Ai fini della impugnabilità di un atto non conta il nomen iuris, ma la pretesa tributaria ad esso sottesa

È ammessa l’impugnazione di atti non espressamente previsti nell’art. 19 d.lgs. n. 546/1992, qualora dagli stessi sia desumibile una pretesa fiscale. Ai fini della impugnabilità, al di là della veste formale, assume rilevanza la pretesa fiscale sottesa all’atto che fa sorgere nel destinatario l’interesse ad agire per ottenere una tutela giurisdizionale ex art. 100 c.p.c.

In data 30 novembre 2015, il contribuente presentava istanza di accesso alla procedura di collaborazione volontaria seguita da una successiva integrazione del 30 dicembre 2015. Il 12 ottobre 2016, l'Amministrazione chiedeva l'invio di documentazione a riprova del rientro effettivo dei capitali. La suddetta richiesta rimaneva inevasa, sicché il 19 dicembre 2016 l'Ufficio comunicava l' inammissibilità dell'istanza per mancato rispetto del Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate, che prevedeva l'invio della predetta documentazione entro 30 giorni dalla data di presentazione della prima o in un'unica istanza, con conseguente perdita dei benefici fiscali. Il contribuente impugnava la decisione dinnanzi alle Autorità competenti ed usciva vittorioso sia in primo che in secondo grado. In particolare, la CTR respingeva l'eccezione di inammissibilità contenuta nell'appello promosso dall'Amministrazione finanziaria, ritenendo la comunicazione di inammissibilità della istanza di collaborazione volontaria atto autonomamente impugnabile ”. L'Ufficio impugnava la suddetta sentenza dinnanzi alla Suprema Corte, denunciando in particolare che il provvedimento che dichiara l'inammissibilità dell'istanza di collaborazione volontaria non rientra negli atti autonomamente impugnabili di cui all' art. 19 d.lgs. n. 546/1992 . Il contribuente resisteva con controricorso. La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo e condanna l'Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di lite in favore del controricorrente. I Giudici di legittimità si pronunciano sull'annosa questione della interpretazione , restrittiva o estensiva , dell' art. 19 d.lgs. n. 546/1992 . Gli Ermellini asseriscono che in tema di contenzioso tributario, l'elencazione degli atti impugnabili contenuta nell' art. 19 del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546 ha natura tassativa , ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti , ove con gli stessi l'amministrazione finanziaria porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria . Non conta, pertanto, il nomen iuris , bensì la pretesa tributaria sottesa all'atto in questione Cass. Civ. Sez. Trib. n. 23061/2015 . Occorre, pertanto, evidenziare, riproponendo un altro precedente giurisprudenziale, che l' art. 19 d.lgs. n. 546/1992 , ha natura tassativa, ma in ragione dei principi costituzionali di tutela del contribuente e buon andamento della P. A. ogni atto adottato dall'ente impositore che porti a conoscenza del contribuente una specifica pretesa tributaria è impugnabile davanti al giudice tributario Cass. Civ. Sez. VI, 28 luglio 2015 n. 15957 . È possibile, dunque, distinguere tre tipologie di atti gli atti autonomamente impugnabili in via obbligatoria espressamente indicati nell' art. 19 d.lgs. n 546/92 gli atti autonomamente impugnabili in via facoltativa dai quali è desumibile una pretesa fiscale e quelli che non sono direttamente impugnabili , in quanto non vi è sottesa una pretesa tributaria si pensi al processo verbale di constatazione che può essere impugnato in via differita, solo congiuntamente ad un altro atto avente veste autoritativa . Nel primo caso l'impugnazione è obbligatoria, sicché in mancanza di gravame il contribuente decade dal diritto nella seconda ipotesi il contribuente ha la facoltà e non l'onere di impugnare l'atto pertanto, non può essere irrogata alcuna sanzione in caso di mancata impugnazione , infine, vi è l'ipotesi di impugnazione differita che attiene agli atti tra i quali intercorra un collegamento negoziale atto presupposto - atto posto . Secondo quanto disposto dai Giudici, dunque, la comunicazione di inammissibilità relativa all'istanza di voluntary disclosure di cui alla l. n. 186/2014 consegue alla configurabilità di tale procedura come strumento di definizione agevolata che presuppone già un debito tributario . Sarebbe, pertanto, improprio assegnare alla comunicazione di rigetto della istanza di volontaria collaborazione la natura di mera comunicazione informativa”, in luogo di quella provvedimentale che, invece, emerge dalla circostanza che la procedura agevolata presuppone già l'esistenza di un debito tributario. D'altronde la predeterminazione degli atti autonomamente impugnabili origina da esigenze di economicità al fine di agevolare il contribuente all'accesso alla giustizia, senza che ciò comporti l'esclusione automatica di atti non ricompresi nell'elenco, occorrendo, invece, una analisi caso per caso degli atti dai quali sia desumibile una pretesa fiscale.

Presidente Crucitti – Relatore Fracanzani Fatti di causa 1. Il contribuente presentava istanza di accesso alla procedura di collaborazione volontaria in data 30 novembre 2015, seguita da una successiva integrazione del 30 dicembre 2015. Intervenivano plurimi contatti tra l'Ufficio e il professionista officiato sino al 12.ottobre 2016 allorquando l'Amministrazione chiedeva l'invio di documentazione comprovante il rientro effettivo delle consistenze estere. Essendo la richiesta rimasta inevasa, con comunicazione del 19 dicembre 2016 l'Ufficio comunicava l'inammissibilità dell'istanza per mancato rispetto del Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate numero 116808/2016, laddove prevedeva l'invio della predetta documentazione entro 30 giorni dalla data di presentazione della prima o in un'unica istanza, con conseguente perdita dei benefici fiscali. 2. I giudizi di merito esitavano in favore del contribuente sia in primo sia in secondo grado. Segnatamente, la CTR respingeva l'eccezione di inammissibilità svolta nell'appello erariale, ritenendo il provvedimento impugnabile alla luce della elencazione non tassativa di cui all' art. 19 d.lgs. numero 546/1992 . Nel merito riteneva che il contribuente avesse adempiuto a quanto di sua spettanza. 3. Ricorre per la cassazione della sentenza l'Amministrazione finanziaria che si affida a due motivi di censura, cui resiste il contribuente con tempestivo controricorso. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso la parte ricorrente denunzia l'errata interpretazione e applicazione dell' art. 19 d.lgs. numero 546/1992 , lamentando che l'atto endoprocedimentale non è impugnabile in parametro all' art. 360, co. 1, numero 3 c.p.c. 1.1 In sostanza afferma che il ricorso originario del contribuente avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile stante la natura endoprocedimentale del provvedimento impugnato, trattandosi di una mera comunicazione informativa non contenente alcuna pretesa tributaria. Soggiunge che, in ogni caso, il provvedimento non era suscettibile di impugnazione non essendo incluso nell'elenco tassativo di cui all' art. 19 d.lgs. numero 546/1992 . 2. Il motivo è infondato e va pertanto disatteso. 2.1 Anche recentemente questa Corte ha ribadito il principio per cui in tema di contenzioso tributario, l'elencazione degli atti impugnabili contenuta nell' art. 19 del D.L.vo 31 dicembre 1992 numero 546 ha natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l'amministrazione finanziaria porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche, siccome è possibile un'interpretazione estensiva delle disposizioni in materia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente artt. 24 e 53 Cost. e di buon andamento dell'amministrazione art. 97 Cost. , ed in considerazione dell'allargamento della giurisdizione tributaria, che è stato operato con la Legge 28 dicembre 2001 numero 448 cfr. Cass. V, numero 12150/2019 numero 1230/2020 numero 15318 del 2021 . Per altro verso, è stata in particolare riconosciuta la facoltà di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall'ente impositore che, esplicitando concrete ragioni fattuali e giuridiche che la sorreggono, porti, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è naturaliter preordinata, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall' art. 19 del D.L.vo 31 dicembre 1992 numero 546 sorge, infatti, in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione della notizia, l'interesse, ex art. 100 cod. proc. civ. , a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale, comunque, di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva e - o dei connessi accessori vantati dall'ente pubblico Così Cass. V, numero 17010/2012 . Ne consegue che il contribuente ha la facoltà, non l'onere, d'impugnazione di atti diversi da quelli specificamente indicati nell' art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992 numero 546 , il cui mancato esercizio non determina alcuna conseguenza sfavorevole in ordine alla possibilità di contestare la pretesa tributaria in un secondo momento ciò comporta che la mancata impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dall' art. 19 del D.L.vo 31 dicembre 1992 numero 546 non determina, in ogni caso, la non impugnabilità ossia la cristallizzazione di questa pretesa, che può essere successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dallo stesso art. 19 in termini Cass. V, numero 21045/2007 S.U. numero 10672/2009 V, numero 14373/2010 numero 8033/2011 numero 10987/2011 numero 16100/2011 . L'impugnabilità del provvedimento di rigetto relativo all'istanza di collaborazione volontaria di cui alla legge numero 186/ 2014 consegue alla configurabilità di tale procedura come strumento di definizione agevolata che, preme notare fin d'ora, presuppone già un debito tributario. La Collaborazione volontaria cd. Voluntary Disclosure , introdotta con la legge numero 186/2014 , è una procedura con cui il contribuente, autodenunciandosi, dichiara al fisco attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute fuori dal territorio dello Stato non indicate nella dichiarazione art. 5 quater/1 lett. a cd nero transfrontaliero , ovvero redditi occultati in Italia art. 1/2-3-4 Legge cit. cd. nero domestico . Com'è stato fatto notare, gli effetti della corretta presentazione dell'autodenuncia sono molteplici, ma, i più importanti possono essere così riassunti a regolarizzazione della propria situazione patrimoniale e reddituale b corresponsione integrale delle imposte e degli interessi relativi ai redditi non dichiarati c riduzione delle sanzioni amministrative applicabili d non punibilità dei reati d di omessa o infedele dichiarazione, di dichiarazione fraudolenta con fatture false o altri artifici, di omesso versamento di ritenute certificate, di omesso versamento IVA d2 di cui agli artt. 648 bis , 648 ter, 648 ter 1 cod. penumero Ove la dichiarazione sia infedele, l'Agenzia delle entrate esercita nuovamente il suo autonomo potere di accertamento con la revoca ex tunc dei suddetti benefici art. 5 quinquies/10. Infine, in altra occasione Cass. T, numero 1002/2023 è stato ritenuto pacificamente impugnabile il silenzio rigetto formatosi sulla domanda di accesso alla procedura speciale qui in scrutinio, dovendosi necessariamente riconoscere, quindi, l'impugnazione in via diretta di un diniego espresso e di ogni altro atto, provvedimento o comportamento significativo che si traduca in una limitazione al prefato accesso. Per quanto detto sopra, ne consegue che il rigetto della domanda di Collaborazione volontaria è da ritenersi equiparabile al rigetto di una domanda di definizione agevolata di rapporti tributari espressamente contemplata dall' art. 19 del d.lgs. numero 546/92 . In altri termini, si tratta sempre di atti incidenti su rapporto tributario impositivo, dove sussiste l'interesse attuale, concreto ed economicamente valutabile art. 100 c.p.c. del contribuente ad ottenere una diversa definizione del rapporto tributario, donde può essere valutata nel merito la sussistenza o meno delle condizioni, per esempio, l'inizio di attività ispettiva che inibisce la procedura, trattandosi di volontarietà coatta dall'avviata ispezione. cfr. Cass., V, numero 5174/2023 . 3. Con il secondo motivo di doglianza, svolto in via subordinata, la parte ricorrente prospetta la errata interpretazione e applicazione della legge numero 186/2014 e del d.l. 167/1990, artt. 5-quater e 5-sexies , in combinato disposto con l' art. 2697 c.c. in parametro all' art. 360, co. 1, numero 3 c.p.c. Dalla lettura del motivo di censura si evince però come l'Amministrazione finanziaria censuri, nella sostanza, il mancato rispetto del provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate numero 116808/2016 nonché delle circolari numero 30/2015 e numero 27/2015, afferenti rispettivamente la procedura di rientro effettivo delle somme oggetto di collaborazione volontaria e la prova del loro rientro, e che l'Avvocatura generale dello Stato definisce fonte delegata dalla stessa legge numero 186/2014 che ha innestato nel d.l. 28.06.1990 numero 167 l'art. 5-sexies . 4. Il motivo è inammissibile. 4.1 Va preliminarmente precisato come la censura svolta abbia senz'altro ad oggetto i provvedimenti dell'Agenzia dell'Entrate e non l'interpretazione e - o l'applicazione della legge numero 186/2014 e - o del d.l. 167/1990 , né il rapporto tra questi e il provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate numero 116808/2016 ovvero le circolari numero 30/2015 e numero 27/2015 assunti dall'Amministrazione finanziaria. 4.2 Così circoscritto il contenuto effettivo della seconda doglianza, e in accoglimento dell'eccezione svolta dal controricorrente, va qui riaffermato il principio per cui la violazione di circolari ministeriali non può costituire motivo di ricorso per cassazione sotto il profilo della violazione di legge posto che esse non contengono norme di diritto, bensì disposizioni di indirizzo uniforme interno all'Amministrazione da cui promanano. Caratteristiche, queste, che ne evidenziano la natura di meri atti amministrativi non provvedimentali, e che escludono che esse possano fondare posizioni di diritto soggettivo in capo a soggetti esterni all'Amministrazione stessa. A questa regola non si sottraggono le circolari dell'Amministrazione Finanziaria del resto priva di poteri discrezionali nella determinazione delle imposte dovute, regolata per legge , le quali non vincolano né i contribuenti né i giudici così da risultare, appunto, anch'esse esenti dal controllo di legittimità Cass. numero 16612/08 numero 11449/05 cfr. Cass ., V, numero 5937/2017 . 5. Conclusivamente il primo motivo va rigettato, mentre va dichiarato inammissibile il secondo. 6. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, non si applica l'art. 13, comma 1 - quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 numero 115. P.Q.M. La Corte rigetta il primo motivo mentre dichiara inammissibile il secondo. Condanna l'Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di lite in favore del controricorrente che quantifica in Euro .settemilaottocento/00 oltre ad Euro.200,00 per esborsi, rimborso nella misura forfettaria del 15%, Iva e Cpa come per legge.