Attività stragiudiziale: come determinare il compenso avvocato?

Nel caso di specie, viene contestato l’operato dei giudici di merito, i quali avrebbero erroneamente ritenuto che, in presenza di una espressa pattuizione, non potevano essere applicate le tariffe professionali per la quantificazione del compenso, essendo irrilevante l’onerosità dell’attività di patrocinio.

La doglianza risulta fondata. Come recentemente affermato dalle SS.UU. civili in tema di compensi professionali , la norma architrave, data dall' articolo 2233 c.c. , «a tenore del quale il compenso dovuto per le prestazioni d'opera intellettuale, se non è convenuto dalle parti e se non può essere stabilito secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, sentito il parere dell'associazione professionale a cui il professionista appartiene, pone una gerarchia di carattere preferenziale tra i vari criteri di determinazione del compenso, attribuendo rilevanza, in primo luogo, alla convenzione intervenuta fra le parti la quale deve essere redatta per gli avvocati in forma scritta, a pena di nullità , e poi, esclusivamente in mancanza di quest'ultima ed in ordine successivo, alle tariffe ed agli usi della cui sopravvivenza è peraltro legittimo dubitare, in ragione dell'eliminazione del sistema tariffario avviata con il d.l. 4 luglio 2006 numero 223 , convertito nella l. 4 agosto 2006, numero 248 e, infine, alla determinazione del giudice , previo parere dell'associazione professionale» Cass. numero 19427/2021 . Inoltre, « il ricorso ai criteri sussidiari tariffe professionali, usi, decisione giudiziale è così precluso al giudice quando esiste uno specifico accordo tra le parti, le cui pattuizioni risultano preminenti su ogni altro criterio di liquidazione» Cass. numero 31311/2019 Cass. numero 1900/2017 Cass. numero 29837/2011 , svolgendo le tariffe «una funzione integrativa della norma e suppletiva per il giudice, il quale se ne avvale quale criterio di riferimento nella determinazione del compenso al professionista, se ed in quanto manchi un accordo tra professionista e cliente sulla sua misura, ovvero non esistano tariffe obbligatorie», sicché «fuori da questi ultimi due casi, l'esercizio da parte del giudice del potere discrezionale di liquidazione del compenso trova limite nell'obbligo, per lo stesso giudice, di acquisire il parere della competente associazione professionale, dal quale può legittimamente discostarsi a condizione, però, di fornire adeguata motivazione Cass. 12681/2017 e di non ricorrere al criterio dell'equità. Pertanto, gli stessi principi valgono anche con riferimento all'attività stragiudiziale svolta dall'avvocato , «in relazione alla quale, in caso di mancato compimento dell'incarico stragiudiziale affidatogli, spetta al predetto il diritto di ricevere il compenso relativo all'attività concretamente svolta, qualora ne venga accertata l'idoneità a conseguire il risultato programmato dalle parti, da determinarsi, soltanto in mancanza di accordo tra le parti, sulla base delle voci tariffarie relative alle singole prestazioni rese o, in mancanza, in via equitativa, ai sensi dell' articolo 2233 c.c. » Cass. numero 2788/2023 . Nel caso in esame, i giudici di merito hanno errato nel ritenere che il compenso potesse essere quantificato esclusivamente sulla base delle tariffe orarie e nell'omettere di liquidare gli onorari in ragione della mancata dimostrazione di tale presupposto. Per tutti questi motivi, il Collegio accoglie il ricorso in oggetto.

Presidente Manna – Relatore Pirari Rilevato che 1. Con atto di citazione notificato il 27 giugno 2018, V.G., in proprio e in qualità di legale rappresentante di T. s.numero c. di V.G. & C., e V.C. proposero opposizione avverso il decreto ingiuntivo numero 9006/2018 emesso dal Tribunale di Milano in favore dell'Associazione professionale P.P.Z. & Associati per compensi professionali di assistenza giudiziale e stragiudiziale, espletata sulla base dei contratti stipulati in data 22 ottobre 2015 tra la medesima società, V.G. e lo Studio P.P.Z., esponendo che il Tribunale di Milano aveva ingiunto alla società T. il pagamento di € 43.773,60 e al solo V.G. il pagamento di ulteriori € 68.578,04 nei confronti dello Studio P.P.Z., che l'Associazione professionale aveva emesso nei confronti della società due fatture, mentre una terza fattura risultava integralmente pagata, e che il decreto era stato emesso considerando la produzione nei confronti del solo V.G. di tre fatture, e contestando l'an e il quantum della pretesa. Costituitosi in giudizio lo studio Associato, il Tribunale di Milano, con sentenza numero 8273/2021, revocò il decreto ingiuntivo, in ragione dell'errore di calcolo compiuto, in sede monitoria, dallo Studio P.P.Z., condannò V.G. a pagare a P.P.Z. & Associati la somma di € 63.578,64, e, rideterminato l'importo dovuto dalla società T. s.numero c. per l'attività difensiva svolta a suo favore, la condannò a pagare la somma di € 17.870,00. Il giudizio d'appello, incardinato, con atto di citazione ritualmente notificato il 15 aprile 2022, dalla società T. s.numero c., da V.G. e da V.C., si concluse, nel contraddittorio con l'appellato Studio P.P.Z., con la sentenza numero 541/2023, pubblicata il 16 Febbraio 2023, con la quale la Corte d'appello di Milano accolse l'appello proposto, rigettò le domande avanzate dall'Associazione professionale P.P.Z. & Associati e la condannò alla restituzione degli importi corrisposti dagli appellanti in esecuzione della sentenza impugnata. 2. Contro la predetta sentenza, P.P.Z. & Associati propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo, illustrato anche con memoria. Si sono difesi con controricorso, illustrato anche con memoria, T. s.numero c. di V.G. & C. e V.C., mentre V.G. è rimasto intimato. Considerato che 1. Con l'unico motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli articolo 1226, 1709, 2225 e 2233 cod. civ. , in relazione all' articolo 360, primo comma, numero 3, cod. proc. civ. , per avere i giudici di merito ritenuto che, in presenza di una espressa pattuizione, non potevano essere applicate le tariffe professionali per la quantificazione del compenso, essendo irrilevante l'onerosità dell'attività di patrocinio. Ad avviso della ricorrente, invece, l'onerosità del contratto d'opera prescindeva dall'intervenuta pattuizione del compenso e dal mancato raggiungimento della prova sul quantum, essendo il giudice tenuto a determinare il compenso con criterio equitativo, indipendentemente dalla specifica richiesta del professionista e dalla carenza delle risultanze processuali sul quantum, e non potendo rigettare la domanda per carente assolvimento dell'onere probatorio sulla misura, sicché la Corte d'Appello avrebbe dovuto provvedere, non essendo contestato l'avvenuto espletamento dell'incarico sia giudiziale che stragiudiziale. 2. Il motivo è fondato. Come recentemente affermato dalle Sezioni unite di questa Corte in tema di compensi professionali Cass., Sez. U, 8/7/2021, numero 19427 , la norma architrave, data dall' articolo 2233 cod. civ. , «a tenore del quale il compenso dovuto per le prestazioni d'opera intellettuale, se non è convenuto dalle parti e se non può essere stabilito secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, sentito il parere dell'associazione professionale a cui il professionista appartiene, pone una gerarchia di carattere preferenziale tra i vari criteri di determinazione del compenso, attribuendo rilevanza, in primo luogo, alla convenzione intervenuta fra le parti la quale deve essere redatta per gli avvocati in forma scritta, a pena di nullità , e poi, esclusivamente in mancanza di quest'ultima ed in ordine successivo, alle tariffe ed agli usi della cui sopravvivenza è peraltro legittimo dubitare, in ragione dell'eliminazione del sistema tariffario avviata con il D.L. 4 luglio 2006 numero 223 , convertito nella L. 4 agosto 2006, numero 248 e, infine, alla determinazione del giudice, previo parere dell'associazione professionale». «Il ricorso ai criteri sussidiari tariffe professionali, usi, decisione giudiziale », proseguono le Sezioni unite, «è così precluso al giudice quando esiste uno specifico accordo tra le parti, le cui pattuizioni risultano preminenti su ogni altro criterio di liquidazione» Cass. 29/11/2019, numero 31311 Cass. 25/1/2017, numero 1900 Cass. 29/12/2011, numero 29837 Cass. 29/1/2003, numero 1317 Cass. 23/5/2000, numero 6732 , svolgendo le tariffe «una funzione integrativa della norma e suppletiva per il giudice, il quale se ne avvale quale criterio di riferimento nella determinazione del compenso al professionista, se ed in quanto manchi un accordo tra professionista e cliente sulla sua misura, ovvero non esistano tariffe obbligatorie», sicché «fuori da questi ultimi due casi, l'esercizio da parte del giudice del potere discrezionale di liquidazione del compenso trova limite nell'obbligo, per lo stesso giudice, di acquisire il parere della competente associazione professionale, dal quale può legittimamente discostarsi a condizione, però, di fornire adeguata motivazione Cass. 19/1/2017, 12681 Cass. 5/1/2011, numero 236 v. anche Cass. 22/1/2000, numero 694 e di non ricorrere al criterio dell'equità Cass. 22/5/1998, numero 5111 . Gli stessi principi valgono, peraltro, anche con riferimento all'attività stragiudiziale svolta dall'avvocato, in relazione alla quale, in caso di mancato compimento dell'incarico stragiudiziale affidatogli, spetta al predetto il diritto di ricevere il compenso relativo all'attività concretamente svolta, qualora ne venga accertata l'idoneità a conseguire il risultato programmato dalle parti, da determinarsi, soltanto in mancanza di accordo tra le parti, sulla base delle voci tariffarie relative alle singole prestazioni rese o, in mancanza, in via equitativa, ai sensi dell' articolo 2233 cod. civ. Cass., Sez. 2, 31/1/2023, numero 2788 . Tali principi non possono essere però interpretati nel senso che, in assenza di prova del criterio di quantificazione pattuito, il legale non abbia diritto ad ottenere alcun compenso, allorché, come nella specie, sia rimasto accertato l'avvenuto espletamento della prestazione, stante il carattere oneroso del rapporto contrattuale sotteso alla pretesa creditoria. Difatti, la mancata dimostrazione del monte orario occorso per lo svolgimento dell'incarico impedisce esclusivamente l'applicazione del parametro pattizio, il quale costituisce mero criterio di quantificazione del compenso non incidente sull'an del credito, ma non inibisce al giudice il potere di ricorrere al criterio residuale delle tariffe. Ciò comporta che i giudici di merito hanno errato allorché hanno ritenuto che il compenso potesse essere quantificato esclusivamente sulla base delle tariffe orarie e omesso di liquidare gli onorari in ragione della mancata dimostrazione di tale presupposto, con conseguente fondatezza della censura. 3. In conclusione, dichiarata la fondatezza del motivo, la sentenza deve essere cassata, con rinvio alla Corte d'Appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.