I limiti e le condizioni di efficacia del secondo licenziamento

In tema di rapporto di lavoro subordinato, il datore di lavoro, qualora abbia già intimato al lavoratore il licenziamento per una determinata causa o motivo, può legittimamente intimargli un secondo licenziamento, fondato su una diversa causa o motivo, restando quest’ultimo del tutto autonomo e distinto rispetto al primo, sicché entrambi gli atti di recesso sono in sé astrattamente idonei a raggiungere lo scopo della risoluzione del rapporto, dovendosi ritenere il secondo licenziamento produttivo di effetti solo nel caso in cui venga riconosciuto invalido o inefficace il precedente.

Il caso La vicenda sottoposta al vaglio della Corte è, in termini fattuali, piuttosto articolata. In particolare, un dipendente dell'Agenzia delle Entrate veniva licenziato per una giusta causa poi ritenuta sussistente dal Tribunale di Pistoia. L'appello del lavoratore contro questa pronuncia veniva dichiarato inammissibile dalla Corte di Appello di Firenze, pronuncia contro la quale il lavoratore ricorreva alla Corte di Cassazione. Nelle more, lo stesso lavoratore veniva nuovamente licenziato , ancora per giusta causa, per fatti diversi da quelli oggetto del primo licenziamento. In quest'ultimo caso, tuttavia, il Tribunale di Pistoia riteneva illegittimo il licenziamento disponendo in sintesi la reintegrazione sul posto di lavoro. Questa pronuncia veniva opposta – secondo il c.d. Rito Fornero - sia dall'Agenzia delle Entrate che dal lavoratore ed il Tribunale di Pistoia, con due separate sentenze, dichiarava la sopravvenuta inefficacia del secondo licenziamento vista sulla base della predetta pronuncia della Corte di Appello la legittimità del primo. Sentenze queste che venivano a loro volta reclamate dall'Agenzia delle Entrate e appellate dal lavoratore innanzi alla Corte di Appello la quale, riuniti i giudizi dichiarava inammissibile il gravame proposto come appello dal lavoratore in quanto, sebbene la causa fosse stata trattata secondo il Rito Fornero , introdotto oltre il termine di 30 giorni dalla comunicazione dell'ordinanza del Tribunale che aveva deciso sull'opposizione e ii rigettava il gravame proposto dall'Agenzia delle Entrate, sul presupposto che la sentenza di appello sul primo licenziamento avesse fatto venir meno il suo interesse ad agire rispetto al secondo. Contro tale pronuncia ricorrevano alla Corte di Cassazione sia il lavoratore che l'Agenzia delle Entrate, articolando vari motivi. Solo il giudicato stabilizza un licenziamento In particolare, e per quanto qui interessa, l'Agenzia delle Entrate si doleva del fatto che la Corte di merito avrebbe dovuto decidere sulla legittimità del secondo licenziamento vista l'assenza di alcun giudicato sul primo. Motivo questo che viene condiviso dalla Corte la quale, dando preliminarmente atto di una sua pronuncia medio tempore intervenuta che confermava l'inammissibilità dell'appello promosso dal lavoratore sul primo licenziamento e del conseguente venir meno dell'interesse ad agire dell'Agenzia nel procedimento in commento, ritiene di affrontare comunque il tema funzionalmente alla liquidazione delle spese di lite. In particolare, nell'avviso della Cassazione, se è indubbiamente legittima l'intimazione di un secondo licenziamento per motivi diversi dal primo , è altrettanto indubbio che la in efficacia del secondo recesso sia condizionata dall'accertamento sulla efficacia o meno del primo , di modo che – qualora il primo recesso sia considerato efficace – il secondo sarà destinato a non avere effetti. In tale contesto, precisa la Corte, l'accertamento sulla efficacia o meno del primo recesso non può che dipendere dal formarsi del giudicato sull'assetto del primo licenziamento , ragion per cui era del tutto fondata l'impugnazione dell'Agenzia delle Entrate stante il fatto che, all'epoca, la sentenza sul primo licenziamento non era ancora definitiva Salvo diversa decisione del Giudice, si applica il rito prescelto dal ricorrente Interessante è inoltre la decisione circa l'impugnazione promossa dal lavoratore, che lamentava l'erronea applicazione del c.d. principio dell'apparenza , in ragione del quale – sebbene nel primo grado di giudizio il rito avrebbe dovuto essere quello ordinario, e non il c.d. Rito Fornero – la Corte di Appello aveva dichiarato inammissibile il suo appello in ragione di un termine previsto appunto dal Rito Fornero. Motivo che non viene condiviso dalla Cassazione la quale, ribadendo il proprio consolidato orientamento, afferma che dal summenzionato principio di apparenza discende il principio complementare dell'ultrattività del rito , secondo cui una volta incardinato il giudizio secondo un tipo di rito, in difetto di rettifica da parte del giudice mediante apposita ordinanza, il giudizio segue in appello le stesse forme, quantunque in ipotesi erronee, condizionando anche la valutazione riguardo alla tempestività dell'impugnazione in quanto, poiché il rito in senso ampio attiene non solo alla fase procedimentale durante lo specifico grado ma anche alla fase successiva dell'impugnazione, ritenere che il soggetto soccombente possa adottare in questa seconda fase una forma ed una modalità di impugnazione diverse da quelle imposte dal rito secondo cui è stata emessa la sentenza significa attribuirgli una facoltà di mutamento che compete, invece, esclusivamente al giudice .

Presidente Di Paolantonio – Relatore Bellé Fatti di causa 1. La Corte d'Appello di Firenze, con la sentenza qui impugnata, ha dichiarato l'inammissibilità dell'appello proposto da P. E. avverso la sentenza n. 93/2022 del Tribunale di Pistoia ed ha rigettato i reclami proposti dall'Agenzia delle Entrate avverso le sentenze n. 92/2022 e 93/2022. Il contenzioso riguarda due licenziamenti disciplinari intimati dall'Agenzia delle Entrate nei riguardi del P. E., funzionario dell'ente. Il primo licenziamento per indebita consulenza a favore di società di indagati per bancarotta fraudolenta era stato dichiarato legittimo con sentenza n. 91/2022 del Tribunale di Pistoia, impugnata dal P. E. presso la Corte d'Appello di Firenze con gravame dichiarato però inammissibile. Il secondo licenziamento, che è oggetto della presente causa, fu intimato sulla base dell'addebito di due comportamenti abusivi in favore della famiglia alla quale facevano capo le società di cui si è detto. L'impugnativa di tale secondo licenziamento è stata definita in fase sommaria del Tribunale di Pistoia, con il riconoscimento della fondatezza di uno solo dei due addebiti e con l'annullamento del licenziamento, in quanto ritenuto sanzione eccessiva per l'unico comportamento ritenuto sussistente. L'ordinanza della fase sommaria veniva reclamata dal P. E. e dall'Agenzia delle Entrate ed i due giudizi impugnatori non venivano riuniti, concludendosi con due separate sentenze la n. 92/2022, sull'opposizione dell'Agenzia e la n. 93/2022 , sull'opposizione del P. E. , dichiarative entrambe dell'inefficacia sopravvenuta del secondo licenziamento, stante il rigetto dell'impugnativa, con la menzionata sentenza n. 91/2022, proposta nei riguardi del primo licenziamento. L'Agenzia delle Entrate proponeva reclamo” avverso entrambe le sentenze n. 92/2022 e n. 93/2022, mentre il P. E. proponeva appello” avverso la sentenza n. 93/2022 . Le tre impugnative venivano riunite e decise dalla Corte d'Appello di Firenze, con la sentenza n. 817/2022, qui impugnata, la quale - dichiarava inammissibile il gravame proposto come appello” dal P. E., in quanto, nonostante la trattazione della causa secondo il c.d. R. F., esso era stato introdotto oltre il termine di trenta giorni dalla comunicazione dell'ordinanza del Tribunale che aveva deciso sull'opposizione - rigettava il gravame proposto dall'Agenzia delle Entrate, sul presupposto che non ricorressero i presupposti per la sospensione del processo ex art. 337 c.p.c. , in attesa della definitività della pronuncia sull'impugnazione del primo licenziamento, ma che invece dovesse valorizzarsi l'autorità della sentenza resa su di esso, dal che derivava l'inefficacia del secondo licenziamento, come stabilito dal Tribunale aggiungeva la Corte di merito che non vi era interesse neppure del P. E. all'impugnativa del secondo licenziamento, una volta che il primo fosse stato – come era avvenuto sulla base della sentenza resa in altra causa – confermato. 2. La sentenza della Corte d'Appello di Firenze n. 817/2022 è stata impugnata dall'Agenzia delle Entrate, con un motivo, cui il P. E. ha opposto difese con controricorso. Anche il P. E. ha a propria volta impugnato tale sentenza, con ricorso successivo affidato a due motivi, resistiti da controricorso dell'Agenzia. Il Pubblico Ministro ha depositato requisitoria scritta. È in atti memoria del P. E Motivi della decisione 1. Il motivo di ricorso dell'Agenzia delle Entrate adduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2119, 2909 c.c. e 324 c.p.c., nonché dell'art. 67, co. 6, lett. d CCNL di comparto, in relazione all' art. 360, co., 1, c.p.c. e con esso si assume che la Corte territoriale non avrebbe potuto esimersi dal pronunciare nel merito sulla legittimità del secondo licenziamento, in assenza di giudicato rispetto al primo, errato essendo anche il richiamo all' art. 336 c.p.c. , stante l'autonomia dei singoli provvedimenti espulsivi. 2. Il ricorso successivo del P. E., da considerare quale ricorso incidentale da ultimo, v. Cass. 12 ottobre 2021 n. 27680 , e che è come tale ammissibile in quanto proposto entro il termine di quaranta giorni dalla notifica del ricorso principale, denuncia con il primo motivo la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 6 CEDU , dell'art. 24 Cost., dell'art. 1, co. 58, L. 92/2012 e dell'art. 63 d. lgs. 165/2001 in relazione all' art. 360, co., 1, n. 3 c.p.c. con tale motivo si afferma che la Corte di merito avrebbe indebitamente dato rilievo al criterio della c.d. apparenza, a fronte di un processo che non avrebbe dovuto essere svolto secondo le regole del cd. R. F., perché con la c.d. legge Madia non trovava più applicazione ai licenziamenti della P.A. l' art. 18 L. 300/1970 e, conseguentemente, anche il rito speciale. Il secondo motivo è formulato con il richiamo all'art. 6 CEDU ed agli artt. 111 e 24 Cost., nonché dell' art. 100 c.p.c. art. 360 n. 3 c.p.c. e con esso si manifesta l'infondatezza dell'assunto della Corte di merito in ordine all'insussistenza di un interesse del lavoratore alla pronuncia di illegittimità del secondo licenziamento, al fine di ottenere un risarcimento ove fosse accertata l'illegittimità della condotta tenuta dalla P.A. nei suoi confronti. 3. Deve preliminarmente darsi atto che, nelle more, Cass. 30 ottobre 2023, n. 30027 ha rigettato il ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello n. 675/2022 che, a propria volta, aveva ritenuto inammissibile il gravame interposto dal P. E. nei riguardi della sentenza del Tribunale di Pistoia n. 91/2022. È pacifico ed è affermato sia dalla sentenza qui impugnata pag. 13 sia dal ricorso per cassazione del P. E. pag. 11 , che la sentenza di appello n. 675/2022 aveva riguardato il primo licenziamento. È altresì pacifico ed è affermato sia dalla sentenza qui impugnata pag. 13 sia dal medesimo ricorso per cassazione pag. 8 che la sentenza di primo grado riguardante il primo licenziamento era la n. 91/2022 . È infine pacifico ed è affermato sia dalla sentenza qui impugnata pag. 13 sia dal menzionato ricorso per cassazione pag. 8 che la sentenza n. 91/2022 aveva ritenuto legittimo il primo licenziamento intimato al ricorrente. Pertanto, con il rigetto del ricorso per cassazione nei riguardi della sentenza n. 675/2022, l'accertamento in ordine alla legittimità del primo licenziamento è divenuto definitivo ed è noto che la S.C. può rilevare d'ufficio il giudicato che scaturisca dalle proprie pronunce Cass. S.U. 6 luglio 2023 n. 19129 Cass. 4 dicembre 2015, n. 24740 Cass., S.U., 17 dicembre 2007, n. 26482 . 4. Si determina quindi una perdita di interesse dell'Agenzia delle Dogane ad insistere per l'annullamento della pronuncia dichiarativa dell'inefficacia del secondo licenziamento, perché tale inefficacia è ora conclamata per il maturare del menzionato giudicato. 5. Tuttavia, per quanto si dirà rispetto alle spese del giudizio, va detto che il ricorso era da ritenere fondato. Nella giurisprudenza della S.C. - a parte alcune peculiarità del pubblico impiego su cui v. Cass. 9 marzo 2021, n. 6500 Cass. 24 agosto 2016, n. 17307 che qui non interessano - vale il principio consolidato per cui, in tema di rapporto di lavoro subordinato, il datore di lavoro, qualora abbia già intimato al lavoratore il licenziamento per una determinata causa o motivo, può legittimamente intimargli un secondo licenziamento, fondato su una diversa causa o motivo, restando quest'ultimo del tutto autonomo e distinto rispetto al primo, sicché entrambi gli atti di recesso sono in sé astrattamente idonei a raggiungere lo scopo della risoluzione del rapporto, dovendosi ritenere il secondo licenziamento produttivo di effetti solo nel caso in cui venga riconosciuto invalido o inefficace il precedente Cass. 20 gennaio 2011, n. 1244 Cass. 4 gennaio 2013, n. 106 . Ciò significa che, sul piano del diritto sostanziale, è legittima la intimazione di un secondo licenziamento, per quanto esso nasca come destinato a non avere effetti, se il primo licenziamento non sia caducato. Il nesso di diritto sostanziale tra i due licenziamenti cessa allorquando vi sia pronuncia definitiva sul primo licenziamento che, se sia di annullamento, consentirà al secondo licenziamento di produrre i propri effetti e, se sia di rigetto dell'impugnativa, renderà il secondo recesso definitivamente inefficace. Tuttavia, al di là di effetti provvisori dati dal risultare in ipotesi il primo licenziamento annullato con sentenza ancora soggetta a impugnazione, con la conseguenza di assicurare di fatto provvisoria efficacia al secondo licenziamento, è evidente che la definizione stabile dell'assetto sostanziale non può che dipendere dal formarsi del giudicato sull'assetto del primo licenziamento. Ne deriva un tratto di autonomia tra i due licenziamenti, tale per cui l'inefficacia del secondo non può essere giudizialmente dichiarata sulla base di un dato provvisorio, quale derivante dalla pronuncia ancora impugnabile resa sul primo licenziamento. In tale frangente, il giudice del secondo licenziamento, se il giudizio sul primo licenziamento non sia ancora giunto a pronuncia con sentenza passata in giudicato, deve pronunciare sulla legittimità o meno di esso e non sul nesso tra lo stesso ed il primo, proprio perché quel nesso si definisce solo al momento finale del giudicato formatosi sul primo licenziamento. Ciò evidenzia come sia inappropriato, rispetto a questo caso, anche il richiamo all' art. 336 c.p.c. operato dalla Corte territoriale, perché qui non vi è un provvedimento o un atto esecutivo che sia conseguenziale ad altra pronuncia, ma vi sono due atti sostanziali autonomi, di cui il primo nasce come inefficace perché successivo ad altro munito di analoghi effetti, ma può divenire successivamente efficace o definitivamente inefficace, allorquando il processo sul primo si definisca con sentenza passata in giudicato. Quindi, era giustificato che l'Agenzia proponesse il ricorso per cassazione, stante il fatto che, all'epoca, la sentenza sul primo licenziamento non era ancora definitiva. È solo ora, con il sopravvenire di quel giudicato, che si è realizzata la perdita di interesse di cui deve darsi atto nel definire il presente giudizio. 6. La sopravvenuta inefficacia del secondo licenziamento rende inammissibile per difetto di interesse anche il ricorso del P. E 7. Va comunque detto, sempre ai fini dell'incidenza sul regolamento delle spese, che il ricorso per cassazione del P. E. era infondato. Basti qui richiamare quanto si è già precisato con la citata ordinanza 30 ottobre 2023, n. 30027 tra le stesse parti, ove si è rilevato come la Corte territoriale abbia correttamente dato rilievo al principio c.d. dell'apparenza nell'individuazione del mezzo di impugnazione, applicato da questa Corte anche in materia di impugnazione del licenziamento con il R. F. v. Cass. 10 dicembre 2019, n. 32263 o con il rito del lavoro, principio fondato sull'affidamento in ordine all'applicabilità del regime di impugnazione proprio del provvedimento quale esso si presenta formalmente. Da ciò discende il principio complementare dell'ultrattività del rito, secondo cui una volta, come nella specie, incardinato il giudizio secondo un tipo di rito, in difetto di rettifica da parte del giudice mediante apposita ordinanza, il giudizio segue in appello le stesse forme, quantunque in ipotesi erronee, condizionando anche la valutazione riguardo alla tempestività dell'impugnazione e ciò in quanto, poiché il rito in senso ampio attiene non solo alla fase procedimentale durante lo specifico grado, ma anche alla fase successiva dell'impugnazione, ritenere che il soggetto soccombente possa adottare in questa seconda fase una forma ed una modalità di impugnazione diverse da quelle imposte dal rito secondo cui è stata emessa la sentenza significa attribuirgli una facoltà di mutamento che compete, invece, esclusivamente al giudice dell'impugnazione ex art. 439 c.p.c. cfr. cfr. Cass. 20.10.2022, n. 31012 . Si tratta di principi del tutto consolidati v. Cass. 16 novembre 2019, n. 28519 e dunque non ha in ogni caso rilievo alcuno la denunciata erroneità del rito seguito per l'intero corso del primo grado, in quanto ciò avrebbe comunque imposto di impugnare nei termini processuali propri delle forme in cui la causa era stata in concreto trattata. È del resto pacifico e risulta dalla sentenza di appello che il R. F. fosse quello scelto ab origine dal lavoratore”, che fu appunto inequivocabilmente seguito in primo grado, come dimostra altresì l'osservanza delle scansioni proprie di esso in una fase sommaria e poi in una fase di opposizione. Pertanto, l'impugnativa in appello doveva essere proposta nel termine di trenta giorni dalla comunicazione della sentenza del Tribunale, di cui all' art. 1, comma 58, l. n. 92/2012 , come è incontestato non sia avvenuto. 7.1 Si è del resto già detto che il diritto sostanziale ammette l'intimazione di un doppio licenziamento, salvo regolarne il nesso con il primo sul piano dell'efficacia/inefficacia, sicché il solo procedere ad un secondo licenziamento non è in sé comportamento illegittimo, né comunque il P. E., pur parlando nel secondo motivo di ricorso di danni, precisa in che senso e per quale particolare ragione, nonostante l'inefficacia, il secondo licenziamento sarebbe stato per lui pregiudizievole, una volta appurato che il rapporto era già cessato per effetto del primo recesso. 8. Da tutto quanto sopra, in una valutazione virtuale in ordine alla fondatezza dei motivi addotti ed al fine di ragionare in ordine alla responsabilità per la causazione della lite, deriva che la soccombenza va ravvisata in capo al P. E., che dunque è tenuto al rimborso delle spese in favore della controparte. La definizione del ricorso sulla base di evenienze sopravvenute che hanno determinato l'assorbente venire meno dell'interesse reciproco alla pronuncia, esclude in ogni caso che abbia rilievo, per i fini di cui al c.d. raddoppio del contributo unificato, l'originaria infondatezza del ricorso per cassazione del P. E. e dunque non deve procedersi all'attestazione di cui al d.p.r. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale e quello incidentale. Condanna P. E. al pagamento in favore dell'Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di cassazione che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.