Equa riparazione: quale indennizzo per l’erede della parte del giudizio presupposto?

Tizia, Caia, Sempronio e Mevio, questi ultimi due quali eredi di P.M., chiedevano l’indennizzo per equa riparazione per l’irragionevole durata di una procedura fallimentare svoltasi nei confronti della Società X, loro datrice di lavoro, iniziata nel 1988 e conclusasi con il fallimento nel 2019.

Il giudice liquidava a Tizia e Caia 1.600 euro ciascuna e inoltre la stessa cifra a Sempronio e Mevio, rilevando che la procedura doveva ritenersi iniziata dal deposito dello stato passivo e calcolando l'eccessiva durata della stessa in 4 anni, 1 mese e 15 giorni. La Corte di Appello rigettava l'opposizione proposta dai ricorrenti, sostenendo la corretta individuazione del dies a quo , per la durata della procedura, dalla data di ammissione dei crediti al passivo in quanto solo da quel momento i creditori subiscono gli effetti della irragionevole durata della procedura e che la misura dell'indennizzo, calcolata in euro 400,00 per ogni anno di ritardo, fosse giustificata dalla considerazione che il giudizio presupposto coinvolgeva questioni di carattere patrimoniale e non diritti personalissimi . Per la cassazione di tale decreto, propongono ricorso gli ex lavoratori della società e il Ministero della Giustizia notifica ricorso incidentale. I ricorrenti in via principale censurano la decisione impugnata per avere affermato che il termine iniziale della procedura fallimentare per i creditori, ai fini della durata ragionevole, debba essere fissato alla data in cui il loro credito è stato ammesso al passivo e non da quella in cui hanno proposto istanza di insinuazione . Nella specie ciò ha impedito di considerare il lungo tempo trascorso tra le istanze di insinuazione e il deposito dello stato passivo. Per i ricorrenti la decisione è errata perché la richiesta di insinuazione è la forma obbligata dalla legge per il riconoscimento di un credito nei confronti della procedura ed è equiparata, dall' art. 94 l. fall . , alla domanda giudiziale . Il motivo per la Cassazione è fondato. Ricorda la Suprema Corte che in tema di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001 n. 89 , il termine dal quale decorre il computo della ragionevole durata di una procedura fallimentare va individuato nella domanda d' insinuazione al passivo , atteso che è con essa che si instaura il rapporto processuale, mentre ciò che non rileva, e non può essere computato a tal fine, è unicamente il periodo anteriore, dopo la dichiarazione di apertura del fallimento, a cui il creditore è estraneo Cass. n. 20732 del 2011 n. 13819 del 2016 n. 2207 del 2010 . Questa conclusione, sottolinea ancora la Cassazione va confermata, risultando l'unica coerente con il disposto di cui all' art. 94 l. fall ., secondo cui il ricorso contenente la domanda di ammissione di un credito al passivo produce gli effetti della domanda giudiziale per tutto il corso del fallimento . Di conseguenza, per i creditori la procedura deve ritenersi iniziata dal momento del deposito della loro domanda di insinuazione al passivo. L'unico motivo del ricorso incidentale proposto dal Ministero della Giustizia denuncia violazione e falsa applicazione dell' art. 2 l. n. 89 del 2001 , nonché dell' art. 75 c.p.c. , per avere la Corte territoriale liquidato in favore di Sempronio e Mevio la stessa somma riconosciuta agli altri ricorrenti, omettendo di considerare che, avendo agito quali eredi di P. M ., per essi la durata del giudizio presupposto trovava il suo termine finale alla data del decesso della de cuius , avvenuto nel 1991, con l'effetto che nei loro confronti non poteva ritenersi consumata alcuna violazione del termine di ragionevole durata del processo. La Suprema Corte di Cassazione accoglie il motivo ricordando come nel caso in cui il ricorrente chieda l' indennizzo ai sensi della legge n. 89 del 2001 in qualità di erede della parte del giudizio presupposto , non può assumersi come riferimento temporale l'intero procedimento, ma si deve tenere conto soltanto del periodo di durata del processo fino alla morte della parte , potendo per il periodo successivo gli eredi agire in nome proprio, ma soltanto nel caso in cui si siano costituiti e per la durata del processo successiva alla loro costituzione Cass. n. 12096 del 2023 n. 17685 del 2021 n. 24771 del 2014 . Nel caso di specie i ricorrenti in via principale contestano la data del decesso della parte indicata dal Ministero, spostandola dal 1991 al 1999, ma la contestazione non rileva ai fini della fondatezza del motivo. In conclusione, la Suprema Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale e il ricorso incidentale, assorbiti gli altri motivi del ricorso principale cassa in relazione ai motivi accolti il decreto impugnato e rinvia la causa alla Corte di Appello in diversa composizione.

Presidente Manna – Relatore Bertuzzi Fatti di causa e ragioni della decisione Con ricorso ex art. 5-ter legge 24 marzo 2001, n. 89 , depositato innanzi alla Corte d'Appello di Genova, B.L., M.T., N.E. e N.V., questi ultimi quali eredi di P.M., chiedevano l'indennizzo per equa riparazione per l'irragionevole durata di una procedura fallimentare svoltasi nei confronti della società omissis , loro datrice di lavoro, iniziata il 14.7.1988 e terminata con il decreto di chiusura del fallimento in data 28.11.2019. Il giudice designato accoglieva in parte il ricorso, liquidando a favore di B.L. e M.T. euro 1.600,00 ciascuno ed il medesimo importo in favore dei N., rilevando che la procedura dovesse ritenersi iniziata dal deposito dello stato passivo e calcolando l'eccessiva durata della stessa in 4 anni, 1 mese e 15 giorni. Proposta opposizione dai ricorrenti, la Corte d'Appello in composizione collegiale, con decreto n. 11/2022 , la rigettava, affermando che correttamente era stato individuato il dies a quo, ai fini della durata della procedura, dalla data di ammissione dei crediti al passivo e non dal momento della loro richiesta di ammissione, in quanto solo da quel momento i creditori subiscono gli effetti della irragionevole durata della procedura e che la misura dell'indennizzo, calcolata in euro 400,00 per ogni anno di ritardo, fosse giustificata dalla considerazione che il giudizio presupposto coinvolgeva questioni di carattere patrimoniale e non diritti personalissimi. . Per la cassazione di questo decreto, con atto notificato il 12. 4. 2022, hanno proposto ricorso le parti indicate in epigrafe, sulla base di tre motivi. Il Ministero della Giustizia ha notificato controricorso e ricorso incidentale, articolato su un unico motivo, cui i ricorrenti hanno resistito con controricorso. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio. I ricorrenti in via principale hanno depositato memoria. Con il primo motivo i ricorrenti in via principale denunciano violazione e falsa applicazione dell' art. 2, comma 2 bis, legge n. 89 del 2001 e degli artt. 6, par. 1, e 13 CEDU , censurando la decisione impugnata per avere affermato che il termine iniziale della procedura fallimentare per i creditori, ai fini della durata ragionevole, debba essere fissato alla data in cui il loro credito è stato ammesso al passivo e non da quella in cui hanno proposto istanza di insinuazione. Nella specie ciò ha impedito di considerare il lungo tempo trascorso tra le istanze di insinuazione, presentate nell'ottobre 1988, ed il deposito dello stato passivo, avvenuto in data 3. 10. 2009. Sostiene il ricorso che la decisione è errata, in quanto la richiesta di insinuazione è la forma obbligata dalla legge per il riconoscimento di un credito nei confronti della procedura ed è equiparata, dall' art. 94 legge fall ., alla domanda giudiziale. Ne discende che con la sua presentazione il creditore diventa parte della procedura e quindi titolare del diritto alla sua ragionevole durata, pena una sostanziale disparità di trattamento, a tale fine, tra il creditore che agisce nell'ambito del fallimento e quello che agisce in via ordinaria. Sotto tale profilo il ricorso solleva, in via subordinata, eccezione di illegittimità dell' art. 2, comma bis, legge n. 89 del 2001 , per come interpretato dalla Corte di appello, per contrasto con l' art. 3 Cost. e gli artt. 6 e 13 CEDU in relazione all' art. 117 Cost. Il motivo è fondato. Le ragioni illustrate nel ricorso sono condivisibili e conformi alla giurisprudenza di legittimità. Nella specie questa Corte ha affermato che, in tema di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001 n. 89 , il termine dal quale decorre il computo della ragionevole durata di una procedura fallimentare va individuato nella domanda d'insinuazione al passivo, atteso che è con essa che si instaura il rapporto processuale, mentre ciò che non rileva, e non può essere computato a tal fine, è unicamente il periodo anteriore, dopo la dichiarazione di apertura del fallimento, a cui il creditore è estraneo Cass. n. 20732 del 2011 cass. n. 13819 del 2016 cass. n. 2207 del 2010 . Questa conclusione va confermata, risultando l'unica coerente con il disposto di cui all' art. 94 legge fallim. , secondo cui il ricorso contenente la domanda di ammissione di un credito al passivo produce gli effetti della domanda giudiziale per tutto il corso del fallimento”. La soluzione appare, inoltre, in linea con le decisioni di questa Corte che, in tema di durata ragionevole delle procedure concorsuali, segnalano la necessità di considerare la procedura unitariamente, tenendo anche conto della proliferazione di giudizi connessi o della pluralità di procedure concorsuali interdipendenti Cass. n. 23982 del 2017 Cass. n. 9254 del 2012 Cass. n. 8668 del 2012 . Ne discende che per i creditori la procedura deve ritenersi iniziata dal momento del deposito della loro domanda di insinuazione al passivo, a mente dell' art. 2, comma 2 bis, legge n. 89 del 2001 , che, ai fini del computo della durata, fissa come dies a quo il deposito del ricorso introduttivo del giudizio. Non rileva in contrario l'arresto di questa Corte n. 7864 del 2018, citato da decreto impugnato, che non costituisce un precedente contrario, atteso che le considerazioni svolte sul punto non appaiono correlate ai motivi ed al decisum, avendo la Corte, da un lato, disatteso il motivo secondo cui il termine di ragionevole durata deve farsi decorrere, per i creditori, dalla data della dichiarazione di fallimento e non, come ritenuto dal giudice a quo, dalla domanda di insinuazione al passivo e, dall'altro, accolto il ricorso sulla base del principio che l'entità della pretesa azionata nel giudizio presupposto rileva unicamente ai fini della possibile riduzione dell'indennizzo, ma non consente la sua esclusione. Le osservazioni contenute in una sentenza o provvedimento del giudice non correlate, come rationes decidendi, alla statuizione adottata c.d. obiter dicta , non sono infatti vincolanti e non hanno pertanto valore, nella giurisprudenza di questa Corte, di precedenti Cass. n. 3793 del 2019 Cass. n. 1815 del 2012 . Il secondo motivo del ricorso principale denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e 2700 cod. civ. in relazione all'art. 2, comma 2 bis, legge n. 89 del 2001, lamentando che la Corte di appello abbia ritenuto, con riguardo ai ricorrenti, di non poter fissare il dies a quo della procedura alla data del riparto parziale avvenuto nel 1996, quale prova della ammissione al passivo dei loro crediti, in mancanza della dimostrazione che essi ne avevano beneficiato. Si sostiene, in contrario, che tale prova risultava dal rendiconto finale della procedura del 14. 5. 2015, da cui risultava l'esecuzione di riparti parziali, l'ultimo dei quali effettuato dalla curatela in data 2. 10. 1996, in favore dei lavoratori dipendenti della società fallita. Il motivo va dichiarato assorbito in ragione dell'accoglimento del precedente motivo. Il terzo motivo del ricorso principale denuncia violazione dell' art. 2 bis, comma 2, legge n. 89 del 2001 , lamentando che la Corte di appello abbia calcolato la misura dell'indennizzo nell'importo annuo di euro 400,00, senza tenere conto dei criteri previsti da tale disposizioni, con particolare riguardo all'esito, positivo per i ricorrenti, della procedura e del fatto che essi avevano fatto valere crediti da lavoro, volti a soddisfare le loro primarie esigenze di vita, adottando sul punto una motivazione del tutto incongrua. Anche questo motivo va dichiarato assorbito, investendo il tema della liquidazione dell'indennizzo, che costituisce logicamente un posterius rispetto alla questione relativa alla determinazione del termine di non ragionevole durata del processo. L'unico motivo del ricorso incidentale proposto dal Ministero della Giustizia denuncia violazione e falsa applicazione dell' art. 2 legge n. 89 del 2001 , nonché dell' art. 75 cod. proc. civ. , per avere la Corte liquidato in favore di N. E. e N. V. la stessa somma riconosciuta agli altri ricorrenti, omettendo di considerare che, avendo agito quali eredi di P. M., per essi la durata del giudizio presupposto trovava il suo termine finale alla data del decesso della de cuius, avvenuta nel 1991, con l'effetto che nei loro confronti non poteva ritenersi consumata alcuna violazione del termine di ragionevole durata del processo. Il motivo è fondato. Secondo l'orientamento consolidato di questa Corte, nel caso in cui il ricorrente chieda l'indennizzo ai sensi della legge n. 89 del 2001 in qualità di erede della parte del giudizio presupposto, non può assumersi come riferimento temporale l'intero procedimento, ma si deve tenere conto soltanto del periodo di durata del processo fino alla morte della parte, potendo per il periodo successivo gli eredi agire in nome proprio, ma soltanto nel caso in cui si siano costituiti e per la durata del processo successiva alla loro costituzione Cass. n. 12096 del 2023 cass. n. 17685 del 2021 cass. n. 24771 del 2014 . Nel caso di specie i ricorrenti in via principale contestano la data del decesso della parte indicata dal Ministero, spostandola dal 1991 al 1999, ma la contestazione non rileva ai fini della fondatezza del motivo, risultando comunque che la Corte di appello non si è attenuta al principio di diritto sopra indicato, la cui applicazione nel caso di specie avrebbe richiesto un accertamento puntuale della data del decesso della parte nel giudizio presupposto. In conclusione, va accolto il primo motivo del ricorso principale ed il ricorso incidentale, assorbiti gli altri motivi del ricorso principale. Il decreto impugnato è quindi cassato e la causa rinviata alla Corte di appello di Genova, in diversa composizione, che si adeguerà nel decidere ai principi di diritto sopra enunciati e provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. accoglie il primo motivo del ricorso principale ed il ricorso incidentale, assorbiti gli altri motivi del ricorso principale cassa in relazione ai motivi accolti il decreto impugnato e rinvia la causa alla Corte di appello di Genova, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio.