L’applicazione di una misura di sicurezza non è automatica nemmeno per i reati di associazione a delinquere

L’art. 417 c.p. nel prescrivere l’applicazione di una misura di sicurezza ai soggetti condannati per i delitti di cui agli artt. 416 e 416- bis c.p., richiede comunque un preventivo accertamento della effettiva e attuale pericolosità sociale del soggetto, da valutare sulla base degli elementi di cui all’art. 133 c.p., respingendo automatismi e presunzioni.

La Corte d'assise d'appello di Napoli, su richiesta del Procuratore generale nel provvedimento di cumulo di pene, applicava ad un imputato la pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici e la misura di sicurezza della libertà vigilata in relazione alla condanna a 18 anni di reclusione già divenuta irrevocabile nei suoi confronti. La difesa ha proposto ricorso in Cassazione dolendosi per violazione di legge e vizio di motivazione, mancando infatti nel provvedimento impugnato qualsiasi motivazione in merito all' accertamento in concreto della pericolosità del ricorrente. Il ricorso risulta fondato. Fermo restando che l'ordinanza ha correttamente applicato la sanzione accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici che consegue automaticamente all'irrogazione di una pena superiore ai limiti stabiliti dall' art. 29 c.p. , la Corte evidenzia che in riferimento alle modalità di applicazione della misura di sicurezza di cui all' art. 417 c.p. si registra un contrasto giurisprudenziale . Secondo un primo orientamento Cass. pen., sez. II, n. 32569 del 2023 , in tema di libertà vigilata, il combinato disposto degli artt. 230, comma 1, c.p. e 417 c.p. impone, in caso di condanna per il delitto di cui all'art. 416- bis c.p. a pena non inferiore a 10 anni di reclusione, l'applicazione di tale misura per 3 anni, senza alcun obbligo specifico di motivazione da parte del giudice. L' opposto orientamento Cass. pen. sez. V, n. 24873 del 2021 ritiene invece che, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata, l'applicazione delle misure di sicurezza può essere disposta solo dopo il positivo scrutinio dell'effettiva pericolosità sociale del condannato, da accertarsi in concreto. Ed è l'orientamento che appare preferibile secondo la pronuncia in commento. La Cassazione ritiene infatti che l' art. 417 c.p. nonostante la sua perentoria formulazione, prescriva l'applicazione di una misura di sicurezza, ai condannati per i delitti di cui agli artt. 416 e 416- bis c.p., solo a seguito di un accertamento della effettiva e attuale pericolosità sociale del soggetto, da valutare sulla base degli elementi di cui all' art. 133 c.p. , respingendo automatismi e presunzioni . L'ordinanza impugnata viene dunque annullata con rinvio alla Corte d'assise per un nuovo giudizio.

Presidente Mogini – Relatore Masi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza emessa in data 28 ottobre 2021, depositata in data 27 giugno 2023, la Corte di assise di appello di Napoli, su richiesta formulata dal procuratore generale nei provvedimento di cumulo di pene, ha applicato a C.C. la pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici e la misura di sicurezza della libertà vigilata per tre anni, ai sensi dell' art. 417 cod. pen. , in relazione alla condanna alla pena di diciotto anni di reclusione emessa nei suoi confronti dalla medesima Corte in data 17 gennaio 2019 e divenuta irrevocabile in data 19 gennaio 2021. Secondo la Corte tali sanzioni devono essere applicate, a seguito della mera richiesta del procuratore generale, trattandosi di sanzioni obbligatorie per legge. 2. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso C.C., per mezzo del difensore avv. E. M., articolando un unico motivo con il quale deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b ed e , cod. proc. pen., in relazione agli artt. 417 cod. pen. e 31, comma 2, legge n. 663/1986. L'ordinanza impugnata non contiene alcuna motivazione in merito all'accertamento concreto della pericolosità del ricorrente. Egli si era opposto alla richiesta del procuratore generale evidenziando che l'omessa applicazione, con la sentenza indicata, della sanzione accessoria e della misura di sicurezza era dovuta non ad una indebita omissione, ma ad una scelta consapevole dei giudici, in quanto erano mancanti le necessarie condizioni di legge. Infatti i reati per i quali egli è stato condannato sono molto risalenti nel tempo, essendo il reato associativo commesso sino al 01/01/2008, le estorsioni aggravate dal metodo mafioso commesse sino al 1992, il reato di cui all' art. 439 cod. pen. commesso nel dicembre 2005. Secondo i principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità, pertanto, era necessario il vaglio della effettiva pericolosità sociale del condannato, da effettuare sulla base degli elementi di cui all' art. 133 cod. pen. , vaglio a cui l'ordinanza impugnata si è sottratta, omettendo anche di motivare in merito alla eventuale inidoneità delle deduzioni difensive per superare la pericolosità presunta. 3. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto l'annullamento del provvedimento, con rinvio per valutare la sussistenza della pericolosità sociale del condannato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato, nei termini sotto precisati, e deve essere accolto. 2. L'ordinanza impugnata è corretta quanto all'applicazione della sanzione accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici. Questa, infatti, consegue di diritto all'irrogazione di una pena superiore ai limiti stabiliti dall' art. 29 cod. pen. , quale effetto penale di una condanna di particolare gravità, e in caso di sua omissione essa, essendo predeterminata nella sua natura e nella sua durata, può essere applicata dal giudice dell'esecuzione, in base alla competenza attribuitagli dall' art. 183 disp. att. cod. proc. pen. , senza necessità di una specifica motivazione. Il ricorso, peraltro, non impugna, di fatto, la decisione di applicazione di detta sanzione, avendo il ricorrente lamentato, esplicitamente, solo l'intervenuta applicazione della misura di sicurezza. 3. Quanto alle modalità di applicazione di una misura di sicurezza ai sensi dell' art. 417 cod. pen. , che secondo la lettera della norma deve intervenire sempre , si registra un contrasto tra sentenze di questa Corte che ritengono tale applicazione una conseguenza automatica della condanna per il reato di cui agli artt. 416 o 416-bis cod. pen., essendo presunta dalla legge la pericolosità richiesta per tale applicazione, e sentenze che ritengono necessaria, invece, una verifica in concreto della pericolosità del condannato. Il primo orientamento è stato espresso in sentenze quali, recentemente, Sez. 2, n. 32569 del 16/06/2023, Rv. 284980, secondo cui In tema di libertà vigilata, il combinato disposto di cui agli artt. 230, comma primo, e 417 cod. pen. impone, in caso di condanna per il delitto di cui all'art. 416-bis cod. pen. a pena non inferiore a dieci anni di reclusione, l'applicazione di tale misura per la durata di tre anni, sicché il giudice non è onerato di uno specifico obbligo di motivazione in relazione alla pericolosità sociale del condannato vedi anche Sez. 1, n. 33951 del 19/05/2021, Rv. 281999 . L'opposto orientamento è stato espresso, tra le altre, dalla sentenza Sez. 5, n. 24873 del 21/04/2023, Rv. 284817, secondo cui In tema di misure di sicurezza, dopo la modifica introdotta dall' art. 31, comma 2, legge 10 ottobre 1986, n. 663 , secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata, la loro applicazione, ivi compresa quella prevista dall' art. 417 cod. pen. , può essere disposta, anche da parte del giudice della cognizione, soltanto dopo l'espresso positivo scrutinio dell'effettiva pericolosità sociale del condannato, da accertarsi in concreto sulla base degli elementi di cui all' art. 133 cod. pen. , globalmente valutati, senza possibilità di far ricorso ad alcuna forma di presunzione giuridica, ancorché qualificata come semplice vedi anche Sez. 1, n. 35996 del 08/05/2019, Rv. 276813 Sez. 1, n. 7188 del 10/12/2020, dep. 2021, Rv. 280804 . 3.1. Questo secondo orientamento appare preferibile, perché maggiormente conforme ai principi dettati dalla Corte Costituzionale, che ha ripetutamente censurato le norme che prevedevano un'applicazione automatica delle misure di sicurezza, basata su fattispecie presuntive di pericolosità predeterminate dal legislatore, specie se individuate attraverso categorie generali e non accompagnate da un giudizio di attualizzazione mediante la verifica di elementi fattuali concreti si vedano le sentenze nn. 139/1982, 249/1983 e 1/1971, relative all'infermo e al minore . Il legislatore, inoltre, ha avvertito l'esigenza di eliminare le presunzioni di pericolosità e di fondare l'applicazione di una misura di sicurezza su una concreta valutazione di pericolosità attuale del condannato, avendo disposto, con l' art. 31 della legge n. 663/1986 , sia l'abrogazione dell' art. 204 cod. pen. , sia l'obbligo di ordinare le misure di sicurezza personali solo previo accertamento che colui il quale ha commesso il fatto è persona socialmente pericolosa . Deve pertanto ritenersi che anche l' art. 417 cod. pen. , nonostante la sua perentoria formulazione, prescriva l'applicazione di una misura di sicurezza, ai condannati per i delitti di cui agli artt. 416 e 416-bis cod. pen., solo a seguito di un accertamento della effettiva e attuale pericolosità sociale del soggetto, da valutare sulla base degli elementi di cui all' art. 133 cod. pen. , respingendo automatismi e presunzioni. 3.2. Tale interpretazione consente, inoltre, di rispettare il principio generale stabilito dall' art. 203 cod. pen. , secondo cui la pericolosità sociale deve essere ritenuta quando appare probabile che il condannato per specifici delitti commetta nuovi reati. Anche nel caso di soggetti condannati per i gravi reati associativi indicati dall' art. 417 cod. pen. , infatti, sono ipotizzabili situazioni che impongano al giudice di escludere la permanenza ovvero l'attualità della pericolosità sociale, come nel caso del soggetto divenuto collaboratore di giustizia, o del condannato per il quale sia stata accertata una minima gravità del reato associativo, ad esempio per il modesto ruolo ricoperto, la breve durata dell'affiliazione, la scarsa intensità dei legami intercorsi con gli altri associati. 4. L'ordinanza impugnata presenta, pertanto, una carenza motivazionale, avendo la Corte di assise di appello applicato la misura di sicurezza della libertà vigilata ritenendo obbligatoria tale applicazione, in conseguenza della condanna per il reato di cui all'art. 416-bis cod. pen., perché la pericolosità sociale del condannato è presunta dalla legge, ed omettendo, perciò, qualunque valutazione in merito alla effettiva sussistenza e attualità di tale pericolosità. Tale valutazione deve, invece, essere ritenuta necessaria, per le ragioni esposte al paragrafo precedente. 5. Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, accolto, e l'ordinanza impugnata deve essere annullata in parte qua, con rinvio ad altra sezione della Corte di assise di appello di Napoli per un nuovo giudizio in merito all'applicazione della misura di sicurezza, da svolgersi con piena libertà valutativa, ma nel rispetto dei principi sopra indicati. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di assise di appello di Napoli.