Duplicazione abusiva e detenzione di programmi informatici: quando si configura il “fine di profitto”?

La Corte di Appello confermava la sentenza di condanna del Tribunale per il reato di cui all'art. 171 -bis l. n. 633 del 1941 contestato a Tizio in riferimento alla abusiva duplicazione e detenzione di 845 programmi informatici, rinvenuti sui personal computer installati nelle postazioni di proprietà della società X, di cui l'imputato era legale rappresentante.

Ricorre per Cassazione Tizio deducendo violazione di legge in riferimento alla ritenuta sussistenza del fine di profitto, indispensabile per la configurabilità del reato . Infatti, sostiene la sua difesa che nessun incremento patrimoniale era derivato dalla installazione dei software, perché i clienti della società non erano i lavoratori ammessi ai corsi, bensì le agenzie per il lavoro, a loro volta percettrici dei fondi pubblici indipendentemente dal numero dei fruitori finali . Per la Suprema Corte il ricorso è infondato e deve essere rigettato. Sottolinea infatti che il testo originario dell'art. 171 -bis che prevedeva la sanzione penale per le ipotesi di abusiva duplicazione, distribuzione, importazione ecc. di programmi poste in essere a fini di lucro” , è stato modificato dalla l. n. 248 del 2000 il nuovo testo dell' art. 171 -bis richiede che le condotte di abusiva duplicazione, importazione, detenzione a scopo commerciale o imprenditoriale, ecc., siano state poste in essere per trarne profitto” . In un recentissimo arresto delle Sezioni Unite si è poi chiarito che nel delitto di furto, il fine di profitto che integra il dolo specifico del reato va inteso come qualunque vantaggio anche di natura non patrimoniale perseguito dall'autore Sez. U, n. 41570 del 25/05/2023 , C., Rv. 285145 . Secondo il ragionamento della Corte d'Appello, nel caso specifico che ci occupa, il fine di profitto non va identificato nel risparmio di spesa conseguente al mancato acquisto o abbonamento del software abusivamente duplicato ma nella possibilità per la società X di stare sul mercato in virtù della completezza della sua dotazione strutturale e pertanto continuare a godere dei finanziamenti pubblici che potevano garantirne la continuità, il funzionamento e l'esistenza . In conclusione, per la Cassazione è evidente il concreto interesse dell'imputato a rendere la società particolarmente conveniente sui costi da porre a carico delle agenzie del lavoro consentendo ad esse di essere competitive” per l'ottenimento dei fondi pubblici.

Presidente Andreazza – Relatore Pazienza Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 20/03/2022, la Corte d'Appello di Milano ha confermato la sentenza di condanna alla pena di giustizia emessa dal Tribunale di Milano, in data 22/11/2021, nei confronti di P.F., in relazione al reato di cui all' art. 171-bis l. n. 633 del 1941 a lui contestato con riferimento alla abusiva duplicazione e detenzione di 845 programmi informatici, rinvenuti sui personal computer installati nelle postazioni di proprietà della omissis s.r.l., di cui il P.F. era legale rappresentante. 2. Ricorre per cassazione il P.F., a mezzo del proprio difensore, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza del fine di profitto, indispensabile per la configurabilità del reato. Si censura la sentenza per non avere la Corte d'Appello considerato le peculiarità del caso concreto, sia quanto all'esistenza di uno scopo commerciale o imprenditoriale alla base della condotta, sia quanto all'individuazione di cosa il P.F. avrebbe conseguito dalla duplicazione e detenzione dei software. Si richiama, al riguardo, una pronuncia di questa Suprema Corte relativa alla configurabilità del fine di profitto nella diversa ipotesi di abusiva duplicazione ad opera di soggetto esercente professionalmente l'attività di assistenza in campo informatico al contrario, il riferimento della Corte territoriale al concetto di poter stare sul mercato non poteva legittimamente fondare una pronuncia di condanna. Nessun incremento patrimoniale era derivato dalla installazione dei software, perché i clienti della società non erano i lavoratori ammesse ai corsi, bensì le agenzie per il lavoro omissis s.p.a. e omissis s.p.a. , a loro volta percettrici dei fondi pubblici indipendentemente dal numero dei fruitori finali. La decisione risultava poi contraddittoria nella misura in cui, da un lato, afferma che il risparmio di spesa non coincideva con il profitto come sostenuto dal ricorrente , dall'altro tale profitto sarebbe rinvenibile nel fatto che la società poteva stare sul mercato in virtù della completezza della sua dotazione strutturale in realtà, la presenza sul mercato di omissis s.r.l. dipendeva dall'appartenere allo stesso gruppo societario cui erano riferibili anche le due citate agenzie per il lavoro. Considerato in diritto 1. Il ricorso è nel suo complesso infondato e deve essere perciò rigettato. 2. La difesa del P.F. non ha inteso contestare la materialità dei fatti presenza nella sede della omissis s.r.l., di cui il ricorrente era al momento dei fatti il legale rappresentante, di 88 personal computer su cui erano installate centinaia di programmi privi del supporto SIAE , né ha ritenuto di censurare la sentenza delle Corte d'Appello per aver disatteso le ricostruzioni alternative prospettate in quella sede cfr. pag. 3 asserita non indispensabilità dell'utilizzo dei PC per lo svolgimento dei corsi di riqualificazione professionale tenuti dalla omissis possibile riconducibilità dell'installazione dei programmi a terzi estranei alla società . Le censure difensive si sono invece concentrate sulla prospettata assenza del fine di profitto, indispensabile per la configurabilità del reato. In particolare, come già accennato nell'esposizione che precede, si è inteso censurare la sentenza per aver ritenuto configurabile il dolo specifico nella possibilità, per la omissis , di stare sul mercato con una dotazione strutturale completa si è osservato criticamente, al riguardo, che la società non aveva come clienti i lavoratori da riqualificare, ma le agenzie per il lavoro omissis s.p.a. e omissis s.p.a. le quali, a propria volta, percepivano fondi pubblici in misura indipendente dal numero dei soggetti fruitori dell'opera di riqualificazione. 2.1. Al riguardo, assume centrale rilievo il fatto che il testo originario dell'art. 171-bis, che prevedeva la sanzione penale per le ipotesi di abusiva duplicazione, distribuzione, importazione ecc. di programmi poste in essere a fini di lucro , è stato modificato dalla l. n. 248 del 2000 il nuovo testo dell'art. 171-bis richiede che le condotte di abusiva duplicazione, importazione, detenzione a scopo commerciale o imprenditoriale, ecc., siano state poste in essere per trarne profitto . La portata innovativa di tale modifica è stata interpretata in modo univoco nella giurisprudenza di questa Suprema Corte si è invero affermato che in tema di detenzione di prodotti privi di contrassegno S.I.A.E., la modifica del primo comma dell' art. 171 bis della legge 27 aprile 1941, n. 633 apportata dall' art. 13 della legge 18 agosto 2000, n. 248 , che ha sostituito al dolo specifico del fine di lucro quello del fine di trarne profitto , comporta un'accezione più vasta, che non richiede necessariamente una finalità direttamente patrimoniale, ed amplia, pertanto, i confini della responsabilità dell'autore Sez. 3, n. 25184 del 17/05/2007 , Viganò, Rv. 237071 - 01. In senso conforme, cfr. anche Sez. 3, n. 149 del 22/11/2006 , dep. 2007, Rizzi, Rv. 235706 - 01 in tema di tutela del diritto d'autore, le differenti espressioni utilizzate dal legislatore nelle varie formulazioni, succedutesi nel tempo, degli art. 171-bis della legge n. 633 del 1941 , introdotto dall' art. 10 del D.Lgs. 29 dicembre 1992 n. 518 , e 171-ter della stessa legge n. 633, introdotto dall' art. 17 del D.Lgs. 16 novembre 1994 n. 685 , hanno esplicato la funzione di modificare la soglia di punibilità del medesimo fatto, allargandola allorché è stata utilizzata l'espressione 'a scopo di profitto', e restringendola allorché si è ritenuto configurabili i reati de quibus se commessi a 'fini di lucro'” . La fondatezza di tali considerazioni sembra poi trovare un indiretto ma assai autorevole riscontro in un recentissimo arresto delle Sezioni Unite di questa Suprema Corte si è infatti chiarito che nel delitto di furto, il fine di profitto che integra il dolo specifico del reato va inteso come qualunque vantaggio anche di natura non patrimoniale perseguito dall'autore Sez. U, n. 41570 del 25/05/2023 , C., Rv. 285145 . 2.2. In tale prospettiva ermeneutica, che si condivide e qui si intende ribadire, il percorso argomentativo tracciato dalla Corte d'Appello resiste alle censure difensive pur se la sentenza impugnata richiama impropriamente una decisione relativo all'art. 171-ter, dove viene invece in rilievo il fine di lucro . Si è infatti chiarito, in tale percorso, che il fine di profitto non va identificato nel risparmio di spesa conseguente al mancato acquisto o abbonamento del software abusivamente duplicato risparmio di spesa intuitivo, e connaturato alla abusiva duplicazione dei programmi, che quindi sussisterebbe di per sé, e non necessiterebbe per la punibilità della condotta dell'ulteriore requisito del fine di profitto cfr. pag. 4 della sentenza impugnata . La Corte territoriale ha invero individuato il fine di profitto nella possibilità, per la omissis , di stare sul mercato in virtù della completezza della sua dotazione strutturale, e pertanto continuare a godere dei finanziamenti pubblici che potevano garantirne la continuità, il funzionamento e l'esistenza cfr. pag. 4, cit. . Tali conclusioni sono state confutate dalla difesa, la quale ha posto in rilievo il fatto che i clienti della omissis non erano i lavoratori ammessi ai corsi, ma le agenzie per il lavoro percettrici dei fondi pubblici, e che la presenza sul mercato della omissis dipendeva dalla sua appartenenza al medesimo gruppo societario al quale erano riferibili anche le agenzie per il lavoro. Si tratta di obiezioni non convincenti, alla luce di quanto ulteriormente osservato dalla Corte d'Appello, secondo cui la presenza di finanziamenti pubblici, e le stesse connotazioni pubblicistiche della funzione di recupero dei lavoratori svolta con l'espletamento di appositi corsi di riqualificazione, nulla tolgono al fatto che la società a responsabilità limitata omissis svolgeva, con gli strumenti del diritto privato, un'attività qualificabile come imprenditoriale pag. 4, cit. . D'altra parte, non sembra possibile conferire alcun rilievo - ai fini specifici che qui interessano - alla deduzione difensiva secondo cui i finanziamenti erano in concreto percepiti dalle agenzie per il lavoro appartenenti al medesimo gruppo societario dell' omissis , agenzie che – proprio per tale comune appartenenza - assicuravano le commesse alla società rappresentata dal P.F È infatti evidente il concreto interesse di quest'ultimo a rendere la società particolarmente conveniente anche attraverso l'abusivo risparmio sulle dotazioni informatiche quanto ai costi da porre a carico delle agenzie del lavoro, in modo da consentire a queste ultime di risultare, a propria volta, competitive nelle procedure di selezione per l'ottenimento dei fondi pubblici. Si tratta di un interesse può ed anzi certamente deve essere ricondotto, alla luce della richiamata elaborazione giurisprudenziale, nell'alveo del fine di profitto indispensabile per la configurabilità dell'art. 171-bis. 3. Le considerazioni fin qui svolte impongono il rigetto del ricorso, e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.