Davino, il quale ne ha chiesto l'annullamento per i seguenti due motivi. 2.1. Con il primo, articolatissimo motivo il ricorrente eccepisce, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b , c ed e cod. proc. penumero , la nullità della sentenza per la violazione degli articolo 125 comma 3, 546 e 192 cod. proc. penumero in punto di mancata adeguata valutazione delle propalazioni dei collaboratori di giustizia e di contraddittorietà della relativa motivazione. Dopo avere, nelle pagine da 2 a 8, sintetizzato le condotte ascritte al ricorrente e svolto una ricostruzione del fatto storico oggetto di condanna, la difesa ha, in primo luogo, criticato la tecnica redazionale utilizzata dal giudice di secondo grado che, nel procedere all'esame della posizione dell'imputato, avrebbe risposto ai motivi di gravame rinviando per brevità alla motivazione della sentenza di primo grado, che ha condiviso e ritenuto che dovesse intendersi integralmente trascritta. Egualmente avrebbe fatto al fine di motivare l'affidabilità e l'attendibilità dei collaboratori di giustizia, trascrivendo integralmente la sentenza del Giudice per le indagini preliminari del 19 gennaio 2016 con la quale il ricorrente è stato condannato, in concorso con altri, per il reato di partecipazione ad associazione mafiosa e, ancora una volta per brevità , ha richiamato la sentenza irrevocabile con la quale erano stati condannati Ge.Es. e Al.Ma., correi nel duplice omicidio oggetto dell'odierno ricorso. Così facendo il giudice di appello sarebbe venuto meno all'obbligo di confrontarsi con gli elementi di fatto richiamati dall'appellante e con le ragioni da questi addotte la Corte di assise di appello si sarebbe, in definitiva, limitata a richiamare integralmente - salva qualche minima interpolazione, nelle parti concernenti l'affermazione di responsabilità del ricorrente - la motivazione della sentenza di primo grado e quelle irrevocabili acquisite agli atti, senza sottoporre ad alcun vaglio critico e senza esaminare valutare gli specifici motivi di impugnazione proposti dall'appellante. Lamenta altresì il mancato vaglio delle ragioni addotte a sostegno della richiesta assolutoria compendiate in una memoria depositata dinanzi al giudice di primo grado, completamente negletta da quest'ultimo. Quindi, da p. 10 a p. 48 dell'atto di ricorso, la difesa procede a una critica della decisione di appello, attraverso una diffusa indicazione di parti della motivazione della sentenza stessa, alternandole a considerazioni critiche e a rilievi difensivi che assume essere già stati fatti oggetto di motivi di appello, soprattutto in punto di dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, che vengono nello stesso atto di ricorso sintetizzate. La difesa lamenta, dunque, la violazione dell' articolo 192 cod. proc. penumero e il vizio di motivazione con riferimento alla valutazione della attendibilità dei collaboratori di giustizia. In particolare, quanto alle dichiarazioni di Pa.Am., che avrebbe appreso del coinvolgimento di Na.Re. da Al.Ma., la difesa ne lamenta l'incostanza e l'imprecisione, testimoniata dall'erronea attribuzione ad Ma. di una condotta che questi non aveva potuto attuare perché, al tempo, detenuto. Le dichiarazioni rese nel 2018 sarebbero, invero, divergenti da quelle risalenti a undici anni prima. Anche l'avvenuto riconoscimento su fotografia di Na.Re. come colui che, rimasto a casa sua per diversi giorni dopo l'uccisione dei germani Gi., gli era stato indicato da Al.Ma. come coautore del delitto sarebbe postumo e sospetto. In merito all'apporto degli altri collaboratori di giustizia, il ricorrente evidenzia si tratta di un contributo limitato, siccome de relato, e che una pesante ipoteca ricadrebbe sulla credibilità di coloro che, come Ca.Ce. e Anumero Ca., hanno erroneamente inserito nel novero dei partecipi all'agguato Ma. e Ma.Ma., al tempo detenuti. Quanto alle propalazioni di Ca.Ce., la sua attendibilità sarebbe sminuita dall'errata collocazione temporale della vicenda, che egli anticipa di almeno due anni, oltre che dal già indicato inserimento nel novero dei partecipi - secondo quanto egli avrebbe appreso dalla viva voce di Na.Re. - di Ma Il ricorrente contesta, del pari, la rilevanza indiziaria delle dichiarazioni di Anumero Ca., del tutto generiche e solo successivamente arricchite grazie alle domande suggestive rivoltegli dal Pubblico ministero se ne rimarca anche l'imprecisione tanto da potersi accreditare l'ipotesi che egli abbia raccolto, anziché, come sostenuto, le confidenze di Na.Re., mere voci circolanti nel clan contrapposto a quello di cui quest'ultimo faceva parte. Evidenzia, inoltre, che tanto Bi.Di. quanto Lu.Me. avevano indicato quale fonte delle rispettive conoscenze Ma., medio tempore deceduto. Infine, lamenta l'errata svalutazione delle dichiarazioni dei collaboratori Em.Za. Gi.Mi. e Gi.Mi. che non hanno indicato Na.Re. quale concorrente del gruppo di fuoco. Conclusivamente, il ricorrente ribadisce che il giudice di appello avrebbe dovuto dimostrare di avere sottoposto a un rinnovato e autonomo vaglio i punti di decisione devolutigli con il gravame, mentre è addivenuto ad una motivazione viziata in quanto strutturata in modo sostanzialmente riepilogativo e per relationem rispetto alle altre sentenze acquisite in atti . 2.2. Con il secondo motivo la difesa censura, in primo luogo, il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, lamentandone il diniego sulla scorta del mero richiamo alla gravità della condotta ascritta al ricorrente. In secondo luogo, avversa l'avvenuta conferma del riconoscimento dell'aggravante della premeditazione, reputando che l'intero compendio probatorio non avrebbe consentito di verificare la sussistenza dei due elementi, quello cronologico e quello ideologico, necessari per la sua configurabilità, rimarcando in proposito che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia non fornirebbero alcun elemento sul punto, avendo reso dichiarazioni generiche in ordine alla modalità di programmazione, attribuzione dei ruoli ed esecuzione del reato. In terzo luogo, censura l'omesso adempimento da parte della Corte territoriale dell'onere di valutare la sussistenza in concreto della recidiva e, segnatamente, l'idoneità della nuova condotta criminosa a rilevare la maggiore capacità delinquere del reo. Infine, è lamentata la conferma dell'aggravante mafiosa, approdo che si porrebbe - giusta la tesi difensiva - in stridente contrasto con quello cui è pervenuta la sentenza irrevocabile nei riguardi dei coimputati che, difatti, tale aggravante ha escluso. 3. Il Sostituto Procuratore generale, Marco Dall'Olio, anche richiamando la propria requisitoria scritta, depositata in data 23 luglio 2023, ha concluso chiedendo la declaratoria d'inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso deduce censure in parte inammissibili, per l'evidente incursione nella valutazione di merito che l'atto d'impugnazione richiede alla Corte di legittimità e per il carattere reiterativo delle prospettazioni con esso avanzate, e in parte infondate ed è, pertanto, complessivamente passibile di rigetto. Non è superfluo, al riguardo, premettere che devono ritenersi non consentite le doglianze volte a riformulare questioni già esposte, vagliate e disattese sulla scorta di congrua motivazione nel giudizio di merito, orientate a sollecitare una valutazione alternativa delle fonti di prova e una rivisitazione meramente fattuale, improponibile e preclusa in sede di legittimità. In molte parti - come si dirà appresso - il ricorso è volto a ottenere un non consentito sindacato sulla congruità di scelte valutative del compendio storico - fattuale, adeguatamente motivate e giustificate da entrambi i giudici di merito. 2. Il primo motivo di ricorso, nei suoi plurimi e connessi profili, non supera il vaglio di ammissibilità. Non può farsi a meno di evidenziare che la tecnica redazionale del ricorso, come descritta in premessa, si sviluppa mediante un'esposizione generica, recante parti espositive di doglianza alternate a estratti ovvero a sintesi di atti del giudizio di merito e a parziali ripetizioni dei motivi di appello, così finendo per fuoriuscire dai canoni di una doverosa, ragionata censura del percorso motivazionale della sentenza impugnata, non consentendo un ordinato inquadramento delle ragioni di doglianza nella griglia dei vizi di legittimità deducibili ai sensi dell' articolo 606 cod. proc. penumero Ciò che, già di per sé, rende il primo motivo di ricorso inammissibile fra molte, Sez. 2 numero 29607 del 14/05/2019, Castaldo, Rv. 276748 . La giurisprudenza di questa Corte ha ammonito Sez. 2, numero 38676 del 24/05/2019, Onofri, Rv. 277518-02 che, allorquando il ricorrente intenda denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimità ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. e , cod. proc. penumero , ha l'onere - sanzionato a pena di a - specificità e, quindi, d'inammissibilità del ricorso - di indicare su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica, non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l'impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio, in quanto i motivi aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento della motivazione. In motivazione, la Corte ha precisato che, al fine della valutazione dell'ammissibilità dei motivi di ricorso, può essere considerato strumento esplicativo del dato normativo dettato dall' articolo 606 cod. proc. penumero il Protocollo d'intesa tra Corte di cassazione e Consiglio Nazionale Forense sulle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia penale , sottoscritto il 17 dicembre 2015 . 2.1. Ciò premesso in linea generale, è, in ogni caso, manifestamente infondata la parte del primo motivo nel quale si lamenta il vizio di motivazione tanto in punto di avvenuta trascrizione, da parte del Giudice di appello di stralci, delle sentenze irrevocabili acquisite agli atti, quanto in punto di richiamo per relationem a tali atti. Fermo, nella giurisprudenza di questa Corte, è il principio secondo cui la motivazione per relationem di un provvedimento giudiziale è da considerare legittima quando 1 faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione 2 fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione 3 l'atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall'interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l'esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell'organo della valutazione o dell'impugnazione Sez. 6 numero 53420 del 04/11/2014, Mairajane, Rv. 261839 . È altresì pacifico che ricorre l'autonoma valutazione anche quando venga richiamato, in maniera più o meno estesa, l'atto di riferimento con la tecnica di redazione per incorporazione , con condivisione delle considerazioni già svolte da altri, poiché valutazione autonoma non vuol dire edizione originale, sempreché emerga dal provvedimento una conoscenza degli atti del procedimento e, se necessario, una rielaborazione critica degli elementi sottoposti a vaglio giurisdizionale, dovendosi ritenere viziata la motivazione nel solo caso in cui il rinvio per relationem o per incorporazione si traduca in un mero recepimento del contenuto del provvedimento, privo dell'imprescindibile rielaborazione critica. Osserva il Collegio come, nel caso di specie, la sentenza impugnata abbia fatto corretta applicazione di tali principi e abbia, difatti, svolto un rinvio per brevità p. 26 e 27 alle motivazioni delle sentenze irrevocabili acquisite. agli atti nelle sole parti non contestate dalla difesa e - quanto alla trascrizione degli stralci della motivazione della sentenza che ha giudicato irrevocabilmente i correi di Na.Re. - ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento che ha, quindi, recepito in modo critico e valutativo. Quanto, infine, al richiamo alla sentenza di primo grado, correttamente la Corte di assise di appello si è limitata a ripercorrere e ad approfondire alcuni aspetti del complesso probatorio oggetto di contestazione da parte della difesa, omettendo, in modo del tutto legittimo, in applicazione dei principi sopra enunciati, di svolgere una nuova motivazione in relazione alle doglianze dell'atto d'appello che avevano già trovato risposta esaustiva nella sentenza del primo giudice, a tal fine richiamata. 2.2. Analoghe considerazioni valgono per la parte del primo motivo, laddove si assume violato il metodo di valutazione prescritto dall' articolo 192, comma 3, cod. proc. penumero , in ragione della dedotta inaffidabilità soggettiva e oggettiva delle fonti dichiarative rappresentate dai collaboratori di giustizia, nonché di pretese insanabili incongruenze e antinomie dei relativi narrati, che impedirebbero, in base ai criteri epistemologici elaborati dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, di integrarsi vicendevolmente e assurgere a dignità di prova. Rileva il Collegio che, proprio ove scrutinate alla luce di tali criteri, le sentenze di merito resistono, viceversa, alle deduzioni sopra sintetizzate. La sentenza di primo grado, in particolare, dovendo confrontarsi con il tema dell'apprezzamento istruttorio delle chiamate in correità di Pa.Am. o anche solo in reità in parte de relato di Pa.Ri. per averlo appreso da Sa.Ci., di Ge.Es. e Lu.Me. per averlo appreso da Ma. , in parte asseverate dalla fonte diretta di Anumero Ca. e Ca.Ce., per averlo appreso direttamente da Na.Re. , ha correttamente richiamato i pertinenti criteri di valutazione, da quella giurisprudenza elaborati Sez. U, numero 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina e ne ha fatto adeguata applicazione, esaminando esaustivamente i profili di credibilità e attendibilità intrinseca delle dichiarazioni, in base ai canoni di specificità, coerenza e costanza dei rispettivi contenuti, parimenti verificando i rapporti tra i dichiaranti e le rispettive fonti, la genesi autonoma di queste ultime, la convergenza delle chiamate e la loro indipendenza , intesa anche come esclusione di collusioni e accordi fraudolenti. Quanto in particolare alla convergenza delle propalazioni, la sentenza appare rispettosa dell'ulteriore principio di diritto, secondo cui le chiamate suddette devono riscontrarsi tra loro, in maniera individualizzante, in relazione a circostanze rilevanti del thema probandum Sez. 1, numero 34102 del 14/07/2015, Barraco, Rv. 264368 Sez. 1, numero 7643 del 28/11/2014, dep. 2015, Villacaro, Rv. 262309 ed è legittima la valutazione frazionata delle dichiarazioni accusatorie, soprattutto quando i fatti narrati siano lontani nel tempo e si riferiscano appunto a episodi appresi indirettamente, in conseguenza delle rivelazioni dei loro protagonisti Sez. 1, numero 41585 del 20/06/2017, Maggi, Rv. 271253 , dovendo l'integrazione reciproca delle chiamate, e il riscontro mutuo che ne deriva, essere riferito al fatto reato nella sua unitarietà e non a singoli frammenti della condotta. Il tema dell'attendibilità intrinseca dei collaboratori è stato, inoltre, diffusamente approfondito dalla Corte di assise di appello p. 26 e s. alla luce delle doglianze difensive, e, quanto ad Pa.Am. - premessa la generale attendibilità riconosciutagli, con la forza del giudicato, dalla pronunzia emesse in relazione alle posizioni di Al.Ma. e Ge.Es., e degli accertati rapporti di frequentazione, all'epoca, tra costoro e Na.Re. - il Giudice di appello ha diffusamente replicato, con motivazione non manifestamente illogica, alle censure difensive p. 37 e s. riguardanti il riconoscimento nell'effigie mostratagli dagli investigatori quel Na.Re. che egli ospitò dopo l'omicidio dei Gi., al quale egli stesso aveva partecipato, e alla presunta discrasia in punto di identificazione dell'autovettura una Ford Focus invece di una Ford Fiesta utilizzata per l'agguato. Quanto, poi, agli apporti degli altri collaboratori di giustizia, la Corte di secondo grado p. 42 e s. ha correttamente rilevato come talune discrasie ovvero imprecisioni nel ricordo dei collaboratori non si traducessero, in via automatica, nell'attestazione dell'inattendibilità di chi abbia riferito tali circostanze. L'analisi compiuta dalla Corte territoriale si è, pertanto, attenuta al principio di diritto secondo cui le dichiarazioni accusatorie rese da soggetti che siano imputati di reato connesso o interprobatoriamente collegato, per costituire prova, possono anche riscontrarsi reciprocamente, a condizione che siano dotate ciascuna d'intrinseca attendibilità, soggettiva e oggettiva, e - in assenza di specifici elementi atti a far ragionevolmente sospettare accordi fraudolenti o reciproche suggestioni - risultino concordanti sul nucleo essenziale del narrato, mentre non nuocciono alla positiva valutazione delle stesse le eventuali divergenze o discrasie che investano soltanto elementi circostanziali del fatto, salvo che esse, per le loro specifiche connotazioni, siano tali da far concludere che il dichiarante ne abbia dovuto inventare o alterare il contenuto al riconoscibile fine di sostenere un'accusa che, altrimenti, sarebbe stata insostenibile fra molte, Sez. 1, numero 10561 del 28/01/2020, dep. 2021, Scicchitano, Rv. 280741 Sez. 1, numero 28221 del 14/02/2014, De Falco, Rv. 260936 Sez. 1, numero 19683 del 19/03/2003, Vitale, Rv. 223848 . Di conseguenza, quando - come nel caso di specie - con la sentenza di merito sia stata affermata la responsabilità dell'imputato anche sulla base della ritenuta sussistenza di una prova del genere anzidetto, non può utilmente prospettarsi in sede di legittimità, come motivo di censura, il solo fatto che le dichiarazioni accusatorie ritenute concordanti presentino in realtà fra loro divergenze e discrasie, quando queste attengano a elementi di natura circostanziale e non siano indicate, né siano enucleabili ictu oculi le ragioni per le quali, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuta attribuire loro una specifica e decisiva rilevanza nel senso sopra illustrato. 2.3. Alcune considerazioni particolari vanno svolte sulla censura, che riproduce pedissequamente un motivo di appello, che riguarda le dichiarazioni dei collaboratori Anumero Ca. e Ca.Ce. che hanno riferito di avere appreso della partecipazione di Na.Re. al duplice omicidio dallo stesso imputato. Giusta la tesi difensiva, tali propalazioni sarebbero inutilizzabili perché non ne sarebbe verificabile la fonte. Osserva il Collegio che - diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente non rientrano nella nozione della chiamata de auditu e, dunque, non soggiacciono alle relative regole le dichiarazioni del collaboratore di giustizia che riferisce confidenze autoaccusatorie ricevute dall'imputato. Nei processi di criminalità organizzata accade spesso - ed è avvenuto anche in questo - che il chiamante in correità o in reità riferisca, legittimamente, confidenze ricevute da un imputato, non ostandovi il divieto di cui all'articolo 62 cod. proc. peri., norma che, pur rubricata divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell'imputato , si riferisce alle sole dichiarazioni rese in un contesto procedimentale. In tale evenienza, il disposto dell' articolo 195 cod. proc. penumero non impone l'escussione della fonte diretta Sez. U numero 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, in motivazione paragrafo 9.1. , che, identificandosi con l'imputato, non può essere chiamata a rendere dichiarazioni in grado di pregiudicare la sua posizione Sez. 5, numero 21562 del 3/02/2015, Rv. 263705 Sez. 5, numero 29821 del 25/11/2014, Rv. 265298 e che, ai sensi dell' articolo 494 cod. proc. penumero , ha sempre la facoltà di rendere in ogni stato del dibattimento le dichiarazioni che ritiene opportune, interloquendo sulle propalazioni della fonte indiretta che lo chiamino in causa al fine di controbatterle. Sotto il profilo della consistenza probatoria, va sottolineato che le confidenze autoaccusatorie dell'imputato ad un collaboratore di giustizia, che ne abbia successivamente riferito nelle proprie dichiarazioni, hanno natura confessoria, di talché, una volta positivamente vagliata la chiamata ai sensi dell' articolo 192, comma 3, cod. proc. penumero , dispiegano piena efficacia probatoria, a condizione che se ne apprezzi la sincerità e la spontaneità, in modo da potersene escludere la riconducibilità a costrizioni esterne o a possibili intenti autocalunniatori Sez. 1 numero 18019 del 11/10/2017, dep. 2018, Calabria, Rv. 273301 Sez. 1, numero 9891 del 04/06/2019, dep. 2020, Campana, Rv. 278503 . Ciò significa che le dichiarazioni di due collaboratori di giustizia circa la diretta assunzione di responsabilità da parte dell'imputato, in relazione al medesimo fatto reato, sono in grado di riscontrarsi reciprocamente, poiché, in questo caso, dato l'oggetto della prova, non è ravvisabile alcuna circolarità e i dichiaranti sono fonti dirette e autonome della circostanza riferita l'imputato, parlando con i suoi sodali o con terzi, ha rivendicato la paternità del reato. Sulla scorta di tali rilievi la censura risulta destituita di fondamento giuridico. È stata, inoltre, a buon diritto, esclusa ogni questione di circolarità della prova , ciò in ragione della riconosciuta autonomia della fonte di conoscenza da parte dei diversi propalanti della vicenda omicidiaria. Conclusivamente, le doglianze mosse dal ricorrente si risolvono in una riproposizione di valutazioni in fatto delle propalazioni dei collaboratori, senza attingere effettivamente a vizi della motivazione della Corte di assise di appello che, invece, si è posta nell'alveo della giurisprudenza di legittimità allorquando, dopo la congrua valutazione di attendibilità dei dichiaranti, ha mostrato di averne esaminato le relative dichiarazioni, individuandone specifici e rilevanti punti di convergenza in ordine al ruolo svolto da Na.Re 2.4. Va altresì respinta la parte del primo motivo con la quale si lamenta l'immotivato depotenziamento delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Em.Za. che partecipò a ben due dei tentativi che precedettero l'agguato mortale, non andati a buon fine perché le vittime non si palesarono nel luogo ove il gruppo di fuoco si era appostato e Gi.Mi. che del duplice omicidio ha riferito de relato per averlo appreso dal fratello Em.Za. e dallo stesso Ma.Hu., componente del gruppo di fuoco che portò a termine il mandato omicidiario che non hanno mai indicato Na.Re. tra gli autori del grave fatto di sangue. La Corte di secondo grado, invero, al riguardo ha sia stigmatizzato la contraddizione della tesi difensiva che utilizza un diverso ed errato metro valutativo per le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia a seconda che abbiano svolto dichiarazioni contro ovvero a favore dell'imputato, sia ha - con motivazione scevra da fratture logiche - posto in rilievo come i due Mi. non abbiano escluso che Na.Re. facesse parte del gruppo di fuoco, ma che semplicemente non ne avessero fatto parola, ciò che era agevolmente spiegabile con una conoscenza dei fatti parziale e che, comunque, non priva di incisività probatoria le plurime dichiarazioni degli altri collaboratori che pongono inconfutabilmente Na.Re. tra i componenti il commando che eseguì l'agguato mortale dei Gi 2.6. Priva di pregio la doglianza con cui il ricorrente lamenta il mancato confronto da parte del Giudice di primo grado di una memoria difensiva che, dallo stesso tenore del ricorso per cassazione p. 10 , è stata depositata in occasione del giudizio di primo grado. Sicché si tratta di motivo non consentito perché tardivo, oltre che aspecifico. Se è, infatti, condivisibile il principio richiamato nel ricorso per il quale In tema di impugnazione, l'omessa considerazione da parte del giudice dell'impugnazione di una memoria difensiva, non comporta, per ciò solo, una nullità per violazione del diritto di difesa, ma può determinare un vizio della motivazione per la mancata valutazione delle ragioni ivi illustrate, avuto riguardo alle questioni devolute con l'impugnazione fra molte, Sez. 3, numero 36688 del 06/06/2019, Rinaldi, Rv. 277667 , è altrettanto pacifico che In tema di ricorso per cassazione, l'omesso esame, da parte del giudice di merito, di una memoria difensiva può essere dedotto in sede di legittimità come vizio di motivazione purché, in virtù del dovere di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, si rappresenti puntualmente la concreta idoneità scardinante dei temi della memoria pretermessa rispetto alla pronunzia avversata, evidenziando il collegamento tra le difese della memoria e gli specifici profili di carenza, contraddittorietà o manifesta illogicità argomentativa della sentenza impugnata ex pluribus Sez. 5, numero 17798 del 22/03/2019, C., Rv. 276766 . Si è, invero, condivisibilmente chiarito che il Giudice di legittimità non possa arrestarsi al dato formale della mancanza dell'espressa menzione e considerazione della memoria nella sentenza di merito, ma che debba operare un accertamento concreto in ordine alla capacità del dato esaltato nella memoria e trascurato nella sentenza di mettere in discussione la completezza logica o l'univocità del percorso argomentativo della sentenza impugnata, oltre che soppesare la consistenza intrinseca della memoria stessa, onde neutralizzare la portata scardinante in presenza di enunciati difensivi ripetitivi ovvero estranei al thema decidendum. La concreta idoneità scardinante dei temi della memoria pretermessa dalla pronuncia avversata - in ossequio al dovere di specificità del ricorso per cassazione ribadito da Sez. U, numero 8825 del 27/10/2016 , dep. 2017, Galtellì, Rv. 268823 - dev'essere oggetto di specifica rappresentazione da parte del ricorrente. Non è dunque sufficiente - come è accaduto nel caso che ci occupa - che nel ricorso ci si dolga della circostanza che il Giudice di merito abbia trascurato una memoria ritualmente prodottagli, ma occorre che tale omissione venga tradotta in specifiche doglianze che ne evidenzino l'idoneità a porre in discussione la completezza, l'univocità e la razionalità della motivazione della sentenza avversata. 3. A non migliore sorte sono destinate le censure compendiate nel secondo motivo di ricorso. 3.1. È privo di pregio è il motivo con il quale si contesta la configurabilità dell'aggravante della premeditazione. Diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, le sentenze di merito rispettivamente a p. 37 quella di primo grado, a p. 55 quella di secondo hanno chiarito che la deliberazione dell'agguato è stata il frutto di una deliberazione preventiva, la cui esecuzione è stata accompagnata da un'accurata predisposizione di uomini e mezzi, articolatasi in più appostamenti, alcuni non andati a buon fine per l'assenza delle vittime. Si tratta di acquisizioni di sicuro valore sintomatico della sussistenza degli elementi costitutivi dell'apprezzabile intervallo temporale tra l'insorgenza del proposito criminoso e l'attuazione di esso, tale da consentire una ponderata riflessione circa l'opportunità del recesso elemento di natura cronologica , e la ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzione di continuità nell'animo dell'agente fino alla commissione del crimine elemento di natura ideologica e ciò - osserva il Collegio - tanto più nei riguardi del ricorrente, che partecipò anche a uno dei precedenti appostamenti. 3.2. Può essere agevolmente superato anche il motivo relativo al riconoscimento a carico di Na.Re. dell'aggravante di cui all'articolo 7 legge numero 203 del 1991 , oggi articolo 416-bis.1, avendo entrambi i giudici di merito motivato in merito all'assenza di qualsivoglia contrasto con la sua avvenuta esclusione nel giudizio che ha interessato i correi Al.Ma. ed Ge.Es., ove l'aggravante era stata contestata con riferimento all'essersi costoro avvalsi della forza intimidatrice del clan Di.La Nel presente processo, invece, l'aggravante de qua è stata contesta e ritenuta sotto il diverso profilo della finalità di avvantaggiare il clan Am. - Pa. e di affermare il controllo del territorio di A da parte del gruppo Capeggiato dai Ma. Al.Ma. e Ma.Ma. , da Ge.Es. e di cui faceva parte anche il ricorrente, gruppo contrapposto a quello facente capo a Di.La. di cui, come si è detto, i Gi. erano referenti per il commercio di stupefacenti. 3.3. Con riferimento al motivo in punto di circostante attenuanti generiche, le sentenze di merito hanno esaurientemente motivato in ordine all'assenza di indici giustificativi favorevoli, e valorizzando in senso contrario al loro riconoscimento la gravità delle condotte, il ruolo dell'imputato e le ragioni che hanno sorretto l'azione omicidiaria , nonché le espressioni palesi di pericolosità pregresse che, oltre alla recidiva, sono emerse dai fatti accertati con la condanna irrevocabile per i reati di cui agli articolo 416-bis cod. pen e 74 d.P.R. numero 309 del 1970 p. 38 della sentenza di primo grado e p. 57 di quella di appello . Tali argomentazioni costituiscono la ragione e segnano al tempo stesso il limite, di siffatto riconoscimento, in una materia che involge l'esercizio di valutazioni discrezionali tipicamente di merito, che, per pacifico indirizzo Sez. U, numero 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931 Sez. 2, numero 31543 del 08/06/2017, Pennelli, Rv. 270450 , sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette, come nella specie, da sufficiente complessiva illustrazione. 3.4. In punto di recidiva la sentenza impugnata si è attenuta al consolidato principio di diritto Sez. U, numero 35738 del 27/5/2010, Calibè, Rv. 247838 Sez. 3, numero 33299 del 16/11/2016, dep. 2017, Del Chicca, Rv. 270419 Sez. 3, numero 19170 del 17/12 2014, dep. 2015, Gordyusheva, Rv. 263464 Sez. 6, numero 43438 del 23/11/2010, Manco, Rv. 248960 , secondo cui, ai fini dell'indagini sulla sua sussistenza, il giudice è tenuto a verificare in concreto se la reiterazione dell'illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, alla loro distinta offensività, alla consecuzione temporale, alla genesi della ricaduta, nonché ad ogni parametro significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell'esistenza di precedenti penali. Ciò premesso, nel riconoscere l'aggravante, strettamente inerente alla persona del colpevole, la sentenza impugnata - con una motivazione sintetica, ma adeguata - non si è limitata a richiamare i precedenti penali dell'imputato, ma li ha posti in relazione con le rinnovate condotte delittuose e ha valorizzato, anche alla luce della giovane età dello stesso, la più accentuata capacità a delinquere da esse espressa, da intendere come espressione di maggiore allarme sociale e tale motivazione è incensurabile in questa sede, siccome esente da qualsivoglia vizio del ragionamento logico. 4. Per le ragioni esposte il ricorso dev'essere rigettato e al suo rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.