Acquisto e perdita della cittadinanza italiana ed il fenomeno del bipolide nel codice civile nel 1865

La pronuncia in commento si occupa dell’acquisto e della perdita della cittadinanza italiana nel codice civile nel 1865, osservando che a differenza di quanto previsto nella legge n. 555/1912, la naturalizzazione volontaria di altro Stato da parte dell’avo comportava la interruzione della trasmissione della cittadinanza italiana ai discendenti, indipendentemente dalla circostanza che gli stessi avessero acquisito la cittadinanza straniera sulla scorta del criterio dello ius soli .

Un cittadino di nazionalità statunitense proponeva domanda per il riconoscimento della cittadinanza italiana , deducendo che gli era stata trasmessa per discendenza . Il Tribunale di Roma rigettava la domanda sul rilievo che il discendente del ricorrente si era naturalizzato cittadino statunitense , esternando una espressa e formale richiesta in tal senso con conseguente perdita della cittadinanza italiana, arrestandosi la catena genealogica necessaria per consentire il riconoscimento della cittadinanza per discendenza. Proposto ricorso in Cassazione, i Giudici di legittimità hanno confermato la pronuncia di merito sul rilievo che l' art. 11 c.c. del 1865 affermava che la moglie i figli di colui che hanno perduto la cittadinanza divengono stranieri salvo che abbiano continuato a tenere la residenza nel Regno, salva la possibilità di riacquistare la cittadinanza nei termini previsti, per i figli, dall'art. 6. Il contesto normativo La disciplina della perdita della cittadinanza era contenuta nell' art. 11 c.c. 1865 che prevedeva due forme di rinuncia quella contenuta nel numero 1, definita rinuncia espressa chiamata anche pura” , in quanto manifestata attraverso una dichiarazione formale diretta agli organi competenti e formulata da colui il quale aveva trasferito la sua residenza all'estero quelle disciplinate nei numeri 2 e 3, chiamate rinunce tacite” o rinunce presunte” o, anche, rinunce forzate”, che si verificavano al ricorrere delle circostanze, specificamente e tassativamente previste dalla legge. Quanto all' art. 11, n. 2 c.c. 1865, la fattispecie della perdita della cittadinanza italiana richiedeva la presenza di due elementi quello oggettivo dell'acquisto di una cittadinanza straniera concreta ed effettiva quello soggettivo della volontarietà di tale acquisto da parte del cittadino italiano. Si è evidenziato che doveva trattarsi di un acquisto volontario di una cittadinanza in un paese straniero . Infatti, il verbo ottenere” – utilizzato dal legislatore all'interno della disposizione in esame – indicava necessariamente la presenza di una previa volontà chiara, espressa, manifesta ed esteriorizzata dell'individuo, diretta e finalizzata all'acquisizione della cittadinanza straniera. In pratica, l'elemento volontaristico dell' art. 11, n. 2, c.c. 1865 imponeva che il cittadino italiano avesse formulato un'istanza chiara e inequivocabile, nonché priva di qualsiasi tipo di pressione, costrizione o coercizione. La doppia cittadinanza La configurabilità dei casi di doppia cittadinanza derivava dal richiamato principio di autonomia di ogni Stato in materia di cittadinanza e, quindi, dalla applicazione, in via concomitante e concorrente e nei confronti di uno stesso individuo, dei due criteri base di trasmissione dello status civitatis , ossia il criterio dello ius soli in base al quale si era cittadini in ragione della nascita in un determinato territorio il criterio dello ius sanguinis , adottato dalla legge italiana, in base al quale si era cittadini per il fatto della discendenza. Per effetto di tale concomitante e concorrente applicazione dei due richiamati criteri di trasmissione dello status civitatis e non potendo un soggetto minore nato in paese ius soli validamente rinunciare alla cittadinanza italiana trasmessagli dal genitore , il figlio di un emigrante italiano possedeva necessariamente due cittadinanze. Sul punto la Corte d'Appello dell'Aquila con sentenza del 19 maggio 2021 ha affermato che l'interpretazione delle norme del codice civile del 1865 proposta dalla parte resistente contraddice la finalità del legislatore dell'epoca di mantenere l'identità della cittadinanza all'interno del nucleo familiare, giacché avrebbe comportato che tutti i figli degli emigrati italiani nati nei Paesi che prevedano lo ius loci, vale a dire la quasi totalità dei Paesi del continente americano, sarebbero divenuti cittadini stranieri al contrario dei loro genitori. Ciò, tra l'altro, in contrasto con la politica del governo italiano tesa a mantenere un legame con gli emigrati all'estero, considerati come una possibile risorsa per la nazione . La giurisprudenza Le Sezioni Unite con la sentenza n. 25317 del 24 agosto 2022 hanno affermato che l'istituto della perdita della cittadinanza italiana, disciplinato dal codice civile del 1865 e dalla l. n. 555 del 1912 implica un'esegesi restrittiva delle norme afferenti, nell'alveo dei sopravvenuti principi costituzionali, essendo quello di cittadinanza annoverabile tra i diritti fondamentali in questa prospettiva, l' art. 11, n. 2, c.c. 1865, nello stabilire che la cittadinanza italiana è persa da colui che abbia ottenuto la cittadinanza in paese estero , sottintende, per gli effetti sulla linea di trasmissione iure sanguinis ai discendenti, che si accerti il compimento, da parte della persona all'epoca emigrata, di un atto spontaneo e volontario finalizzato all'acquisto della cittadinanza straniera - per esempio integrato da una domanda di iscrizione nelle liste elettorali secondo la legge del luogo -, senza che l'aver stabilito all'estero la residenza, o anche l'aver stabilizzato all'estero la propria condizione di vita, unitamente alla mancata reazione ad un provvedimento generalizzato di naturalizzazione, possa considerarsi bastevole a integrare la fattispecie estintiva dello status per accettazione tacita degli effetti di quel provvedimento. Le Sezioni Unite muovono dal rilievo che la cittadinanza è una qualità , attribuita dalla legge, che indica l'appartenenza di un soggetto a uno Stato. A essa corrisponde un patrimonio variabile di diritti e doveri di matrice pubblica e costituzionale uno status .

Presidente Genovese – Relatore Russo Rilevato che Il Tribunale di Roma ha respinto la domanda proposta dal ricorrente, cittadino statunitense, per il riconoscimento della cittadinanza italiana, che egli deduce essergli stata trasmessa per discendenza, confermando il provvedimento negativo già reso dall'ufficiale di stato civile del Comune di Egna. La Corte d'appello, adita con gravame dal ricorrente, ha confermato il diniego, osservando che il Aa.Si. ha documentato l'albero genealogico e in particolare di essere un discendente diretto di Ga.Si. nato in provincia di S. il omissis e poi emigrato negli USA che l'avo italiano dell'odierno ricorrente si è naturalizzato cittadino statunitense il 26 luglio 1910 esternando una espressa e formale richiesta in tal senso e di conseguenza ha perso la cittadinanza italiana, con effetto trascinante anche sul figlio minore Et.Si. già nato, nel 1909 e si è quindi arrestata la catena genealogica necessaria per consentire il riconoscimento della cittadinanza per discendenza. La Corte ha rilevato che in base al previgente articolo 11 del codice civile del Regno d'Italia, la cittadinanza si perdeva con rinunzia e che la moglie i figli di colui che hanno perduto la cittadinanza divengono stranieri salvo che abbiano continuato a tenere la residenza nel Regno che il capostipite del ricorrente nel 1910 ha fatto espressa richiesta di essere naturalizzato cittadino statunitense con una chiara ed esplicita rinunzia alla cittadinanza italiana che il figlio minore dell'originario avo italiano ha quindi perso la cittadinanza e non ha esercitato entro un anno dal raggiungimento della maggiore età la facoltà di riacquistare la cittadinanza italiana secondo le modalità previste dall' articolo 6 della legge 555/1912 . Avverso la predetta sentenza ha proposto un ricorso per cassazione l'interessato, affidandosi a un motivo il ricorrente ha altresì depositato memoria e chiesto che si valuti di rimettere il processo alle sezioni unite stante il valore nomofilattico della questione. Gli intimati non si sono costituiti. La causa è stata trattata all'udienza camerale non partecipata del 29 novembre 2023. Ragioni della decisione Ritenuto che 1. - Con l'unico motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell' articolo 360 n. 3 c.p.c. , la violazione e falsa applicazione dell' articolo 11 del codice civile del 1865. Il ricorrente osserva che Et.Si. nacque cittadino italiano iure sanguinis, perché nel 1909 suo padre era ancora cittadino italiano, e anche cittadino statunitense perché nato sul suolo statunitense iure soli in virtù di tale circostanza egli non perse lo status di cittadino italiano l'anno successivo alla nascita, quando il padre acquisì la cittadinanza statunitense, in quanto a lui non era applicabile la disposizione dell' articolo 11 del codice civile del 1865, poiché detta norma si applicava solo ai figli minori che non erano già stranieri e cioè che non erano già cittadini del paese la cui cittadinanza veniva acquisita dal genitore. Osserva altresì che Et.Si. nacque bipolide e non è divenuto statunitense a seguito della naturalizzazione del padre e soprattutto mai perse la cittadinanza italiana. Il ricorrente si richiama al disposto dell' articolo 7 della legge n. 555 del 1912 , osservando che essa è una norma di interpretazione autentica di un meccanismo - quello della bipolidia alla nascita - già esistente ed applicato nel codice civile del 1865. Nella memoria il ricorrente richiama, in termini critici, la ordinanza di questa Corte n. 17161/2023 osservando che non ha ricevuto immediata applicazione da parte della giurisprudenza di merito, poiché essa citerebbe un testo di legge sbagliato, non vero, diverso da quello corretto. La norma corretta pone come condizione che il figlio a diventi straniero e b acquisti una cittadinanza straniera. Mentre, invece, il testo corretto della norma specifica che, per effetto della naturalizzazione del padre, anche il figlio doveva acquisire la nuova cittadinanza del genitore e acquistino la cittadinanza di uno stato straniero . Di conseguenza, certamente, i figli bipolidi di emigranti italiani non acquisivano/ottenevano la cittadinanza del paese di emigrazione, per l'effetto della naturalizzazione del padre, dato che la possedevano già e senza concorso di volontà dalla nascita . Il ricorrente chiede inoltre che si valuti la compatibilità con il diritto UE degli effetti prodotti dalla norma di cui all' articolo 11, secondo comma, del codice civile del 1865 e di cui all'articolo 12, secondo comma, della legge n. 555/1912 e che, se del caso, si provveda a un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ai sensi dell'articolo 267 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione. Con separata istanza, il ricorrente ha chiesto che il Collegio valuti se rimettere la causa in pubblica udienza, ovvero alle sezioni unite per il suo rilievo nomofilattico. 2. - Preliminarmente, il Collegio ritiene che non sussistano i presupposti per rimettere la questione alle sezioni unite né in pubblica udienza, posto che l'evidenziato contrasto giurisprudenziale si è manifestato, come la parte stessa evidenza, nella giurisprudenza di merito e non nella giurisprudenza di questa Corte, e considerando che, come appresso si dirà, non vi è ragione di contrasto con quanto affermato nella sentenza di questa stessa sezione n. 17161/2023, peraltro relativa ad un caso parzialmente diverso. La questione può essere decisa in conformità ai principi enunciati da questa Corte a sezioni unite con le sentenze nn. 25317 e 25318 del 24/08/2022, pur tenendo in debito conto le differenze della concreta fattispecie. Nelle citate sentenze, le sezioni unite hanno rimarcato che la perdita della cittadinanza italiana può dipendere solo dalla legislazione nazionale, secondo le previsioni in questa pro tempore rinvenibili, non mai invece da decisioni attuate in un ambito ordinamentale straniero. Il principio di effettività si sostanzia in una constatazione dalle implicazioni specifiche vale a dire che spetta a ciascuno Stato determinare le condizioni che una persona deve soddisfare per essere considerata investita della sua cittadinanza v. Cass. Sez. n. 9377/2011 CGUE, 2 marzo 2010 Rottmann, C-135/08 , ma con il limite rappresentato dall'esistenza di un collegamento effettivo tra quello Stato e la persona di cui si tratta, poiché il nesso di cittadinanza non può mai esser fondato su una fictio. Ogni Stato sceglie quindi a quale dei criteri ispirare la propria legislazione in materia, secondo quelle che sono le sue esigenze e gli obiettivi che intende perseguire, con il limite dell'esistenza di un collegamento effettivo. Schematicamente, può dirsi che i criteri di collegamento rispondono a tre possibili condizioni dell'individuo se la persona discende da coloro che sono cittadini ius sanguinis se la persona è nata sul territorio dello Stato ius soli se la persona ha manifestato la volontà di entrare a fare parte della società statuale. In genere, uno di questi criteri viene scelto come prevalente dal legislatore nazionale, ma non è del tutto esclusa la rilevanza anche degli altri requisiti. Per il diritto unionale, la determinazione dei modi di acquisto e di perdita della cittadinanza rientra, in conformità al diritto internazionale, nella competenza di ciascuno Stato membro, pur se gli organi giurisdizionali devono verificare se la perdita della cittadinanza, che comporta quella dello status di cittadino dell'Unione, rispetti il principio di proporzionalità con riferimento alle conseguenze che essa comporta per la situazione di ogni interessato e, se del caso, dei suoi familiari, sotto il profilo del diritto dell'Unione segnatamente, pur essendo legittimo che il legislatore nazionale preveda meccanismi finalizzati a preservare l'unità nazionale all'interno della famiglia, devono valutarsi le conseguenze per il minore alla luce di quanto sancito dall'articolo 24 della Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea, in ordine alla valutazione del suo miglior interesse v. CGUE 12/03/2019, Tjebbes, causa C-221/17 . Deve ancora preliminarmente osservarsi che le sezioni unite di questa Corte, nell'esaminare il caso in cui la cittadinanza di paese straniero era stata ottenuta dagli avi dei ricorrenti non già per loro iniziativa, ma in virtù della non opposizione ad un provvedimento governativo c.d. grande naturalizzazione brasiliana , ha inteso precisare che l' articolo 11, n. 2, del codice civile del 1865 laddove stabiliva che la cittadinanza italiana fosse persa da colui che avesse ottenuto la cittadinanza in paese estero va collegata a una spontanea diretta e consapevole manifestazione di volontà dell'interessato, non anche invece alla risultante di condotte neutre e di diverso genere né che si desse la perdita per il semplice fatto dell'accettazione degli effetti di un provvedimento generalizzato, come quello di uno Stato estero. Il legame con il proprio Stato di origine, quindi, si perde in virtù di un atto di impulso dato dal titolare del diritto, idoneo a manifestare la sua volontà di mantenere o recidere il legame. 2.1. - In tal senso si è orientata la Corte di merito, la quale ha rilevato che, nel caso di specie, l'ufficiale di stato civile ha opposto la avvenuta naturalizzazione volontaria del capostipite Ga.Si. e la espressa rinunzia alla cittadinanza italiana, come documentato in atti, e quindi ha ritenuto applicabile alla fattispecie l' articolo 11 del codice civile italiano del 1865, non solo nella parte in cui dispone che la cittadinanza è persa da colui cha ha ottenuto nel senso sopra precisato la cittadinanza di paese estero, ma anche il comma secondo del citato articolo 11, a mente del quale la moglie i figli di colui che hanno perduto la cittadinanza divengono stranieri salvo che abbiano continuato a tenere la residenza nel Regno . La Corte ha quindi ritenuto che il figlio minore dell'originario avo italiano del ricorrente abbia perso la cittadinanza italiana e che tale condizione sia divenuta definitiva non avendo egli esercitato entro un anno dal raggiungimento della maggiore età la facoltà di riacquistarla. Il primo punto non è invero oggetto di censura, poiché l'odierno ricorrente non contesta i fatti materiali presupposti e cioè che Ga.Si., emigrato negli USA dall'Italia, abbia volontariamente chiesto ed ottenuto la cittadinanza statunitense nel 1910 che il figlio di costui, Et.Si., nato negli USA nel 1909, ivi fosse all'epoca anche residente con il padre, e che raggiunta la maggiore età non si è avvalso della facoltà di riacquistare la cittadinanza italiana, come previsto dal già vigente articolo 11 del codice civile e dal successivamente vigente articolo 12, in relazione agli artt. 3 e 9, della legge n. 555/1912 . Il ricorrente ritiene piuttosto che Et.Si. non abbia perduto la cittadinanza italiana acquistata iure sanguinis, perché nel momento in cui il padre si è naturalizzato egli era cittadino statunitense e non poteva diventare straniero avendo già acquisito la cittadinanza USA. Secondo il ricorrente l' articolo 11, secondo comma, del codice civile del 1865 poteva applicarsi soltanto ai figli minori che non fossero già stranieri, e cioè che non fossero già cittadini del paese la cui cittadinanza veniva acquistata dal genitore. L'espressione divengono stranieri presuppone, infatti, secondo il ricorrente, una trasformazione di status che nel caso di specie non vi fu, posto che il figlio era già straniero ossia, statunitense per nascita. Invoca quindi la circolare numero 28 del 1991 del Ministero dell'interno riferita ai soggetti bipolidi alla nascita, che conservano la cittadinanza, ed osserva che l' articolo 7 della legge 555 del 1912 costituisce una norma di interpretazione autentica di un meccanismo, quello della biopolidia alla nascita, già esistente e previsto nel codice civile del 1865. Questa tesi difensiva si fonda sull'assunto che il bipolide alla nascita debba o doveva, nella legislazione ratione temporis vigente essere considerato straniero dallo Stato italiano, perché contemporaneamente all'acquisto della cittadinanza italiana, trasmessa iure sanguinis, ne aveva acquistata - iure soli - un'altra. Il ricorrente, verosimilmente consapevole del fatto che questa argomentazione deve svilupparsi evitando contraddizioni con il claim, poiché lo straniero non potrebbe trasmettere una cittadinanza che non possiede, afferma altresì che essere considerato straniero non significa aver perso la cittadinanza italiana. Così argomentando si travisa del tutto il significato letterale dell' articolo 11 del cod. civ. del 1865 e il portato della condizione di bipolidia, non solo nelle sue attuali connotazioni, ma anche nel suo significato storico, lungo un percorso che vede faticosamente affermarsi che la biopolidia non è soltanto un fatto, che l'ordinamento nazionale può ignorare, ma una condizione di diritto che necessita di riconoscimento e di un - sia pur minimo - regolamento. 3. - La norma che la Corte di merito ha ritenuto applicabile alla fattispecie è nell' articolo 11 del codice civile del 1865, decisione corretta, posto che la legge n. 555/1912 è successiva alla perdita della cittadinanza italiana, nel 1910, da parte del capostipite Ga.Si Applicando questa norma si ha che, nel 1910, anno della naturalizzazione del padre, ha perso la cittadinanza italiana anche il figlio Et.Si., minorenne nato nel 1909, poiché non era residente nel Regno d'Italia. La scelta del legislatore del 1865 era nel senso di estendere ai figli gli effetti della decisione paterna, salvo che essi non avessero un autonomo legame con il territorio dello Stato italiano, costituito dalla propria residenza in Italia. Ed è assolutamente chiaro che la espressione divengono stranieri , contenuta nel comma secondo dell'articolo 11 la moglie i figli di colui che hanno perduto la cittadinanza divengono stranieri salvo che abbiano continuato a tenere la residenza nel Regno , deve intendersi nel senso che divenire stranieri significa perdere la cittadinanza italiana, posto che il successivo comma terzo precisa nondimeno possono riacquistare la cittadinanza nei casi e modi espressi dal capoverso dell'articolo 14 quanto alla moglie nei due capoversi dell'articolo 6 quanto ai figli . Da rilevare che l'articolo 11 cit. è norma coerente con quello che era il sistema del diritto di famiglia nel 1865, fondato sulla categorica affermazione articolo 131 che il marito è il capo della famiglia, sul dovere della moglie di seguire il marito e sulla soggezione del figlio alla podestà dei genitori, esercitata dal padre, e soltanto in casi eccezionali dalla madre articolo 220 . Nondimeno, deve osservarsi che tanto il codice civile del 1865 artt. 11 e 6 quanto la successiva legge n. 555/1912 art 12,3 e 9 si pongono il problema di questo effetto trascinante sulla posizione di chi al momento della perdita della cittadinanza del genitore non aveva capacità di agire ed era soggetto alla patria potestà, e prevedono un meccanismo per rispettare il diritto di autodeterminazione, consentendo al figlio di cittadino italiano che avesse così perduto la cittadinanza, di recuperarla una volta divenuto maggiorenne, a determinate condizioni, opzione della quale tuttavia Et.Si.non ha ritenuto di avvalersi, come accertato dalla Corte di merito. 3.1. - Il ricorrente pone la questione se possa applicarsi, già con riferimento al momento in cui il suo capostipite ha perso la cittadinanza italiana 1910 , l' articolo 7 della legge n. 555 del 1912 , in quanto costituirebbe norma di interpretazione autentica di un meccanismo già esistente e applicato nel codice civile del 1865, interpretando la norma nel senso di ritenere che il minore Et.Si. non poteva perdere la cittadinanza italiana perché aveva già acquistato alla nascita 1909 la cittadinanza statunitense e quindi era - e aveva diritto di rimanere - bipolide. L'articolo 7 cit. disponeva che Salve speciali disposizioni da stipulare con trattati internazionali, il cittadino italiano nato e residente in uno Stato estero, dal quale sia ritenuto proprio cittadino per nascita, conserva la cittadinanza italiana, ma, divenuto maggiorenne o emancipato, può rinunziarvi. La fattispecie presenta differenze rispetto a quella esaminata dalla sentenza di questa Corte n. 17161/2023, riferita ad un caso in cui era sicuramente applicabile la legge n. 555/1912 e ove esplicitamente si afferma che la citata disposizione, come rilevato dalla Corte territoriale, si riferisce al caso diverso di doppia cittadinanza che nella specie non sussiste in quanto il ricorrente, come detto, era figlio di cittadino statunitense al momento della nascita . Nel caso che ci riguarda invece, il minore Et.Si., alla nascita, avvenuta su suolo statunitense, era figlio di cittadino italiano. 4. - Come sopra si è detto, trattandosi di una vicenda consumatasi nel biennio 1909/1910, il riferimento è necessariamente all'articolo 11 del codice del 1865 che, categoricamente, afferma la moglie i figli di colui che hanno perduto la cittadinanza divengono stranieri salvo che abbiano continuato a tenere la residenza nel Regno e salva la possibilità di riacquistare la cittadinanza nei termini previsti, per i figli, dall'articolo 6. Da rilevare che, nel ius positum del codice del 1865, manca una norma specifica che riconosca e regoli la condizione di bipolidia detta norma sarà introdotta nel 1912 con la legge n. 555 ed infatti il ricorrente la invoca, allegando che l'articolo 7 della citata legge costituirebbe una norma di interpretazione autentica di un meccanismo già esistente nel codice civile del 1865. Così non è, perché il codice civile italiano del 1865 prevedeva, all'articolo 6, che il figlio nato in paese estero da padre che ha perduto la cittadinanza prima del suo nascimento è reputato straniero , ma questa norma non riguarda indirettamente la condizione del bipolide, quanto piuttosto è una conseguenza diretta del principio enunciato all'articolo 1 che la cittadinanza italiana si acquistava così come di regola si acquista oggi iure sanguinis. Nel codice del 1865, l'attenzione è concentrata sull'acquisto e sulla perdita della cittadinanza italiana il figlio di cittadino nasce cittadino, e le vicende che avvengono all'estero rilevano solo se per effetto di esse la cittadinanza si perde. La volontà del legislatore post-unitario è stata all'evidenza quella di creare una comunità di cittadini fondata su legami etnici e familiari tutelando il principio dell'unità familiare, ossia della unicità della cittadinanza in seno alla famiglia, tanto che la dottrina di fine '800 parlava di nazionalità della famiglia , le cui sorti dipendevano dalle vicende di quella del suo capo. Inoltre, poiché il cittadino era inteso prevalentemente quale suddito che doveva lealtà in via esclusiva allo Stato sovrano, era giuridicamente inconcepibile che si potesse al tempo stesso essere sudditi di due Stati diversi. Non era ovviamente sconosciuto il fenomeno, legato alle migrazioni massive, per cui ad una persona potevano essere attribuite, alla nascita, due cittadinanze diverse quella italiana, trasmessa iure sanguinis e quella straniera, attribuita iure soli, perché si nasceva sul territorio di un altro Stato. Questo fenomeno veniva originariamente considerato un dato di puro fatto, poiché ciascuno Stato considerava il bipolide di fatto come suo cittadino, senza riconoscere effetti, all'interno dell'ordinamento nazionale, alla condizione giuridica acquisita secondo le regole dello Stato straniero. Ed è questa l'impostazione data dal codice del 1865, che - come sopra si diceva - non contempla la condizione del bipolide involontario, vale a dire quella di colui che acquista nello stesso momento due cittadinanze, senza alcun concorso della sua volontà, solo perché nasce da cittadino italiano in territorio straniero di contro contempla la condizione di colui che volontariamente acquista la cittadinanza di altro Stato e la considera fatto idoneo a determinare la perdita della cittadinanza italiana. La bipolidia di diritto si ha invece quando lo Stato, per legge, in qualunque modo e in qualsiasi misura, riconosce che il proprio cittadino contemporaneamente possa appartenere anche ad un altro Stato questo è avvenuto con la legge del 1912, che esplicitamente riconosce questa condizione, ma non per questo considera il bipolide uno straniero , limitandosi a prendere atto che si possa essere contemporaneamente cittadini di due paesi diversi. Si tratta di una legge, sotto questo profilo, innovativa, con la quale il legislatore italiano prende atto della crescente ondata migratoria e della esistenza di un gran numero di giovani nati cittadini americani e residenti nelle Americhe sia del nord che del sud e afferma la sua volontà di mantenere il legame con queste persone, disponendo che essi conservino la cittadinanza italiana, salvo che, raggiunta la maggiore età, vi rinuncino. Pertanto, la legge del 1912 pur riconoscendo la bipolidia come un fenomeno giuridico e non semplicemente come un fenomeno di mero fatto, è in realtà ispirata ad un principio del tutto opposto a quello invocato dal ricorrente non considera straniero colui che ha acquistato la doppia cittadinanza alla nascita, ma ribadisce che egli resta cittadino italiano, salvo che volontariamente rinunci al suo status civitatis, una volta raggiunta la maggiore età. 4.1. - La legge del 1912 è inoltre chiaramente ispirata anche ad un'altra finalità, che è quella di mantenere l'unità della famiglia anche sotto il profilo della cittadinanza e la norma a ciò precostituita rende, in ogni caso, infondata la tesi del ricorrente. Anche a voler ammettere che vi fosse nel codice del 1865 una incertezza interpretativa, riguardo alla condizione giuridica del bipolide di fatto, risolta con una norma di interpretazione autentica e cioè dal citato articolo 7 della legge n. 555 del 1912 , la tesi del ricorrente è priva di fondamento, in quanto alla regola dell'articolo 7 si contrappone la regola dettata dall'articolo 12 della stessa legge. Ed infatti, mentre l'articolo 7 considera la condizione del cittadino italiano iure sanguinis che nasce e risiede in un altro Stato dal quale viene ritenuto cittadino iure soli , disponendo che egli conserva la cittadinanza italiana se non vi rinuncia una volta divenuto maggiorenne, l'articolo 12 della stessa legge regola una fattispecie connotata da un quid pluris, e cioè che il minore sia figlio di persona che perde volontariamente la cittadinanza italiana, e dispone che i figli minori non emancipati di chi perde la cittadinanza divengono stranieri, quando abbiano comune la residenza col genitore esercente la patria potestà o la tutela legale, e acquistino la cittadinanza di uno Stato straniero . La norma prevede quindi una regola speciale per il minorenne non emancipato, figlio di chi perde la cittadinanza, in quanto sussistano due condizioni 1 che abbia la stessa residenza del genitore esercente la potestà, e in tal senso la norma è coerente con l' articolo 11 cod. civ. del 1865 2 che acquisti la cittadinanza dello Stato straniero e ricorre certamente questa condizione quando il soggetto già possieda la cittadinanza dello Stato straniero perché la norma è finalizzata anche a non creare degli apolidi, e sotto questo profilo se ne apprezza la modernità, posto che anticipa le disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sulla riduzione dei casi di apolidia, adottata a New York il 30 agosto 1961. Perduta la cittadinanza italiana, il soggetto diviene straniero rispetto allo Stato italiano, non essendolo stato prima, perché nessuno neppure il bipolide può essere considerato straniero dallo Stato italiano finché conserva la cittadinanza italiana, anzi l'articolo 7 cit. è preordinato ad affermare esattamente la regola opposta, quella per cui l'avere acquistato la cittadinanza straniera per nascita non impedisce allo Stato italiano di considerare il soggetto come suo cittadino. Né può attribuirsi rilievo dirimente alla circostanza che la legislazione degli Stati Uniti, applicava - e applica tutt'ora - il criterio dello ius soli, per cui era possibile che, ancor prima che il genitore perdesse la cittadinanza italiana acquistando quella statunitense, il figlio minore fosse già in possesso della cittadinanza straniera e che ciò fosse sufficiente a far considerare il nato straniero per l'ordinamento italiano ciò in quanto spettava e spetta a ciascuno Stato determinare le condizioni che una persona deve soddisfare per essere considerata investita della sua cittadinanza e la perdita della cittadinanza italiana può dipendere solo dalla legislazione nazionale, secondo le previsioni in questa pro tempore rinvenibili, non mai invece da decisioni attuate in un ambito ordinamentale straniero Cass. sez. un. nn. 25317/2022 e 25318/2022 , cit. . 5. - In definitiva, la legge n. 555/1912 riconosce va la bipolidia nei termini di cui appresso il figlio di cittadino italiano nato all'estero poteva contemporaneamente acquisire la cittadinanza italiana iure sanguinis e la cittadinanza del luogo di nascita iure soli, e in tal caso aveva diritto a conservare la doppia cittadinanza, restando a tutti gli effetti cittadino italiano, salvo rinuncia da maggiorenne, a meno che - nelle more della sua minore età - il padre convivente non perdesse la cittadinanza italiana, e segnatamente, nel caso di naturalizzazione, per atto di impulso volontario, vale a dire in ragione di una decisione che, in quanto adottata dal capo famiglia titolare della patria potestà, produceva effetti anche nella sfera giuridica dei figli a minori a lui sottoposti. Questa è l'unica interpretazione possibile del testo normativo, in ragione del criterio letterale, ma anche avendo riguardo alla sua ratio legis, poiché esso è chiaramente finalizzato a conservare l'unità di cittadinanza all'interno della stessa famiglia, nei termini in cui essa era intesa tanto nel 1865 che nel 1912, e cioè come comunità in cui era individuabile un capo famiglia che aveva la potestà sui minori, si assumeva la responsabilità di proteggere i soggetti minus habens moglie e figli e adottava decisioni che vincolavano tutti e sempre che l'unità familiare fosse effettiva, in ragione della comune residenza. Questo compendio normativo, anche a volerlo leggere alla luce degli odierni principi di diritto unionali e dei vigenti trattati internazionali, non è manifestamente sproporzionato rispetto agli scopi che si propone va e cioè di salvaguardare l'unità familiare, anche sotto il profilo della cittadinanza, nel regime normativo della filiazione ratione temporis vigente inoltre nella legislazione del 1912 il legislatore si è occupato anche di scongiurare il rischio di apolidia, poiché il minore perdeva la cittadinanza italiana solo se garantito dalla possibilità di acquistarne o a maggior ragione se già ne aveva acquistato un'altra. Non vi è di conseguenza la necessità di alcun rinvio pregiudiziale, posto che in primo luogo non si individua una norma attualmente vigente che sarebbe in contrasto con il diritto unionale, e in ogni caso non sussiste obbligo di rinvio ex articolo 267 TFUE qualora una giurisprudenza consolidata della Corte UE risolva il punto di diritto di cui trattasi, quale che sia la natura dei procedimenti che hanno dato luogo a tale giurisprudenza, pure in mancanza di una stretta identità delle questioni controverse Corte di Giustizia UE,6 ottobre 1982, Cilfit e a., 283/81 Cass. sez. un. n. 20701 del 10/09/2013 . Come sopra si è detto, la giurisprudenza europea ritiene legittimo che uno Stato membro voglia tutelare l'unità della cittadinanza all'interno di una stessa famiglia, purché nel rispetto dei limiti di proporzionalità e purché sia escluso il rischio di apolidia v. CGUE 12/03/2019, Tjebbes, cit. . Inoltre, pur se nessun rilievo aveva nel 1910 la valutazione dell'interesse del minore, essendo di là da venire la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, non è pretermessa - né nel codice del 1865, né nella legislazione del 1912 - la valutazione dell'interesse di chi, non avendo alcun potere decisorio durante la minore età e subendo le decisioni paterne cui era per legge soggetto, avesse voluto ristabilire il legame con lo Stato di origine una volta diventato maggiorenne, riacquistando la cittadinanza nei modi previsti dalla legge. In termini si è espressa anche l'ordinanza n. 17161/2023 di questa Corte, segnatamente nella parte in cui, vagliando l'effetto della perdita della cittadinanza da parte del padre sullo status civitatis del figlio minorenne, ha osservato che non rileva l'esistenza di una valida consapevolezza in capo ai minori di voler rinunciare alla pregressa cittadinanza, potendo i predetti minori riacquistare la cittadinanza italiana mediante dichiarazione di volerla scegliere al compimento della maggiore età, a condizione di risiedere nel Regno, ai sensi degli artt. 3 e 9 del stessa legge . Sulla ragionevolezza dell'art 12 cit. si vedano anche le - tutt'ora condivisibili - considerazioni rese da Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9377 del 27/04/2011 , ove in motivazione si afferma che si tratta di disposizioni che non esulano dalla discrezionalità del legislatore dell'epoca e superano agevolmente il vaglio della ragionevolezza, ove si ponga mente al suindicato potere di ciascuno Stato di stabilire con la propria legislazione l'acquisto e la perdita della cittadinanza. Di certo, la valutazione di un dato normativo inserito in un determinato contesto storico-sociale non può non risentire dell'evoluzione della sensibilità giuridica che negli anni si è venuta formando in merito ai diritti della personalità tuttavia la chiara formulazione della norma contenuta nella L. n. 5545 del 1912, articolo 12, comma 2, non offre alcuna possibilità di interpretazioni di carattere evolutivo, laddove il raffronto con la diversa disciplina contenuta nella L. n. 91 dell'anno 1992 , frutto di una maggiore sensibilità giuridica, soprattutto sotto il profilo della conservazione della cittadinanza degli italiani all'estero, rimane relegato, come già evidenziato, nelle questioni di diritto intertemporale. Del resto, appare di intuitiva evidenza come l'istituto della iuris communicatio, come all'epoca disciplinato, fosse ispirato al principio dell'unità di cittadinanza del nucleo familiare, di talché appare consequenziale la possibilità, al compimento della maggiore età, di scegliere, sia pure in concomitanza con il legame della residenza, la cittadinanza italiana . Non può dirsi quindi che, a oggi, si producano effetti gravemente lesivi dei diritti del ricorrente, posto che la trasmissione della cittadinanza iure sanguinis non si verifica se, tanto nella vigenza del codice civile del 1865 che della legge n. 555/1912, l'avo cittadino italiano abbia perduto, per iniziativa personale, la cittadinanza e il figlio minore di questi, perduta la cittadinanza per effetto della scelta paterna, non abbia esercitato il diritto di riacquistarla, nei modi previsti dalla legge, una volta raggiunta la maggiore età. In ragione di quanto sopra esposto, può concludersi che la Corte d'appello di Roma ha correttamente ritenuto che sia Ga.Si. che Et.Si., nell'arco di tempo tra il 1909 e il 1910, abbiano perso entrambi, in base alla legislazione ratione temporis vigente, la cittadinanza italiana e che Et.Si. non l'abbia riacquistata una volta raggiunta la maggiore età sicché né l'uno né l'altro hanno potuto trasmetterla ai successivi discendenti e quindi all'odierno ricorrente. Ne consegue il rigetto del ricorso. Nulla sulle spese in difetto di costituzione degli intimati. P.Q.M. Rigetta il ricorso Ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall 'articolo 1, comma 17 della l. n. 228 del 201 2, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto. Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella ordinanza.