Abuso edilizio: demarcazione dei confini processuali e riflessioni sull'istituto della fiscalizzazione

La giurisprudenza del Consiglio di Stato, spesso, guida gli operatori del diritto ed in particolare gli avvocati, nell’approfondimento degli istituti normativi che trovano concretezza, tramite l’applicazione e l’operatività degli stessi da parte della PP.AA. ed il successivo scrutinio dei giudici di Palazzo Spada.

È indubitabile che, anche, dalla lettura delle sentenze, l'avvocato rinviene, nello studio della singola pratica, ‘l'appiglio' giusto per verificare i presupposti per la formulazione del ricorso, sollevare l'uno o l'altro motivo e per scegliere l'ordine degli stessi all'interno del medesimo ricorso. La sentenza che mi appresto a commentare è, dunque, sotto questo punto di vista “preziosa” per noi operatori del diritto perché, nel porre ordine ad una vicenda fattuale e processuale particolarmente intricata, è traboccante di definizioni. I fatti debitamente riassunti sono i seguenti. Nel 1983, la proprietaria di una unità immobiliare, ubicata al quarto piano di una palazzina situata nel centro storico di Modena, realizzava un vano di complessivi mq. 13,72, in difformità dall'autorizzazione edilizia rilasciata dal Comune per la risistemazione dell'immobile, previo avallo dell'assemblea condominiale. Per l'abuso, la stessa presentava una richiesta di sanatoria, respinta dal Comune di Modena nel 2019. Il provvedimento di rigetto veniva impugnato dalla proprietaria la vicenda veniva definita a sfavore della stessa in Consiglio di Stato, sancendo la definitività di tali atti, ed in particolare dell' intimazione demolitoria , quale conseguenza necessitata della mancata legittimazione postuma dell'intervento. La proprietaria, tuttavia, non si arrendeva e, in sede di procedimento di ottemperanza alla sentenza, dialogava con il Comune, proponendo soluzioni alternative alla demolizione. Il Comune riscontrava le richieste in parte rigettandole, in parte avvallandole, in parte rimanendo silente. Passando gli anni, le vicine di casa– residenti al primo, secondo e terzo piano dell'edificio condominiale medesimo –formulavano accesso agli atti presso il Comune per verificare lo stato della procedura di ottemperanza alla sentenza del Consiglio di Stato e, di riflesso, dell'ordine di demolizione, avvedendosi a di una trattativa, che doveva prevedere la demolizione spontanea in cambio di una sorta di giardino d'inverno in ferro-vetro , in posizione arretrata non visibile dalla strada pubblica, subordinando l'efficacia dell'intesa all'espressa autorizzazione delle ricorrenti condomine comproprietarie , che non era mai stata richiesta b del deposito di una SCIA condizionata in data 22/2/2018, con la quale la proprietà proponeva una ristrutturazione integrale per mantenere il fabbricato nonostante il divieto di assoluta inedificabilità in centro storico e il vincolo di restauro e risanamento conservativo gravante sull'immobile e peraltro malgrado fosse – a dire delle vicine intervenuta l'acquisizione ex lege , con conseguente carenza di legittimazione a inoltrare qualsivoglia istanza sul bene . c di un parere negativo della Commissione per la Qualità Architettonica e il Paesaggio CQAP negativo per il contrasto con il vincolo di restauro e risanamento conservativo gravante sull'immobile che però suggeriva di valutare l'applicazione di sanzioni alternative alla demolizione, la quale avrebbe determinato uno “stato peggiorativo”. d di un provvedimento di fiscalizzazione dell'abuso con il pagamento di 30.700 € – pari al doppio dell'aumento di valore dell'immobile – e la giustificazione dell'interesse pubblico che si sarebbe fondato sul parere della CQAP. Le vicine, dunque, insorgevano impugnando il tutto al TAR, lamentando la mancata ottemperanza all'ordine di demolizione. Nel mentre sul medesimo immobile si pronunciava, altresì, il Tribunale ordinario di Modena, con sentenza con la quale accertava che la sopraelevazione aveva pregiudicato l' aspetto architettonico dell'edificio condominiale all'opposto di quanto ipotizzato dal Comune e dalla CQAP . Giunta la controversia innanzi al TAR, quest'ultimo in prima istanza ha accolto in parte il ricorso delle vicine, ma la proprietaria ha proposto appello in Consiglio di Stato. Il Consiglio di Stato, dopo aver richiamato le parti all'attenta osservazione dei limiti dimensionali degli atti processuali – è evidente che l'alta conflittualità tra le vicine ha portato ad un “profluivio argomentativo” – ricostruisce giuridicamente gli istituti rilevanti. In primis , tenuto conto del susseguirsi di provvedimenti adottati nella vicenda – chiarisce il perimetro della controversia distinguendo gli atti meramente confermativi da quelli di conferma in senso proprio e dunque autonomamente lesivi e da impugnarsi nei termini «Allo scopo di stabilire se un atto amministrativo sia meramente confermativo e perciò non impugnabile o di conferma in senso proprio e, quindi, autonomamente lesivo e da impugnarsi nei termini , occorre verificare se esso sia stato adottato o meno a seguito di una nuova istruttoria e di una nuova ponderazione degli interessi. In tale seconda ipotesi, va dunque richiamato l'insegnamento giurisprudenziale per il quale «ogni nuovo provvedimento innovativo e dotato di autonoma efficacia lesiva della sfera giuridica del suo destinatario, anche di conferma propria che si ha quando la pubblica amministrazione, sulla scorta di una rinnovata istruttoria e sulla base di una nuova motivazione, dimostri di voler confermare la volizione espressa in un precedente provvedimento ed anche se frutto di un riesame non spontaneo, ma indotto da un provvedimento del Giudice amministrativo, che tuttavia rifletta nuove valutazioni dell´Amministrazione e implichi il definitivo superamento di quelle poste a base di un provvedimento impugnato giurisdizionalmente, comporta la sopravvenienza di carenza di interesse del ricorrente alla coltivazione del relativo gravame» v. Cons. Stato, sez. VI, 15 gennaio 2018, numero 195 , che, a sua volta, richiama Cons. Stato, III, 2 settembre 2013, numero 4358 e sez. IV, 25 giugno 2013 , numero 3457 ». Escludendo in parte, dunque, che i provvedimenti impugnativi fossero meramente confermativi, ma che avessero una lesività propria, la sentenza si focalizza sulle vicine di casa, riconoscendo la loro legittimazione e interesse ad impugnare i provvedimenti In materia di impugnazione dei titoli edilizi, l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la pronuncia numero 22 del 2021, risolvendo un contrasto giurisprudenziale sulle condizioni dell'azione impugnatoria da parte di chi si ritenga leso da un titolo rilasciato a terzi, ha precisato che la mera c.d. vicinitas, intesa come vicinanza fisica della propria proprietà rispetto a quella oggetto dell'intervento edilizio contestato, non basta a dimostrare l'esistenza di un concreto ed attuale interesse a ricorrere, dovendosi affermare la distinzione e l'autonomia tra la legittimazione ad agire e l'interesse al ricorso. Il Giudice è tenuto dunque ad accertare anche d'ufficio la sussistenza di entrambe le condizioni dell'azione, verificando se esiste un vantaggio concreto ed attuale che il ricorrente potrebbe effettivamente trarre dalla caducazione del titolo edilizio contestato, tenuto conto delle specifiche censure articolate in atti e concedendogli la possibilità di precisarlo e comprovarlo in corso di causa, in modo da evitare il compimento di attività giurisdizionali inutili, in contrasto con l'interesse pubblico all'efficienza ed efficacia del processo ex articolo 111 Cost. , 6 e 13 CEDU e 47 Carta UE. Calandosi poi nel merito della vicenda, il Consiglio di Stato valuta se all'epoca della formulazione dell'istanza di fiscalizzazione da parte della proprietaria, la stessa si potesse ancora dire tale o se, essendo decorso il termine previsto dall'articolo 31 del d.P.R. 6 giugno 2011 numero 380, il bene fosse stato acquisito a patrimonio del comune. Su tale aspetto, si vedano punti da 18 in avanti , la sentenza, richiamando altresì l'Adunanza Plenaria dell'11.10.2023 numero 16, specifica che pur essendo l'acquisizione a patrimonio del Comune automatica «l'operatività “di diritto” dell'effetto acquisitivo allo scadere dei 90 giorni dall'ingiunzione demolitoria vada intesa esclusivamente a favore del Comune, ponendo il proprietario in una situazione di mera soggezione rispetto alle scelte del primo, che non gli consente più di demolire spontaneamente, salvo il primo non glielo consenta, espressamente o tacitamente, non addivenendo alla formazione del titolo sempre necessario per dare luogo ad un cambio di proprietà». Insomma, l'effetto acquisito è immediato da considerarsi sottoposto ad una “sorta” di ineludibile condizione sospensiva da ravvisare nel formale accertamento dell'inottemperanza da notificarsi ad opera del Comune all'interessato. In difetto, non è possibile ritenere completa l'iter di trasferimento della proprietà al Comune che è, dunque, potrebbe fatto salvi i profili di responsabilità penali amministrativi contabili del dipendente pubblico – non dar seguito al provvedimento sanzionatorio. Dunque, così argomentando e ritenendo che la proprietaria fosse tutt'ora titolare dell'immobile, i Giudici di Palazzo Spada fanno luce sull'istituto della fiscalizzazione punti dal 26 e ss. della sentenza . «Con il termine “fiscalizzazione” dell'abuso, funzionale ad evidenziare sinteticamente e già a livello definitorio la sua sostanziale monetizzazione, si intende un rimedio alternativo eccezionalmente concesso in luogo della demolizione. In particolare, si può accedere alla fiscalizzazione sia in caso di mancanza, totale difformità o variazione essenziale dal titolo riferito ad ristrutturazione edilizia articolo 33, comma 2, del d.P.R. numero 380 del 2011 sia a fronte di accertata difformità solo parziale dal permesso di costruire articolo 34, comma 2, e 2-bis, che ne ha esteso l'applicabilità anche agli interventi soggetti a s.c.i.a. alternativa al permesso di costruire di cui all'articolo 23, comma 01 sia infine all'esito di un annullamento, giudiziale o in autotutela, del titolo stesso articolo 38 . Ma non nell'ipotesi, più grave, di avvenuta realizzazione di una “nuova opera” in assenza di permesso di costruire o in totale difformità o variazione essenziale dallo stesso articolo 31 ». In caso di opere eseguite su immobili vincolati non è, poi, ammessa alcuna fiscalizzazione, dovendo l'amministrazione competente a vigilare sull'osservanza del vincolo ordinare sempre la restituzione in pristino, indicando criteri e modalità per la relativa effettuazione. Nel caso, invece, di opere eseguite su immobili, anche non vincolati, ubicati nei centri storici, «la individuazione della tipologia di sanzione da applicare, reale o pecuniaria, spetta all'amministrazione preposta alla tutela dei beni culturali ed ambientali, che si esprime mediante un parere vincolante. Tale tipologia di atto, per il suo contenuto, ha valenza sostanzialmente decisoria, il che implica che il Comune deve attenersi a quanto stabilito dalla suddetta amministrazione. Esclusivamente nel caso in cui il parere non venga reso entro il termine previsto, la competenza si trasferisce all'amministrazione comunale». Esaminando la documentazione del giudizio, il Consiglio di Stato conclude definitivamente la questione ritenendo che non si possa fiscalizzare l'abuso, essendo il bene immobile ubicato in centro storico. In definitiva, la sentenza offre un contributo significativo alla comprensione delle dinamiche che circondano gli abusi edilizi, invitando a una riflessione più ampia sulle sfide e le responsabilità connesse alla tutela del patrimonio urbano e architettonico.

Il testo integrale della sentenza sarà disponibile a breve.