Nemmeno il COVID-19 “salva” l’imputato dalla condanna per la rapina in farmacia

Rapina una farmacia e poi, una volta condannato, ricorre in Cassazione sostenendo l’errore da parte della Corte d’Appello di Caltanissetta per aver ritenuto l’applicabilità della circostanza aggravante prevista dall’articolo 61, comma 1, numero 11- octies , c.p.

L'imputato afferma di non aver compiuto la rapina perché si trattava di una farmacia , ma semplicemente con l' obiettivo di procurarsi dei soldi . Non c'entrano né le cure, né i farmaci né l'attività di farmacista. Inoltre, il ricorrente sostiene che l'aggravante in questione è stata introdotta durante l'emergenza per la pandemia di COVID-19 , in ragione dell'allarme sociale che era stato suscitato da alcuni episodi di cronaca che avevano visto medici e infermieri, specialmente dei pronto soccorso, vittime di aggressioni da parte dei pazienti e dei loro familiari. La doglianza, però, non è fondata. Il Collegio ricorda come dopo un lungo iter parlamentare, durato quasi due anni, la l. numero 113/2020 ha introdotto nell' articolo 61 c.p. una nuova circostanza aggravante comune che consiste nell'«aver agito, nei delitti commessi con violenza o minaccia, in danno degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nonché di chiunque svolga attività ausiliarie di cura, assistenza sanitaria o soccorso, funzionali allo svolgimento di dette professioni, a causa o nell'esercizio di tali professioni o attività». Tale circostanza riguarda gli esercenti le professioni sanitarie gli esercenti le professioni socio-sanitarie chiunque svolga attività ausiliare di cura, assistenza sanitaria o soccorso , funzionali allo svolgimento delle dette professioni. Ne consegue che la Corte territoriale non è incorsa in alcun errore nell'applicare la circostanza aggravante cit., pertanto, il ricorso viene rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

Presidente Rosi – Relatore Nicastro Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 16/03/2023, la Corte d'appello di Caltanissetta confermava la sentenza del G.u.p. del Tribunale di Gela che, in esito a giudizio abbreviato, aveva condannato R.C. alla pena di cinque anni, otto mesi e venti giorni di reclusione ed € 1.400,00 di multa per il reato di rapina ai danni delle farmaciste G. M. e R. B., aggravato, oltre che dall'essere stata la minaccia commessa con armi e da persona travisata, anche ai sensi dell'articolo 61, primo comma, numero 11-octies , cod. penumero 2. Avverso l'indicata sentenza del 16/03/2023 della Corte d'appello di Caltanissetta, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, R.C., affidato a un unico motivo, con il quale lamenta, in relazione all'articolo 606, comma 1, lett. b , cod. proc. penumero , l'erronea applicazione dell'articolo 61, primo comma, numero 11-octies , cod. penumero , per avere la Corte d'appello di Caltanissetta ritenuto l'applicabilità della circostanza aggravante prevista da tale norma penale «indipendentemente dal fatto se il reato fosse legato all'attività svolta dalla parte offesa» e «per il solo fatto che si trattasse di medico, farmacista, veterinario, ecc.». Il ricorrente afferma che, pena la configurazione di un illogico «privilegio» che si porrebbe in contrasto con l' articolo 3 Cost. , «[l]a tutela rafforzata dalla qualità di esercente una professione sanitaria va sempre e comunque rapportata all'attività del sanitario , al quale non può attribuirsi una speciale tutela anche allorquando agisce id est subisce come un comune cittadino o comunque qualora il fatto nel caso di specie la rapina non abbia attinenza con l'attività sanitaria». Ciò premesso, il ricorrente rappresenta di avere compiuto la rapina «non perché si trattava di farmacia, ma semplicemente per procurarsi dei soldi non c'entrano né le cure, né i farmaci - e conseguentemente - neanche l'attività di farmacista». Secondo il R.C., l'applicazione dell'aggravante de quo a una tale fattispecie concreta si porrebbe in contrasto con il principio di eguaglianza, di cui all' articolo 3 Cost. , con la conseguenza che il giudice di merito avrebbe dovuto dare dell'articolo 61, primo comma, numero 11-octies , cod. penumero - contrariamente a quanto ha fatto - un'interpretazione conforme al suddetto principio di eguaglianza, escludendo che la stessa aggravante fosse applicabile alla fattispecie di causa. Il ricorrente rammenta ancora che l'aggravante di cui all'articolo 61, primo comma, numero 11-octies , cod. penumero , fu introdotta dall' articolo 5 della legge 14 agosto 2020, numero 113 durante l'emergenza per la pandemia di Covid-19, in ragione dell'allarme sociale che era stato suscitato da alcuni episodi di cronaca che avevano visto medici e infermieri, specialmente dei pronto soccorso, vittime di aggressioni da parte dei pazienti o di loro familiari e che la relazione di accompagnamento al disegno di legge S-867 poi divenuto legge numero 113 del 2020 aveva affermato che «i fattori di rischio responsabili di atti di violenza diretti contro gli esercenti le professioni sanitarie sono numerosi, ma l'elemento peculiare e ricorrente è rappresentato dal rapporto fortemente interattivo e personale che si instaura tra il paziente e il sanitario durante l'erogazione della prestazione sanitaria e che vede spesso coinvolti soggetti, quali il paziente stesso o i familiari, che si trovano in uno stato di vulnerabilità, frustrazione o perdita di controllo». Ciò rammentato, il R.C. afferma che «[n]ella rapina non c'è nessun rapporto personale interattivo , né il rapinatore può qualificarsi paziente , né infine la rapina può essere equiparata a una prestazione ». Pertanto, il ricorrente chiede alla Corte di cassazione di annullare la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto la sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 61, primo comma, numero 11-octies , cod. penumero , e, in via subordinata, di sollevare questione di legittimità costituzionale di tale disposizione, essendo la stessa questione rilevante e non manifestamente infondata. Considerato in diritto 1. L'unico motivo non è fondato. Dopo un lungo iter parlamentare durato quasi due anni , la legge numero 113 del 2020 - intitolata «Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell'esercizio delle loro funzioni» - ha introdotto nell' articolo 61 cod. penumero una nuova circostanza aggravante comune, contemplata nel numero 11-octies del primo comma del menzionato articolo 61 cod. penumero , la quale consiste nell'«avere agito, nei delitti commessi con violenza o minaccia, in danno degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nonché di chiunque svolga attività ausiliarie di cura, assistenza sanitaria o soccorso, funzionali allo svolgimento di dette professioni, a causa o nell'esercizio di tali professioni o attività». La nuova circostanza aggravante ha riguardo a tre categorie di persone a gli esercenti le professioni sanitarie b gli esercenti le professioni socio-sanitarie c chiunque svolga attività ausiliarie di cura, assistenza sanitaria o soccorso, funzionali allo svolgimento delle dette professioni. L'ambito di applicazione soggettiva della legge numero 113 del 2020 - e, quindi, anche dell'aggravante, da essa introdotta, di cui al numero 11-octies del primo comma dell' articolo 61 cod. penumero - è delineato dall' articolo 1 della stessa legge numero 113 del 2020 , il quale rinvia alle disposizioni della legge 11 gennaio 2018, numero 3 cosiddetta Legge Lorenzin per le definizioni di professioni sanitarie e socio-sanitarie. Per quanto qui interessa, ai sensi dell' articolo 4 della richiamata legge numero 3 del 2018 , svolgono una professione sanitaria anche coloro che appartengono all'Ordine dei farmacisti. Ciò precisato con riguardo all'ambito di applicazione soggettiva, la circostanza aggravante contempla poi due presupposti oggettivi di applicazione. Essi sono costituiti a dal dover essere il reato un delitto non, quindi, una contravvenzione commesso con violenza o minaccia come nel caso della rapina b dal dover essere il reato commesso ai danni di una delle suddette categorie «a causa o nell'esercizio» delle menzionate professioni sanitarie o socio-sanitarie o attività ausiliarie. Ciò che interessa specificamente il motivo di ricorso è proprio tale necessario nesso funzionale tra il delitto commesso con violenza o minaccia e l'esercizio dell'attività professionale del sanitario. A tale proposito, si deve ritenere che a la locuzione «a causa» della professione svolta si riferisca a quelle condotte delittuose minacciose o violente che aggrediscano la persona del sanitario in ragione dell'incarico da essa espletato connessione finalistica b la locuzione «nell'esercizio» della professione si riferisca a quelle condotte delittuose minacciose o violente che aggrediscano la persona del sanitario contestualmente a tale esercizio connessione occasionale, purché l'attività sia in corso . La ratio della più energica tutela penale apprestata dall'aggravante si deve ritenere risiedere a nel primo caso, nello scopo di impedire vendette o, comunque, ingiuste reazioni minacciose o violente, cui possa avere dato luogo lo svolgimento dell'incarico svolto da sanitario b nel secondo caso, nello scopo di garantire la sicurezza dell'esercizio della funzione o del servizio sanitario nel momento in cui esso si trova in fase di svolgimento. Questo secondo caso richiede dunque, alla luce della lettera e della ratio della norma, esclusivamente che l'aggressione violenta o minacciosa sia realizzata contestualmente all'esercizio in atto dell'attività professionale del sanitario, senza che sia necessario, ai fini della sussistenza della circostanza aggravante, che la stessa aggressione sia determinata da motivi che attengono all'esercizio della suddetta attività o presupponga un rapporto paziente/sanitario. Anche in questo secondo caso, la più energica tutela penale apprestata dall'aggravante non deriva unicamente e di per sé da una maggior tutela soggettiva di chi rivesta una determinata qualifica professionale ma dal collegamento della condotta di reato con l'esercizio in atto della correlativa attività professionale. Il quale esercizio è tale, come è stato esattamente rilevato dalla Corte d'appello di Caltanissetta, da esporre particolarmente gli operatori sanitari ai rischi di aggressione che derivano dal fatto di essere gli stessi, a cagione della loro attività, in costante relazione con una pluralità indeterminata di persone, che si rapporta con loro senza alcun filtro, e con ridotte possibilità di limitare le occasioni di incontro con un pubblico indifferenziato e di apprestare delle difese dai rischi che derivano da tale situazione di particolare esposizione. Ciò è dimostrato, del resto, dai dati forniti dall'INAIL, disponibili sul sito istituzionale dell'Istituto, i quali fotografano come la percentuale di infortuni conseguenti ad aggressioni rispetto al totale degli infortuni sia, nel settore sanitario, decisamente superiore alla percentuale media degli altri settori nel quinquennio 2015-2019, il 9% contro il 3% . Da quanto si è esposto consegue a da un lato, che la Corte d'appello di Caltanissetta, col ritenere la sussistenza della circostanza aggravante de quo per avere il R.C. commesso la rapina ai danni delle due farmaciste G. M. e R. B. mentre esse, in orario di apertura della farmacia, stavano esercitando la loro professione sanitaria, non è incorsa nella denunciata erronea applicazione dell'articolo 61, primo comma, numero 11-octies , cod. penumero b dall'altro lato, la manifesta infondatezza della sollevata eccezione di legittimità costituzionale, atteso che la maggiorata tutela che è prevista, anche nel caso in cui l'aggressione violenta o minacciosa sia realizzata «nell'esercizio» delle professioni sanitarie - nei termini indicati di un'aggressione che sia realizzata contestualmente all'esercizio dell'attività professionale del sanitario - non costituisce un ingiustificato privilegio accordato per il solo fatto di rivestire la qualifica professionale di sanitario ma trova una sua ragionevole giustificazione nel collegamento della condotta delittuosa con l'esercizio delle professioni sanitarie e nelle peculiari evidenziate esigenze di tutela dello stesso esercizio. 2. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell' articolo 616, comma 1, cod. proc. penumero , al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.