Anche se l’imputato è assente deve depositare il mandato ad impugnare

È costituzionalmente legittimo l’onere imposto all'imputato assente di depositare con l’atto di impugnazione, a pena d’inammissibilità, specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputato, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio articolo 581, comma 1- quater , c.p.p. .

La vicenda controversa Nel caso di specie, la Corte d'appello di Firenze ha confermato la sentenza emessa dal GUP presso il Tribunale di Livorno con cui l'imputata era stata condannata alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione ed euro 140,00 di multa, in relazione ai delitti di tentato furto aggravato dalla destrezza e dalla minorata difesa . Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso per Cassazione, tramite il proprio difensore, l'imputata operando una premessa in cui ha chiesto di rimettere alla Corte Costituzionale , con riferimento agli articolo 24, 27 e 111 della Costituzione , la questione inerente alla legittimità dell'articolo 581, comma 1- quater , c.p.p. in relazione all'onere richiesto all'imputato già dichiarato assente. Ai sensi del comma in questione, infatti, nel caso di imputato rispetto al quale si è proceduto in assenza, con l'atto d'impugnazione del difensore è necessario depositare, «a pena d'inammissibilità, specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l'elezione di domicilio dell'imputato, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio». Tale comma è stato introdotto dalla c.d. Riforma Cartabia , d.lgs. numero 150/2022 . Il ricorso è inammissibile La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile . Ha innanzitutto precisato che il comma 1- quater dell' articolo 581 c.p.p. , ai sensi dell' articolo 89 dello stesso d.lgs. numero 150/2022 , è relativo a tutte le impugnazioni proposte dopo l'entrata in vigore della Riforma Cartabia e, pertanto, è da intendersi applicabile anche al giudizio di cassazione. La ratio di evitare la celebrazione del giudizio di impugnazione nella potenziale inconsapevolezza della pendenza dello stesso in capo all'imputato è infatti da intendersi immanente anche al giudizio di legittimità. La questione, ha osservato la Suprema Corte, è rilevante nel caso di specie perché l'imputata non ha conferito lo specifico mandato ad impugnare, con la dichiarazione o l'elezione di domicilio, richiesto da tale disposizione. La lettura diacronica della Suprema Corte Come ricostruito dalla Corte, il d.Igs. numero 150/2022 è stato adottato sulla base della delega legislativa conferita dalla legge 27 settembre 2021, numero 134 “ Delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari ” e la nuova disposizione dell'articolo 581, comma 1- quater , c.p.p., riproduce quanto previsto dalla medesima legge delega. Anche nella Relazione illustrativa al predetto decreto si legge che il comma 1- quater dell' articolo 581 c.p.p. introduce un'ulteriore condizione di ammissibilità dell'impugnazione ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio, con l'atto d'impugnazione deve essere depositato specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l'elezione di domicilio dell'imputato. Lo scopo della novella legislativa è stato quindi quello di «selezionare in entrata le impugnazioni, caducando quelle che non siano espressione di una scelta ponderata e rinnovata, in limine impugnationis , ad opera della parte» . In tale ottica secondo la Corte deve ritenersi che si tratti di una norma del tutto ragionevole e che costituisca esercizio di una legittima scelta discrezionale attribuita al legislatore , senza alcuna collisione con le norme costituzionali richiamate dall'imputata. L'imputato assente I Giudici di legittimità hanno ritenuto altresì condivisibile e logica la ratio legis di operare delle soluzioni diverse tra l'imputato presente nel processo e quello che ha deciso di non parteciparvi, se non attraverso la sua difesa tecnica . La ricorrente ha lamentato una potenziale disparità rispetto ai tempi a disposizione per poter proporre l'impugnazione per l'imputato assente, ma proprio per evitare una simile conseguenza e per garantire la tenuta costituzionale della nuova disciplina, il legislatore ha contemplato tutele compensative rispetto alla nuova previsione, quali l'ampliamento di quindici giorni del termine per impugnare per l'imputato assente e l'estensione del rimedio della restituzione in termini per impugnare cfr rispettivamente articolo 585 e 175, comma 2.1., c.p.p. . Sulla base della mancanza - oltre che della necessaria dichiarazione o elezione di domicilio - anche dello specifico mandato a impugnare previsto dalla citata disposizione, la Suprema Corte ha dunque dichiarato il ricorso inammissibile alla declaratoria d'inammissibilità segue altresì la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali . Condanna alle spese per inammissibilità In ultimo si precisa ancora che, non sussistendo elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» - cfr sentenza 13 giugno 2000, numero 186, della Corte Costituzionale - la ricorrente è stata anche condannata al pagamento di una somma che la Corte ha stimato equo determinare in euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Presidente Piccialli – Relatore Mari Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di Firenze ha confermato la sentenza emessa il 14/04/2021 dal GUP presso il Tribunale di Livorno nei confronti di T.B.H. e con la quale la stessa era stata condannata alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione ed € 140,00 di multa, in relazione ai delitti di tentato furto aggravato dalla destrezza e della minorata difesa - così riqualificata l'originaria imputazione di rapina impropria - resistenza a pubblico ufficiale ed evasione. La Corte territoriale ha premesso che, in riferimento alla condotta ipotizzata nell'atto di esercizio dell'azione penale - nel quale la prevenuta era stata accusata di avere usato violenza al fine di mantenere il possesso di una borsa sottratta alla persona offesa I.G. - sulla base della valutazione del GUP non poteva evincersi con certezza che l'imputata avesse fatto uso di violenza o minaccia al fine di allontanare le persone accorse sul posto e di guadagnarsi la fuga, inquadrando quindi il fatto nella fattispecie di tentato furto aggravato ha esposto altresì che il giudice di primo grado aveva ritenuto che l'imputata avesse usato violenza nei confronti degli operanti intervenuti sul posto, non in connessione con la condotta di sottrazione della res argomentando altresì su come il primo giudice aveva ritenuto perfezionata la fattispecie di evasione atteso che l'imputata, al momento dei fatti, si trovava sottoposta agli arresti domiciliari. La Corte ha quindi rigettato il motivo di appello riguardante il dedotto vizio di motivazione attinente al reato contestato ai sensi dell' articolo 337 cod.penumero , atteso che - sulla base della comunicazione di notizia di reato - era emerso che l'imputata aveva reagito all'intervento degli operanti tentando di divincolarsi e quindi ponendo in essere una condotta di concreta valenza oppositiva ha altresì ritenuto infondato il motivo riguardante la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, atteso che la sentenza di primo grado aveva adeguatamente sottolineato i relativi elementi ostativi e rappresentati dai precedenti gravanti sulla prevenuta e denotanti una spiccata pericolosità sociale. 2. Avverso la predetta sentenza ha presentato ricorso per cassazione T.B.H., tramite il proprio difensore, operando una premessa nella quale ha chiesto di rimettere alla Corte Costituzionale la questione inerente alla legittimità dell' articolo 581, comma 1 quater, cod.proc.penumero in punto di onere richiesto all'imputato già dichiarato assente al fine della proposizione dell'impugnazione e costituito dal rilascio di uno specifico mandato ad impugnare il tutto in riferimento ai parametri costituiti dagli articolo 24, 27 e 111 della Carta fondamentale. Ha quindi articolato due motivi di impugnazione. Con il primo motivo ha dedotto la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione - ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. e , cod.proc.penumero - in relazione all'affermazione di penale responsabilità in ordine al capo B dell'imputazione ha dedotto che, sulla base dell'annotazione di p.g., l'imputata aveva cercato di divincolarsi ma senza porre in essere alcuna azione violenta nei confronti degli operanti, ponendo quindi in essere una condotta denotante unicamente stizza, rabbia e disprezzo e non un reale volontà di opporsi ai medesimi. Con il secondo motivo ha dedotto la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione - ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. e , cod.proc.penumero - in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche ha dedotto che la valutazione della Corte territoriale sarebbe stata svincolata sia dalla gravità oggettiva dei fatti ascritti e sia dalla concreta pericolosità dell'imputata, anche alla luce delle sue condizioni di vita sul piano esistenziale ed economico. 3. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Il difensore dell'imputata ha fatto pervenire successiva memoria nella quale ha ribadito le richieste formulate in sede di ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Va pregiudizialmente richiamato il tenore testuale del disposto dell'articolo 581, comma 1 quater, inserito dall'articolo 33, comma 1, lett. d , d.lgs. 10 ottobre 2022, numero 150, ai sensi del quale «Nel caso di imputato rispetto al quale si è proceduto in assenza, con l'atto d'impugnazione del difensore è depositato, a pena d'inammissibilità, specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l'elezione di domicilio dell'imputato, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio». Deve quindi rilevarsi che il predetto comma, relativo ai sensi dell' articolo 89 dello stesso d.lgs. numero 150/2022 , a tutte le impugnazioni proposte dopo l'entrata in vigore della riforma, è da intendersi applicabile anche al giudizio di cassazione dovendosi ritenere che la finalità della norma sia quello di evitare la celebrazione del giudizio di impugnazione nella potenziale inconsapevolezza della pendenza dello stesso in capo all'imputato e secondo un'esigenza da intendersi immanente anche al giudizio di legittimità in tale senso, sulla base di un esame esteso - oltre che al tenore letterale della norma - anche al disposto della legge delega e ai lavori preparatori, cass. Sez. 6, numero 41309 del 20/09/2023, S. , Rv. 285353 in senso conforme, cass. Sez. 4, numero 43718 del 11/10/2023 , Ben Khalifa, Rv. 285324 - 02 cass. Sez. 2, Sentenza numero 47927 del 20/10/2023 , Giuliano . 3. Ciò posto, proprio in riferimento a tale disposizione, la difesa dell'imputata ha chiesto di rimetterne la relativa questione di legittimità alla Corte Costituzionale, sulla base della dedotta violazione dei predetti parametri dettati dalla Carta fondamentale. La questione è rilevante nell'ambito del presente giudizio e tanto, sia in considerazione delle predette argomentazioni in punto di applicabilità dell'articolo 581, comma 1 quater al procedimento di legittimità e sia in ragione del mancato conferimento, da parte dell'imputata, dello specifico mandato ad impugnare richiesto da tale disposizione. D'altra parte, la rilevanza della questione non viene meno in relazione alla circostanza - risultante dall'esame degli atti - in base alla quale l'imputata, già dichiarata assente nel primo grado del giudizio, è stata giudicata in secondo grado sulle base delle disposizioni speciali emergenziali prevedenti la celebrazione dell'appello secondo le forme del rito cartolare . Riprendendo quanto espresso in parte motiva dalla citata cass. Sez. 6, numero 41309 del 20/09/2023, S. , Rv. 285353, va difatti rilevato che, sebbene la mancata partecipazione personale al grado di appello - proprio in considerazione delle forme particolari previste dalla specialità del rito applicabile ratione temporis - non possa essere di per sé qualificata come assenza in senso tecnico non trovando applicazione le previsioni degli articolo 420 bis e 420ter cod. proc. penumero , cass. Sez. 3, numero 32864 del 15/07/2022 , Rv. 283415 , è dirimente, ai fini dell'applicazione della norma in esame, la circostanza che il giudizio fin ad allora svolto sia stato caratterizzato dall'assenza dell'imputata, non compensata, diversamente da quanto previsto dalle norme «a regime», dal conferimento di apposito mandato. 4. Ciò premesso, la questione proposta deve essere ritenuta manifestamente infondata. Sul punto, vanno richiamate e integralmente condivise le considerazioni spiegate in parte motiva dalla citata cass. Sez. 4, numero 43718 del 11/10/2023 , Ben Khalifa, Rv. 285324 - 01. In tale sede è stato pregiudizialmente rilevato che la doglianza - pure formulata in tale sede nella premessa dell'esposizione del ricorso - secondo cui l'introduzione di tali norme stravolgerebbe il sistema delle impugnazioni, a cominciare dalla legittimazione all'impugnazione disciplinata dall' articolo 571 cod. proc. penumero , appare generica e non connotata da concreta specificità e pertinenza difatti, il d.lgs. 10 ottobre 2022, numero 150 è stato adottato sulla base della delega legislativa conferita dalla legge 27 settembre 2021, numero 134 «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari» e va rilevato che la nuova disposizione dell' articolo 581, comma 1 ter, cod. proc. penumero , riproduce pedissequamente quanto previsto dall'articolo 1, comma 13, lett. a della legge delega, secondo il quale «fermo restando il criterio di cui al comma 7, lettera h , dettato per il processo in assenza, prevedere che con l'atto di impugnazione, a pena di inammissibilità, sia depositata dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione dell'atto introduttivo del giudizio di impugnazione». Nella Relazione illustrativa al d.lgs. numero 150/2022 si legge «Il comma 1 ter dell'articolo 581 cod. proc. penumero , in attuazione del criterio di cui all'articolo 1, comma 13, lett. a della legge delega, introduce un'ulteriore condizione di ammissibilità dell'impugnazione con l'atto d'impugnazione deve essere presentata la dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione. In caso di impugnazione del difensore dell'imputato assente, per attuare la delega sono aumentati di quindici giorni i termini per impugnare previsti dall'articolo 585, comma 1». Analogo riscontro, nella relazione che ha accompagnato la legge, vi è per l'articolo 581, comma 1 quater. Lo scopo manifesto della novella legislativa è quindi quello di selezionare in entrata le impugnazioni, caducando quelle che non siano espressione di una scelta ponderata e rinnovata, in limine impugnationis, ad opera della parte. Riprendendo quanto argomentato nella citata pronuncia, deve ritenersi che si tratti di una norma che appare del tutto ragionevole ed esercizio di una legittima scelta discrezionale attribuita al legislatore e che non collide con alcuna delle norme costituzionali invocate. Deve quindi osservarsi, in relazione alle argomentazioni spese nella stessa premessa del ricorso, che l'asserito contrasto con i principi costituzionali poggia su un'indimostrata restrizione della facoltà d'impugnazione che deriverebbe dal chiedere all'imputato, assente per sua scelta al processo che lo ha coinvolto, di rinnovare la propria volontà di proseguire in un ulteriore grado di giudizio, con possibili conseguenze negative per lui, quanto meno sotto il profilo della possibile condanna ad ulteriori spese. La sentenza della Corte costituzionale numero 34 del 26 febbraio 2020 - che si è pronunciata nel senso della manifesta infondatezza dei motivi proposti in un caso in cui, nel proporre il gravame, il Procuratore generale aveva eccepito l'illegittimità costituzionale dell' articolo 593 cod. proc. penumero - come sostituito dall'articolo 2, co. 1, lett. a , del d.lgs. numero 11 del 2018 - nella parte in cui prevede che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di condanna «solo quando modificano il titolo del reato o escludono la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale o stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato» ricorda essere costante, l'affermazione per cui «nel processo penale, il principio di parità tra accusa e difesa non comporta necessariamente l'identità tra i poteri processuali del pubblico ministero e quelli dell'imputato potendo una disparità di trattamento «risultare giustificata, nei limiti della ragionevolezza, sia dalla peculiare posizione istituzionale del pubblico ministero, sia dalla funzione allo stesso affidata, sia da esigenze connesse alla corretta amministrazione della giustizia» sentenze numero 320, numero 26 del 2007 e, nello stesso senso, numero 298 del 2008 ordinanze numero 46 del 2004, numero 165 del 2003, numero 347 del 2002 e numero 421 del 2001 quanto alla giurisprudenza anteriore alla legge cost. numero 2 del 1999, nello stesso senso indicato, sentenze numero 98 del 1994, numero 432 del 1992 e numero 363 del 1991 ordinanze numero 426 del 1998, numero 324 del 1994 e numero 305 del 1992 ». E nella stessa si ribadisce che il processo penale è caratterizzato da una asimmetria «strutturale» tra i due antagonisti principali, cosicché le differenze che connotano le rispettive posizioni impediscono di ritenere che il principio di parità debba e possa indefettibilmente tradursi, nella cornice di ogni singolo segmento dell'iter processuale, in un'assoluta simmetria di poteri e facoltà. Soprattutto, in tale pronuncia, i giudici delle leggi hanno anche ribadito che la garanzia del doppio grado di giurisdizione non fruisce, di per sé, di riconoscimento costituzionale ex plurimis, sentenze numero 274 e numero 242 del 2009, numero 298 del 2008, numero 26 del 2007, numero 288 del 1997, numero 280 del 1995 ordinanze numero 316 del 2002 e numero 421 del 2001 , anche se a livello sovranazionale, l'articolo 14, paragrafo 5, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato a New York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, numero 881, e l'articolo 2 del Protocollo numero 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con legge 9 aprile 1990, numero 98 , prevedono il diritto a far riesaminare la decisione da una giurisdizione superiore, o di seconda istanza, a favore della persona dichiarata colpevole o condannata per un reato e sebbene la riconducibilità del potere d'impugnazione al diritto di difesa sancito dall' articolo 24 Cost. renda meno disponibile tale potere a interventi limitativi. Peraltro, le norme tacciate d'incostituzionalità in questa sede non prevedono affatto un restringimento della facoltà di impugnazione, bensì perseguono il legittimo scopo di far sì che le impugnazioni vengano celebrate solo quando si abbia effettiva contezza della conoscenza della sentenza emessa da parte dell'imputato, per evitare la pendenza di regiudicande nei confronti di imputati non consapevoli del processo, oltre che far sì che l'impugnazione sia espressione del personale interesse dell'imputato medesimo e non si traduca invece in una sorta di automatismo difensivo. 5. Altrettanto condivisibile, ragionevole e logica appare la ratio legis di operare una diversa scelta tra l'imputato presente nel processo e quello che ha deciso di non parteciparvi, se non attraverso la sua difesa tecnica. Il ricorrente lamenta che vi sarebbe comunque un aggravio di tempo - e una conseguente sminuimento del ruolo della difesa tecnica - che potrebbe stridere con i tempi a disposizione per poter proporre l'impugnazione, ma proprio ad evitare ciò e a garantire la tenuta costituzionale della nuova disciplina, il legislatore ha contemplato tutele compensative rispetto alla nuova previsione, quali l'ampliamento di quindici giorni del termine per impugnare per l'imputato assente e l'estensione del rimedio della restituzione in termini per impugnare. Il nuovo comma 1 bis dell' articolo 585 cod. proc. penumero , che disciplina i termini per l'impugnazione, prevede, infatti, che i termini, previsti a pena di decadenza, per proporre impugnazione di cui al comma 1 15, 30 e 45 giorni a seconda dei casi siano aumentati di quindici giorni 30, 45 e 60 giorni per l'impugnazione del difensore dell'imputato giudicato in assenza mentre il nuovo comma 2.1 dell' articolo 175 cod. proc. penumero prevede, poi, che l'imputato giudicato in assenza sia restituito, a richiesta, nel termine per proporre impugnazione, qualora dia prova di non aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e di non aver potuto proporre impugnazione nei termini senza sua colpa. Il ricorrente prospetta una configurazione, da parte della norma dell'imputato assente come di una sorta di irreperibile, mentre la disposizione riguarda invece l'imputato l'assente ovvero quello che, a conoscenza del processo a suo carico, sceglie, qualunque sia la ragione, di essere assente e di farsi rappresentare dal difensore articolo 420bis, co. 4 cod. proc. penumero . La sua scelta deve essere volontaria e consapevole e il giudice è tenuto ad accertarlo articolo 420bis, co. 1 e 2 , con la conseguenza che - in presenza delle relative situazioni di fatto - il difensore, pertanto, non dovrebbe incontrare soverchie difficoltà a farsi rilasciare, dopo la sentenza di primo grado, il mandato specifico ad appellare. Del resto, già il comma 3 dell'articolo 571, soppresso dall' articolo 46 della l. 16 dicembre 1999, numero 479 , stabiliva che, contro una sentenza contumaciale, il difensore potesse proporre impugnazione solo se munito di specifico mandato, anche se tale mandato poteva essere rilasciato con la nomina o anche successivamente nelle forme per questa previste. In ogni caso, il difensore, qualora abbia motivo di ritenere che non riuscirà a farsi rilasciare il mandato specifico in tempo utile, potrà suggerire all'imputato, anche prima dell'emissione della sentenza, di nominare un procuratore speciale, come previsto dall' articolo 571, comma 1, cod. proc. penumero , che abbia il potere di proporre l'impugnazione. È chiaro, comunque, che la disposizione in esame non pensa all'imputato che, dopo il primo impatto con le forze di polizia la designazione di un difensore d'ufficio e quant'altro la legge prevede , sparisca senza lasciare traccia alcuna di sé, in quanto costui, infatti, non potrà mai essere legittimamente dichiarato assente, tanto che il percorso processuale che lo riguarda è diverso e confluirà, di regola, nella sentenza di non luogo a procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo di cui all'articolo 420quater. Analogamente, non si rinviene alcun contrasto con le norme costituzionali nell'aver imposto all'imputato assente la dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio. La nuova disposizione dell' articolo 581, comma 1ter, cod. proc. penumero , così come l'analoga incombenza imposta dall' articolo 581 comma 1 quater cod. proc. penumero , riproduttiva, come in precedenza ricordato, dell'articolo 1, comma 13, lett. a della legge delega, si coordina perfettamente con il novellato articolo 157ter co. 3 cod. proc. penumero secondo cui «3. In caso di impugnazione proposta dall'imputato o nel suo interesse, la notificazione dell'atto di citazione a giudizio nei suoi confronti è eseguita esclusivamente presso il domicilio dichiarato o eletto ai sensi dell'articolo 581, commi 1 ter e 1 quater» e con l'articolo 164 rubricato «Durata del domicilio dichiarato o eletto» , che stabilisce ora quanto segue «La determinazione del domicilio dichiarato o eletto è valida per le notificazioni dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare, degli atti di citazione in giudizio ai sensi degli articoli 450, comma 2, 456, 552 e 601, nonché del decreto penale, salvo quanto previsto dall'articolo 156, comma 1.». Il dettato normativo, sostituendo l'inciso contenuto nell' articolo 164 cod. proc. penumero in base al quale la dichiarazione o l'elezione di domicilio era valida per ogni stato e grado del procedimento, ha dunque escluso che la dichiarazione o l'elezione di domicilio già presente in atti possa esimere l'impugnante dal deposito di una nuova dichiarazione o elezione di domicilio. Ebbene, le già spese considerazioni circa il fatto che l'imputato assente non è affatto irreperibile valgono anche per l'ulteriore onere richiestogli di indicare il domicilio ove indirizzargli la notifica del nuovo decreto di citazione. Tali considerazioni consentono di ritenere costituzionalmente compatibile nel delineato nuovo quadro di garanzie - la novella legislativa in questione. 6. Per l'effetto, attesa la mancanza - oltre che della necessaria dichiarazione o elezione di domicilio - anche dello specifico mandato a impugnare previsto dalla citata disposizione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla declaratoria d'inammissibilità segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, numero 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», la ricorrente va condannata al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.