La prova per presunzioni dell’apertura di credito: cambio di prospettiva della Cassazione

È di sicura rilevanza l’ordinanza della Corte Suprema n. 34997 del 14 dicembre 2023 perché fornisce preziosi chiarimenti sulla prova del contratto di apertura di credito valorizzando il ricorso alle presunzioni semplici.

Questo il principio di diritto enucleato dalla Prima Sezione Civile In tema di prescrizione del diritto alla ripetizione di somme affluite sul conto corrente, la prova della natura ripristinatoria delle rimesse, di cui è onerato il correntista, come i suoi avente causa, può essere fornita dando riscontro, attraverso presunzioni, della conclusione del contratto di apertura di credito , quando tale contratto sia stato concluso prima dell'entrata in vigore della l. n. 154 del 1992 e del d.lgs. n. 385/1993 , o quando, pur operando, per il periodo successivo a quest'ultima disciplina, la nullità del contratto per vizio di forma , il correntista o il suo avente causa non facciano valere, a norma dell'art. 127, comma 2, d. lgs. cit., la nullità stessa . Cenni sui fatti di causa La vicenda in esame può così riassumersi la curatela di una s.p.a. ha compulsato la banca di riferimento denunciando la nullità dei contratti di conto corrente e di apertura di credito , con richiesta di ricalcolo degli interessi e di restituzione delle somme illegittimamente addebitate. Il Tribunale di Napoli ha condannato l'istituto di credito al pagamento della somma quantificata all'esito della disposta consulenza tecnica d'ufficio. Nelle more la curatela ha ceduto il credito litigioso . In sede di gravame la sentenza di primo grado è stata riformata rideterminando la Corte di Appello di Napoli la somma dovuta dalla banca a titolo di ripetizione dell'indebito . Da qui il ricorso del cessionario del credito azionato in lite. La forma del contratto di apertura di credito Osserva, anzitutto, la Corte Suprema che la questione dibattuta ha ad oggetto rapporti di conto corrente risalenti al 1977. In conseguenza, la conclusione di un contratto di apertura di credito non avrebbe dovuto documentarsi per iscritto a pena di nullità. Infatti, nel regime previgente all'entrata in vigore dell' art. 3 l. n. 154/1992 , il quale ha imposto l'obbligo della forma scritta ai contratti relativi alle operazioni e ai servizi bancari, era consentita la conclusione per facta concludentia di un contratto di apertura di credito, alla luce del comportamento rilevante della banca Cass. 24 giugno 2008, n. 17090 . Prosegue poi la Prima Sezione il proprio ragionamento ricordando che nella vigenza del TUB risalente al 1993 , la nullità per il difetto di forma di cui all' art. 117, comma 1, TUB integra una nullità di protezione, potendo essa operare soltanto a vantaggio del cliente art. 127, comma 2, TUB . Con la conseguenza che il mancato rispetto dell'obbligo di documentazione dell'accordo è inopponibile al correntista che non abbia inteso far valere il vizio che affligge il negozio. La prova per presunzioni del contratto di apertura di credito Puntualizza la Corte che le presunzioni semplici sono sicuramente delle prove. Disciplinate nel titolo II del libro VI del Codice civile, le presunzioni sono alternativamente definite come prove indirette o prove critiche . L' art. 2725 c.c. atti per i quali è richiesta la prova per iscritto o la forma scritta è inapplicabile ai contratti di apertura di credito conclusi in epoca in cui i medesimi non dovevano stipularsi per iscritto a pena di nullità. Ma non lo è nemmeno nei confronti di quei contratti conclusi nel vigore del testo unico bancario in una forma diversa da quella scritta ove il cliente della banca decida di non opporre la nullità. Poiché, avverte la Corte di Legittimità, la nullità opera soltanto a vantaggio del cliente , l'obbligo di forma posto dal ricordato art. 117, comma 1 la cui inosservanza è sanzionata con la nullità del contratto , non ha modo di operare ove la controparte della banca intenda avvalersi del contratto stesso, con ciò rinunciando ad invocare in giudizio il vizio che affligge il negozio. Né rileva, puntualizza la Corte Suprema, che a norma dell' art. 127, comma 2, TUB la nullità di protezione possa essere rilevata d'ufficio dal giudice. Infatti, se la rilevazione ex officio delle nullità negoziali è sempre obbligatoria, purché la pretesa azionata non venga rigettata in base ad una ragione più liquida , la loro dichiarazione , ove sia mancata un'espressa domanda della parte pure all'esito della suddetta indicazione officiosa, costituisce statuizione facoltativa del medesimo vizio, previo suo accertamento. Sempre che, però, non vengano in questione, come nella specie, nullità speciali le quali presuppongono una manifestazione di interesse della parte Cass. 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243 Cass. 13 dicembre 2021, n. 39437 . Se allora rientra nella disponibilità esclusiva del cliente della banca la scelta se far valere o meno in giudizio un contratto privo del requisito di forma, ciò comporta che al cliente che invochi il detto contratto non si può opporre l'onere di darne prova documentale ragion per cui la conclusione del negozio ben potrà fornirsi dal correntista attraverso presunzioni, senza incontrare il limite segnato dall' art. 2724, n. 3 , c.c. , cui rinvia l'art. 2725 . Questo l'approdo della Corte Suprema. Come interpretare la corrente di legittimità formatasi sull'apertura di credito La Prima Sezione svolge una sosta di riflessione sull'orientamento sviluppatosi in materia. Orientamento, questo, che non preclude la prova per presunzioni dell'apertura di credito. É vero, espone la Prima Sezione, che secondo la giurisprudenza di legittimità l'esistenza di un contratto di apertura di credito bancario non può essere ricavata, per facta concludentia , dalla mera tolleranza di una situazione di scoperto Cass. 28 luglio 1999, n. 8160 e che, in particolare, una situazione di fatto caratterizzata dallo svolgimento di un conto passivo con adempimenti reiterati, da parte della banca, di ordini di pagamento del correntista, anche in assenza di provvista e nell'ambito dei limiti di rischio dalla stessa banca preventivamente valutati, non dimostra in sé la stipulazione, per fatti concludenti, di un contratto di apertura di credito in conto corrente, con obbligo della banca di eseguire operazioni di credito passive, potendo la suddetta situazione di fatto trovare fondamento in una posizione di mera tolleranza da parte della banca stessa Cass. 5 dicembre 1992, n. 12947 . Ciò significa soltanto che una presunzione, quanto all'esistenza dell'apertura di credito, non può trarsi dalle descritte situazioni. Escludere, in via generale e astratta, che possa farsi ricorso alla prova per presunzioni per dimostrare il contratto di apertura di credito non è, però, corretto in diritto. Il limite dell'affidamento non è di ostacolo all'utilizzo della prova per presunzioni Ad avviso, infine, della Corte, poiché ― nella prospettiva illustrata avendo cioè riguardo alla disciplina anteriore alla l. n. 154/1992 e al regime della nullità di protezione ― la pattuizione di un obbligo della banca di eseguire operazioni di credito bancario passive può emergere dallo stesso contegno della stessa nella gestione del conto, la predeterminazione del limite massimo della somma accreditabile non costituisce elemento essenziale della causa del contratto di apertura di credito in conto corrente v. Cass. 23 aprile 1996, n. 3842 . A fronte di presunzioni gravi, precise e concordanti quanto al reciproco consenso manifestato dalle parti in ordine alla messa a disposizione della provvista con cui far fronte a scoperti del conto non rileva che le parti abbiano mancato di individuare il limite delle somme che la banca avrebbe temporaneamente accreditato al cliente lo scoperto che la banca ha in concreto consentito ben può rappresentare espressione della volontà di concedere un'apertura di credito per somma pari a tale valore monetario. Spetta al solo giudice del merito l'accertamento circa l'esistenza di un'effettiva volontà negoziale in tal senso. Un recente precedente di merito Trib. Catania, 1° ottobre 2023, n. 3950, inedita, secondo cui incombe sul correntista fornire la prova della valida stipulazione di un contratto redatto per iscritto, essendo pacifico che il contratto di apertura di credito, al pari di ogni altro contratto bancario stipulato dopo l'entrata in vigore della legge 154/1992 , sia assoggettato al requisito di forma scritta. Pertanto, la mera tolleranza di fatto all'uso dell'affidamento e dunque all'utilizzo di credito appare fatto di per sé inidoneo a comprovare l'assunzione da parte della banca delle obbligazioni derivanti dal contratto di apertura di credito, soprattutto quando tali circostanze di fatto non consentano neppure di determinare l'ammontare del fido asseritamente accordato tali assunti costituiscono ius receptum nella giurisprudenza di legittimità ed in quella di merito, anche di codesto Tribunale ex multis, si rinvia a Cass. civ., nn. 5610/2020 e 2477/04 . Per una panoramica giurisprudenziale in materia, cfr. R. BENCINI, Il fido di fatto” sotto la lente della giurisprudenza , in Mementopiù.it, 7 novembre 2023.

Presidente Acierno – Relatore Falabella Fatti di causa 1. - Il Fallimento omissis s.p.a. ha convenuto in giudizio Credito Emiliano s.p.a. deducendo che la società in bonis aveva intrattenuto rapporti di conto corrente con la Banca della Provincia di Napoli s.p.a., poi divenuta Credem s.p.a., tra il omissis ha domandato che, previa declaratoria di nullità dei contratti di conto corrente e di apertura di credito intercorsi, e previo ricalcolo degli interessi effettivamente dovuti, la banca convenuta fosse condannata alla restituzione dell'importo di Euro 1.231.826,63, salvo altra. Nel corso del giudizio di primo grado, in cui si è costituita Credem, è stata esperita una consulenza tecnica d'ufficio. Con sentenza del 9 dicembre 2014 il Tribunale di Napoli ha condannato Credito Emiliano s.p.a., succeduto a Credem, al pagamento della somma di Euro 731.576,83, oltre interessi in favore di Frigerbiella s.r.l., la quale aveva in precedenza acquistato pro soluto il credito litigioso. 2. - La sentenza di primo grado è stata impugnata sia da Credito Emiliano che da Frigerbiella. La Corte di appello di Napoli, con sentenza pubblicata il 25 giugno 2019, ha accolto l'appello principale della banca e respinto quello incidentale. La sentenza di primo grado è stata così riformata rideterminando la somma dovuta da Credito Emiliano a titolo di ripetizione dell'indebito in Euro 164.390,50. 3. - Ricorre per cassazione avverso tale decisione V.M.G., nuova cessionaria del credito azionato in giudizio l'impugnazione consta di quattro motivi. Credito Emiliano resiste con controricorso e propone una impugnazione incidentale basata su di un unico mezzo di censura. Sono state depositate memorie. Il Pubblico Ministero ha concluso per il rigetto del ricorso. Ragioni della decisione 1. - Col primo motivo del ricorso principale è denunciata la violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2935 c.c. , quanto al riparto dell'onere probatorio tra attore e convenuto circa la natura solutoria o ripristinatoria delle rimesse in conto corrente ove sia sollevata eccezione di prescrizione. Si sostiene che, proposta tale eccezione, incombeva sulla banca convenuta l'onere di allegare e quindi di provare non solo il mero decorso del tempo, ma anche l'ulteriore circostanza dell'avvenuto superamento, ad opera del cliente, del limite dell'affidamento, oltre che di individuare le rimesse da qualificarsi come solutorie si assume che, in difetto di ciò, tutti i versamenti operati in conto corrente avrebbero dovuto ritenersi ripristinatori. Il motivo è infondato. 1.1. - La sentenza impugnata ha asserito che l'onere della prova dell'apertura di credito incombeva sul correntista. 1.2. - Parte ricorrente reputa, anzitutto, che l'eccezione di prescrizione non potesse avere ingresso in mancanza dell'individuazione delle rimesse solutorie cui si riferiva l'eccezione stessa. L'assunto non può essere condiviso infatti, l'onere di allegazione gravante sull'istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l'eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l'azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, è soddisfatto con l'affermazione dell'inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l'indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte Cass. Sez. U. 13 giugno 2019, n. 15895 . Parimenti infondato è quanto sostenuto nel motivo con riguardo alla distribuzione dell'onere probatorio a fronte dell'eccezione di prescrizione sollevata dalla banca avverso la domanda di ripetizione dell'indebito proposta dal correntista, grava su quest'ultimo l'onere della prova della natura ripristinatoria e non solutoria delle rimesse indicate Cass. 6 dicembre 2019, n. 31927 Cass. 30 gennaio 2019, n. 2660 Cass. 30 ottobre 2018, n. 27704 . In conseguenza, l'apertura di credito, da cui dipende la valenza ripristinatoria dei versamenti operati per ripianare le esposizioni che non eccedano il limite dell'accordato, non può che gravare sul detto soggetto. 2. - Il secondo motivo di V.M.G. oppone la violazione e falsa applicazione della L. n. 154 del 1992 e dell'art. 117 t.u.b . D.Lgs. n. 385 del 1993 , in relazione all'art. 11 preleggi, quanto all'obbligatorietà della forma scritta per i contratti di apertura di credito conclusi prima del 1992, e la violazione e falsa applicazione dei principi di diritto circa l'individuazione della presenza di affidamenti in conto e del loro limite di utilizzo . Si assume che la prova dell'esistenza di affidamenti in conto corrente, soprattutto per aperture di credito anteriori al 1992, possa essere fornita per il tramite di prove indirette si nega, inoltre, che la predeterminazione del limite massimo di finanziamento costituisca un elemento essenziale della causa del contratto di apertura di credito. Col terzo mezzo del ricorso principale si denuncia l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Con esso si lamenta la mancata considerazione di affidamenti in conto corrente desumibili da specifici documenti oggetto di produzione. I due motivi, che si prestano a una trattazione congiunta, investendo, da diverse angolazioni, il tema relativo all'accertamento giudiziale dell'apertura di credito, appaiono fondati ciò nei termini che si vengono a esporre. 2.1. - La Corte di appello, dopo aver rilevato che spettava all'appellata dar prova dell'esistenza di un contratto di apertura di credito, ha rilevato che detta prova non poteva essere fornita facendo ricorso alle presunzioni, in quanto occorre avere la certezza di quale sia il limite dell'affidamento concesso, oltre il quale ogni rimessa avrebbe carattere solutorio, con tutte le conseguenze ad esso ricollegate . 2.2. - Ora, per certo, gli aventi causa della società correntista, subentrati nella posizione di questa, non erano tenuti a dar prova scritta dell'apertura di credito. Come emerge dalla sentenza impugnata i rapporti di conto corrente sorsero nel 1977 in conseguenza, la coeva conclusione di un contratto di apertura di credito non avrebbe dovuto documentarsi per iscritto a pena di nullità nel regime previgente all'entrata in vigore della L. n. 154 del 1992, art. 3, il quale ha imposto l'obbligo della forma scritta ai contratti relativi alle operazioni e ai servizi bancari, era consentita la conclusione per facta concludentia di un contratto di apertura di credito, alla luce del comportamento rilevante della banca Cass. 24 giugno 2008, n. 17090 . Nella vigenza del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia del 1993, la nullità per il difetto di forma di cui all' art. 117, comma 1, t.u.b . integra - poi - una nullità di protezione, potendo essa operare soltanto a vantaggio del cliente art. 127, comma 2, t.u.b . con la conseguenza che il mancato rispetto dell'obbligo di documentazione dell'accordo è inopponibile al correntista che non abbia inteso far valere il vizio che affligge il negozio. Non merita inoltre condivisione l'affermazione della Corte di appello secondo cui sarebbe preclusa la dimostrazione per presunzioni del contratto di apertura di credito. Le presunzioni semplici sono sicuramente delle prove esse sono disciplinate nel titolo II del libro VI del codice civile, dedicato appunto alle prove significativamente le presunzioni sono alternativamente definite come prove indirette o prove critiche . L' art. 2725 c.c. norma che rientra tra quelle richiamate dall' art. 2729 c.c. , comma 2, dettato in tema di presunzioni è evidentemente inapplicabile ai contratti di apertura di credito conclusi in epoca in cui i medesimi non dovevano stipularsi per iscritto a pena di nullità. Ma non lo è nemmeno nei confronti di quei contratti conclusi nel vigore del testo unico bancario in una forma diversa da quella scritta, ove il cliente della banca decida di non opporre la nullità poiché, come sopra accennato, la nullità opera soltanto a vantaggio del cliente , l'obbligo di forma posto dal cit. art. 117, comma 1, la cui inosservanza è sanzionata con la nullità del contratto, non ha modo di operare ove la controparte della banca intenda avvalersi del contratto stesso, con ciò rinunciando ad invocare in giudizio il vizio che affligge il negozio. Nè rileva che a norma dell' art. 127, comma 2, t.u.b . la nullità di protezione possa essere rilevata d'ufficio dal giudice. Infatti, se la rilevazione ex officio delle nullità negoziali, intesa come indicazione alle parti di tale vizio, è sempre obbligatoria, purché la pretesa azionata non venga rigettata in base ad una individuata ragione più liquida , la loro dichiarazione , ove sia mancata un'espressa domanda della parte pure all'esito della suddetta indicazione officiosa, costituisce statuizione facoltativa del medesimo vizio, previo suo accertamento sempre che, però, non vengano in questione - come nel caso in esame - nullità speciali, le quali presuppongono una manifestazione di interesse della parte Cass. 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243 in senso conforme, di recente, Cass. 13 dicembre 2021, n. 39437 . Se, dunque, rientra nella disponibilità esclusiva del cliente della banca la scelta se far valere o meno in giudizio un contratto privo del requisito di forma, ciò significa, di riflesso, che al cliente che invochi il detto contratto non si può opporre l'onere di darne prova documentale, onde la conclusione del negozio ben potrà da lui fornirsi attraverso presunzioni, senza incontrare il limite segnato dall' art. 2724 c.c. , n. 3 , cui rinvia l'art. 2725. 2.3. - È vero che secondo la giurisprudenza di questa Corte l'esistenza di un contratto di apertura di credito bancario non può essere ricavata, per facta concludentia, dalla mera tolleranza di una situazione di scoperto Cass. 28 luglio 1999, n. 8160 e che, in particolare, una situazione di fatto caratterizzata dallo svolgimento di un conto passivo con adempimenti reiterati, da parte della banca, di ordini di pagamento del correntista, anche in assenza di provvista e nell'ambito dei limiti di rischio dalla stessa banca preventivamente valutati, non dimostra in sé la stipulazione, per fatti concludenti, di un contratto di apertura di credito in conto corrente, con obbligo della banca di eseguire operazioni di credito passive, potendo la suddetta situazione di fatto trovare fondamento in una posizione di mera tolleranza da parte della banca stessa Cass. 5 dicembre 1992, n. 12947 . Ciò non significa, tuttavia, che sia impedita la prova per presunzioni dell'apertura di credito significa, piuttosto, che una presunzione, quanto all'esistenza dell'apertura di credito, non possa trarsi dalle descritte situazioni. Ebbene, la Corte di appello non fa cenno ai limiti interni della prova per presunzioni, ma si limita ad escludere, in via generale e astratta, che possa farsi ricorso alla medesima per dimostrare il contratto di apertura di credito il che non è corretto in diritto. 2.4. - L'inutilizzabilità della prova per presunzioni non trova fondamento nemmeno del rilievo per cui nella fattispecie occorreva aver certezza quanto al limite dell'affidamento. Poiché - nella prospettiva sopra indicata avendo cioè riguardo alla disciplina anteriore alla L. n. 154 del 1992 , e al regime della nullità di protezione - la pattuizione di un obbligo della banca di eseguire operazioni di credito bancario passive può emergere dallo stesso contegno della stessa nella gestione del conto, la predeterminazione del limite massimo della somma accreditabile non costituisce elemento essenziale della causa del contratto di apertura di credito in conto corrente cfr. Cass. 23 aprile 1996, n. 3842 . A fronte di presunzioni gravi, precise e concordanti quanto al reciproco consenso manifestato dalle parti in ordine alla messa a disposizione della provvista con cui far fronte a scoperti del conto non rileva che le parti abbiano mancato di individuare il limite delle somme che la banca avrebbe temporaneamente accreditato al cliente lo scoperto che la banca ha in concreto consentito ben può rappresentare espressione della volontà di concedere un'apertura di credito per somma pari a tale valore monetario. Resta ovviamente demandato al giudice del merito, e quindi, nel caso in esame, a quello del rinvio, l'accertamento circa l'esistenza di un'effettiva volontà negoziale nel senso sopra indicato. 2.5. - Non appare da ultimo decisivo il rilievo, formulato dalla Corte di merito, secondo cui gli elementi valorizzati dal Tribunale quanto alla prova dell'esistenza di un affidamento - ovvero la concessione di castelletti di sconto e di accreditamento - non erano idonei a far presumere la concessione di un'apertura di credito in conto corrente, realizzando essi una funzione diversa da quella propria di quest'ultimo contratto. Si deve osservare, al riguardo, che la verifica circa l'esistenza o meno dell'apertura di credito andava condotta prendendo in considerazione le diverse circostanze da cui essa potesse desumersi circostanze la cui documentazione è stata illustrata, in dettaglio, nel corpo del terzo motivo, ove è menzione degli estratti conto che comprovavano l'andamento del rapporto - da cui, si deduce, il consulente tecnico aveva desunto l'esistenza di affidamenti a revoca - e di altri scritti, asseritamente ricognitivi delle linee di credito concesse. 3. - Il quarto motivo del ricorso principale oppone la violazione e falsa applicazione dell' art. 115 c.p.c. , in relazione all' art. 167 c.p.c. . Lamenta la ricorrente che la Corte di appello non abbia tenuto conto del principio di non contestazione avendo riguardo alla sussistenza di affidamenti in conto corrente. 3.1. - Il motivo è inammissibile. Il mezzo è carente di specificità. Va qui rammentato che l'onere del rispetto del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione sussiste anche quando si reputi che una data circostanza debba ritenersi sottratta al thema decidendum, in quanto non contestata Cass. 23 luglio 2009, n. 17253 . Era in particolare necessario dar conto, in modo puntuale sia delle allegazioni svolte dall'originaria attrice quanto alla conclusione del contratto di apertura di credito, individuando l'atto processuale in cui dette allegazioni erano state formulate e operando, per quanto necessario ai fini della intellegibilità del motivo, la trascrizione di esse sia della condotta di non contestazione della banca, spiegando da quale atto processuale essa si sarebbe dovuta desumere e quali difese fossero state ivi svolte. 4. - Con l'unico motivo di ricorso incidentale si lamenta la violazione e falsa applicazione dell' art. 2697 c.c. . Deduce la banca che controparte avrebbe dovuto produrre in giudizio i documenti comprovanti i contratti conclusi, oltre che l'intera serie degli estratti conto, così da dimostrare gli illegittimi addebiti che fossero stati operati. 4.1. - Il motivo è inammissibile. Risulta dalla sentenza impugnata che le uniche questioni di cui si è occupata la Corte di appello sono quelle, veicolate dall'appello principale, relativa alla prescrizione del creduto restitutorio, e le due che erano oggetto del gravame incidentale questioni vertenti, rispettivamente, sulla richiesta di applicazione della capitalizzazione annuale e sulla possibilità di tener conto, ai fini della prescrizione, di alcuni conti correnti che si erano estinti, i cui saldi erano però confluiti in altri conti. Ora, ove con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l'avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione Cass. 9 agosto 2018, n. 20694 Cass. 13 giugno 2018, n. 15430 Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675 . 5. - In conclusione, il secondo e il terzo motivo del ricorso principale vanno accolti, il primo deve essere respinto e il quarto deve dichiararsi inammissibile. Anche il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile. La causa è rinviata alla Corte di appello di Napoli, che giudicherà in diversa composizione e statuirà pure sulle spese del presente giudizio di legittimità. Il Giudice del rinvio dovrà fare applicazione seguente principio di diritto In tema di prescrizione del diritto alla ripetizione di somme affluite sul conto corrente, la prova della natura ripristinatoria delle rimesse, di cui è onerato il correntista, come i suoi avente causa, può essere fornita dando riscontro, attraverso presunzioni, della conclusione del contratto di apertura di credito, quando tale contratto sia stato concluso prima dell'entrata in vigore della L. n. 154 del 1992 e del D.Lgs. n. 385 del 1993 , o quando, pur operando, per il periodo successivo a quest'ultima disciplina, la nullità del contratto per vizio di forma, il correntista o il suo avente causa non facciano valere, a norma dell'art. 127, comma 2, D.Lgs. cit., la nullità stessa . P.Q.M. La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo del ricorso principale, respinge il primo e dichiara inammissibile il quarto motivo del detto ricorso dichiara inammissibile il ricorso incidentale cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 , comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1 , comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.