È responsabile di illecito anticoncorrenziale l’impresa farmaceutica che ostacola l’ingresso nel mercato dei cd. genericisti

Va condannata al risarcimento dei danni da illecito anticoncorrenziale l’impresa farmaceutica di diritto statunitense, che, con abuso di posizione dominante nel settore delle prostaglandine”, necessarie per la cura del glaucoma, pone in essere una pluralità di condotte riconducibili ad un’unica finalità escludente, volta a ritardare l’accesso dei cd. genericisti nel mercato italiano della commercializzazione di farmaci analoghi, di costo sensibilmente più contenuto.

I fatti di causa Il Ministero della Salute e il Ministero dell'economia e delle finanze hanno convenuto in giudizio P. I. s.r.l., per ottenere - quale terzo direttamente leso dalla condotta sanzionata - la condanna al risarcimento dei danni subiti per effetto delle condotte illecite di abuso di posizione dominante nel mercato delle ''prostaglandine , accertate nei confronti della società convenuta con provvedimento dall'AGCM Autorità Garante della Concorrenza e del mercato , da liquidarsi secondo la stima effettuata dall'Autorità nella misura di € 14.063.650,90. Le Amministrazioni hanno affermato che P. - appartenente al gruppo societario facente capo alla Pfizer Inc. di diritto statunitense, detentore della maggiore industria farmaceutica mondiale – era da considerarsi impresa avente carattere dominante nel mercato delle prostaglandine”, producendo il farmaco X.”, necessario per la cura del glaucoma l'AGCM con il provvedimento sopra citato aveva accertato l'abuso di posizione dominante delle imprese del gruppo P., attuato in violazione dell' art. 102 TFUE , mediante condotte riconducibili ad un'unica finalità escludente, volta a ritardare l'accesso dei cd. genericisti nel mercato italiano della commercializzazione di farmaci analoghi delle prostaglandine”, all'epoca già disponibili e di costo sensibilmente più contenuto gli abusi erano consistiti in particolare in attività finalizzate ad ottenere il protrarsi dei vigenti diritti di privativa della P. per la protezione brevettuale del latanoprost”, principio attivo utilizzato nella produzione del farmaco X.”, che in Italia ma non negli altri paesi europei sarebbe venuta a scadenza il 6 settembre 2009, mediante la proposizione di domanda di brevetto divisionale e la conseguente richiesta, il 23/09/2009, solo in Italia, di certificato di protezione complementare CPC , idoneo ad estendere la privativa fino al mese di luglio 2011 così allineando i diritti brevettuali goduti in Italia a quelli già presenti in altri Paesi europei , condotta affiancata da altri comportamenti tipici di tali illecito quali diffide e contenziosi giudiziari ad effetto escludente, come accertato nel provvedimento dall'AGCM, confermato dal Consiglio di Stato gli effetti di tali abusi erano stati poi, di fatto, limitati a circa sette mesi dall'originario termine del 6 settembre 2009 ovvero dall'ottobre 2009 al maggio 2010 , tale essendosi rivelato il lasso di tempo in cui si era sostanziato l'effettivo ritardo nell'ingresso dei genericisti nel mercato dei farmaci equivalenti allo X.”, con danno economico delle Amministrazioni attrici, pari al maggior costo sostenuto in conseguenza di tale ritardo, dal momento che il SSN è tenuto a rimborsare il costo del farmaco compreso in fascia A” , tenendo conto del prezzo più basso tra i medicinali presenti nel mercato per categoria terapeutica omogenea, che nella specie era quello del medicinale generico la stima del danno, come quantificato dall'Autorità garante, doveva essere determinata tenendo conto della differenza di prezzo dei farmaci, moltiplicato per il numero di confezioni di X.” commercializzate nel periodo compreso tra ottobre 2009 e maggio 2010. La sentenza di primo grado Il Tribunale di Roma ha respinto la domanda, evidenziando che l'accertamento dell'AGCM non aveva efficacia vincolante nel giudizio civile, non essendo applicabile alla controversia il principio sancito dall'art. 9 Direttiva 2014/104/UE e dall'art. 7 d.lgs. n. 3 del 2017, anche se tale accertamento era dotato di efficacia probatoria privilegiata, ma solo per la sussistenza dell'illecito concorrenziale. Aggiungeva, tuttavia, che la sopravvenuta decisione del Thechnical Board of Appeal, in ordine alla validità del brevetto divisionale, ottenuto dalla P. per il latanoprost”, aveva inciso sulla configurabilità dell' abuso della posizione dominante . Il Tribunale ha rilevato che l'infondatezza della domanda era, inoltre, riscontrata dalla carenza probatoria sotto il profilo del nesso causale tra l'assunto abuso escludente e il ritardo dell' ingresso nel mercato dei genericisti , in riferimento alla dimostrazione che, in assenza della condotta assunta come abusiva, questi ultimi sarebbero entrati nel mercato prima del maggio 2010, poiché gli elementi indicati in proposito derivavano tutti dal provvedimento sanzionatorio dell'AGCM che, come sopra anticipato, in ordine al nesso causale non era dotato di valenza privilegiata. In ordine alla quantificazione del danno, poi, il Tribunale ha evidenziato che le Amministrazioni non avevano adempiuto all'onere di provare la quantità di confezioni di X.” vendute in Italia e l'entità della spesa all'uopo sostenuta dal SSN nel periodo di riferimento, non essendo sufficiente tener conto del volume delle vendite di tale farmaco , in difetto della prova che ogni vendita dello stesso avesse dato luogo a rimborso. Tale carenza, secondo il giudice di prime cure, non era emendabile da una consulenza tecnica d'ufficio, non potendo il consulente dell'ufficio sostituirsi alle parti nell'acquisizione di elementi nella disponibilità di queste ultime, che invece erano onerate della relativa prova. La sentenza di secondo grado Avverso la decisione di primo grado hanno proposto appello principale le Amministrazioni, cui è seguito l'appello incidentale condizionato della P. La Corte di merito ha accolto l'appello principale e respinto quello incidentale in riforma della sentenza gravata, ha accolto la domanda proposta dal Ministero della salute e dal Ministero dell'economia e delle finanze, condannando P. al risarcimento dei danni conseguenti all'accertato illecito anticoncorrenziale, liquidati nella somma di € 13.360.464,00 oltre interessi al tasso legale. Il giudice del gravame ha, in particolare, ritenuto che l'accertamento dell'AGCM ha valore di prova privilegiata non solo ai fini dell'individuazione del mercato rilevante” e della posizione assunta dall'impresa sanzionata, ma anche per l'individuazione del comportamento anticoncorrenziale e della sua natura abusiva esclusa, invece, la prova privilegiata del nesso causale, dell'esistenza del danno e della sua entità del danno , aggiungendo che nella specie la P. non aveva offerto elementi di prova contraria, poiché aveva invocato solo la decisione del Technical Board of Appeal, intervenuta nel corso del giudizio amministrativo di impugnazione del provvedimento dell'AGCM, che il Consiglio di Stato aveva già ritenuto inidonea a far venire meno gli estremi della condotta sanzionata e a mutare le valutazioni dell'AGCM. La Corte d'appello ha anche evidenziato che, nel giudizio promosso per il risarcimento dei danni cagionati dall'illecito anticompetitivo, non può essere messo in discussione l'accertamento di tale illecito sulla base di una differente valutazione dei medesimi elementi già dedotti ed esaminati dall'Autorità garante e dal giudice amministrativo. La Corte ha ritenuto, dunque, che, in conformità al giudizio operato dall'AGCM, e sviluppato più ampiamente dal Consiglio di Stato, non ha assunto alcuna rilevanza, nell'ottica anticoncorrenziale, la vicenda relativa alla validità o meno dei diritti di privativa della Pfizer, perché l' abuso della posizione dominante derivava da una condotta complessiva di quest'ultima, in cui rientrava anche ma non solo la richiesta di brevetto divisionale, formulata dopo anni dall'ottenimento del brevetto principale, seguita dalla richiesta solo in Italia del certificato di protezione complementare CPC , in base ad argomenti mutuati dal giudice amministrativo e integralmente riportati, che attribuivano rilievo all'uso, anzi all'abuso, che di tali diritti di privativa la Pfizer aveva compiuto, anche se il loro ottenimento, singolarmente valutato, era da considerarsi legittimo. Sulla prova del nesso causale , poi, la Corte di merito ha evidenziato che, sebbene il valore di prova privilegiata dell'accertamento operato dall'AGCM non si estendesse al nesso causale tra illecito anticoncorrenziale e danno, tuttavia, ai fini della prova di tale nesso, poteva farsi ricorso alle presunzioni e il provvedimento dell'AGCM, unitamente alla documentazione ivi richiamata, prodotti dalle Amministrazioni, erano più che sufficienti a dimostrarne la sussistenza, precisando che, nelle controverse in questione, l'onere probatorio può anche ritenersi assolto con il ricorso alla consulenza tecnica e il nesso causale può anche essere desunto in base a criteri di alta probabilità logica secondo il criterio del più probabile che non” o per il tramite di presunzioni, in ragione del principio di effettività stabilito dal Trattato UE nella materia in questione. Ha quindi affermato che seri indizi del nesso causale si ravvisavano nella posizione dominante della P. nel mercato farmaceutico del latanoprost” e negli effetti escludenti della condotta anticoncorrenziale, oltre che nelle evidenze che facevano risalire alla P. la responsabilità dell'anomalo ritardo dell'ingresso nel mercato dei generalisti, i quali di solito avviano la programmazione per l'ingresso nel mercato con adeguato anticipo. La stessa Corte ha escluso la fondatezza del rilievo secondo cui, comunque, non sarebbe stata lecita la produzione prima della perdita di efficacia del brevetto principale, poiché l' art. 68 c.p.i . vieta esclusivamente le attività di intermediazione, e dunque di commercializzazione del prodotto. Secondo la Corte, il menzionato ritardo era, invece, riconducibile alla condotta ostruzionistica avviata da P., che aveva determinato una situazione di incertezza, avviando il contenzioso con il quale aveva chiesto una stasi nella produzione e un periodo di riflessione da parte dei legali delle aziende produttrici dei farmaci generici equivalenti, a fronte della notifica di istanze di risarcimento quantomai rilevanti. La multifattorialità degli elementi di prova gravi e concordanti appena ricordati, hanno indotto la Corte d'appello a ritenere, secondo il criterio del più probabile che non ”, che il prospettato evento dannoso fosse imputabile alla condotta anticoncorrenziale posta in essere dalla P., in considerazione della raggiunta prova che i genericisti, e in particolare Ratiopharm, avevano preso in considerazione il rischio di iniziative giudiziarie avverse per violazione della disciplina brevettuale, esplicitamente annunciate da P., e si erano indotti a ritardare la commercializzazione del prodotto fino all'inizio di luglio 2010, quando il quadro giuridico non è apparso più definito. Nella stessa ottica, anche ai fini della prova del danno , la Corte d'appello ha ritenuto adempiuto l'onere probatorio gravante sulle Amministrazioni, avendo queste ultime tempestivamente prodotto la documentazione attestante il volume delle vendite dello X.” nel periodo compreso tra ottobre 2009 e maggio 2010, poiché, comparando il prezzo di tale prodotto con quello del medicinale generico, e tenendo conto della stima effettuata dall'AGCM sulla base dei dati forniti dalla IMS Health, emergevano elementi sufficienti a determinare il mancato risparmio del SSN, considerando, in particolare, la differenza tra il rimborso accordato dal SSN prima dell'ingresso nel mercato del farmaco generico e dopo tale ingresso, moltiplicando il relativo importo per il numero di confezioni di X.”. Al risultato conseguito, facendo ricorso a criteri di equità, la Corte ha ritenuto di dover operare un abbattimento percentuale pari al 5%, in considerazione del fatto che una parte sia pur minima in ragione della continuità dell'uso dettato dalla patologia interessata degli acquisti di Xalatan” poteva non essere oggetto di richiesta di rimborso al SSN. I motivi di ricorso Avverso tale statuizione ha proposto ricorso per cassazione la P., affidato a sette motivi di impugnazione. In particolare, con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell' art. 102 TFUE e dell'art. 66 c.p.i ., per avere la Corte d'appello ritenuto che le condotte poste da P. costituissero un abuso di posizione dominante , sebbene P. si fosse limitata ad esercitare facoltà insite nei diritti conferitigli dai brevetti lecitamente ottenuti. Con il terzo motivo di ricorso, è dedotta la violazione e falsa applicazione dell' art. 102 TFUE , degli artt. 2043, 2697, 2727 e 2729 c.c., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c. , in relazione all' art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. , per avere la Corte d'appello erroneamente ritenuto di poter trarre dal provvedimento dell'AGCM prova del nesso causale tra la condotta di P. e l'asserito ritardo nell'ingresso nel mercato dei genericisti e per avere giudicato assolto l'onere probatorio incombente sugli attori di dimostrare l'esistenza dell'evento dannoso e del nesso causale. La sentenza della Suprema Corte l'abuso di posizione dominante La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha, innanzitutto, osservato che la Corte d'appello, richiamando il provvedimento dell'AGCM e la decisione del giudice amministrativo, che ha respinto l'impugnazione dello stesso, ha ritenuto che il brevetto divisionale ed anche il certificato di protezione complementare erano serviti alla P., combinati ad altri espedienti, per ritardare l'ingresso di farmaci generici equivalenti al Xalatan” nel mercato italiano, ove il brevetto principale scadeva nel settembre 2009. Ricorrendo alla registrazione di un brevetto divisionale dopo molti anni dall'ottenimento di quello principale, non seguito dalla produzione di un altro farmaco, ma accompagnato dalla richiesta di certificato di protezione complementare, la P. ha, infatti, potuto continuare a godere anche in Italia, e ancora per qualche mese, come negli altri Paesi europei, dell'esclusiva nell'uso del principio attivo impiegato per la produzione del farmaco X.”, così ponendo in essere condotte con finalità escludenti dei concorrenti. La valutazione adottata prescinde dalla validità o meno del brevetto divisionale e dalla legittimità del certificato di protezione complementare ottenuto, perché comunque la complessiva condotta tenuta, anche impiegando il brevetto e il certificato in questione, è stata ritenuta espressione di un abuso della posizione dominante, compiendo una valutazione del tutto conforme all'interpretazione della giurisprudenza della Corte di giustizia UE Corte di giustizia UE, Sez. 5, Sentenza n. 377 del 12/05/2022 , caso C-719/2022 Com'è noto, la disciplina antitrust è focalizzata su tre tipologie di condotte che riducono o impediscono la concorrenza effettiva sul mercato e cioè le concentrazioni, le intese e l'abuso di posizione dominante. La disciplina unionale e interna L' articolo 102 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea TFUE stabilisce, al primo comma, il principio secondo il quale È incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo , senza tuttavia fornire una definizione né di posizione dominante”, né di sfruttamento abusivo”, ma facendolo seguire da un elenco, che non è tassativo o esaustivo, di pratiche già qualificate come abusive, tra le quali colloca le condotte escludenti che consistono b nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori… . Anche l' art. 3 della l. n. 287 del 1990 recante norme per la tutela della concorrenza e del mercato , nel vietare l'abuso di posizione dominate all'interno del mercato nazionale, non ne fornisce una definizione, ma esemplifica una serie di condotte abusive, tra le quali colloca quelle escludenti, che consistono nell' b impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico, a danno dei consumatori . Si tratta, dunque, di comportamenti diretti a creare barriere all'ingresso all'interno di un determinato mercato con l'obiettivo di ostacolare possibili imprese concorrenti. L'interpretazione dell'art. 102 TFUE nella giurisprudenza della Corte di giustizia UE La Corte di Giustizia UE, a seguito della richiesta di pronuncia pregiudiziale del Consiglio di Stato Cons. Stato, Sez. 6, Ordinanza n. 4646 del 20/07/2020 , richiamata nel ricorso introduttivo del presente giudizio in sede di legittimità, ha precisato che l' articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che una pratica lecita al di fuori del diritto della concorrenza può, qualora sia attuata da un'impresa in posizione dominante, essere qualificata come abusiva, ai sensi di tale disposizione, se può produrre un effetto escludente e se si basa sull'utilizzo di mezzi diversi da quelli propri di una concorrenza basata sui meriti. Qualora queste due condizioni siano soddisfatte, l'impresa può nondimeno sottrarsi al divieto di cui all' art. 102 TFUE , ma deve dimostrare dimostrando che la pratica in questione era obiettivamente giustificata e proporzionata a tale giustificazione oppure controbilanciata, se non superata, da vantaggi in termini di efficienza che vanno a beneficio anche dei consumatori Corte di giustizia UE, Sez. 5, Sentenza n. 377 del 12/05/2022 , caso C719/2022 . La Corte di giustizia ha rilevato che, per giurisprudenza costante, la nozione di sfruttamento abusivo” è fondata su una valutazione oggettiva del comportamento, che è indipendente dalla qualificazione di tale comportamento in altri rami del diritto in tal senso, v. anche Corte di giustizia UE, Sentenza del 6 dicembre 2012, AstraZeneca/Commissione, C-457/10 . È poi precisato che, in concreto, tale nozione designa qualsiasi pratica che possa pregiudicare, mediante risorse diverse da quelle su cui si impernia una concorrenza normale, una struttura di effettiva concorrenza. Essa mira quindi a sanzionare i comportamenti di un'impresa in posizione dominante i quali - in un mercato in cui, proprio per il fatto che vi opera l'impresa in questione, il grado di concorrenza è già indebolito - abbiano l'effetto di ostacolare, ricorrendo a mezzi diversi da quelli su cui si impernia la concorrenza normale tra prodotti o servizi, fondata sulle prestazioni degli operatori economici, la conservazione del grado di concorrenza ancora esistente sul mercato o lo sviluppo di tale concorrenza Corte di giustizia UE, sentenza del 13 febbraio 1979, Hoffmann-La Roche/Commissione, C-85/76 e Corte di giustizia UE, sentenza del 25 marzo 2021, Deutsche Telekom/Commissione, C-152/19 . L' articolo 102 TFUE non ha, infatti, lo scopo di impedire a un'impresa di conquistare, grazie ai suoi meriti, e in particolare alle sue competenze e capacità, una posizione dominante su un mercato, né di garantire che rimangano sul mercato concorrenti meno efficienti di un'impresa che detiene una posizione del genere. In altre parole, non tutti gli effetti escludenti pregiudicano necessariamente la concorrenza, poiché, per definizione, la concorrenza basata sui meriti può portare alla sparizione dal mercato o all'emarginazione dei concorrenti meno efficienti e quindi meno interessanti per i consumatori dal punto di vista dei prezzi, della scelta, della qualità o dell'innovazione Corte di giustizia UE, sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione, C-413/14 . Tuttavia, alle imprese in posizione dominante incombe, indipendentemente dalle cause di una simile posizione, la responsabilità particolare di non pregiudicare, con il loro comportamento, una concorrenza effettiva e non falsata nel mercato interno Corte di giustizia, sentenza del 9 novembre 1983, Nederlandsche Banden Industrie Michelin/Commissione, C-322/81 e Corte di giustizia UE, sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione, C-413/14 . Secondo la Corte di giustizia, dunque, le imprese in posizione dominante possono difendersi dai loro concorrenti, ma devono farlo ricorrendo ai mezzi propri di una concorrenza normale, vale a dire basata sui meriti. Non possono, invece, rendere più difficile la penetrazione o il mantenimento sul mercato in questione di concorrenti altrettanto efficienti, ricorrendo a mezzi diversi da quelli propri di una concorrenza basata sui meriti. E deve essere considerata come un mezzo diverso da quelli propri di una concorrenza basata sui meriti qualsiasi pratica per l'attuazione della quale un'impresa dominante non ha alcun interesse economico se non quello di eliminare i suoi concorrenti per poter poi rialzare i propri prezzi traendo profitto dalla sua situazione di monopolio Corte di giustizia UE, sentenza del 3 luglio1991, AKZO/Commissione, C-62/86 . Un criterio di valutazione efficace, secondo la Corte di giustizia UE, è dato dalla verifica della possibilità che la pratica attuata possa essere adottata da un ipotetico concorrente il quale, benché altrettanto efficiente, non detenga una posizione dominante sul mercato in questione, poiché, ove ciò non sia possibile, tale pratica si basa sullo sfruttamento di risorse o di mezzi propri di una tale posizione v. ad esempio, per le pratiche tariffarie, gli sconti fedeltà, i prezzi selettivi o predatori, la compressione dei margini e, per le pratiche non tariffarie, i rifiuti di fornitura di beni o servizi . La stessa Corte di giustizia ha, comunque precisato che, qualora un'Autorità garante della concorrenza accerti che una pratica avviata da un'impresa in posizione dominante è idonea a pregiudicare una concorrenza effettiva e non falsata nel mercato interno, resta possibile per tale impresa, affinché la pratica in questione non sia considerata uno sfruttamento abusivo di posizione dominante, dimostrare che essa è o era obiettivamente giustificata o da talune circostanze del caso concreto, le quali devono segnatamente essere esterne all'impresa interessata v., in tal senso, Corte di giustizia UE, sentenza del 17 febbraio 2011, TeliaSonera Sverige, C-52/09 , o dall'interesse dei consumatori così Corte di giustizia UE, sentenza del 30 gennaio 2020, Generics UK e a., C-307/18 . La prova del danno da illecito antitrust Il danno cagionato mediante abuso di posizione dominante non è in re ipsa , ma, in quanto conseguenza diversa ed ulteriore rispetto alla distorsione delle regole della concorrenza, deve essere autonomamente provato secondo le regole che disciplinano le azioni in materia di responsabilità extracontrattuale cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 20695 del 10/09/2013 . Come già affermato dalla Suprema Corte, in tema di responsabilità civile, non si può negare il nesso eziologico fra condotta e danno solo perché vi sono più cause possibili ed alternative ma il giudice deve stabilire quale tra esse sia più probabile che non”, in concreto ed in relazione alle altre, e, quindi, idonea a determinare in via autonoma il danno evento, fermo restando che, qualora tale accertamento non sia possibile, il problema del concorso delle cause trova soluzione nell' art. 41 c.p. , in virtù del quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra dette cause e l'evento, essendo quest'ultimo riconducibile a tutte, sempre che, ovviamente, non risulti provata l'esclusiva efficienza causale di una di esse Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 19033 del 06/07/2021 . In tale quadro, occorre anche considerare che, nel giudizio instaurato per il risarcimento dei danni derivanti da intese restrittive della libertà di concorrenza, pratiche concordate o abuso di posizione dominante , le conclusioni assunte dall'AGCM, nonché le decisioni del giudice amministrativo, che eventualmente abbiano confermato o riformato quelle decisioni, costituiscono una prova privilegiata, in relazione alla sussistenza del comportamento accertato o della posizione rivestita sul mercato e del suo eventuale abuso, anche se ciò non esclude la possibilità che le parti offrano prove a sostegno di tale accertamento o ad esso contrarie Cass., Sez. 1, Sentenza n. 5381 del 27/02/2020 Cass., Sez. 1, Ordinanza 05/07/2019, n. 18176 Cass., Sez. 1, Sentenza n. 3640 del 13/02/2009 , la quale precisa, in motivazione, che tali prove possono essere offerte sia dal soggetto che assuma la sussistenza della violazione, ove per ipotesi vi sia stato un provvedimento di diniego o di archiviazione da parte dell'AGCM, come pure dall'impresa accusata, che potrebbe portare elementi di prova contrari agli accertamenti ivi eseguiti ed alle conclusioni che ne fossero state tratte . La nozione di prova privilegiata in tema di illecito antitrust è stata chiarita già da Cass., Sez. 1, Sentenza n. 13486 del 20/06/2011 , ove la S.C. ha evidenziato che, ove l'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato abbia accertato la sussistenza dell'illecito anticoncorrenziale ed irrogato al professionista una sanzione, al professionista è bensì consentito fornire la prova contraria dei fatti accertati, ma senza che sia possibile rimettere in discussione, nel giudizio civile, i fatti costitutivi dell'affermazione di sussistenza della violazione della normativa in tema di concorrenza in base allo stesso materiale probatorio od alle stesse argomentazioni già disattesi in quella sede. La conclusione soddisfa un'esigenza di interna coerenza dell'ordinamento, altrimenti esposto al rischio, paventato dalla più autorevole dottrina industrialistica, di decisioni contraddittorie con riferimento alle medesime condotte illecite suscettibili di accertamento sia da parte dell'AGCM — e dal giudice amministrativo, in sede di impugnazione — che dal giudice ordinario, il quale, come è noto, può essere investito, in materia antitrust, di azioni di nullità e di risarcimento del danno, oltre che di azioni cautelari per l'ottenimento di provvedimenti d'urgenza ed è altresì in linea con le linee evolutive della legislazione di settore, unionale e nazionale Cass., Sez. 1, Sentenza n. 5381 del 27/02/2020 . L' art. 9.1 dir. UE n. 104/2014 , infatti, in sostanziale conformità di quanto già previsto con riferimento alle decisioni della Commissione dall' art. 16 reg. CE n. 1/2003 , dispone che gli Stati membri provvedono affinché una violazione del diritto della concorrenza constatata da una decisione definitiva di un'autorità nazionale garante della concorrenza - o di un giudice del ricorso sia ritenuta definitivamente accertata ai fini dell'azione per il risarcimento del danno proposta dinanzi ai loro giudici nazionali ai sensi dell' articolo 101 o 102 TFUE o ai sensi del diritto nazionale della concorrenza . L' art. 7, comma 1, d.lgs. n. 3 del 2017 , nel recepire la direttiva, ha poi stabilito che ai fini dell'azione per il risarcimento del danno si ritiene definitivamente accertata, nei confronti dell'autore, la violazione del diritto della concorrenza constatata da una decisione dell'autorità garante della concorrenza e del mercato di cui all' articolo 10 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 , non più soggetta ad impugnazione davanti al giudice del ricorso, o da una sentenza del giudice del ricorso passata in giudicato . Ovviamente, ove l'oggetto della prova non sia coperto dalla particolare valenza del provvedimento dell'AGCM, le risultanze degli atti di indagine dell'AGCM possono, comunque, essere apprezzate dal giudice civile, in concorso con altri elementi di giudizio, dando applicazione alle regole generali in tema di prova per presunzioni, anche se non assumono quel valore privilegiato sopra indicato. In particolare, nella valutazione degli elementi indiziari e presuntivi posti a base del suo convincimento, il giudice esercita un potere discrezionale consistente nella scelta degli elementi ritenuti più attendibili e nella valutazione della loro gravità e concludenza, cosicché nella formazione del suo convincimento non incontra altro limite che l'esigenza di applicare i principi operativi nella materia delle presunzioni, deducendo univocamente il fatto ignoto dai fatti noti, attraverso un procedimento logico fondato sul criterio dell' id quod plerumque accidit , e tale apprezzamento dei fatti, se correttamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità. Resta dunque fermo il principio per cui è incensurabile in sede di legittimità l'apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, sempre che la motivazione adottata appaia congrua dal punto di vista logico, immune da errori di diritto e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni. Nel caso di specie, la Corte d'appello non ha attribuito valore di prova privilegiata al provvedimento sanzionatorio anche ai fini dell'accertamento nel nesso causale tra la condotta illecita e il danno lamentato, ma ha considerato tale provvedimento – che, comunque, ha ritenuto esistente un abuso escludente, idoneo a determinare proprio quella esclusione che è stata posta a fondamento dell'azione risarcitoria – insieme agli altri elementi emergenti dall'istruttoria espletata nel corso del procedimento dell'Autorità garante, per arrivare ad affermare che la multifattorialità di tali elementi, ritenuti gravi e concordanti, inducevano a ritenere, secondo il criterio del più probabile che non”, che il prospettato evento dannoso, cui mirava la condotta anticoncorrenziale – e cioè il ritardo dell'ingresso nel mercato dei produttori del farmaco generico contenente latanoprost” – fosse imputabile alla P., poiché poteva ritenersi provato, in base al criterio sopra menzionato, che i genericisti, avevano preso in considerazione il rischio di iniziative giudiziarie avverse per violazione della disciplina brevettuale, esplicitamente annunciate da P., inducendole a ritardare la commercializzazione del prodotto fino all'inizio di luglio 2010, quando il quadro giuridico era apparso più definito.

Presidente Scotti Relatore Reggiani Fatti di causa Con atto di citazione notificato il 19 novembre 2014 il Ministero della Salute e il Ministero dell'economia e delle finanze MEF hanno convenuto in giudizio Pfizer Italia s.r.l. di seguito, Pfizer per ottenere quale terzo direttamente leso dalla condotta sanzionata la condanna al risarcimento dei danni subiti per effetto delle condotte illecite di abuso di posizione dominante nel mercato delle ''prostaglandine , accertate nei confronti della società convenuta con provvedimento n. 9181/2012 in data 11/01/2012 dall'AGCM Autorità Garante della Concorrenza e del mercato , da liquidarsi secondo la stima effettuata dall'Autorità nella misura di Euro 14.063.650,90. Le Amministrazioni hanno affermato che Pfizer appartenente al gruppo societario facente capo alla Pfizer Inc. di diritto statunitense, detentore della maggiore industria farmaceutica mondiale era da considerarsi impresa avente carattere dominante nel mercato delle prostaglandine , producendo il farmaco Omissis , necessario per la cura del glaucoma l'AGCM con il provvedimento sopra citato aveva accertato l'abuso di posizione dominante delle imprese del gruppo Pfizer, attuato in violazione dell' art. 102 TFUE , mediante condotte riconducibili ad un'unica finalità escludente, volta a ritardare l'accesso dei cd. genericisti nel mercato italiano della commercializzazione di farmaci analoghi delle prostaglandine , all'epoca già disponibili e di costo sensibilmente più contenuto gli abusi erano consistiti in particolare in attività finalizzate ad ottenere il protrarsi dei vigenti diritti di privativa della Pfizer per la protezione brevettuale del Omissis , principio attivo utilizzato nella produzione del farmaco Omissis , che in Italia ma non negli altri paesi europei sarebbe venuta a scadenza il 6 settembre 2009, mediante la proposizione di domanda di brevetto divisionale e la conseguente richiesta, il 23/09/2009, solo in Italia, di certificato di protezione complementare CPC , idoneo ad estendere la privativa fino al mese di luglio 2011 così allineando i diritti brevettuali goduti in Italia a quelli già presenti in altri Paesi europei , condotta affiancata da altri comportamenti tipici di tali illecito quali diffide e contenziosi giudiziari ad effetto escludente, come accertato nel provvedimento dall'AGCM, confermato dal Consiglio di Stato con sentenza n. 693/2014 gli effetti di tali abusi erano stati poi, di fatto, limitati a circa sette mesi dall'originario termine del 6 settembre 2009 ovvero dall'ottobre 2009 al maggio 2010 , tale essendosi rivelato il lasso di tempo in cui si era sostanziato l'effettivo ritardo nell'ingresso dei genericisti nel mercato dei farmaci equivalenti allo Omissis , con danno economico delle Amministrazioni attrici, pari al maggior costo sostenuto in conseguenza di tale ritardo, dal momento che il SSN è tenuto a rimborsare il costo del farmaco compreso in fascia A , tenendo conto del prezzo più basso tra i medicinali presenti nel mercato per categoria terapeutica omogenea, che nella specie era quello del medicinale generico la stima del danno, come quantificato dall'Autorità garante, doveva essere determinata tenendo conto della differenza di prezzo dei farmaci, moltiplicato per il numero di confezioni di Omissis commercializzate nel periodo compreso tra ottobre 2009 e maggio 2010. Il Tribunale di Roma ha respinto la domanda, evidenziando che l'accertamento dell'AGCM non aveva efficacia vincolante nel giudizio civile, non essendo applicabile alla controversia il principio sancito dall'art. 9 Direttiva 2014/104/UE e dall'art. 7 D.Lgs. n. 3 del 2017, anche se tale accertamento era dotato di efficacia probatoria privilegiata, ma solo per la sussistenza dell'illecito concorrenziale. Aggiungeva, tuttavia, che la sopravvenuta decisione T 2402/10 del Thechnical Board of Appeal, in ordine alla validità del brevetto divisionale OMISSIS , ottenuto dalla Pfizer per il Omissis , aveva inciso sulla configurabilità dell'abuso della posizione dominante. Il menzionato Tribunale ha rilevato che l'infondatezza della domanda era, inoltre, riscontrata dalla carenza probatoria sotto il profilo del nesso causale tra l'assunto abuso escludente e il ritardo dell'ingresso nel mercato dei genericisti, in riferimento alla dimostrazione che, in assenza della condotta assunta come abusiva, questi ultimi sarebbero entrati nel mercato prima del maggio 2010, poiché gli elementi indicati in proposito derivavano tutti dal provvedimento sanzionatorio dell'AGCM che, come sopra anticipato, in ordine al nesso causale non era dotato di valenza privilegiata. Emergeva, anzi, che la Ratiopharm si era preparata a far entrare nel mercato il prodotto generico solo nel maggio 2010, avendo ottenuto, insieme alla Sifi, l'autorizzazione per l'immissione in commercio del farmaco generico AIC rispettivamente ad aprile e maggio 2010, due mesi prima della commercializzazione del prodotto, tempo ritenuto dalla stessa Autorità garante usuale per l'immissione nel mercato dopo l'ottenimento dell'AIC, anche tenuto conto che le attività amministrative prodromiche non potevano comprendere la produzione del principio attivo che, se attuata precedentemente alla scadenza del diritto di privativa e dell'ottenimento dell'AIC, avrebbero integrato condotte di contraffazione a norma dell' art. 66 c.p.i . In ordine alla quantificazione del danno, poi, il Tribunale ha evidenziato che le Amministrazioni non avevano adempiuto all'onere di provare la quantità di confezioni di Omissis vendute in Italia e l'entità della spesa all'uopo sostenuta dal SSN nel periodo di riferimento, non essendo sufficiente tener conto del volume delle vendite di tale farmaco, in difetto della prova che ogni vendita dello stesso avesse dato luogo a rimborso. Tale carenza, secondo il giudice di prime cure, non era emendabile da una consulenza tecnica d'ufficio, non potendo il consulente dell'ufficio sostituirsi alle parti nell'acquisizione di elementi nella disponibilità di queste ultime, che invece erano onerate della relativa prova. Avverso la decisione di primo grado hanno proposto appello principale le Amministrazioni, cui è seguito l'appello incidentale condizionato della Pfizer. La Corte di merito ha accolto l'appello principale e respinto quello incidentale. In riforma della sentenza gravata, ha accolto la domanda proposta dal Ministero della salute e dal Ministero dell'economia e delle finanze, condannando Pfizer al risarcimento dei danni conseguenti all'accertato illecito anticoncorrenziale, liquidati nella somma di Euro 13.360.464,00 oltre interessi al tasso legale. Il giudice del gravame ha, in particolare, ritenuto che l'accertamento dell'AGCM ha valore di prova privilegiata non solo ai fini dell'individuazione del mercato rilevante e della posizione assunta dall'impresa sanzionata, ma anche per l'individuazione del comportamento anticoncorrenziale e della sua natura abusiva esclusa, invece, la prova privilegiata del nesso causale, dell'esistenza del danno e della sua entità del danno , aggiungendo che nella specie la Pfizer non aveva offerto elementi di prova contraria, poiché aveva invocato solo la decisione T 2402/10 del Omissis , intervenuta nel corso del giudizio amministrativo di impugnazione del provvedimento dell'AGCM, che il Consiglio di Stato aveva già ritenuto inidonea a far venire meno gli estremi della condotta sanzionata e a mutare le valutazioni dell'AGCM. La stessa Corte d'appello ha anche evidenziato che, nel giudizio promosso per il risarcimento dei danni cagionati dall'illecito anti-competitivo, non può essere messo in discussione l'accertamento di tale illecito sulla base di una differente valutazione dei medesimi elementi già dedotti ed esaminati dall'Autorità garante e dal giudice amministrativo. La Corte ha ritenuto, dunque, che, in conformità al giudizio operato dall'AGCM, e sviluppato più ampiamente dal Consiglio di Stato, non ha assunto alcuna rilevanza, nell'ottica anticoncorrenziale, la vicenda relativa alla validità o meno dei diritti di privativa della Pfizer, perché l'abuso della posizione dominante derivava da una condotta complessiva di quest'ultima, in cui rientrava anche ma non solo la richiesta di brevetto divisionale, formulata dopo anni dall'ottenimento del brevetto principale, seguita dalla richiesta solo in Italia del certificato di protezione complementare CPC , in base ad argomenti mutuati dal giudice amministrativo e integralmente riportati, che attribuivano rilievo all'uso, anzi all'abuso, che di tali diritti di privativa la Pfizer aveva compiuto, anche se il loro ottenimento, singolarmente valutato, era da considerarsi legittimo. Sulla prova del nesso causale, poi, la Corte di merito ha evidenziato che, sebbene il valore di prova privilegiata dell'accertamento operato dall'AGCM non si estendesse al nesso causale tra illecito anticoncorrenziale e danno, tuttavia, ai fini della prova di tale nesso, poteva farsi ricorso alle presunzioni e il provvedimento dell'AGCM, unitamente alla documentazione ivi richiamata, prodotti dalle Amministrazioni, erano più che sufficienti a dimostrarne la sussistenza, precisando che, nelle controverse in questione, l'onere probatorio può anche ritenersi assolto con il ricorso alla consulenza tecnica e il nesso causale può anche essere desunto in base a criteri di alta probabilità logica secondo il criterio del più probabile che non o per il tramite di presunzioni, in ragione del principio di effettività stabilito dal Trattato UE nella materia in questione. Ha quindi affermato che seri indizi del nesso causale si ravvisavano nella posizione dominante della Pfizer nel mercato farmaceutico del Omissis e negli effetti escludenti della condotta anticoncorrenziale, oltre che nelle evidenze che facevano risalire alla Pfizer la responsabilità dell'anomalo ritardo dell'ingresso nel mercato dei generalisti evidenziato dall'AIFA in sede di audizione e riconosciuto dalla stessa Pfizer i quali di solito avviano la programmazione per l'ingresso nel mercato con adeguato anticipo. La stessa Corte ha escluso la fondatezza del rilievo secondo cui, comunque, non sarebbe stata lecita la produzione prima della perdita di efficacia del brevetto principale, poiché l' art. 68 c.p.i . vieta esclusivamente le attività di intermediazione, e dunque di commercializzazione del prodotto. Secondo la Corte, il menzionato ritardo era, invece, riconducibile alla condotta ostruzionistica avviata da Pfizer, che aveva determinato una situazione di incertezza, avviando il contenzioso con il quale aveva chiesto una stasi nella produzione e un periodo di riflessione da parte dei legali delle aziende produttrici dei farmaci generici equivalenti, a fronte della notifica di istanze di risarcimento quanto mai rilevanti, come emergeva dalla dichiarazioni di Ratiopharm e Sifi, acquisite in sede amministrativa, che avevano ricordato di avere procrastinato il loro ingresso nel mercato, decidendo di entrarvi solo a seguito dell'accertamento in ordine alla strumentalità della richiesta di brevetto divisionale della Pfizer e dall'avvio del contenzioso per la dichiarazione di nullità dello stesso. D'altronde, la Corte ha rilevato che, come da prassi dei genericisti, il gruppo Ratiopharm aveva richiesto con largo anticipo all'AIFA due distinte AIC per il farmaco generico la prima addirittura nel settembre 2007 , in vista della scadenza, nel settembre 2009, del brevetto principale della Pfizer, anche se poi Ratiopharm Italia e Sifi avevano ottenuto altra autorizzazione ad aprile e a maggio 2010. Inoltre, l'Autorità garante aveva rilevato che, nel luglio 2009, un legale della Pfizer, deducendo di essere a conoscenza dell'ottenimento da parte della Ratiopharm dell'AIC per il farmaco generico, aveva diffidato quest'ultima dal metterlo in commercio. Aggiungeva che nel marzo 2009 la Ratiopharm aveva sospeso la programmata produzione del farmaco equivalente, dopo l'ottenimento nel gennaio 2019 da parte di Pfizer del brevetto divisionale, e che, pendente l'impugnativa del provvedimento dell'AGCM, la Ratiopharm aveva ritirato dal mercato i farmaci generici a base di Omissis , per immetterli nuovamente solo dopo le pronunce di Tar e Consiglio di Stato in sede cautelare. Rilevava, infine, che l'azienda tedesca facente parte dello stesso gruppo Ratiopharm, nel mese di luglio 2009, aveva sospeso la produzione del farmaco generico avviata nella prima metà dell'anno per il timore di subire un'inibitoria. In conclusione, la multifattorialità degli elementi di prova gravi e concordanti appena ricordati, hanno indotto la Corte d'appello a ritenere, secondo il criterio del più probabile che non , che il prospettato evento dannoso fosse imputabile alla condotta anticoncorrenziale posta in essere dalla Pfizer, in considerazione della raggiunta prova che i genericisti, e in particolare Ratiopharm, avevano preso in considerazione il rischio di iniziative giudiziarie avverse per violazione della disciplina brevettuale, esplicitamente annunciate da Pfizer, e si erano indotti a ritardare la commercializzazione del prodotto fino all'inizio di luglio 2010, quando il quadro giuridico non è apparso più definito. Nella stessa ottica, anche ai fini della prova del danno, la Corte d'appello ha ritenuto adempiuto l'onere probatorio gravante sulle Amministrazioni, avendo queste ultime tempestivamente prodotto la documentazione attestante il volume delle vendite dello Omissis nel periodo compreso tra ottobre 2009 e maggio 2010, poiché, comparando il prezzo di tale prodotto con quello del medicinale generico, e tenendo conto della stima effettuata dall'AGCM sulla base dei dati forniti dalla IMS Health, emergevano elementi sufficienti a determinare il mancato risparmio del SSN, considerando, in particolare, la differenza tra il rimborso accordato dal SSN prima dell'ingresso nel mercato del farmaco generico e dopo tale ingresso, moltiplicando il relativo importo per il numero di confezioni di Omissis . Al risultato conseguito, facendo ricorso a criteri di equità, la Corte ha ritenuto di dover operare un abbattimento percentuale pari al 5%, in considerazione del fatto che una parte sia pur minima in ragione della continuità dell'uso dettato dalla patologia interessata degli acquisti di Omissis poteva non essere oggetto di richiesta di rimborso al SSN. Avverso tale statuizione ha proposto ricorso per cassazione la Pfizer, affidato a sette motivi di impugnazione. Le due Amministrazioni si sono difese con controricorso. Le parti hanno depositato memorie ex art. 380-bis.1 c.p.c. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 24, comma 2, 101, comma 2, 104, comma 1 e 111 Cost. , nonché degli artt. 2909 c.c. , 116 c.p.c. e 102 TFUE , in relazione all' art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. , per avere la Corte d'appello ritenuto che, in applicazione del principio della prova privilegiata delle decisioni dell'AGCM, il giudice non potesse mettere in discussione l'accertamento dell'esistenza del presunto abuso di posizione dominante da parte di Pfizer, contenuto nella decisione dell'AGCM, neppure in presenza di un nuovo elemento sopravvenuto alla stessa, la cui rilevanza non era stata valutata dall'AGCM, ma solo dal Consiglio di Stato nell'ambito del sindacato di legittimità amministrativa ad esso riservato. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell' art. 102 TFUE e dell'art. 66 c.p.i ., in relazione all' art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. , per avere la Corte d'appello ritenuto che le condotte poste da Pfizer costituissero un abuso di posizione dominante, sebbene Pfizer si fosse limitata ad esercitare facoltà insite nei diritti conferitigli dai brevetti lecitamente ottenuti. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell' art. 102 TFUE , degli artt. 2043, 2697, 2727 e 2729 c.c., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c. , in relazione all' art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. , per avere la Corte d'appello erroneamente ritenuto di poter trarre dal provvedimento dell'AGCM prova del nesso causale tra la condotta di Pfizer e l'asserito ritardo nell'ingresso nel mercato dei genericisti e per avere giudicato assolto l'onere probatorio incombente sugli attori di dimostrare l'esistenza dell'evento dannoso e del nesso causale. Con il quarto motivo di ricorso è dedotto l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all' art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. , per avere la Corte d'appello omesso di considerare che il genericista Ratiopharm aveva ottenuto l'AIC, sulla base della quale aveva cominciato la commercializzazione del proprio farmaco generico nel marzo del 2010, e non nel settembre 2009, con la conseguenza che non poteva ritenersi che vi fosse alcun ritardo nell'ingresso dei genericisti sul mercato che fosse imputabile a Pfizer. Con il quinto motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 66 e 68 c.p.i ., in relazione all' art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. , per avere la Corte d'appello ritenuto che eventuali attività di produzione e confezione, poste in essere dai genericisti prima della scadenza del brevetto di Pfizer non avrebbero integrato atti di contraffazione e sarebbero state pertanto consentite dalla legge, mentre invece l'art. 68, comma 1, lett. b , c.p.i . consente la produzione del farmaco solamente nei limiti in cui sia necessaria per ottenere l'AIC. Con il sesto motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2721, 2726 e 2727 c.c. , in relazione all' art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. , per avere la Corte d'appello fatto cattivo uso dei principi che regolano il riparto dell'onere della prova. Con il settimo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 126, 2043 e 2056 c.c. , in relazione all' art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. , per avere la Corte d'appello fatto ricorso alla liquidazione equitativa del danno in difetto dei presupposti e senza disporre una consulenza tecnica. 2. Il primo motivo di ricorso è inammissibile. 2.1. Si deve subito evidenziare che la censura ha attinto la sentenza impugnata sotto due profili. In primo luogo, viene evidenziato che, contrariamente a quanto assunto dalla Corte di merito, la valenza di prova privilegiata , attribuita all'accertamento operato dall'AGCM, non preclude al giudice civile, investito dei giudizi di risarcimento dei danni cagionati dalle condotte anticoncorrenziali, l'esame di elementi che non sono stati vagliati dall'Autorità garante, perché sopravvenuti all'adozione del provvedimento sanzionatorio di quest'ultima, ma solo dal giudice amministrativo. In secondo luogo, viene dedotto che la statuizione adottata dal giudice amministrativo sulla legittimità dell'atto adottato dall'AGCM non ha efficacia riflessa nei giudizi civili sopra menzionati, la quale sussiste solo quando esiste un nesso di pregiudizialità-dipendenza tra la res iudicata e la res iudicanda, che attiene all'affermazione di una verità che non ammette la possibilità di un diverso accertamento, condizioni entrambe da escludersi nelle ipotesi in esame. 2.2. Con riguardo ad entrambi i profili, il motivo appare inammissibile perché non coglie la ratio decidendi della pronuncia impugnata. Dalla lettura della sentenza si evince chiaramente che il giudice di merito non ha escluso la sindacabilità del provvedimento dell'AGCM, nella parte in cui ha ritenuto sussistente l'abuso di posizione dominante, in presenza di sopravvenienze, quale era la decisione T 2402/10 del Omissis sulla validità del brevetto decisionale, ma ha solo evidenziato che, nella specie, tale sopravvenienza non era rilevante ai fini della esclusione dell'illecito, come si evinceva dagli argomenti impiegati dall'AGCM nel ravvisare l'illecito, ripresi in modo ancora più esplicito nella sentenza del Consiglio di Stato, e condivisi dalla Corte d'appello stessa. Nella decisione in questa sede impugnata, infatti, si legge quanto segue 6. Dirimente in ordine alla questione della sussistenza o meno nella specie dell'illecito da abuso di posizione dominante, pur a fronte della pronuncia di validità della registrazione del titolo di privativa, si ritiene d'altro canto l'apprezzamento prettamente di merito già svolto tanto dall'AGCM al momento della cui decisione era stata avanzata dalla Pfizer ka richiesta di brevetto divisionale , e sviluppato ampiamente dal Consiglio di Stato della irrilevanza di tal vicenda dei diritti di privativa della Pfizer, nell'accertamento della fattispecie di abuso della posizione dominante. L'irrilevanza in ottica antitrust della motivazione a base della decisione di nullità dell'EPO era già stata espressamente chiarita dall'Autorità laddove aveva rilevato come essa attenga esclusivamente a profili di normativa brevettuale, mentre oggetto del procedimento azionato per violazione dell' art. 102 TFUE è, invece, la natura anticoncorrenziale delle condotte contestate cfr. par. 203 provv. AGCM in atti , sicché la tenuta giuridica e logica del provvedimento sanzionatorio non postulava affatto la stabilità di annullamento del brevetto. L'ambito del decidere prospettato con la denuncia della società produttrice del farmaco generico e l'illecito poi ascritto all'odierna appellata all'evidenza non attengono difatti alla legittimità delle richieste o alla validità del brevetto divisionale, del relativo CPC e della 'estensione' pediatrica, bensì all'avere la casa farmaceutica in posizione fatto ricorso a queste e ad altre iniziative con una condotta che è stata riconosciuta palesare nel complesso una strategia volta a prolungare artificialmente la protezione brevettuale del principio attivo Omissis , al fine di ritardare l'accesso al mercato dei farmaci generici equivalenti allo Omissis , ovvero la strumentalità con finalità escludente della stessa. La ritenuta esistenza dell'illecito in tale controversia resta allora del tutto indifferente rispetto alla riconosciuta validità delle privative, e non può condividersi l'argomento censurato con il secondo motivo di appello ritenuto decisivo dal Tribunale secondo cui la circostanza che Pfizer non ha fatto altro che esercitare diritti tutelati dalla normativa, europea e nazionale, in materia di privativa industriale escluderebbe di per sé alla stregua di una causa di giustificazione che la casa farmaceutica abbia fatto uso strumentale di procedure lecite , affermazione a smentire la quale va ricordato come evidenziato con articolate del tutto condivisibili argomentazioni la sentenza del Consiglio di Stato, che l'abuso di posizione dominante sostanzia un'ipotesi di abuso del diritto della quale presupposto è appunto l'esistenza del diritto e che d'altro canto a delineare l'illecito sanzionato sono state ritenute già dall'Autorità garante, concorrere anche altre condotte della ditta farmaceutica in posizione dominante, sintomatiche della distorsione a scopo escludente della registrazione del brevetto divisionale relativo al Omissis e del conseguente certificato di protezione complementare, quali la tempistica del brevetto divisionale avvenuta dopo tredici anni dalla domanda del brevetto principale e in concomitanza con l'ingresso sul mercato di due medicinali analoghi delle prostaglandine dall'identità dell'oggetto del brevetto divisionale rispetto a quello del brevetto principale entrambi attinenti al principio del Omissis la validazione del brevetto divisionale solo in Italia dove la privativa garantita dal brevetto principale scadeva nel settembre 2009 il prolungamento della protezione brevettuale in Italia, dove non era stato richiesto il certificato di protezione complementare CPC sul brevetto principale fino a luglio 2011 a seguito delle azioni intraprese, con conseguente incertezza per i genericisti sulla legittimità del loro affidamento ad avviare la commercializzazione alla scadenza del settembre 2009 l'assenza di immissione in commercio di un nuovo farmaco da parte di Pfizer a seguito del rilascio del brevetto divisionale la richiesta di CPC solo in Italia la richiesta avanzata nel 2011 per un'ulteriore estensione temporale basata sulla sperimentazione pediatrica di Omissis . Condotte in sé lecite che nel complesso sono state ritenute idonee a dimostrare la sussistenza dell'illecito da abuso di posizione dominante posto in essere da Pfizer, consistito nell'aver esteso artificiosamente la durata temporale della protezione brevettuale del farmaco Omissis in Italia mediante la richiesta di un brevetto divisionale e del relativo certificato di protezione complementare e sfruttato lo stato di incertezza giuridica così determinato, al fine di ritardare 'ingresso delle specialità equivalenti a base di Omissis sul mercato rilevante p. 9-10 della sentenza impugnata . In tale ottica, risultante dal provvedimento dell'AGCM, illustrata dal Consiglio di Stato, e fatta proprio dalla Corte d'appello v. anche p. 10-12, ove è riportata quasi per intero la motivazione della decisione del Consiglio di Stato, le cui argomentazioni sono ritenute dalla Corte territoriale chiare ed esaustive , la pronuncia del Omissis sulla validità del brevetto divisionale non ha assunto alcuna incidenza sulla valutazione dell'esistenza dell'abuso della posizione dominante. 2.3. È pertanto evidente che la censura non coglie nel segno nella parte in cui ha criticato il mancato rilievo attribuito alla menzionata pronuncia di validità del brevetto divisionale, perché ha attribuito alla decisione impugnata valutazioni diverse da quelle realmente effettuate e ritenute dirimenti. Allo stesso modo, la sentenza impugnata non fonda la decisione sull'esistenza di un giudicato ricondotto alla decisione del Consiglio di Stato, che ha respinto l'impugnazione proposta contro la sanzione comminata dall'AGCM, ma ha riportato gli argomenti impiegati dal giudice amministrativo, che ha interpretato il provvedimento sanzionatorio, ritenendo ininfluente su di essa la successiva pronuncia di validità del brevetto divisionale, sulla base di argomenti ritenuti condivisibili e, per questo, condivisi v. in particolare p. 9 e 10 della sentenza impugnata . 3. Il secondo motivo è infondato. 3.1. Com'è noto, la disciplina antitrust è focalizzata su tre tipologie di condotte che riducono o impediscono la concorrenza effettiva sul mercato e cioè le concentrazioni, le intese e l'abuso di posizione dominante. L' articolo 102 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea TFUE stabilisce, al primo comma, il principio secondo il quale È incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo , senza tuttavia fornire una definizione né di posizione dominante , né di sfruttamento abusivo , ma facendolo seguire da un elenco, che non è tassativo o esaustivo, di pratiche già qualificate come abusive, tra le quali colloca le condotte escludenti che consistono b nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori . Anche l' art. 3 della l. n. 287 del 1990 recante norme per la tutela della concorrenza e del mercato , nel vietare l'abuso di posizione dominate all'interno del mercato nazionale, non ne fornisce una definizione, ma esemplifica una serie di condotte abusive, tra le quali colloca quelle escludenti, che consistono nell' b impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico, a danno dei consumatori . Si tratta, dunque, di comportamenti diretti a creare barriere all'ingresso all'interno di un determinato mercato con l'obiettivo di ostacolare possibili imprese concorrenti. 3.2. La Corte di giustizia UE, a seguito della richiesta di pronuncia pregiudiziale del Consiglio di Stato Cons. Stato, Sez. 6, Ordinanza n. 4646 del 20/07/2020 , richiamata nel ricorso introduttivo del presente giudizio in sede di legittimità, ha precisato che l' articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che una pratica lecita al di fuori del diritto della concorrenza può, qualora sia attuata da un'impresa in posizione dominante, essere qualificata come abusiva, ai sensi di tale disposizione, se può produrre un effetto escludente e se si basa sull'utilizzo di mezzi diversi da quelli propri di una concorrenza basata sui meriti. Qualora queste due condizioni siano soddisfatte, l'impresa può nondimeno sottrarsi al divieto di cui all' art. 102 TFUE , ma deve dimostrare dimostrando che la pratica in questione era obiettivamente giustificata e proporzionata a tale giustificazione oppure controbilanciata, se non superata, da vantaggi in termini di efficienza che vanno a beneficio anche dei consumatori Corte di giustizia UE, Sez. 5, Sentenza n. 377 del 12/05/2022 , caso C-719/2022 . Nella sentenza appena menzionata, la Corte di giustizia ha rilevato che, per giurisprudenza costante, la nozione di sfruttamento abusivo è fondata su una valutazione oggettiva del comportamento, che è indipendente dalla qualificazione di tale comportamento in altri rami del diritto in tal senso, v. anche Corte di giustizia UE, Sentenza del 6 dicembre 2012, AstraZeneca/Commissione, C-457/10 . È poi precisato che, in concreto, tale nozione designa qualsiasi pratica che possa pregiudicare, mediante risorse diverse da quelle su cui si impernia una concorrenza normale, una struttura di effettiva concorrenza. Essa mira quindi a sanzionare i comportamenti di un'impresa in posizione dominante i quali in un mercato in cui, proprio per il fatto che vi opera l'impresa in questione, il grado di concorrenza è già indebolito abbiano l'effetto di ostacolare, ricorrendo a mezzi diversi da quelli su cui si impernia la concorrenza normale tra prodotti o servizi, fondata sulle prestazioni degli operatori economici, la conservazione del grado di concorrenza ancora esistente sul mercato o lo sviluppo di tale concorrenza Corte di giustizia UE, sentenza del 13 febbraio 1979, Hoffmann-La Roche/Commissione, C-85/76 e Corte di giustizia UE, sentenza del 25 marzo 2021, Deutsche Telekom/Commissione, C-152/19 . L' articolo 102 TFUE non ha, infatti, lo scopo di impedire a un'impresa di conquistare, grazie ai suoi meriti, e in particolare alle sue competenze e capacità, una posizione dominante su un mercato, né di garantire che rimangano sul mercato concorrenti meno efficienti di un'impresa che detiene una posizione del genere. In altre parole, non tutti gli effetti escludenti pregiudicano necessariamente la concorrenza, poiché, per definizione, la concorrenza basata sui meriti può portare alla sparizione dal mercato o all'emarginazione dei concorrenti meno efficienti e quindi meno interessanti per i consumatori dal punto di vista dei prezzi, della scelta, della qualità o dell'innovazione Corte di giustizia UE, sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione, C-413/14 . Tuttavia, alle imprese in posizione dominante incombe, indipendentemente dalle cause di una simile posizione, la responsabilità particolare di non pregiudicare, con il loro comportamento, una concorrenza effettiva e non falsata nel mercato interno Corte di giustizia, sentenza del 9 novembre 1983, Nederlandsche Banden Industrie Michelin/Commissione, C-322/81 e Corte di giustizia UE, sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione, C-413/14 . Secondo la Corte di giustizia, dunque, le imprese in posizione dominante possono difendersi dai loro concorrenti, ma devono farlo ricorrendo ai mezzi propri di una concorrenza normale, vale a dire basata sui meriti. Non possono, invece, rendere più difficile la penetrazione o il mantenimento sul mercato in questione di concorrenti altrettanto efficienti, ricorrendo a mezzi diversi da quelli propri di una concorrenza basata sui meriti. E deve essere considerata come un mezzo diverso da quelli propri di una concorrenza basata sui meriti qualsiasi pratica per l'attuazione della quale un'impresa dominante non ha alcun interesse economico se non quello di eliminare i suoi concorrenti per poter poi rialzare i propri prezzi traendo profitto dalla sua situazione di monopolio Corte di giustizia UE, sentenza del 3 luglio 1991, AKZO/Commissione, C-62/86 . Un criterio di valutazione efficace, secondo la Corte di giustizia UE, è dato dalla verifica della possibilità che la pratica attuata possa essere adottata da un ipotetico concorrente il quale, benché altrettanto efficiente, non detenga una posizione dominante sul mercato in questione, poiché, ove ciò non sia possibile, tale pratica si basa sullo sfruttamento di risorse o di mezzi propri di una tale posizione v. ad esempio, per le pratiche tariffarie, gli sconti fedeltà, i prezzi selettivi o predatori, la compressione dei margini e, per le pratiche non tariffarie, i rifiuti di fornitura di beni o servizi . La stessa Corte di giustizia ha, comunque precisato che, qualora un'Autorità garante della concorrenza accerti che una pratica avviata da un'impresa in posizione dominante è idonea a pregiudicare una concorrenza effettiva e non falsata nel mercato interno, resta possibile per tale impresa, affinché la pratica in questione non sia considerata uno sfruttamento abusivo di posizione dominante, dimostrare che essa è o era obiettivamente giustificata o da talune circostanze del caso concreto, le quali devono segnatamente essere esterne all'impresa interessata v., in tal senso, Corte di giustizia UE, sentenza del 17 febbraio 2011, TeliaSonera Sverige, C-52/09 , o dall'interesse dei consumatori così Corte di giustizia UE, sentenza del 30 gennaio 2020, Generics UK e a., C-307/18 . 3.3. Nel caso di specie, secondo la ricorrente, la Corte di merito non ha considerato che la Pfizer è stata ritenuta responsabile di una condotta di abuso di posizione dominante, mentre invece non aveva fatto altro che tutelare in vario modo il proprio legittimo diritto di privativa, ottenuto a seguito dell'ottenimento del brevetto divisionale e del correlato certificato di protezione complementare, che le hanno consentito di prolungare per qualche mese la privativa nell'uso del principio attivo del Omissis impiegata per realizzare il farmaco Omissis . Si deve, tuttavia, rilevare che la Corte d'appello, con gli argomenti sopra illustrati, richiamando il provvedimento dell'AGCM e la decisione del giudice amministrativo, che ha respinto l'impugnazione dello stesso, ha ritenuto che il brevetto divisionale ed anche il certificato di protezione complementare erano serviti alla Pfizer, combinati ad altri espedienti, per ritardare l'ingresso di farmaci generici equivalenti al Omissis nel mercato italiano, ove il brevetto principale scadeva nel settembre 2009. Ricorrendo alla registrazione di un brevetto divisionale dopo molti anni dall'ottenimento di quello principale, non seguito dalla produzione di un altro farmaco, ma accompagnato dalla richiesta di certificato di protezione complementare, la Pfizer ha, infatti, potuto continuare a godere anche in Italia, e ancora per qualche mese, come negli altri Paesi europei, dell'esclusiva nell'uso del principio attivo impiegato per la produzione del farmaco Omissis , così ponendo in essere condotte con finalità escludenti dei concorrenti. La valutazione adottata prescinde dalla validità o meno del brevetto divisionale e dalla legittimità del certificato di protezione complementare ottenuto, perché comunque la complessiva condotta tenuta, anche impiegando il brevetto e il certificato in questione, è stata ritenuta espressione di un abuso della posizione dominante, compiendo una valutazione del tutto conforme all'interpretazione della giurisprudenza della Corte di giustizia UE Corte di giustizia UE, Sez. 5, Sentenza n. 377 del 12/05/2022 , caso C-719/2022 . 4. Il terzo motivo di ricorso è in parte infondato e in parte inammissibile. 4.1. Com'è noto, il danno cagionato mediante abuso di posizione dominante non è in re ipsa, ma, in quanto conseguenza diversa ed ulteriore rispetto alla distorsione delle regole della concorrenza, deve essere autonomamente provato secondo le regole che disciplinano le azioni in materia di responsabilità extracontrattuale cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 20695 del 10/09/2013 . Come già affermato da questa Corte, in tema di responsabilità civile, non si può negare il nesso eziologico fra condotta e danno solo perché vi sono più cause possibili ed alternative ma il giudice deve stabilire quale tra esse sia più probabile che non , in concreto ed in relazione alle altre, e, quindi, idonea a determinare in via autonoma il danno evento, fermo restando che, qualora tale accertamento non sia possibile, il problema del concorso delle cause trova soluzione nell' art. 41 c.p. , in virtù del quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra dette cause e l'evento, essendo quest'ultimo riconducibile a tutte, sempre che, ovviamente, non risulti provata l'esclusiva efficienza causale di una di esse Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 19033 del 06/07/2021 . In tale quadro, occorre anche considerare che, nel giudizio instaurato per il risarcimento dei danni derivanti da intese restrittive della libertà di concorrenza, pratiche concordate o abuso di posizione dominante, le conclusioni assunte dall'AGCM, nonché le decisioni del giudice amministrativo, che eventualmente abbiano confermato o riformato quelle decisioni, costituiscono una prova privilegiata, in relazione alla sussistenza del comportamento accertato o della posizione rivestita sul mercato e del suo eventuale abuso, anche se ciò non esclude la possibilità che le parti offrano prove a sostegno di tale accertamento o ad esso contrarie Cass., Sez. 1, Sentenza n. 5381 del 27/02/2020 Cass., Sez. 1, Ordinanza 05/07/2019, n. 18176 Cass., Sez. 1, Sentenza n. 3640 del 13/02/2009 , la quale precisa, in motivazione, che tali prove possono essere offerte sia dal soggetto che assuma la sussistenza della violazione, ove per ipotesi vi sia stato un provvedimento di diniego o di archiviazione da parte dell'AGCM, come pure dall'impresa accusata, che potrebbe portare elementi di prova contrari agli accertamenti ivi eseguiti ed alle conclusioni che ne fossero state tratte . La nozione di prova privilegiata in tema di illecito antitrust è stata chiarita già da Cass., Sez. 1, Sentenza n. 13486 del 20/06/2011 , ove la S.C. ha evidenziato che, ove l'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato abbia accertato la sussistenza dell'illecito anticoncorrenziale ed irrogato al professionista una sanzione, al professionista è bensì consentito fornire la prova contraria dei fatti accertati, ma senza che sia possibile rimettere in discussione, nel giudizio civile, i fatti costitutivi dell'affermazione di sussistenza della violazione della normativa in tema di concorrenza in base allo stesso materiale probatorio od alle stesse argomentazioni già disattesi in quella sede. La conclusione soddisfa un'esigenza di interna coerenza dell'ordinamento, altrimenti esposto al rischio, paventato dalla più autorevole dottrina industrialistica, di decisioni contraddittorie con riferimento alle medesime condotte illecite suscettibili di accertamento sia da parte dell'AGCM e dal giudice amministrativo, in sede di impugnazione che dal giudice ordinario, il quale, come è noto, può essere investito, in materia antitrust, di azioni di nullità e di risarcimento del danno, oltre che di azioni cautelari per l'ottenimento di provvedimenti d'urgenza ed è altresì in linea con le linee evolutive della legislazione di settore, unionale e nazionale Cass., Sez. 1, Sentenza n. 5381 del 27/02/2020 . L' art. 9.1 dir. UE n. 104/2014 , infatti, in sostanziale conformità di quanto già previsto con riferimento alle decisioni della Commissione dall' art. 16 reg. CE n. 1/2003 , dispone che gli Stati membri provvedono affinché una violazione del diritto della concorrenza constatata da una decisione definitiva di un'autorità nazionale garante della concorrenza o di un giudice del ricorso sia ritenuta definitivamente accertata ai fini dell'azione per il risarcimento del danno proposta dinanzi ai loro giudici nazionali ai sensi dell' articolo 101 o 102 TFUE o ai sensi del diritto nazionale della concorrenza . L' art. 7, comma 1, D.Lgs. n. 3 del 2017 , nel recepire la direttiva, ha poi stabilito che ai fini dell'azione per il risarcimento del danno si ritiene definitivamente accertata, nei confronti dell'autore, la violazione del diritto della concorrenza constatata da una decisione dell'autorità garante della concorrenza e del mercato di cui all' articolo 10 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 , non più soggetta ad impugnazione davanti al giudice del ricorso, o da una sentenza del giudice del ricorso passata in giudicato . Ovviamente, ove l'oggetto della prova non sia coperto dalla particolare valenza del provvedimento dell'AGCM, le risultanze degli atti di indagine dell'AGCM possono, comunque, essere apprezzate dal giudice civile, in concorso con altri elementi di giudizio, dando applicazione alle regole generali in tema di prova per presunzioni, anche se non assumono quel valore privilegiato sopra indicato. In particolare, nella valutazione degli elementi indiziari e presuntivi posti a base del suo convincimento, il giudice esercita un potere discrezionale consistente nella scelta degli elementi ritenuti più attendibili e nella valutazione della loro gravità e concludenza, cosicché nella formazione del suo convincimento non incontra altro limite che l'esigenza di applicare i principi operativi nella materia delle presunzioni, deducendo univocamente il fatto ignoto dai fatti noti, attraverso un procedimento logico fondato sul criterio dell'id quod plerumque accidit, e tale apprezzamento dei fatti, se correttamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità. Resta dunque fermo il principio per cui è incensurabile in sede di legittimità l'apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, sempre che la motivazione adottata appaia congrua dal punto di vista logico, immune da errori di diritto e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni. 4.2. Nella specie, la ricorrente ha criticato la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto provato che il danno lamentato dalle Amministrazione era stato cagionato da un ingresso tardivo nel mercato rilevante del farmaco generico contente il principio attivo coperto dal brevetto posseduto dalla Pfizer e che tale ritardo era stato ingenerato dalle condotte di quest'ultima, già sanzionate come abuso di posizione dominante con finalità escludente. La stessa ricorrente ha ritenuto che tali elementi sono stati desunti da alcuni passaggi del provvedimento dell'AGCM e da dichiarazioni rese da terze parti nell'ambito del relativo provvedimento, ma l'Autorità garante si era limitata ad accertare l'idoneità alla produzione di effetti escludenti della condotta della Pfizer, mentre nel presente giudizio occorreva provare l'effettiva incidenza causale della stessa nella determinazione del danno lamentato dalle Amministrazioni. Inoltre, la Pfizer aveva affermato che l'anomalia nei tempi di ingresso nel mercato dei farmaci generici era stata evidenziata solo in una dichiarazione dell'AIFA a cui la ricorrente aveva contrapposto un'indagine conoscitiva e una relazione che aveva prodotto in giudizio e che l'attribuzione di tale ritardo alla condotta sanzionata della Pfizer si ricavava soltanto dalle dichiarazioni dei genericisti Ratiopharm e Sifi a cui la ricorrente aveva contrapposto altri elementi di valutazione , senza il supporto di altri indizi. La stessa parte poi ha aggiunto che la menzionata dichiarazione dell'AIFA e alcune dichiarazioni della Ratiopharm non erano neppure state acquisite al processo. A parte la genericità del riferimento all'impiego di documentazione relativa alle dichiarazioni rese da Ratiopharm, di cui non è specificato il contenuto, e l'erroneo riferimento alla mancata produzione della documentazione relativa alle affermazioni dell'AIFA, che, invece, la Corte d'appello ha chiaramente affermato essere stata sentita dall'AGCM, riportando tra virgolette la parte del provvedimento sanzionatorio in cui sono state riportate le dichiarazioni rese nel corso dell'audizione p. 15 della sentenza impugnata , il resto delle censure si sostanzia in una contestazione delle valutazioni di merito, operate dalla Corte d'appello. La Corte d'appello non ha infatti attribuito valore di prova privilegiata al provvedimento sanzionatorio anche ai fini dell'accertamento nel nesso causale tra la condotta illecita e il danno lamentato, ma ha considerato tale provvedimento che, comunque, ha ritenuto esistente un abuso escludente, idoneo a determinare proprio quella esclusione che è stata posta a fondamento dell'azione risarcitoria esperita in questa sede insieme agli altri elementi emergenti dall'istruttoria espletata nel corso del procedimento dell'Autorità garante, per arrivare ad affermare che la multifattorialità di tali elementi, ritenuti gravi e concordanti, inducevano a ritenere, secondo il criterio del più probabile che non , che il prospettato evento dannoso, cui mirava la condotta anticoncorrenziale e cioè il ritardo dell'ingresso nel mercato dei produttori del farmaco generico contenente Omissis fosse imputabile alla Pfizer, poiché poteva ritenersi provato, in base al criterio sopra menzionato, che i genericisti, e in particolare Ratiopharm, avevano preso in considerazione il rischio di iniziative giudiziarie avverse per violazione della disciplina brevettuale, esplicitamente annunciate da Pfizer, inducendole a ritardare la commercializzazione del prodotto fino all'inizio di luglio 2010, quando il quadro giuridico era apparso più definito p. 17 della sentenza impugnata . La ricorrente ha mostrato di non condividere tale ricostruzione evidenziando altri elementi di giudizio, così operando una critica che si sostanzia in una contestazione delle valutazioni in fatto operate dal giudice di merito, inammissibile in questa sede. 5. Il quarto motivo di ricorso è anch'esso in parte inammissibile e in parte infondato. Con tale censura, la Pfizer ha denunciato l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e che è stato oggetto di discussione tra le parti, ossia che il genericista Ratiopharm ha ottenuto l'AIC sulla base della quale ha iniziato la commercializzazione del proprio farmaco generico nel marzo 2010 e non nel settembre 2009, ottenuta dalla consociata tedesca della Ratiopharm Italia, e non da quest'ultima, che si riferiva ad eccipienti ossia a sostanze diverse dal principio attivo differenti da quelli indicati nell'AIC ottenuta da Rathioparm Italia nel 2010 sulla base della quale il farmaco generico è stato commercializzato , a cui non è seguita l'immissione nel mercato del prodotto. Secondo la ricorrente si tratta di un fatto decisivo per il giudizio posto che, se l'AIC rilevante ai fini della determinazione del momento in cui Ratiopharm era in grado di effettuare il proprio ingresso sul mercato fosse stata quella del marzo 2010, la Corte avrebbe dovuto concludere che non vi era stato alcun ritardo nell'ingresso del mercato dei genericisti, poiché ciò significava che Ratiopharm aveva avviato la commercializzazione del farmaco dopo due mesi dall'ottenimento dell'AIC, periodo che la stessa AGCM aveva indicato essere il periodo mediamente necessario per la commercializzazione del prodotto, una volta ottenuta la AIC. 5.1. Com'è noto, la nuova formulazione dell' art. 360 c.p.c. consente l'impugnazione ai sensi dell' art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e non più per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio . La norma si riferisce al mancato esame di un fatto decisivo, che è stato offerto al contraddittorio delle parti, inteso come fatto storico, accadimento naturalistico. Costituisce, pertanto, un fatto ai sensi dell' art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. , non una questione o un punto, ma un vero e proprio evento, un preciso accadimento, una determinata circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante Cass., Sez. 2, n. 26274/2018 . Non integrano, viceversa, fatti, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. , le argomentazioni o deduzioni difensive Cass., Sez. 2, n. 14802/2017 Cass., Sez. 5, n. 21152/2014 , gli elementi istruttori in sé considerati, le domande o le eccezioni formulate nella causa di merito, né i motivi di appello. 5.2. Nel caso di specie, la ricorrente ha lamentato l'omessa considerazione da parte della Corte d'appello del fatto che l'AIC ottenuta l'11 settembre 2009 dalla consociata tedesca della Rathiopharm Italia si riferiva ad eccipienti diversi da quelli poi impiegati nel prodotto oggetto della AIC ottenuta dalla Ratiopham Italia nel marzo 2010. La parte non ha tuttavia specificato se la diversità consisteva nel fatto che la prima AIC non riguardasse l'impiego del principio attivo oggetto di privativa prossima alla scadenza, e cioè del Omissis , così operando una censura che non specifica le ragioni della decisività della ritenuta mancata considerazione del fatto dedotto. Inoltre, la stessa parte ha prospettato tale fatto come decisivo, ma così non è, tenuto conto che dalla lettura della sentenza di appello, la cui motivazione è stata riportata nell'esame del precedente motivo, si evince che tale circostanza è stata considerata insieme a numerose altre e in particolare, la presentazione di altre richieste di AIC anche da parte di altre imprese, le diffide della Pfizer ecc , che concorrevano alla valutazione in ordine alla sussistenza del nesso causale tra la condotta anticoncorrenziale e il danno lamentato dalle Amministrazioni, non risultando che la considerazione di quanto dedotto avrebbe comportato una diversa decisione, dovendosi, anzi, ritenere il contrario, tenuto conto dei numerosi elementi di giudizio considerati dalla Corte d'appello, la quale ha comunque evidenziato che la società che aveva richiesto l'AIC nel mese di settembre 2009 era comunque una consociata del gruppo partecipato dalla Ratiopharm Italia e che quest'ultima aveva ricevuto da Pfizer nel mese di luglio 2009 una diffida ad immettere in commercio il proprio medicinale p. 15-17 della sentenza impugnata . 6. Il quinto motivo di ricorso è infondato. Parte ricorrente ha dedotto che la Corte d'appello ha violato il disposto degli artt. 66 e 68 c.p.i . perché, comunque, i genericisti non avrebbero potuto iniziare la commercializzazione dei farmaci subito dopo la scadenza del brevetto principale, se non violando la normativa in materia di privativa industriale, atteso che in base alla normativa sopra citata l'attività di produzione e confezionamento rientra tra le facoltà esclusive del titolare del brevetto e non può quindi essere avviata dai concorrenti prima della scadenza del diritto di privativa e dell'ottenimento dell'AIC, se non integrando gli stremi del reato di contraffazione, essendo la produzione consentita solo ai fini della richiesta dell'AIC. La censura non tiene conto del fatto che l'ottenimento da parte di Pfizer del brevetto divisionale e del conseguente certificato di protezione complementare rientra nella condotta ritenuta anticoncorrenziale sanzionata dall'AGCM e che, pertanto, la valutazione della legittimità o meno in base al codice della proprietà industriale , della produzione, durante il periodo in cui è stata ottenuta la privativa con abuso escludente della posizione dominante, non assume rilievo, poiché il giudizio va fatto valutando cosa sarebbe accaduto escludendo la condotta abusiva, comprendente, si ripete, anche l'ottenimento del brevetto divisionale e del certificato di protezione complementare. 7. Il sesto motivo di ricorso è infondato. La Corte d'appello ha ritenuto adempiuto l'onere probatorio gravante sulle Amministrazioni, avendo queste ultime prodotto la documentazione attestante il volume delle vendite dello Omissis nel periodo compreso tra ottobre 2009 e maggio 2010. Ha, infatti, affermato che, comparando il prezzo di tale prodotto con quello del medicinale generico, e tenendo conto della stima effettuata dall'AGCM sulla base dei dati forniti dalla IMS Health, vi erano elementi sufficienti a determinare la maggiore spese sostenuta dal SSN, considerando, in particolare, la differenza tra il rimborso accordato dal SSN prima dell'ingresso nel mercato del farmaco generico e dopo tale ingresso, moltiplicando il relativo importo per il numero di confezioni di Omissis . La stessa Corte d'appello ha però ritenuto di dover abbattere il risultato di una percentuale pari al 5%, considerando che una parte sia pur minima, in ragione della continuità dell'uso dettato dalla patologia interessata degli acquisti di Omissis poteva non essere oggetto di richiesta di rimborso al SSN. In altre parole, la Corte ha ritenuto adempiuto l'onere probatorio da parte delle Amministrazioni, eseguito nei termini sopra indicati, ma non ha accolto in toto la prospettazione di queste ultime, perché ha temperato il risultato, facendo ricorso all'equità, con il menzionato abbattimento. 7.1. Si deve subito considerare che l'effettivo rimborso operato dal SSN per gli acquisiti delle confezioni di Omissis nel periodo in esame, che la ricorrente ha allegato non essere stato provato dalle Amministrazioni, non avrebbe consentito di acquisire la prova diretta del danno effettivamente subito da queste ultime, costituendo piuttosto un elemento presuntivo, come altri, che avrebbe potuto concorrere a determinare la minore spesa che le menzionate Amministrazioni avrebbero sostenuto se il farmaco generico fosse entrato nel mercato già nel mese di ottobre 2009. Nel caso di specie, la Corte d'appello ha ritenuto non necessario acquisire tale dato. In particolare, la Corte di merito ha ritenuto sufficiente la produzione della documentazione attestate il volume delle vendite del farmaco della Pfizer ai fini dell'adempimento dell'onere della prova da parte delle Amministrazioni, da valutare unitamente al prezzo attribuito al farmaco generico poi immesso nel mercato. Nessuna violazione dell' art. 2697 c.c. è dunque configurabile, la quale, come è noto, ricorre soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti Cass. 31 agosto 2020, n. 18092 Cass. 29 maggio 2018, n. 13395 Cass. 17 giugno 2013, n. 15107 cfr. anche Cass. 12 febbraio 2004, n. 2707 . D'altronde, il giudizio della Corte d'appello è operato mediante presunzioni, ma, le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell'esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l'attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell'eccezione Cass. 27 ottobre 2010, n. 21961 Cass. 13 novembre 2009, n. 24028 Cass. 11 maggio 2007, n. 10847 . 8. Il settimo motivo di ricorso è inammissibile. Parte ricorrente non ha colto la ratio della decisione, poiché il giudice ha ritenuto provato per presunzioni il danno lamentato dalle ricorrenti, che ha ritenuto abbiano adempiuto all'onere della prova, operando, tuttavia, in sede di quantificazione, un abbattimento, tenuto conto di elementi di giudizio espressamente menzionati in motivazione. Come sopra evidenziato, infatti, l'importo effettivamente pagato dal SSN per rimborsare l'acquisto del medicinale prodotto da Pfizer nel periodo in questione non sarebbe stato altro che un elemento presuntivo valutabile insieme agli altri, e non la prova diretta del danno lamentato, ma la Corte di merito ha ritenuto di fare ricorso ad altri elementi offerti delle Amministrazioni, nei termini e nei modi sopra indicati. 9. In conclusione, il ricorso deve essere respinto. 10. Le spese di lite seguono la soccombenza e pertanto parte ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali sostenute dalle controricorrenti. 11. In applicazione dell' art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002 , si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello spettante per l'impugnazione proposta, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite sostenute dalle controricorrenti, che liquida in Euro 50.000,00 per compenso, oltre Euro 200,00 per esborsi e accessori di legge dà atto che, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l'impugnazione proposta, se dovuto Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 settembre 2023. Depositato in Cancelleria il 2 gennaio 2024.