Tossicodipendenza e uso abituale non sono la stessa cosa: la Cassazione cambia orientamento

Al fine dell’ottenimento dell’affidamento in prova c.d. terapeutico”, riservato ai tossicodipendenti, la condizione di uso abituale o continuativo di stupefacenti non è da sola sufficiente a soddisfare il requisito dello stato di tossicodipendenza, richiesto dalla norma.

L’affidamento terapeutico Il ricorso per cassazione che ha animato la decisione oggi in commento trae origine da una ordinanza del tribunale di sorveglianza della Capitale, con la quale si rigettava la richiesta di affidamento al servizio sociale c.d. terapeutico” , riservata a chi soffre da dipendenza da stupefacenti. Nel caso che ci occupa era stato allegato dalla difesa un disturbo da uso di cocaina”, di cui soffriva il condannato. Ciò, però, non è stato ritenuto sufficiente dal collegio di sorveglianza per poter definire l’istante come tossicodipendente ” in senso stretto e consentirgli, così, di giovarsi della speciale disciplina contenuta nel T.U. stupefacenti. Quest’ultimo, lo ricordiamo, consente di espiare la pena in regime alternativo a quello intramurario nel caso in cui sia in corso un programma di disintossicazione dall’uso di stupefacenti. Il ricorso per cassazione, invece, appuntava la critica al provvedimento impugnato nella parte in cui non ha tenuto conto dell’orientamento di legittimità del 2009, con il quale si è affermato che – ai fini dell’accesso alla normativa in parola – le condizioni di uso abituale e di tossicodipendenza sono sinonimiche . La Cassazione cambia idea tossicodipendenza e uso abituale sono concetti diversi Niente da fare per il ricorrente i Giudici di legittimità sostengono che le censure sono infondate e mutano il proprio orientamento ermeneutico. Quest’ultimo, rappresentato da diverse pronunce l’ultima in questo senso citata rimonta al 2016 , sosteneva che per ottenere il beneficio dell’affidamento in prova terapeutico era sufficiente allegare e dimostrare l’uso continuativo di stupefacenti , poiché anche questo era da considerarsi manifestazione di un disturbo da dipendenza correlato ad una specifica sostanza. Altro argomento a sostegno di tale indirizzo era quello della equivalenza delle nozioni di tossicodipendenza e di uso abituale poiché la seconda altro non era che la specificazione della prima. Con la sentenza che oggi vi proponiamo assistiamo invece ad una netta sterzata il mero consumo di sostanze stupefacenti, pur se abituale, non è qualificabile come patologia in senso stretto. E di conseguenza non è di per sé idoneo a garantire l’accesso al beneficio penitenziario. Per fare accesso alla speciale misura alternativa alla detenzione, quindi, occorre dare rigorosa prova della dipendenza dall’uso di droghe . Un irrigidimento non condivisibile Non viviamo in un sistema giuridico di matrice anglosassone, siamo d’accordo il precedente giurisprudenziale non è vincolante e ciò che conta è soltanto la lettera della legge. Che è interpretata dai giudici in modo libero. Non facciamo quindi alcuna questione di principio in relazione al mutamento dell’indirizzo ermeneutico, che è legittimo e costituisce – in alcuni casi purtroppo, in altri per fortuna – un fenomeno assai frequente nel nostro panorama giuridico. Però, non possiamo fare a meno di osservare che in questo specifico caso a far mutare opinione ai giudici di legittimità non è un requisito giuridico, necessario per ottenere la concessione di una determinata misura. E’ un concetto extragiuridico, la dipendenza per l’appunto, che appartiene al bagaglio di conoscenze tipico del sanitario. Sarebbe a questo punto opportuno ottenere lumi dagli specialisti del settore, al fine di comprendere – noi giuristi s’intende – se i due concetti uso abituale e dipendenza sono scientificamente assimilabili oppure se esiste una netta cesura tra le due situazioni. Le ricadute concrete di questo distinguo, come abbiamo visto, sono notevoli.

Presidente Casa – Relatore Lanna Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato l'istanza di affidamento in prova in casi particolari, che era stata avanzata da H.K. soggetto in atto detenuto - con fine pena fissato al 07/04/08/2025 - presso la Casa circondariale di Rieti, in espiazione della pena di anni quattro e mesi otto di reclusione, inflittagli con sentenza della Corte di appello di Roma del 15/03/2022, per esser stato riconosciuto colpevole del reato di cui all'art. 73, comma 1, d.P.R. 09 ottobre 1990, n. 309. Il provvedimento reiettivo si fonda sulla considerazione che il disturbo da uso di cocaina, dal quale è affetto il ricorrente, porti ad escludere che quest'ultimo possa essere ritenuto in condizione di tossicodipendenza e, quindi, possa ottenere l'invocato affidamento terapeutico. Ancora, con riferimento al profilo della pericolosità sociale, il provvedimento ritiene persistente una pericolosità attuale, desumendola dalla revoca - disposta dal Tribunale di Sorveglianza di Roma in data 10/02/2021 - della detenzione domiciliare, che era stata concessa al condannato in relazione ad una precedente condanna alla pena di anni cinque e mesi quattro di reclusione, inflitta sempre per la medesima tipologia delittuosa tale revoca è stata disposta per avere l'istante, durante la fruizione del beneficio, commesso il reato la cui pena è ora in esecuzione. 2. Ricorre per cassazione K.H., a mezzo del difensore avv. Giuseppe Maria Moliterni, deducendo un motivo unico, mediante il quale viene denunciato vizio rilevante ex art. 606, comma 1, lett. b e lett. e cod. proc. pen., in relazione all'art. 94 d.P.R. n. 309 del 1990, in ragione della erronea applicazione della legge penale, nonché vizio di motivazione, quanto alla ritenuta insussistenza di elementi oggettivi, atti a dimostrare adeguatamente la condizione di tossicodipendente nella quale versa il condannato. In particolare, il ricorrente censura la distinzione operata dal Tribunale di sorveglianza di Roma, tra lo stato di tossicodipendente e la condizione di chi faccia un consumo abituale di sostanze stupefacenti, rimarcando invece la equipollenza semantica esistente tra le due espressioni, posto che la seconda chiarisce concettualmente il significato della prima. Tale assunto, peraltro, è confermato dalla giurisprudenza di legittimità, anche sulla scorta del dato testuale di cui all'art. 89, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, che, nel riferirsi alle procedure di accertamento della condizione di dipendenza, ai fini della sostituzione della misura custodiale con il trattamento in comunità terapeutica, equipara tale condizione all'assunzione abituale di stupefacenti Sez. 6, n. 16037 del 26/03/2009, Camon, Rv. 243582 . 2.1. Secondo il ricorrente, peraltro, tale corrispondenza è suffragata dalla riconducibilità delle nozioni di tossicodipendenza e uso abituale di sostanze stupefacenti, secondo la più accreditata classificazione diagnostica c.d. D.S.M. V , alla generale categoria dei disturbi da dipendenza e correlati all'uso di sostanze , all'interno della quale le suddette nozioni si distinguono solo in relazione alla gravità con cui il disturbo si manifesta. 2.2. Osserva la difesa, infine, che l'attestazione del disturbo da uso di stupefacenti, nonché l'impegno di spesa assunto, da parte del competente servizio pubblico, per la cura del prevenuto presso una comunità di recupero, con relativa attestazione di idoneità del programma trattamentale extra murario, avrebbero dovuto indurre il Tribunale di sorveglianza a ritenere la gravità dello stato patologico dedotto e, consequenzialmente, a concludere per la concessione al condannato della misura alternativa richiesta. 3. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso. Il Tribunale di sorveglianza ha evidenziato l'insussistenza di elementi oggettivi, dai quali desumere la tossicodipendenza del condannato. Non sussiste alcuna coincidenza, tra l'uso abituale o continuativo di stupefacenti e lo stato di tossicodipendenza la motivazione adottata, infine, è congrua e priva di contraddittorietà. 4. Con successiva memoria depositata a mezzo pec in data 22 novembre 2023, la difesa ha insistito per l'accoglimento del ricorso, ribadendo la fondatezza dei motivi posti a fondamento dell'impugnazione. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. L'impianto motivazionale dell'ordinanza impugnate, che ha negato a K.H. il beneficio dell'affidamento terapeutico ex art. 94 del d.P.R. n. 309 del 1990, appare coerente, esaustivo e conforme ai principi di diritto ripetutamente enunciati da questa Corte tale motivazione, pertanto, merita di restare al riparo da qualsivoglia stigma in sede di legittimità. 2.1. Il Tribunale di sorveglianza di Roma, infatti, ha evidenziato come, dalla documentazione versata nell'incarto processuale, risulti che il predetto versa in una condizione di disturbo dall'uso di cocaina sulla base di ciò, è stato negato l'invocato beneficio, stante la mancanza del requisito rappresentato dalla condizione di tossicodipendenza. 2.2. Questa Corte ha già avuto modo di spiegare come non sussista equipollenza tra l'uso abituale o continuativo di sostanze stupefacenti e lo stato di tossicodipendenza propriamente detto si tratta, infatti, di categorie distinte, aventi autonomo riconoscimento normativo e, comunque, tra loro non omologabili. Ne deriva che l'accertamento dello < < stato di tossicodipendenza> > , testualmente richiesto dall'art. 94 d.P.R. n. 309 del 1990, non è sovrapponibile al concetto di consumo abituale tale ultima condizione, infatti, rappresenta condizione essenziale, ma non sufficiente, per la formulazione della diagnosi di tossicodipendenza Sez. 4, n. 27575 del 10/05/2017, Blasi, Rv. 269974 Sez. 6, n. 54068 del 24/10/2018, Russo, Rv. 274586 Sez. 2, n. 24119 del 22/04/2021, B., Rv. 281625 Sez. 4, n. 39530 del 14/07/2016, Bevilacqua, Rv. 267899 . 2.3. È noto il richiamato orientamento giurisprudenziale secondo cui, ai fini dell'affidamento cd. terapeutico, non rileva la distinzione tra stato di tossicodipendenza ed uso abituale o continuativo di stupefacenti, inquadrandosi le due nozioni nella più generale categoria dei disturbi da dipendenza e correlati all'uso di sostanze , all'interno della quale esse vanno poi distinte per grado Sez. 1, n. 14008 del 13/01/2016, Kalary, Rv. 266619 né si ignora l'orientamento ermeneutico, a mente del quale - ai fini della sostituzione della misura custodiale con il programma di recupero - le nozioni di tossicodipendenza e di uso abituale di sostanze stupefacenti possono ritenersi sinonime, non solo in quanto la seconda chiarisce concettualmente il significato della prima, ma anche in ragione del dato testuale di cui all'art. 89, comma secondo, d.P.R. n. 309 del 1990, come sostituito dall'art. 4-sexies, comma primo, lett. a , legge 21 febbraio 2006, n. 49, la cui formulazione indica che la relativa istanza deve essere corredata, tra l'altro, da certificazione attestante lo stato di tossicodipendenza o di alcooldipendenza , nonché la procedura con cui è stato accertato l'uso abituale di sostanze stupefacenti psicotrope o alcoliche si veda Sez. 3, n. 24990 del 13/02/2018, Boncaldo, Rv. 273023, in cui si accomunano le nozioni di tossicodipendenza e di uso abituale di sostanze stupefacenti, in quanto espressioni di un medesimo status patologico si veda anche Sez. 1, n. 317 del 05/11/2018, dep. 2019, Denaro, Rv. 274411, a mente della quale < < In tema di affidamento in prova al servizio sociale richiesto per ragioni terapeutiche, ai sensi dell'art. 94 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non è configurabile una condizione di tossicodipendenza in caso di assunzione saltuaria di sostanze stupefacenti, che non dia luogo ad un consumo abituale, o almeno continuativo, idoneo a consolidare la condizione di dipendenza> > . 2.4. Questo Collegio, in contrario avviso, ritiene però che il mero consumo di sostanze stupefacenti - pur se abituale - non possa rientrare in una condizione patologica tale, da far ipotizzare ex se la sussistenza della situazione clinica legittimante la misura di cui all'art. 94, d.P.R. n. 309 del 1990. Ciò vale viepiù allorquando la certificazione rilasciata dal Ser.D. attesti una condizione di semplice uso saltuario, senza dare conto né della condizione di tossicodipendenza in senso stretto, né almeno di una condizione di abuso di sostanze stupefacenti, da intendere e recuperare ad un uso che abbia crismi di abitualità e non di pura assunzione occasionale. 2.5. Fuorviante, sul punto, appare il richiamo al testo del nuovo DSM-5, operato dalla difesa a fondamento della tesi della intervenuta equiparazione - fenomenica e terapeutica - dei vari disturbi correlati all'assunzione di sostanze stupefacenti, pretendendosi essere ormai non più separabili tra loro, le diagnosi di uso, di abuso e di dipendenza. Tali condizioni, effettivamente, sono state fuse all'interno dell'unica categoria nosografica del disturbo da uso di sostanze stupefacenti, che è parametrato secondo un climax, che spazia dal grado lieve a quello grave. A prescindere dalla mera catalogazione, però, i criteri utilizzabili per le rispettive diagnosi risultano commisurati alla contemporanea sussistenza di un differente numero di sintomi. Sono poi rimasti invariati i criteri adoperabili per la formulazione di tali diagnosi, dovendosi classificare - lieve il disturbo riscontrabile fino all'esistenza di due o tre criteri - moderato il disturbo diagnosticabile in presenza di quattro o cinque criteri - grave il disturbo connotato dalla sussistenza di sei o più criteri evocativi. 2.6. Deve concludersi, pertanto, nel senso che non ricorre una condizione di tossicodipendenza, ai fini della concessione della misura dell'affidamento cd. terapeutico, allorquando l'assunzione della sostanza avvenga secondo cadenze non atte a consolidare la relativa condizione di concreta dipendenza. 2.7. Ciò posto, con specifico riferimento al caso in esame, è dato rilevare che - come correttamente osservato dal Procuratore generale - nella documentazione allegata all'odierna istanza non vi è nemmeno cenno alcuno alla condizione di assuntore abituale dell'impugnante, essendo certificato sic et sempliciter un disturbo da uso di sostanze stupefacenti. 3. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Ricorrendone le condizioni, infine, deve essere disposta l'annotazione di cui all' art. 52, comma 1, del decreto legislativo 20 giugno 2003, n. 196 , recante il codice in materia di protezione dei dati personali . P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell 'art. 52 d.lgs. 196/0 3 in quanto imposto dalla legge.