Società per azioni a tempo determinato: lo statuto societario può prevedere la clausola di recesso ad nutum

È lecita la clausola statutaria di una società per azioni che non fa ricorso al mercato del capitale di rischio, la quale, ai sensi dell’art. 2437, comma 4, c.c., preveda, quale ulteriore causa di recesso, la facoltà dei soci di recedere dalla società ad nutum con un termine congruo di preavviso.

A seguito dell' esercizio del diritto di recesso da parte di un socio di una S.p.a., il Collegio arbitrale adito respingeva la domanda del medesimo volta all'accertamento della legittimità della sua azione e alla liquidazione della quota. Secondo la Corte d'appello di Cagliari, adita dal socio, il contenuto della clausola statutaria con cui era previsto che Anche al di fuori dei casi di cui sopra i soci possono comunque recedere con un preavviso di almeno centottanta giorni in tal caso, il recesso produrrà effetti dallo scadere dei centottanta giorni non poteva considerarsi lecito posto che la società di capitali era costituita a tempo determinato . La clausola veniva infatti ritenuta nulla in virtù del fatto che l' art. 2437 c.c. contempla il recesso anche senza giusta causa e con preavviso solo nelle società costituite a tempo indeterminato, mentre lo stesso non dispone per quelle a tempo determinato. La Cassazione sent., 29 gennaio 2024, n. 2629 ha però ribaltato la decisione, accogliendo il ricorso del socio che aveva esercitato il recesso proprio in forza della suddetta clausola. Afferma infatti la sentenza che, secondo l'opinione condivisa, la riforma del diritto societario del 2003 ha inteso superare i due principî che in precedenza connotavano la norma ossia, da un lato, la tassatività delle cause di recesso e, dall'altro lato, la preferenza per l'interesse all'integrità del patrimonio sociale ed alla prosecuzione dell'impresa, con la conseguente liquidazione punitiva” per il socio uscente, con l'obiettivo di favorire la competitività tra le imprese. In tale contesto, occorre considerare che la propensione all'investimento tanto più aumenta, quanto più l'investitore sia certo della possibilità di un rapido disinvestimento . Il legislatore ha dunque ampliato i casi di recesso previsti dalla legge, tenendo in considerazione primaria le esigenze del socio-investitore e non più solo quelle del socio interessato alla gestione della società, per il quale il recesso costituirebbe la massima espressione del suo dissenso da una scelta della maggioranza . Tale obiettivo si concretizza nel rimettere alla libertà statutaria la scelta di contemplare altre vicende di exit dei soci, nell'esercizio della loro autonomia negoziale privata, secondo il proprio programma imprenditoriale in modo da consentire a ciascuno di uscire dalla compagine societaria, non necessariamente in presenza dell'assunzione di deliberazioni assembleari, ma anche, come nella specie, semplicemente per volere del socio. In conclusione, la Cassazione ha affermato il principio di diritto secondo cui È lecita la clausola statutaria di una società per azioni che non fa ricorso al mercato del capitale di rischio, la quale, ai sensi dell' art. 2437, comma 4, c.c. , preveda, quale ulteriore causa di recesso, la facoltà dei soci di recedere dalla società ad nutum con un termine congruo di preavviso .

Presidente Di Marzio – Relatore Nazzicone Fatti di causa Con lodo emesso il 30 aprile 2018, il collegio arbitrale respinse le domande proposte da A.F., volte all'accertamento del suo legittimo recesso dalla omissis s.p.a. ed alla liquidazione della quota, dal medesimo quantificata nel valore di € 166.691,39, oltre agli interessi dovuti e al risarcimento del danno. Con sentenza del 25 giugno 2019, la Corte d'appello di Cagliari ha respinto l'impugnazione del socio. Premesso il contenuto della clausola di cui all'art. 11 dello statuto della società – secondo cui Anche al di fuori dei casi di cui sopra i soci possono comunque recedere con un preavviso di almeno centottanta giorni in tal caso, il recesso produrrà effetti dallo scadere dei centottanta giorni – la corte territoriale ha ritenuto che non sia lecita, ma sia affetta da nullità, ai sensi degli artt. 1418 e 1419 c.c. , la clausola statutaria la quale, introdotta ex art. 2437, comma 4, c.c. , preveda il diritto di recedere dei soci ad nutum nelle s.p.a. costituite a tempo determinato. Ciò in quanto il terzo comma dell' art. 2437 c.c. contempla il recesso anche senza giusta causa e con preavviso solo nelle società costituite a tempo indeterminato, mentre lo stesso non dispone per quelle a tempo determinato. Secondo la ratio della riforma del 2003, il recesso è essenzialmente una tutela per il socio dissenziente, dunque esclusivamente come reazione di questi a ragioni ricollegabili alla vita societaria tali da giustificare la sua uscita e il terzo comma dell' art. 2437 c.c. ha natura eccezionale, quanto alla previsione di un recesso ad nutum. La conclusione è indotta dalla tutela sia del capitale sociale, sia dei terzi, dovendosi rinvenire un principio di ordine pubblico, il quale esclude la liceità di un recesso ad nutum dalla società quando il contratto sia a tempo determinato, con conseguente dichiarazione di nullità della clausola di cui all'art. 11 dello statuto di omissis s.p.a. Ha disatteso anche il secondo motivo proposto dal socio, concernente l'equiparazione del termine di durata particolarmente lungo ad una durata indeterminata sia perché nuova ed inammissibile ex art. 345 c.p.c. , sia perché infondata, dal momento che il termine è stato fissato al 2050 e comunque non può estendersi alle società di capitali il diverso principio posto per le società di persone quanto all'argomento, contenuto solo nella memoria di replica, secondo cui la società è stata costituita nel 1967 e dunque oltrepasserebbe ogni orizzonte temporale previsionale di un soggetto collettivo, si tratta di deduzione tardiva ed, in ogni caso, infondata, comportando la sua applicazione un'eccessiva aleatorietà. Avverso questa decisione ha proposto ricorso per cassazione il soccombente, sulla base di tre motivi. Si è difesa con controricorso la omissis s.p.a. Le parti hanno depositato la memoria di cui all'art. 380-bis.1 c.p.c. Con ordinanza interlocutoria del 12 giugno 2023, n. 16560, il Collegio ha rimesso la causa alla pubblica udienza, considerando che la questione posta non vede precedenti pronunce presso la S.C. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso. Il ricorrente e la società hanno depositato la memoria ex art. 378 c.p.c. Ragioni della decisione 1. – I motivi. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione dell' art. 2437, comma 4, c.c. , in quanto la clausola statutaria riportata per intero nel motivo , dopo avere previsto i casi di legge e le ulteriori ipotesi concernenti alcune specifiche deliberazioni cui il socio non abbia concorso, nonché richiamato le norme in tema di gruppi, ha espressamente stabilito Anche al di fuori dei casi di cui sopra i soci possono comunque recedere con un preavviso di almeno centottanta giorni in tal caso, il recesso produrrà effetti dallo scadere dei centottanta giorni . Secondo il ricorrente, non si tratta affatto di una clausola nulla, non incorrendo essa in nessuna illiceità, né è vero che il recesso statutario possa prevedersi solo, come opina la corte territoriale, in relazione a situazioni di dissenso del socio dalle scelte assembleari, trattandosi di interpretazione arbitraria della disposizione, al contrario lasciando questa ampia discrezionalità alle previsioni statutarie. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione o la falsa applicazione degli artt. 1418 e 2437 c.c. , per avere in tal modo la corte territoriale vanificato il principio di tassatività delle ragioni di nullità degli atti privati, mentre la predetta clausola statutaria, regolarmente inserita nello statuto ed iscritta nel registro delle imprese, ne garantisce la pubblicità, sia per gli altri soci che tale clausola hanno espressamente deciso ed approvato, sia per i terzi creditori, in grado di valutare anche a tale riguardo il proprio interesse e la propria convenienza a contrarre con la società. A fronte di un'espressa previsione statutaria del recesso ad nutum, ed in mancanza di qualsiasi norma che ne sanzioni la nullità, non è possibile all'interprete trarla da pretesi ragionamenti sistematici di tutela di soci e creditori, come ha fatto la corte territoriale, che ha inteso così concedere una sorta di supertutela” ai creditori ed ai terzi, rispetto al diritto del socio di recedere. Tantomeno esiste un principio ordine pubblico economico che neghi efficacia a quella clausola, voluta dai soci, sia perché non necessita di tutela la società, la quale ha previsto essa stessa il recesso nel suo statuto, sia perché i terzi, ovvero le imprese, i finanziatori e i consumatori, sono ampiamente tutelati dalla conoscenza dello statuto in quanto iscritto nel registro delle imprese, dunque consapevoli del diritto riconosciuto ai soci, diritto del resto ritenuto pozione dal legislatore nelle società a durata indeterminata. Con il terzo motivo, deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 12 preleggi e 1362, 1367, 2437, comma 4, c.c., per avere in tal modo la corte d'appello disatteso i criteri dell'interpretazione letterale e conservativa dello statuto, essendo stata tale clausola espressamente voluta dai soci proprio in ragione dell'oggetto della società, concernente la vendita di prodotti farmaceutici e l'offerta di servizi ai soci farmacisti, donde l'esigenza di assicurare loro la facoltà di uscita dalla società in ogni momento, quale contrappeso per i soci di minoranza, rispetto alla partecipazione nettamente prevalente del socio forte” e titolare del 54,50% del capitale sociale. Dunque, il mero richiamo ad una generica ratio della riforma”, contenuto nella sentenza impugnata, non avrebbe potuto condurre a privare la clausola di effetti. Né la tutela dei creditori e dei terzi ha maggiore o minore valenza, a seconda che la società sia a tempo determinato o indeterminato, tale da indurre la nullità della clausola nel primo caso e la validità e compatibilità con l'ordine pubblico economico nel secondo la ritenuta nullità finisce per ledere il diritto del socio, il quale proprio su tale clausola ha fatto affidamento al momento dell'adesione al contratto sociale. I motivi, che possono essere trattati congiuntamente in quanto pongono la medesima questione di sostanza, sono fondati. 2. – Il sistema normativo del recesso nelle società per azioni. Considerando le principali fattispecie di diritto di recesso contemplate nel diritto delle società azionarie, risulta che esse sono state previste dal legislatore - a tutela del socio assente, dissenziente o astenuto, il primo e il secondo comma dell' art. 2437 c.c. attribuiscono il diritto di recesso ai soci che non abbiano concorso con il loro voto alla deliberazione qui, l'exit serve a tutelare il mancato consenso, quale contrappeso al ridotto potere del socio di minoranza di influire sulle scelte societarie, destinate ad avere un particolare impatto sulla vita sociale modifica dell'oggetto sociale, trasformazione, trasferimento della sede all'estero, revoca dello stato di liquidazione, eliminazione di cause di recesso e modifica dei criteri di liquidazione delle azioni, modifiche dei diritti di voto o di partecipazione , peraltro ammettendone la deroga, con l'esclusione della facoltà di recedere, in talune ipotesi proroga del termine, vincoli alla circolazione delle azioni - a tutela dei rapporti di gruppo il quinto comma dell' art. 2437 c.c. opera rinvio alle disposizioni dettate in tema di recesso per le società soggette all'attività di direzione e coordinamento, ossia all' art. 2497-quater c.c. , che attribuisce la facoltà di recesso al socio della società eterodiretta in talune evenienze società capogruppo che si trasformi mutando lo scopo sociale, modifica dell'oggetto sociale alterando in modo sensibile e diretto le condizioni economiche e patrimoniali della eterodiretta disposta condanna giudiziale ex art. 2497 c.c. inizio e cessazione dell'attività di direzione e coordinamento, per le non quotate, se ne deriva un'alterazione delle condizioni di rischio dell'investimento e non venga promossa un'opa - a tutela della libertà del socio da vincoli perpetui il terzo comma dell' art. 2437 c.c. prevede, per le società non quotate costituite a tempo indeterminato, il diritto di recesso con preavviso di almeno centottanta giorni mentre per le quotate, dove la scelta di disinvestimento è agevole, il legislatore non ha previsto analoga facoltà di recesso - a tutela della libertà del socio nelle società chiuse, lo statuto può prevedere ulteriori cause di recesso , che è la disposizione da interpretare. 3. – Insufficienza dell'interpretazione letterale. Giova rilevare che, in merito a quest'ultima disposizione, la sola lettera non è dirimente, in quanto la previsione secondo cui [l]o statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio può prevedere ulteriori cause di recesso non depone in modo univoco nel senso che tali ulteriori cause debbano essere anche singole e specifiche, né che debbano tendere esclusivamente a tutelare il dissenso. Allo stesso modo, neppure è sufficiente il richiamo alla legge delega del 3 ottobre 2001, n. 366 , Delega al Governo per la riforma del diritto societario, laddove all'art. 4, comma 9, lett. d , in tema di disciplina delle modificazioni statutarie, ha disposto di rivedere la disciplina del recesso, prevedendo che lo statuto possa introdurre ulteriori fattispecie di recesso a tutela del socio dissenziente, anche per il caso di proroga della durata della società individuare in proposito criteri di calcolo del valore di rimborso adeguati alla tutela del recedente, salvaguardando in ogni caso l'integrità del capitale sociale e gli interessi dei creditori sociali . Vale, invero, il principio generale di esordio del medesimo art. 4, comma 1, in tema di s.p.a., secondo cui La disciplina della società per azioni è modellata sui principi della rilevanza centrale dell'azione, della circolazione della partecipazione sociale e della possibilità di ricorso al mercato del capitale di rischio. Essa, garantendo comunque un equilibrio nella tutela degli interessi dei soci, dei creditori, degli investitori, dei risparmiatori e dei terzi, prevederà un modello di base unitario e le ipotesi nelle quali le società saranno soggette a regole caratterizzate da un maggiore grado di imperatività in considerazione del ricorso al mercato del capitale di rischio nonché l'osservazione secondo cui quell'espressione restrittiva, che àncora l'exit al dissenso, è relativa al recesso in quanto esso possa derivare da una modifica dello statuto, ma non impedisce di prevedere, come il legislatore delegato ha fatto, ipotesi di recesso non derivanti da singole deliberazioni statutarie, ma da un più generico dissenso” con l'intrapresa comune. Onde non basta la menzione, nella legge delega, della tutela del socio dissenziente per ritenere cogente la previsione di ipotesi di recesso ulteriori, solo ove legate a quel dissenso da scelte imprenditoriali della maggioranza, esplicitate cioè nelle ipotesi statutariamente previste, dovendo ritenersi lecita, invece, anche la clausola statutaria che tuteli altre ragioni a base del recesso, quale la divergenza degli interessi e dei comuni intendimenti tra i soci. 4. – La ratio del sistema del recesso nelle s.p.a. 4.1. – La tesi accolta. È opinione condivisa fra gli interpreti che la riforma del diritto societario del 2003 abbia superato i due principî che in precedenza connotavano l' art. 2437 c.c. ossia, da un lato, la tassatività delle cause di recesso e, dall'altro lato, la preferenza per l'interesse all'integrità del patrimonio sociale ed alla prosecuzione dell'impresa, con la conseguente liquidazione punitiva” per il socio uscente. Con la riforma del 2003, tale prospettiva è mutata. Il termine exit, mutuato dal linguaggio economico, accomuna il recesso e l'alienazione delle partecipazioni sociali, i quali, pur in sé assai diversi, appunto sul piano economico hanno una certa somiglianza. Se l'intento centrale della riforma del diritto societario del 2003 fu quello di favorire la competitività delle imprese tramite l'accesso delle società al mercato dei capitali, uno dei mezzi per conseguire tale intento fu l'ampliamento delle ipotesi di recesso, essendo un dato acquisito che la propensione all'investimento tanto più aumenta, quanto più l'investitore sia certo della possibilità di un rapido disinvestimento. Accanto alla limitazione della responsabilità dei soci al solo conferimento, proprio la possibilità di un agevole disinvestimento costituisce, infatti, come è stato convincentemente rilevato dalla dottrina, uno dei caratteri di favor per le società di capitali. In particolare, la riforma delle società di capitali del 2003 ha notevolmente ampliato le ipotesi in cui il recesso è consentito. Da un lato, sono stati arricchiti i casi legali di recesso ma, dall'altro lato, ancor più di rilievo sul piano sistematico si palesa il fatto che il legislatore abbia assicurato al socio, al momento dell'ingresso in società, che le possibilità di exit non possano essere ridotte durante societate, senza che allo stesso sia consentito di uscire dalla società ad un prezzo tendenzialmente corrispondente al valore di mercato delle azioni o della quota cfr. lett. e ed f dell' art. 2437, comma 1, c.c. . Un portato di rilievo della nuova disciplina dell'istituto dopo la riforma sta appunto nell'aver superato l'idea di un recesso fondato esclusivamente sulla reazione del socio avverso alcune deliberazioni decise dalla maggioranza invece, l'istituto tende ora ad assecondare la scelta dell'investitore, che decida di vendere i propri titoli per ragioni anche diverse ed indipendenti dalle altrui decisioni non condivise. Naturalmente, questo connota il recesso come finalizzato non soltanto all'uscita dalla società, ma anche ad ottenere al suo interno un maggior ascolto del socio, pure di minoranza. Si ricordano, inoltre, le seguenti fattispecie il recesso parziale, nel quale è permesso al socio di recedere per tutte o per una parte delle azioni, dunque con la più ampia gamma di possibili opzioni circa un eventuale disinvestimento, consentendogli di mantenere in società almeno una parte del patrimonio conferito il recesso dei soci assenti ed astenuti il recesso nei gruppi ex art. 2497-quater, comma 1, lett. a e c , c.c. , e dove già il dato testuale palesa il riferimento alla modificazione delle condizioni di rischio dell'investimento il recesso, anche parziale, dalle società costituite a tempo indeterminato, permettendosi al socio di mutare la destinazione del suo investimento per una scelta che può ben essere del tutto indipendente da eventuali deliberazioni dell'ente collettivo da lui avversate. Il legislatore ha, quindi, tenuto in considerazione primaria le esigenze del socio-investitore e non più solo quelle del socio interessato alla gestione della società, per il quale il recesso costituirebbe la massima espressione del suo dissenso da una scelta della maggioranza. Tutto ciò palesa che la logica sottesa dal complessivo sistema normativo in tema di recesso dalle società azionarie è tutt'altra rispetto al mero dissenso da scelte della vita societaria ed assembleare ed, anzi, tale logica è più frequentemente indipendente dalla tutela del socio dissenziente rispetto a specifiche decisioni societarie, onde costituisce piuttosto una tutela della scelta di disinvestire dall'impresa economica, quanto egli reputi non più conveniente tale partecipazione dell'alterazione delle condizioni di rischio del proprio investimento espressamente l' art. 2497-quater c.c. , per ben due volte, fa menzione . Ciò induce a ritenere non più sostenibile che il recesso societario sia un istituto avente carattere eccezionale. Altro è il tema della estensibilità del recesso legale ad nutum, previsto per le s.p.a. a tempo indeterminato dall' art. 2437, comma 3, c.c. , e quello della clausola relativa dove questa Corte ha stabilito che non siano assimilabili durata indeterminata e durata lunga, non essendo alla seconda vicenda estensibile la fattispecie normativa dettata per la prima cfr. Cass., sez. I, 5 settembre 2022, n. 26060 Cass., sez. I, 21 febbraio 2020, n. 4716 Cass., sez. I, 29 marzo 2019, n. 8962 . Il fondamento di tale orientamento sta, invero, quanto alla vita dei soci, nella condivisa necessità di assicurare carattere di certezza e univocità alle informazioni desumibili dalla consultazione degli atti iscritti nel registro delle imprese, senza imporre ai terzi un'attività di valutazione e interpretazione delle stesse connotata da un margine di opinabilità e, dunque, dall'esito non concludente, ed esporli ai rischi connessi alla indeterminatezza dei relativi dati e, quanto al criterio, da taluno proposto, della durata del progetto imprenditoriale, nella tendenziale difficoltà di individuare l'arco temporale entro il quale l'oggetto sociale può plausibilmente essere conseguito, laddove non consistente in attività suscettibile di ripetizione potenzialmente all'infinito, e, dunque, all'opinabilità e alla conseguente incertezza che il ricorso a un siffatto criterio così Cass. n. 26060/2022 , cit. . Diverso è anche il caso, in cui una deliberazione assembleare di società per azioni non quotata abbia ridotto il tempo di durata della società statutariamente previsto, e che – in quella vicenda di specie – la corte territoriale aveva ritenuto assimilabile alla durata indeterminata dove era in discussione l'applicabilità dell' art. 2437 c.c. , che va esclusa perché la fattispecie in esame non è sussumibile nelle ipotesi ivi contemplate il recesso non è stato esercitato in ragione della proroga della durata della società, né perché la società aveva una durata a tempo indeterminato, essendo stata, anzi, ridotta la durata in questione , ritenendosi dunque la norma menzionata come di stretta interpretazione Cass. 24 febbraio 2022, n. 6280 , non massimata la sentenza afferma altresì, condivisibilmente, che la legge ha espressamente previsto che la facoltà di introdurre ulteriori” clausole di recesso sia veicolata all'interno dello Statuto, nel chiaro obiettivo di coniugare la maggiore autonomia privata normativamente riconosciuta alle società che non fanno ricorso al capitale di rischio con le esigenze di trasparenza e di conoscibilità anche da parte dei terzi delle ulteriori ipotesi di fuoriuscita del socio, potenzialmente atte ad incidere sull'assetto patrimoniale della società . Ragionamenti, dunque, estranei alla questione ora all'esame, in cui al creditore non si richiede nessuna previa valutazione circa l'esistenza del diritto di recesso in quanto ancorata alla vita del socio” o ad un progetto imprenditoriale” più o meno specifico. Ed invero, nell'intento di favorire l'accesso della società ai finanziamenti, il legislatore ha assicurato ai potenziali investitori la possibilità di uscire dalla società stessa con facilità e senza dover temere sorprese”. Nel ripercorrere le fattispecie dell' art. 2437 c.c. , sopra ricordate, si nota che il legislatore, accanto alle ipotesi tipiche di attribuzione della facoltà di recesso di cui al primo, secondo e quinto comma, si è preoccupato – piuttosto – di slegare il socio dai vincoli e di preservarne l'autonomia negoziale, con il prevedere ad esempio il diritto di recesso nelle società contratte a tempo indeterminato. Una logica non diversa, nella medesima prospettiva di autonomia negoziale dei soci e della società, connota il quarto comma della disposizione. Come il legislatore, attuando la legge delega, ha mirato più in generale ad ampliare l'autonomia statutaria, così specificamente in materia di recesso, accanto all'aumento delle ipotesi legali inderogabili perché caratterizzate da esigenze di ordine pubblico, ha anche previsto la novità, consistente nel fatto che lo statuto possa prendere in considerazione ulteriori cause di recesso o non prevederne altre, pur indicate dalla legge, ma considerate derogabili. La riforma del 2003 ha, quindi, a fronte dell'aumento dell'autonomia statutaria delle società e del rafforzamento dei poteri anche degli amministratori, attribuito alle minoranze tutela risarcitoria o, nella specie, un diritto di recesso di maggiore ampiezza. Dunque, come si rileva da molti, il recesso costituisce anche uno strumento di organizzazione dei rapporti endosocietari, spettando non più soltanto in presenza di decisioni assembleari non assentite dal socio, ma potendo le società che non fanno ricorso al mercato dei capitali di rischio liberamente introdurre ulteriori cause di recesso per via statutaria, onde esso funge anche da strumento di negoziazione. Sebbene, poi, proprio il procedimento di liquidazione previsto per legge, con il consegnare ai soci il valore tendenziale di mercato delle azioni, non escluda affatto che essi debbano accontentarsi di una perdita di valore del loro investimento e patirne un pregiudizio. Per la maggioranza, vale la considerazione che, ove fosse non conveniente operare alla fine il rimborso della partecipazione al socio recedente, la società potrà decidere lo scioglimento. Gli interessi che si fronteggiano in materia, pertanto, sono, da un lato, l'interesse della società a mantenere il conferimento conseguito, e, dall'altro lato, l'interesse del socio ad uscire dalla compagine societaria, una volta che abbia maturato tale intenzione. Tuttavia, se è vero che il legislatore ha bilanciato” egli stesso tali interessi – laddove ha attribuito al socio, con norme a volte derogabili ed a volte no, la facoltà di recedere a fronte di situazioni date assunzione di deliberazioni non condivise, vicende di potere o di abuso nel gruppo con alterazione notevole delle condizioni economiche e patrimoniali dell'investimento – è pur vero che egli ha, poi, espressamente riconosciuto all'autonomia statutaria la possibilità di contemplare ulteriori cause di recesso , con il solo limite che non si tratti di società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. È allora ragionevole ritenere che, anche in tal caso, il bilanciamento” degli interessi sia stato compiuto dal legislatore, proprio rimettendo alla libertà statutaria la scelta di contemplare altre vicende, ivi compreso il caso che i soci, nell'esercizio della loro autonomia negoziale privata, abbiano ritenuto conforme al proprio programma imprenditoriale consentire a ciascuno, od anche solo a taluno di essi, di uscire dalla compagine societaria, e ciò non, necessariamente, soltanto in presenza dell'assunzione di deliberazioni assembleari, ma anche, come nella specie, semplicemente per volere del socio. Mentre nel recesso per giusta causa l'accento è posto nella permanenza del c.d. rapporto fiduciario fra i soci, il recesso ad nutum non coinvolge necessariamente il rapporto fiduciario, potendo discendere anche semplicemente da una diversa valutazione circa le prospettive e scelte imprenditoriali. Va pur detto che, peraltro, nel recesso ad nutum resta possibile – su eccezione della controparte – un controllo generale di buona fede, non diversamente che in tutti i negozi, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c. , trattandosi di clausole generali che regolano i rapporti interprivati sulla sussistenza del controllo giudiziale alla stregua di tale clausole, si vedano, ad es. Cass., sez. I, 21 settembre 2023, n. 27014 Cass., sez. I, 21 febbraio 2023, n. 5396 Cass., sez. I, 22 dicembre 2020, n. 29317 e Cass., sez. I, 24 agosto 2016, n. 17291 , in materia di apertura di credito in conto corrente a tempo indeterminato Cass., sez. III, 29 settembre 2022, n. 28395 , sul contratto preliminare di vendita di quote societarie Cass., sez. III, 3 giugno 2020, n. 10549 e Cass., sez. I, 12 ottobre 2018, n. 25606 , in tema di recesso da parte della società concedente nella concessione di vendita di autoveicoli Cass., sez. II, 29 maggio 2020, n. 10324 in particolare, questa Corte ha già avuto occasione di richiamare l'applicazione della clausola generale di buona fede all'esercizio del diritto di recesso nelle società Cass., sez. I, 12 novembre 2018, n. 28987 , in tema di recesso del socio di s.r.l. . 4.2. – Risposta alle critiche. La principale critica a tale orientamento attiene al rischio di c.d. depatrimonializzazione della società insito nel recesso del socio. È vero che, nel tempo trascorso dalla riforma del 2003 ad oggi, molte cose sono cambiate nel diritto delle società, per tutte con il nuovo art. 2086 c.c. in tema di assetti dell'impresa ed in generale con la riforma della crisi e dell'insolvenza – protési alla tutela dell'organizzazione e dell'impresa, la c.d. continuità aziendale, richiamata anche dal P.G. con la Direttiva UE n. 2019/1023, c.d. Insolvency – nonché con gli istituti numerosi fra gli altri, il bilancio non finanziario, la responsabilità sociale delle imprese oggi declinata come sostenibilità”, l'impresa benefit, l'impresa sociale, ed altri , i quali connotano, come è stato scritto dalla dottrina, una diversa nozione di stakeholderism, imponendo all'attenzione interessi ampi ed esterni all'impresa, ivi compresa la tutela dei beni comuni quali l'ambiente, la salute collettiva e i diritti umani ciò non induce certamente, si noti, a sconfessare la primarietà dello scopo di lucro, ma piuttosto a sollecitare una selezione delle scelte strategiche aziendali che, pur nel legittimo perseguimento dei quello, comportino però il minor pregiudizio per i menzionati interessi. Per quanto riguarda la questione all'esame, tuttavia, tali evoluzioni proprie degli ultimi vent'anni non hanno mutato la ratio dell'istituto del recesso nelle s.p.a. A tale riguardo, occorre considerare un duplice rilievo da un lato, il fatto che il capitale sociale pur dovendosene confermare un valore non soltanto organizzativo, ma anche di garanzia patrimoniale minima svolge comunque un ruolo meno decisivo rispetto al passato, attesi i molteplici indici normativi in tal senso, quali il ridotto capitale minimo di s.p.a. e s.r.l., il versamento di solo il 25% dei conferimenti in danaro alla sottoscrizione dell'atto costitutivo, o alle figure della s.r.l. a capitale ridotto o start-up innovativa, oltre alle svariate deroghe agli artt. 2446 e 2447 c.c. dall'altro lato, il procedimento stabilito per la liquidazione della partecipazione sociale a séguito del recesso, posto che l' art. 2437-quater c.c. prevede, in prima battuta, l'offerta in opzione delle azioni agli altri soci, e, quindi, in successione, il collocamento presso terzi e l'acquisto di azioni proprie mediante le riserve disponibili, mentre, solo all'esito, sarà convocata l'assemblea straordinaria per deliberare la riduzione del capitale sociale o lo scioglimento della società. Quindi, il meccanismo complessivamente disegnato garantisce, all'esito dell'esercizio del diritto di recesso, che la società pervenga solo come extrema ratio alla riduzione del capitale sociale, quando si siano sperimentate diverse opzioni alternative in tal modo, rimanendo coerente con le più recenti tendenze in ambito di conservazione del valore organizzativo dell'impresa. Del resto, l'esigenza di un più agevole reperimento di capitali da parte della società – che appunto il recesso ampliato del socio mira a propiziare, posto che quanto più è facile recedere con corresponsione dell'effettivo valore della quota, tanto più i terzi sono indotti a sottoscrivere o variamente finanziare la società – è coerente con l'enfatizzazione del valore dell'organizzazione come tale. Resta fermo che le scelte statutarie potranno ricercare l'equilibrio tra queste esigenze e la preservazione del capitale sociale, ad esempio prevedendo un termine di preavviso anche superiore ai centottanta giorni ed il suo possibile allungamento statutario fino ad un anno, o un termine iniziale di preclusione dell'esercizio del diritto di recesso, sulla falsariga di quanto dispone l' art. 2328, comma 2, n. 13, c.c. 5. – Il caso di specie. Quanto esposto assume ulteriori sfumature e conferme nel caso di specie. Come si deduce nel ricorso e come narra la sentenza impugnata, la clausola fu prevista dai soci ed inserita nello statuto con specifico riguardo all'oggetto ed alla composizione della compagine sociale, dal momento che la società, che vede, da un lato, una partecipazione di assoluta maggioranza e, dall'altro, le partecipazioni di minima entità, si occupa della vendita di prodotti farmaceutici e di offerta di servizi ai soci farmacisti, cui quindi lo statuto ha reputato – nell'esercizio dell'autonomia negoziale – di attribuire il diritto di recesso, ove la partecipazione nella comune intrapresa ed il perseguimento di quei vantaggi si rivelasse non più conveniente per gli interessi del socio stesso. Atteso tale specifico oggetto societario, entra in considerazione, nella specie, la funzione del recesso ad nutum quella, perseguita dai soci fondatori e condivisa dai successivi aderenti, di assicurare ai soci la facoltà di uscita dalla società, ove non più rispondente ai propri interessi. Donde risulta particolarmente lesiva della posizione del socio, senza che possa giustificarlo nessun interesse preteso superiore, l'operata declaratoria di nullità della clausola statutaria, statuizione la quale irragionevolmente finisce per arrecare nel pregiudizio proprio all'affidamento nell'agevole uscita dalla società, implicito presupposto, insieme agli altri caratteri dell'impresa comune, per l'adesione iniziale del socio al contratto sociale. 6. – Conclusioni e principio di diritto. Alla luce di quanto esposto, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte d'appello di Cagliari, in diversa composizione, perché decida la controversia sulla base del seguente principio di diritto È lecita la clausola statutaria di una società per azioni che non fa ricorso al mercato del capitale di rischio, la quale, ai sensi dell' art. 2437, comma 4, c.c. , preveda, quale ulteriore causa di recesso, la facoltà dei soci di recedere dalla società ad nutum con un termine congruo di preavviso . Alla corte del merito si demanda anche la liquidazione delle spese di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa innanzi alla Corte d'appello di Cagliari, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.