Fidelity card fittizia: illegittimo il licenziamento della dipendente

Inutili le obiezioni sollevate dalla società datrice di lavoro. I giudici sanciscono in via definitiva l’illegittimità del licenziamento. Conseguente il ristoro economico per la lavoratrice, che ha rinunciato alla reintegra e ha trovato un nuovo impiego.

Illegittimo il licenziamento della dipendente finita nel mirino della datrice di lavoro per avere creato una fittizia carta fedeltà, intestata ad una persona inesistente, e per averla utilizzata in più occasioni per acquisti effettuati da clienti occasionali. Decisivo, chiariscono i giudici, è il riferimento alla prassi aziendale relativa all'utilizzo di ‘fidelity card' fittizie. Riflettori puntati su alcune profumerie appartenenti a una catena presente in Italia. A pochi giorni dal Natale del 2016 una dipendente viene licenziata in tronco la società datrice di lavoro le contesta, nello specifico, di avere creato una fittizia carta fedeltà, intestata ad una persona inesistente , e, soprattutto, di averla utilizzata in più occasioni per acquisti effettuati da clienti occasionali, così da ottenere un indebito accumulo di punti, nonché uno stato di ‘Card Platinum' e così privando i clienti stessi della possibilità di sottoscrivere una propria ‘fidelity card' . Per la società non ci sono dubbi le condotte realizzate dalla lavoratrice si sono concretizzate a danno e detrimento degli interessi della società stessa e a proprio ed esclusivo vantaggio della lavoratrice per interessi del tutto personali . A fronte delle contestazioni mosse dall'azienda, la dipendente mette sul tavolo l'esistenza di una prassi relativa all' utilizzo della irregolare carta fedeltà . E questa obiezione è ritenuta fondata in Appello, contrariamente a quanto avvenuto in Tribunale. I giudici di secondo grado, premesso che la contestazione ha riguardato, quali connotati necessari della condotta, anche l'esecuzione di operazioni irregolari a proprio esclusivo vantaggio della lavoratrice e a detrimento dell'interesse aziendale , hanno rilevato che gli elementi di fatto, processualmente acquisiti, sono sufficientemente indicativi di una modalità diffusa , almeno in due negozi in cui la dipendente era stata addetta, di impiego della ‘carta' irregolare, modalità condivisa dalle responsabili delle filiali , con la conseguenza sia della inesistenza di un qualche vantaggio personale della dipendente, sia di un uso diffuso circa una prassi diretta a favorire gli acquisti di clienti occasionali . Di conseguenza, la inesistenza del fatto contestato alla lavoratrice comporta in Appello la condanna della società al pagamento in favore della oramai ex dipendente della indennità sostitutiva della reintegrazione, oltre al risarcimento del danno nella misura di dodici mensilità . Inutile il ricorso in Cassazione proposto dalla società. I giudici di terzo grado confermano, difatti, l' illegittimità del licenziamento deciso nei confronti della lavoratrice, che ha rinunciato alla reintegra e ha trovato un nuovo impiego. In premessa, i giudici richiamano il principio secondo cui la giusta causa di licenziamento , quale fatto che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto, è una nozione che la legge – allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo – configura con una disposizione di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione richiama tacitamente . Necessario, però, che la contestazione ai danni dei lavoratori non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli standards, conformi ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realtà sociale . Passando dal quadro generale ai dettagli della vicenda oggetto del processo, i giudici osservano che, data per pacifica la riferibilità alla dipendente licenziata della creazione della ‘ carta punti' irregolare , collegata al suo numero di cellulare, pur essendo ella in possesso di una altra ‘carta' personale , la ‘carta' irregolare è risultata essere stata associata a vendite effettuate anche da diverse altre lavoratrici, presso entrambi gli esercizi cui la dipendente licenziata era stata addetta, e di tale circostanza erano a conoscenza le responsabili dei negozi . Ciò avvalora la esistenza di una prassi diretta appunto a favorire gli acquisti di clienti occasionali e dimostra che l'esecuzione delle operazioni irregolari non era a esclusivo vantaggio della lavoratrice licenziata e a detrimento dell'interesse aziendale . Tirando le somme, va ritenuto insussistente il fatto contestato alla lavoratrice, con conseguente illegittimità del licenziamento deciso dall'azienda.

Presidente Doronzo – Relatore Cinque Rilevato in fatto che 1. Nella gravata decisione si legge che C.G. era stata licenziata senza preavviso dalla La Gardenia Beauty spa poi Douglas Italia spa il omissis all'esito di una contestazione disciplinare ricevuta il omissis con cui le era stato imputato di avere creato una fittizia carta fedeltà intestata ad una persona inesistente , di averla utilizzata in più occasioni tutte specificate per acquisti effettuati da clienti in modo da ottenere un indebito accumulo di punti nonché uno stato di Card Platinum , così privando i clienti stessi della possibilità di sottoscrivere la propria fidelity condotte realizzate dalla lavoratrice a danno e detrimento degli interessi della società e a suo proprio ed esclusivo vantaggio per interessi del tutto personali. 2. Impugnato il recesso, il Tribunale di Firenze, nella fase sommaria, ha accolto il ricorso della lavoratrice ritenendo dimostrata l'esistenza in azienda della prassi di utilizzare la carta irregolare prassi che aveva coinvolto anche due responsabili del negozio di piazza omissis . 3. Lo stesso Tribunale, in sede di opposizione ex L. n. 92 del 2012 , invece, ha ritenuto inesistente una pratica autorizzata dai vertici aziendali nonché la dedotta prassi aziendale e, considerando legittimo il licenziamento, ha revocato l'ordinanza della prima fase. 4. La Corte di appello di Firenze, con la sentenza n. 176/2020 , ha concluso, conformemente al giudice della fase sommaria, per la inesistenza del fatto contestato condannando la società, in considerazione dell'opzione per l'indennità sostitutiva della reintegrazione da parte della lavoratrice, al pagamento della indennità sostitutiva della reintegrazione oltre al risarcimento del danno nella misura di dodici mensilità, nulla detraendo per l'espletamento di altra attività lavorativa reperita a distanza di oltre un anno dal licenziamento. 5. I giudici di seconde cure, sul presupposto che la contestazione riguardava, quali connotati necessari della condotta anche l'esecuzione di operazioni irregolari a proprio esclusivo vantaggio della lavoratrice e a detrimento dell'interesse aziendale, hanno rilevato che gli elementi di fatto, processualmente acquisiti, erano sufficientemente indicativi di una modalità diffusa, almeno in due negozi in cui la Corte era stata addetta, di impiego della carta irregolare modalità condivisa dalle responsabili delle filiali e che non era stata smentita, dalla prova per testi raccolta, con la conseguenza sia della inesistenza di un qualche vantaggio personale della dipendente che di un uso diffuso circa una prassi diretta a favorire gli acquisti di clienti occasionali. 6. Avverso la sentenza della Corte di appello ha proposto ricorso per cassazione la Douglas Italia spa affidato a quattro motivi, cui ha resistito con controricorso C.G. . 7. La ricorrente ha depositato memoria. 8. Il Collegio si è riservato il deposito dell'ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis c.p.c., comma 1. Considerato in diritto che 1. I motivi possono essere così sintetizzati. 2. Con il primo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali, in relazione alla L. n. 183 del 2010, art. 30, alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, agli artt. 2104, 2105, 2106 e 2119 c.c. , nonché agli artt. 220, 225 e 229 CCNL Commercio Ipotesi di accordo di Accordo del 26 febbraio 2011, ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, per avere erroneamente la Corte territoriale ritenuto insussistente il fatto contestato. In particolare, si sostiene che la lavoratrice aveva ammesso inequivocamente che, in aperta violazione delle disposizioni e procedure aziendali e, specificamente, del Manuale per la Sicurezza e la Prevenzione delle Differenze Inventariali nonché del Codice Etico e Disciplinare, era stata creata artificiosamente una Carta Fedeltà, intestata ad un nominativo fittizio e associata al numero di cellulare della dipendente, alterando il programma fedeltà in atto e generando un danno economico di circa Euro 4.000,00 in capo alla società, di talché proporzionata era la sanzione espulsiva ex art. 2119 c.c. inoltre, si deduce che, in relazione alle disposizioni del CCNL sopra richiamate e delle clausole del Manuale e del Codice Etico, la condotta posta in essere dalla C. , per il solo fatto di avere creato fraudolentemente una card fittizia, era stata tale da avere irrimediabilmente leso il vincolo di fiducia con la datrice di lavoro stante l'obiettivo disvalore del fatto contestato alla stregua degli standards valutativi nell'ambito tanto della realtà societaria che di quella sociale e, quindi, si palesava adeguata la sanzione espulsiva si eccepisce, infine, l'erroneità della applicazione della tutela reintegratoria attenuta quando, invece, sussistevano i presupposti per l'applicabilità della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5. 3. Con il secondo motivo la ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all' art. 12 preleggi c.c. , all' art. 41 Cost. , agli artt. 1340 e 2078 c.c. , nonché l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all'art. 12 lett. b , Manuale per la Sicurezza e Differenze Inventariali e dell'art. 4, lett. A del Codice Etico della Douglas Italia spa, ai sensi il vizio di violazione e falsa applicazione dell' art. 2697 c.c. , ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3 e n. 5, per avere la Corte di appello ritenuto provata l'esistenza di una prassi aziendale sull'utilizzo di cards irregolari per favorire acquisti di clienti occasionali, senza però argomentare circa la diversa eventuale e preliminare prassi di creare fraudolentemente card poi associate a persone fittizie, omettendo, dunque, di esaminare un fatto decisivo per il giudizio posto che gli addebiti contestati consistevano anche nella creazione di cards false. 4. Con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell' art. 12 preleggi c.c. , in relazione agli artt. 115, 116 e 132 c.p.c. e all' art. 2697 c.c. , nonché l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3 e n. 5, per essere la Corte territoriale venuta meno all'obbligo, ex art. 132 c.p.c. , di rendere una motivazione sufficiente, logica e ordinata, palesemente abusando del potere conferitogli dall'ordinamento in ordine alla conduzione del processo con specifico riferimento alla disponibilità della prova, violando ed applicando in modo distorto l' art. 420 c.p.c. , comma 5 e art. 421 c.p.c. in particolare, per avere immotivatamente dichiarato decaduta dalla prova testimoniale essa società in quanto i relativi capitoli erano stati formulati in modo generico o non indicati e per non avere attivato, in ogni caso, i suoi poteri istruttori onde giungere all'accertamento della verità materiale. 5. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta il vizio di motivazione nonché l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all'art. 12, lett. A e B Manuale per la Sicurezza e Differenze Inventariali la violazione dell'art. 360, n. 5 nonché la violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all' art. 111 Cost. , comma 6, degli artt. 2106 e 2119 c.c. e della L. n. 300 del 1970, art. 18 ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3 si deduce che la Corte di appello aveva omesso qualunque esame delle disposizioni contenute nell'indicato Manuale che costituisce un vero e proprio codice disciplinare in quanto è un documento nel quale vengono dettagliatamente disciplinati e spiegati alcuni processi importanti per il corretto funzionamento e gestione da parte di tutto il personale delle procedure aziendali e, cioè, il sistema di rilascio e corretto utilizzo delle Carte Fedeltà e, conseguentemente, aveva omesso di valutare l'addebito mosso alla C. di avere creato fraudolentemente una card intestata a persona fittizia abbinandola al suo numero di cellulare personale. 6. Il primo, il secondo ed il quarto motivo, da esaminare congiuntamente per la loro interferenza, non sono fondati. 7. Va ribadito il fondamentale principio affermato in sede di legittimità per tutte, Cass. n. 5095/2011 Cass. n. 6498/2012 secondo cui la giusta causa di licenziamento, quale fatto che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto , è una nozione che la legge - allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo - configura con una disposizione ascrivibile alla tipologia delle cosiddette clausole generali di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l'accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e sindacabile in cassazione a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli standards , conformi ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realtà sociale. 8. Inoltre, altrettanto pacifico nella giurisprudenza di questa Corte è il principio in virtù del quale l'interpretazione dell'atto di licenziamento, ai fini della determinazione della contestazione mossa al lavoratore la quale, in ogni caso, dev'essere fatta in modo preciso ed univoco e la valutazione - sotto il profilo oggettivo e soggettivo - del comportamento del lavoratore stesso, al fine di stabilire se esso sia di entità tale da integrare giusta causa o giustificato motivo di recesso del datore di lavoro, integrano accertamenti di fatto riservati al giudice del merito e non censurabili in sede di legittimità, se sostenuti da adeguata e corretta motivazione. 9. Nella fattispecie in esame la Corte territoriale, inquadrata la contestazione disciplinare in un contesto in cui la operazione irregolare di creazione della carta fedeltà era connessa anche all'esclusivo vantaggio della dipendente per interessi del tutto personali e a detrimento dell'interesse aziendale, ha ritenuto che nessuno di tali elementi, che rappresentavano componenti necessari dell'addebito, fossero ravvisabili nel caso de quo. 10. Infatti, i giudici di seconde cure, data per pacifica la riferibilità alla dipendente della creazione della carta punti irregolare, collegata al suo numero di cellulare, pur essendo ella in possesso di una altra carta personale, hanno rilevato che la carta irregolare era risultata essere stata associata a vendite effettuate anche da diverse altre lavoratrici, presso entrambi gli esercizi cui la C. era stata addetta, e di tale circostanza erano a conoscenza le responsabili dei negozi. 11. Ciò avvalorava, secondo la Corte territoriale, la esistenza di una prassi diretta appunto a favorire gli acquisti di clienti occasionali, che in mancanza vi avrebbero rinunciato, e dimostrava che l'esecuzione delle operazioni irregolari non era a esclusivo vantaggio della lavoratrice e a detrimento dell'interesse aziendale. 12. La Corte di appello ha, quindi, esaminato e valutato la circostanza della creazione artificiosa di una carta fedeltà intestata ad un nome fittizio e collegata al numero telefonico della C. , ma ha inquadrato tale condotta in relazione all'intero addebito contestato considerandolo non dimostrato nella sua complessità, in quanto la contestazione era appunto incentrata sul comportamento della lavoratrice e sui suoi effetti e non anche sul singolo episodio creazione della carta , che da solo non era stato indicato quale causa esclusiva del recesso e comunque idoneo a giustificare il licenziamento. 13. Conseguentemente, la Corte distrettuale ha, in modo corretto, ritenuto insussistente il fatto contestato, con il riconoscimento della tutela L. n. 300 del 1970, ex art. 18, comma 4, perché il riscontro probatorio non era stato totale rispetto all'addebito. 14. Le articolate censure mosse con i motivi, pertanto, non sono meritevoli di accoglimento sia perché, per quanto sopra detto, non si confrontano con la effettiva ratio decidendi dell'impugnato provvedimento e sia perché tendono in sostanza ad una diversa interpretazione di un atto unilaterale privato contestazione disciplinare in relazione al quale è stata data una esegesi plausibile e, pertanto, non può essere sindacata in sede di legittimità, nonché ad una differente ricostruzione della vicenda, operata dalla Corte territoriale, con motivazione adeguata ed esente dai vizi di cui alla nuova formulazione dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis. 15. Il terzo motivo è, infine, inammissibile. 16. Il giudizio sulla superfluità o genericità della prova testimoniale è insindacabile in cassazione, involgendo una valutazione di fatto che può essere censurata soltanto se basata su erronei principi giuridici, ovvero su incongruenze di ordine logico Cass. n. 34189/2022 ipotesi, queste, non ravvisabili nel caso di specie in quanto i principi di diritto applicati dalla Corte di appello sono corretti e logico è stato il ragionamento dei giudici di seconde cure in tema di decadenza del capitolo di prova, perché non richiamato nell'atto di appello, e di rilevata inammissibilità, per genericità e per essere stati formulati in maniera dubitativa, relativamente agli altri. 17. La facoltà del giudice, poi, di chiedere chiarimenti e precisazioni ex art. 253 c.p.c. , incontra quale unico limite quello di non introdurre fatti nuovi o circostanze che, pur rilevanti sul piano probatorio, non siano state oggetto di capitoli di prova o siano state dedotte in capitoli non ammessi Cass. n. 15793/2016 nella fattispecie, per quanto sopra detto, le circostanze che i giudici del merito avrebbero dovuto chiarire riguardavano capitoli non ammessi. 18. Inoltre, nel rito del lavoro, l'acquisizione di nuovi documenti o l'ammissione di nuove prove da parte del giudice di appello rientra tra i poteri discrezionali allo stesso riconosciuti dagli artt. 421 e 437 c.p.c. , e tale esercizio è insindacabile in sede di legittimità anche quando manchi un'espressa motivazione in ordine alla indispensabilità o necessità del mezzo istruttorio ammesso, dovendosi la motivazione ritenere implicita nel provvedimento adottato. 19. Le doglianze denunciate nel motivo, relative alla mancata integrazione delle prove già proposte dalla società e alla mancata attivazione dei poteri istruttori con il connesso difetto di motivazione, vanno pertanto respinte in considerazione dei principi di legittimità sopra richiamati. 20. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato. 21. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo. 22. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228 , deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 , comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.