Interessi di mora per prestazioni sanitarie erogate da strutture private accreditate presso il SSN

Le Sezioni Unite si sono espresse sul tema delle prestazioni sanitarie erogate ai fruitori del Servizio sanitario nazionale dalle strutture private con esso accreditate, sulla base di un contratto scritto, accessivo alla concessione che ne regola il rapporto di accreditamento.

Nell'ambito di una controversia avente ad oggetto la richiesta di pagamento a carico della ASL e della Regione Campania delle spese per prestazioni di assistenza riabilitativa erogate da un Centro di riabilitazione in favore degli assistiti del SSN, oltre agli interessi di mora, le Sezioni Unite hanno affermato che Le prestazioni sanitarie erogate ai fruitori del Servizio sanitario nazionale dalle strutture private con esso accreditate, sulla base di un contratto scritto, accessivo alla concessione che ne regola il rapporto di accreditamento, concluso dalle stesse con la pubblica amministrazione dopo l'8 agosto 2002, rientrano nella nozione di transazione commerciale di cui all' art. 2 del d.lgs n. 231 del 2002 , avendo le caratteristiche di un contratto a favore di terzo, ad esecuzione continuata, per il quale alla erogazione della prestazione in favore del privato da parte della struttura accreditata corrisponde la previsione dell'erogazione di un corrispettivo da parte dell'amministrazione pubblica. Ne consegue che, in caso di ritardo nella erogazione del corrispettivo dovuto da parte della amministrazione obbligata, spettano alle strutture private accreditate gli interessi legali di mora ex art. 5 del d.lgs. n. 231 del 2002 .

Presidente Travaglino – Relatore Rubino Fatti di causa 1. Con sentenza del 14.10.2011, il Tribunale di Napoli rigettò la domanda proposta dal Centro Studi della Scoliosi s.r.l. e dalla Omissis s.p.a. Leasing e Factoring nei confronti della Azienda Sanitaria Locale Omissis e della Regione Campania, avente ad oggetto la condanna al pagamento della somma di Euro 1.532.595,53 oltre ulteriori interessi moratori dal 2007 calcolati a norma del D.Lgs. n. 231 del 2002 per il ritardo nel pagamento di prestazioni di assistenza riabilitativa erogate dal Centro in favore degli assistiti del SSN, dichiarando legittimata passiva la sola ASL Omissis . Pur accertando che la società attrice aveva effettivamente erogato prestazioni di assistenza riabilitativa agli assistiti del Servizio Sanitario Regionale della Campania negli anni dal 2004 al 2006 e che la remunerazione delle prestazioni era avvenuta con ritardo, riteneva inapplicabile al rapporto la disciplina degli interessi ex D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 5 ritenendo riconducibili le prestazioni erogate all'interno del paradigma della concessione di pubblico servizio piuttosto che a quello della transazione commerciale tra l'ente pubblico e il privato. 2. Avverso tale sentenza propose appello il Centro Studi per la Scoliosi s.r.l Con sentenza n. 4557/2019, depositata il 19.9.19, la Corte d'appello di Napoli respinse l'impugnazione, osservando che il rapporto tra le parti, avente ad oggetto la erogazione di prestazioni fisioterapiche in favore dei pazienti del Servizio sanitario nazionale da parte di un centro accreditato con il SSN stesso, non era inquadrabile nel paradigma della transazione commerciale di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 2, comma 1 lettera a e quindi che non erano dovuti gli interessi legali di mora come previsti dal predetto decreto, in applicazione dei principi di diritto già affermati da questa Corte di legittimità con gli arresti n. 5042 del 2017 e n. 9991 del 2019, secondo i quali Il tasso di interesse di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 5 non è applicabile ai crediti derivanti dall'erogazione dell'assistenza farmaceutica per conto delle ASL, dal momento che l'attività di dispensazione dei farmaci e dei dispositivi medici, svolta dal farmacista in esecuzione del rapporto concessorio con l'azienda sanitaria locale, essendo intesa a realizzare, quale segmento del servizio sanitario nazionale, l'interesse pubblico della tutela della salute collettiva, ha natura pubblicistica e, pertanto, non può essere inquadrata nel paradigma della transazione commerciale di cui all'art. 2, comma 1, lett. a del citato decreto legislativo . La Corte d'appello ritenne detto principio, affermato da questa Corte, nelle due sentenze indicate nel rapporto tra Servizio Sanitario Nazionale e farmacista, pacificamente applicabile al caso di specie, reputando che anche il Centro diagnostico fisioterapico agisca come un segmento del Servizio sanitario nazionale e non quale imprenditore che effettua una transazione commerciale. 3. La società Centro Studi della Scoliosi a r.l. ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi, illustrati con memoria, cui l'ASL Omissis resiste con controricorso illustrato anch'esso da memoria. La Bper Banca s.p.a., già Omissis LEASING E FACTORING s.p.a., intimata, non ha svolto attività difensiva in questa sede. 4. Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 231 del 2002, artt. 1,2,3,4 e della l. n. 833 del 1978 , 5 la violazione dei contratti stipulati ai sensi del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8 quinquies nonché l'erronea applicazione al caso di specie del principio nomofilattico espresso dalla Cassazione con le sentenze n. 5042 del 2017 e 9991 del 2019 e l'omessa osservanza del principio espresso dalle sentenze n. 14349 del 2016, 20391 del 2016, 17341 del 2017 e 17665 del 2019, per aver la Corte d'appello erroneamente esteso alla fattispecie in esame, relativa ai rapporti intercorrenti tra i centri privati accreditati con il Servizio sanitario regionale per l'assistenza e la riabilitazione e le Asl, l'applicabilità della disciplina normativa e dei principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento alla diversa fattispecie relativa ai rapporti intercorrenti tra le farmacie e le Asl. In particolare, la ricorrente assume che erroneamente la Corte d'appello ha escluso la configurabilità tra le parti di un rapporto commerciale sussumibile nella nozione di transazione commerciale ai sensi di quanto previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2002 , con conseguente erronea esclusione della applicabilità del tasso degli interessi moratori calcolati a norma del medesimo decreto, pur sussistendone i presupposti l'autorizzazione dell'ente pubblico, l'accreditamento e l'accordo negoziale , come documentato. 5. Il secondo motivo denunzia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 231 del 2002 e la violazione dell'art. 12 preleggi per errata applicazione al caso di specie del principio dell'analogia nonché degli artt. 132, comma 2, n. 4 e 118 disp. att. c.p.c. , per insufficiente, omessa e carente motivazione. Denunzia, inoltre, l'omessa illustrazione da parte della corte territoriale dell'iter argomentativo seguito per giungere alla decisione assunta. Al riguardo, la ricorrente si duole che la Corte d'appello abbia omesso di illustrare gli elementi diretti a raffrontare adeguatamente le peculiari caratteristiche dell'attività del farmacista, che agisce come uno dei segmenti del Servizio sanitario nazionale all'interno di un tessuto normativo che, non contemplando la conclusione di alcun accordo negoziale, è disciplinato esclusivamente e direttamente dal legislatore, con quelle proprie dell'attività della struttura privata accreditata, la quale opera in dipendenza del contratto stipulato, all'interno di un sistema regolamentato da uno specifico accordo negoziale che, a fronte di ogni prestazione, prevede la corresponsione di un prezzo, con conseguente erronea applicazione della analogia. La ricorrente chiede altresì che, cassata la sentenza impugnata, la causa venga decisa nel merito, con condanna della Asl Omissis al pagamento della somma richiesta. 6. La Prima Sezione civile, cui il ricorso era stato assegnato per competenza tabellare, ha rimesso con ordinanza in data 9.2.2023 la causa al Primo Presidente, affinché ne valutasse l'assegnazione alle Sezioni Unite, ai sensi dell' art. 374 c.p.c. , segnalando che l'oggetto della controversia riguarda l'applicabilità degli interessi moratori, come disciplinati dal D.Lgs. n. 231 del 2002 , al rapporto tra la società ricorrente e l'ASL Omissis , avente ad oggetto la fornitura di servizi riabilitativi e di prestazioni mediche svolti in regime di accreditamento. L'ordinanza interlocutoria richiama la giurisprudenza di questa Corte in materia, secondo la quale, nel caso di prestazioni sanitarie erogate in favore dei fruitori del servizio da strutture private pre accreditate con lo Stato, il diritto di queste ultime a vedersi corrispondere dal soggetto pubblico gli interessi di mora, nella misura prevista dal D.Lgs. n. 231 del 2002 , sorge qualora, in data successiva all'8 agosto 2002, sia stato concluso, tra l'Ente pubblico competente e la struttura, un contratto avente forma scritta a pena di nullità sussumibile nella nozione di transazione commerciale di cui all'art. 2, comma 1, lett. a, del citato decreto con il quale l'Ente abbia assunto l'obbligo, nei confronti della struttura privata, di retribuire, alle condizioni e nei limiti ivi indicati, determinate prestazioni di cura da essa erogate Cass., n. 17665/19 Cass. n. 7019/20 . Rileva che, nel caso concreto, secondo la ricorrente, la Corte territoriale, nel respingere l'appello, avrebbe applicato erroneamente i principi che la Cassazione ha limitato alla fornitura di medicinali indicati nell'allegato A i salva-vita , omettendo di esaminare i documenti prodotti e di valutare la configurabilità di un rapporto di fornitura ai fini della liquidabilità degli interessi ex D.Lgs. n. 231 del 2002 . La Prima Sezione segnala altresì, nell'ordinanza interlocutoria, che la questione oggetto del ricorso è stata recentemente rivisitata dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 26496/2020, che ha affermato che il tasso di interesse di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002 , art. 5 nel testo anteriore alla novellazione, non è applicabile all'ipotesi di ritardo da parte della pubblica amministrazione competente nel corrispondere al farmacista la seconda quota di ristoro relativa alla dispensazione dei farmaci di classe A, atteso che limitatamente a tale dispensazione il farmacista è componente del Servizio Sanitario Nazionale e non è qualificabile come imprenditore , ovvero soggetto esercente un'attività economica organizzata o una libera professione , ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. c del suddetto decreto legislativo. Segnala al contempo che tale sentenza si riferisce ad una fattispecie particolare, ed in special modo alle farmacie, istituzioni distinte dalle strutture private sanitarie come quella oggetto del presente giudizio accomunate a queste ultime dal regime concessorio dell'accreditamento nei rapporti con il S.S.N. Osserva l'ordinanza interlocutoria che dalla richiamata sentenza a Sezioni unite n. 26496 del 2020 non si evince con chiarezza se le strutture private sanitarie che operano in regime di accreditamento con il Servizio Sanitario nazionale siano pienamente equiparabili alle farmacie, ed al pari di queste sottratte all'applicazione degli interessi di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002 o se invece esse siano assimilabili ad imprese commerciali nell'attività di erogare forniture di servizi medici. Da ciò, la ravvisata necessità di rimettere di nuovo la questione alle Sezioni Unite al fine di dirimere i dubbi interpretativi su esposti. 7. Il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite civili. 8. Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto l'accoglimento dei due motivi di ricorso sotto il profilo della prospettata violazione di legge. Ragioni della decisione 1. La questione, sottoposta all'attenzione della Corte, è se le strutture private che operano in regime di accreditamento con il Servizio Sanitario nazionale siano considerabili imprenditori, ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 2 se le prestazioni di servizi da esse erogate, in conformità alla convenzione con il SSN, in favore dei pazienti dietro corrispettivo, rientrino nella nozione di transazione commerciale di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 2 e se pertanto, in caso di ritardo nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione, la stessa sia tenuta a corrispondere alla struttura privata gli interessi legali di mora nella misura prevista dal D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 5 nel testo anteriore alla novellazione di cui al D.Lgs. n. 192 nel 2012 , pro tempore applicabile , o se piuttosto la posizione di tali strutture non debba essere assimilata a quella delle farmacie, alle quali, sulla base del principio di diritto espresso nella pronuncia a Sezioni Unite n. 26496 del 2020, nell'ipotesi di ritardo da parte della pubblica amministrazione nel corrispondere la seconda quota di ristoro relativa alla dispensazione dei farmaci di classe A, gli interessi per il ritardo nei pagamenti non sono dovuti in tale misura, atteso che, limitatamente a tale dispensazione, il farmacista è componente del Servizio Sanitario Nazionale e non è qualificabile come imprenditore , ovvero soggetto esercente un'attività economica organizzata o una libera professione , ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. c del suddetto decreto legislativo. 2. Il ricorso è fondato e va accolto, per le considerazioni che seguono. 3. Preliminarmente, appare opportuno ricostruire brevemente i dati normativi di riferimento, che sono costituiti, da un lato, dal D.Lgs. n. 9 ottobre 2002, n. 231 , che ha recepito la Direttiva 2000/35/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29 giugno 2000 relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali , adottata dagli organi comunitari ai sensi dell' art. 95 TCE art. 114 TFUE in vista dell'instaurazione e del funzionamento del mercato interno art. 14 TCE art. 26 TFUE e del riavvicinamento delle legislazioni nazionali, dall'altro, dalla normativa interna di rilievo in tema di organizzazione del Servizio sanitario nazionale SNN . 3.1. Con la direttiva citata, recepita pienamente nel D.Lgs. n. 231 del 2002, il legislatore Europeo ha inteso introdurre strumenti di contrasto della prassi, diffusa in tutti gli Stati membri, in forza della quale i pagamenti per le prestazioni di beni e servizi forniti da imprese e liberi professionisti sono frequentemente eseguiti dalle imprese o dalle pubbliche amministrazioni con significativo ed ingiustificato ritardo, agevolato dal carattere normalmente dispositivo delle norme nazionali sui termini per l'adempimento delle obbligazioni pecuniarie, dalle conseguenze non particolarmente gravi del mancato rispetto di detti termini, nonché dalla misura relativamente modesta del tasso legale degli interessi moratori. Si è ritenuto di fronteggiare il fenomeno considerato foriero del rischio, oltre che di rallentamento dello sviluppo economico, anche di alterazione del regime della concorrenza, e causa della fuoriuscita dal mercato degli operatori commerciali più piccoli, non in grado di sostenere lunghi tempi di attesa, attraverso l'introduzione di una serie di misure palesemente ispirate al favor creditoris , quali la previsione di un tasso di interessi moratori elevato e di un meccanismo di automatica applicazione degli stessi interessi in caso di ritardo, l'assoggettamento degli accordi derogatori della disciplina comunitaria del termine e del tasso di interesse ad un controllo, di tipo contenutistico, della grave iniquità della pattuizione, l'imposizione ai legislatori nazionali dell'obbligo di riconoscere la validità delle clausole di riserva di proprietà, nonché l'obbligo di assicurare che un titolo esecutivo possa essere ottenuto dal titolare di una pretesa non contestata entro novanta giorni dalla data della proposizione della relativa domanda alle competenti autorità giudiziarie. 3.2. In conformità agli obiettivi della direttiva, il decreto legislativo utilizza lo strumento degli interessi, conformati alle sue regole centrali attinenti al tasso e alla decorrenza artt. 4 e 5 , per disincentivare la mora nel pagamento di quelle che qualifica come transazioni commerciali , inquadrando nel sistema il suo nucleo relativo appunto agli interessi mediante norme definitorie, e poi disciplinando nel dettaglio alcuni casi specifici, qui non pertinenti, per concludere infine con la norma transitoria che individua il discrimen temporale applicativo. Il medesimo decreto, al comma 1 dell'art. 1 rubricato come Ambito di applicazione stabilisce che le disposizioni contenute nel presente decreto si applicano ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale all'art. 2 Definizioni , al comma 1, alla lettera a definisce transazioni commerciali i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi, contro il pagamento di un prezzo una nozione ampia e volutamente priva di un riferimento specifico ad una o più tipologie contrattuali del diritto interno. Alla lettera b definisce Pubblica Amministrazione le amministrazioni dello Stato, le regioni, le province autonome,gli enti pubblici territoriali e le loro unioni, gli enti pubblici non economici, ogni altro organismo dotato di personalità giuridica, istituito per soddisfare specifiche finalità d'interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale, la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dalle regioni, dagli enti locali, da altri enti pubblici o organismi di diritto pubblico, o la cui gestione è sottoposta al loro controllo o i cui organi d'amministrazione, di direzione o di vigilanza sono costituiti, almeno per la metà, da componenti designati dai medesimi soggetti pubblici , e, infine, alla lettera c , definisce imprenditore ogni soggetto esercente un'attività economica organizzata o una libera professione . All'art. 4, poi, individua il dies a quo degli interessi, all'art. 5 ne determina il saggio, e all'art. 11, al comma 1, stabilisce Le disposizioni del presente decreto non si applicano ai contratti conclusi prima dell'8 agosto 2002 qui non rileva il contenuto dei successivi due commi . Tale disciplina, anche nell'interpretazione della dottrina, non introduce una nuova disciplina generale delle obbligazioni pecuniarie, ma piuttosto detta un regime di carattere speciale, non estensibile oltre l'ambito oggettivo e soggettivo delineato dal legislatore. 3.3. Poiché le norme citate costituiscono il recepimento di una direttiva comunitaria, il criterio interpretativo da utilizzare deve essere un criterio interpretativo tendenzialmente uniforme, e volto a conformarsi agli obiettivi che la normativa comunitaria si proponeva di realizzare, esplicitati nei numerosi Considerando della direttiva espressamente richiamati da Cass. S.U. n. 26496 del 2020 e ripresi da numerose pronunce della Corte di giustizia sul tema. 3. 4. Quanto all'ambito oggettivo, il rapporto tra le parti deve trarre origine da una transazione commerciale , che il D.Lgs. n. stesso definisce all'art. 2, comma 1 lett. A con nozione ampia, tratta più dal linguaggio operativo degli scambi economici che da quello giuridico in nessun modo riconducibile al contratto tipico di transazione disciplinato dagli artt. 1965 e seguenti c.c. ed atta ad identificare qualsiasi operazione contrattuale, comunque denominata, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comporti, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi, contro il pagamento di un prezzo, ovvero lo scambio di prestazioni di beni o di servizi remunerato mediante il pagamento di un corrispettivo in denaro. 3.5. Quanto al profilo soggettivo, la norma si riferisce a tutte le transazioni commerciali, nell'accezione indicata, intercorrenti tra imprese ed anche in questo caso, al termine impresa viene attribuito un significato lato e volutamente atecnico, tanto che essa è predicabile anche al libero professionista l'art. 2, comma 1 lett. C , nel dare le definizioni, prevede infatti che si intende per imprenditore , ai fini del decreto, ogni soggetto esercente un'attività economica organizzatao una libera professione lo stesso art. 57 TFUE ex art. 50 TCE , nell'individuare le prestazioni considerate come servizi, vi inserisce al punto d , anche le attività delle libere professioni. , o tra un'impresa, nell'ampia accezione sopra indicata, e una pubblica amministrazione. 4. Riguardo all'inquadramento dei rapporti tra la struttura privata accreditata e il Servizio sanitario nazionale, l'attuale organizzazione del SSN, già vigente nel periodo di riferimento oggetto di considerazione nella controversia in esame nella quale costituiscono fonti normative di rilievo la L. n. 421 del 1992 , il D.Lgs. n. 502 del 1992 , integrato da successive circolari ministeriali e modificato dal D.P.R. n. 37 del 1997, il D.Lgs. n. 229 del 1999 , pur nella varietà delle configurazioni regionali, ruota attorno a quella sequenza che nella dottrina amministrativa è stata definita come il regime delle tre A autorizzazione, accreditamento, accordo. Ovvero, la struttura privata, per erogare prestazioni agli utenti del SSN con corrispettivo a carico della amministrazione pubblica deve essere dotata di 1 autorizzazione alla costruzione di nuove strutture sanitarie e/o all'esercizio di attività sanitarie, rilasciata dal Comune in base al rispetto di requisiti minimi per la tutela della sicurezza del paziente e degli operatori 2 accreditamento istituzionale distinto dalla certificazione professionale di eccellenza , che è un provvedimento amministrativo che abilita la struttura ad inserirsi nel SSN e pertanto è riconducibile conformemente alla lettura giurisprudenziale del complessivo sistema al genus della concessione di pubblico servizio v. Cass. S.U. n. 31029 del 2002 Cass. S.U. n. 1602 del 2022 e può essere riconosciuto dalla Regione alle strutture autorizzate che ne abbiano fatto richiesta in base al duplice criterio della loro rispondenza ai requisiti di funzionalità rispetto agli indirizzi della programmazione regionale D.Lgs. n. 229-L999, art. 8-quater e di qualità strutturale, tecnica, organizzativa e professionale, definiti secondo criteri ulteriori e diversi come si esprimeva il Piano sanitario nazionale 1998-2000 rispetto a quelli richiesti per l'autorizzazione 3 accordi contrattuali, a livello regionale e locale fra le organizzazioni di committenza e di produzione dei servizi, pubbliche o private accreditate, finalizzati alla specificazione di volumi e tipologia delle prestazioni ed a fissare l'ammontare complessivo della remunerazione. 4.1. Come già ricostruito dalla giurisprudenza, civilistica e amministrativa, l'accreditamento è stato conformato come provvedimento amministrativo comunque riconducibile al genus delle concessioni di pubblico servizio nella giurisprudenza amministrativa cfr. Cons.Stato, sez. V, 11 maggio 2010 n. 2828 Cons. di Stato sez. III, 14 settembre 2015, n. 4271 Cons. di Stato II, 4 gennaio 2021, n. 82 . Le Sezioni Unite di questa Suprema Corte, pronunciandosi come giudice della giurisdizione, hanno più volte riconosciuto che i rapporti tra AUSL e le strutture sanitarie devono essere qualificati in termini di concessioni di pubblico servizio sia nel previgente regime convenzionale, di cui alla L. n. 833 del 1978, art. 44 sia nel vigente regime dell'accreditamento, nel quale il pagamento del corrispettivo dovuto per le prestazioni rese dai soggetti privati accreditati viene effettuato dalle aziende sanitarie locali nell'ambito di appositi accordi contrattuali v. Cass. S.U. n. 30963 del 2022, Cass. n. 1602 del 2022 , Cass. n. 23744 del 2020 , Cass. n. 31029 del 2019 , nonché Cass. S.U. 20 giugno 2012 n. 10149 e la conforme S.U. ord. 3 febbraio 2014n. 2291 . 4.2. Nell'ambito del rapporto di accreditamento, riconducibile come detto allo schema della concessione di pubblico servizio, accreditante e accreditato non si trovano su un piano di parità il primo agisce jure imperii nei confronti dell'altro e permane, in capo all'accreditante, una una posizione di potere, funzionalizzata alla verifica del corretto espletamento del servizio, che si esercita mediante la vigilanza sull'accreditato, dai cui esiti possono derivare anche la sospensione e la revoca dell'accreditamento. 4.3. Come puntualizzato in svariate occasioni dal Consiglio di Stato, nel sistema dell'accreditamento, in base alla vigente normativa, i rapporti tra il Servizio sanitario nazionale e le strutture private accreditate si articolano in una prima fase, programmatica ed unilaterale, affidata alla Regione in una seconda fase contrattuale con le singole strutture, affidata alla Regione ed alle A.U.S.L., in assenza della quale le Aziende e gli Enti del Servizio sanitario nazionale non sono tenuti a corrispondere la remunerazione per le prestazioni erogate D.Lgs. n. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8 quater , comma 2 . In particolare, la seconda di dette fasi la terza A, ovvero la fase dell'accordo trova la sua fonte normativa nel D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8 quinquies che pone il rapporto di accreditamento su una base strettamente negoziale, sì che al di fuori del contratto la struttura accreditata non è obbligata ad erogare prestazioni agli assistiti del Servizio sanitario Cons. St., sez. III, 3 ottobre 2011, n. 5427 . Il contratto costituisce dunque il perimetro delle prestazioni erogabili, nel senso che non sono rimborsabili le prestazioni fornite agli utenti fornite ma che non rientrano né nella tipologia riconosciuta né nel quantum finanziario stabilito Consiglio di Stato, III, 12 luglio 2021 n. 5245 . Il rapporto tra la pubblica amministrazione e il privato erogatore dei servizi non si arresta quindi al livello provvedimentale, ma percorre una sequenza gestionale in cui dall'esercizio dello jus imperii si passa all'esercizio dello jus privatorum, con la stipula di un apposito negozio con il soggetto cui è stata conferita la concessione per regolamentare, su un piano ora tendenzialmente paritario, la gestione della concessione stessa. La sequenza delle cosiddette 3 A autorizzazione, accreditamento, accordo approda quindi alla stipulazione tra l'ente pubblico accreditante e il soggetto accreditato di quello che, se l'accreditato è un soggetto privato, si qualifica e assume la forma di un contratto, nel quale, seppure tenendo conto della programmazione regionale e delle relative delibere della Giunta regionale, quelle che sono così diventate le parti di un negozio bilaterale determinano il contenuto degli obblighi che l'accreditato assume a favore degli utenti del Servizio sanitario nonché il conseguente corrispettivo che l'ente pubblico a sua volta si obbliga a corrispondergli. Il contratto ha per oggetto l'attività che in concreto quella struttura privata svolgerà per il Servizio sanitario, a beneficio dei fruitori del servizio sanitario pubblico, nonché la determinazione del credito che conseguentemente maturerà nei confronti dell'ente sull'inquadramento del rapporto di accreditamento nell'ambito delle concessioni e sulla necessità della conclusione del contratto v. anche Cass. n. 17711 del 2014 , Cass. n. 23657 del 2015 , Cass. n. 17591 del 2018 , Cass. n. 17665 2019 , nonché sulla necessità della forma scritta di esso v. Cass. n. 20931 del 2016 v. anche, per la imprescindibilità della fase contrattuale, Cons. Stato, n. 3675 del 2021 . L'accreditamento non è dunque la fonte diretta del rapporto contrattuale, ma è condizione di legittimità degli accordi successivamente stipulati tra le parti, i quali hanno le caratteristiche del contratto a favore di terzi, ad esecuzione continuata e a prestazioni corrispettive. 4.4. Tale necessaria scansione nelle due fasi, provvedimentale preceduta a sua volta dal rilascio della autorizzazione e negoziale, e la necessità della fase contrattuale emergono chiaramente anche dalla più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, in cui si individua il contratto come la fonte dei diritti e degli obblighi delle parti ivi incluso l'obbligo per le strutture private accreditate di accettare la regressione tariffaria, ed è richiamata dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 113 del 2022 . 4.5. Una completa ricostruzione dei principi elaborati in materia dalla giurisprudenza amministrativa è contenuta nella recente sentenza del Consiglio di Stato, III, n. 2064 del 2023 , che effettua una ricognizione dei presupposti individuati dalla giurisprudenza amministrativa per l'erogazione da parte di privati di prestazioni sanitarie remunerate dal servizio pubblico, distinguendo la fase dell'accreditamento da quella degli accordi contrattuali, dai quali soltanto discende l'abilitazione in concreto a eseguire attività per conto del Servizio sanitario nazionale segnala che l'accreditamento, per la cui concessione l'amministrazione gode di un largo margine di discrezionalità in considerazione della valutazione della rispondenza e adeguatezza agli obiettivi della programmazione Corte costituzionale 9 maggio 2022, n. 113 , è un provvedimento di carattere non già autorizzativo, bensì abilitativo-concessorio Consiglio di Stato, Sezione III, 27 febbraio 2018, n. 1206 , che si colloca a metà strada tra la concessione di servizio pubblico e l'abilitazione tecnica idoneativa ex multis, Consiglio di Stato, sezione III, sentenze 18 ottobre 2021, n. 6954, 30 aprile 2020, n. 2773, e 3 febbraio 2020 , n. 824 . Indica l'accreditamento istituzionale come presupposto per la valida stipulazione degli accordi contrattuali ex D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8-quinquies , comma 2-quinquies, che possono essere stipulati soltanto con i soggetti in possesso di tale requisito. Quanto al rapporto tra accreditamento e accordi contrattuali, la sentenza citata ricorda che la giurisprudenza amministrativa ha affermato che le prestazioni che il SSN eroga a carico dei contribuenti ai sensi del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 1, comma 3, sono quelle previste nei Livelli Essenziali di Assistenza, sono uguali per tutti i cittadini su tutto il territorio nazionale e devono essere compatibili con le risorse finanziarie disponibili . il SSN garantisce l'erogazione delle prestazioni dei LEA attraverso le sue strutture pubbliche. L'unico modo previsto dalla legge con cui un'impresa commerciale può essere ammessa ad erogare prestazioni sanitarie per conto ed a spese del SSN è il sistema dell'accreditamento istituzionale previsto dal D.Lgs. n. 502 del 1992 art. 8-quater l'accreditamento istituzionale, quindi, è condizione essenziale per l'ammissione al ristoro delle prestazioni garantire dal SSN, ma non è condizione sufficiente, essendo necessaria la stipula di accordi contrattuali ex D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8-quinquies tra l'erogatore privato e l'ASL nel cui territorio si trova la struttura detti accordi sono preordinati alla fissazione delle condizioni contrattuali, tra cui il tetto massimo di spesa, determinate dalla necessità del rispetto dei limiti finanziari disponibili l'art. 8-quinquies, dunque, pone pertanto il rapporto di accreditamento su una base negoziale per la quale, al di fuori del contratto, la struttura accreditata non è obbligata ad erogare prestazioni agli assistiti del SSN, e, per converso, l'Amministrazione sanitaria non è tenuta a pagare la relativa remunerazione, dovendosi escludere che l'Amministrazione possa essere costretta ad acquistare prestazioni sanitarie in esubero rispetto alle esigenze programmate o in eccesso rispetto alle risorse disponibili In conclusione, in assenza di un accordo contrattuale l'attività sanitaria non può essere esercitata per conto ed a carico del SSN ex multis, Cons. Stato, Sez. V, Sentenza n. 162/08 Cons. Stato, Sez. III, 17 ottobre 2011, n. 5550 cfr. anche Cass. Civ., Sez. Prima, 31/3/2021, n. 9003 , nonché Cass. Civ., Sez. I, 11/9/2020, n. 18900 , la quale richiama copiosa giurisprudenza amministrativa tra cui Cons. Stato, Sez. III, 8/1/2019, n. 184 Consiglio di Stato, Sezione III, 25 agosto 2022, n. 7460 . 5. Passando all'esame del panorama giurisprudenziale della Corte, da esso emerge un quadro convergente verso una univoca soluzione al problema di carattere generale, se i rapporti tra le strutture sanitarie private che operano in regime di accreditamento e il Servizio Sanitario Nazionale siano riconducibili alla nozione di transazione commerciale dettata dall' art. 1 e definita dal D.Lgs. n. 231 del 2002 , art. 2 e a quali condizioni e, di conseguenza, se, in caso di ritardo nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione, siano dovuti gli interessi di cui all'art. 5 del predetto decreto, questione alla quale va data, in linea generale, risposta affermativa, sulla base del quadro normativo, dando continuità all'orientamento emergente all'interno della Corte. 5.1. Questa Corte già da alcuni anni si è orientata a ricondurre le prestazioni sanitarie erogate, in favore dei fruitori del servizio, da strutture private accreditate con lo Stato nell'ambito della nozione di transazione commerciale di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002 , affermando che le strutture private accreditate hanno diritto, in caso di ritardo nei pagamenti, di vedersi corrispondere dal soggetto pubblico gli interessi di mora, nella misura prevista dal medesimo D.Lgs. n. 231 del 2002 Cass. n. 14349 del 2016 Cass. n. 20391 del 2016 , Cass. n. 17665 del 2019 , Cass. n. 7019 del 2020 . 5.2. Le sentenze citate hanno precisato la necessità del rispetto del requisito di forma scritta a pena di nullità del contratto, e la scansione cronologica il contratto con il quale l'Ente pubblico abbia assunto l'obbligo, nei confronti della struttura privata accreditata, di retribuire, alle condizioni e nei limiti ivi indicati, determinate prestazioni di cura da essa erogate in favore dei fruitori del Servizio sanitario nazionale, in conformità alla norma transitoria contenuta nell'art. 11 del decreto, deve essere stato concluso in data successiva all'8 agosto 2002, data di entrata in vigore del decreto. 5.3. Questa affermazione si è consolidata nelle successive pronunce di legittimità. Anche dopo la pronuncia a Sezioni Unite n. 26496 del 2020, infatti, Cass . n. 4698 del 2022 , Cass. n. 12868 del 2022 e Cass. n. 10154 del 2023 hanno rettamente inteso che, rispetto alla questione in esame, la sentenza a Sezioni Unite intendesse ribadire la ricostruzione e le soluzioni già in precedenza adottate, che si intendono qui confermare. 6. L'espressione di posizioni non del tutto sintoniche rispetto a questi principi era stata espressa, prima della sentenza a Sezioni unite n. 26496 del 2020, solo riguardo allo specifico e distinto settore delle farmacie. 6.1. Alcune sentenze v. in particolare Cass. n. 5042 del 2017 , Cass. n. 5796 del 2017 , Cass. n. 9991 del 2019 avevano posto in rilievo che la fonte del rapporto, tra le farmacie e il SSN, fosse da rinvenire non in un contratto, ma in una fonte normativa secondaria, un regolamento, essendo stato reso esecutivo l'accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con le farmacie pubbliche e private con decreto del Presidente della Repubblica. 6.2. Dalla diversità quanto alla fonte del rapporto, Cass. n. 5042 del 2017 e Cass. n. 5796 del 2017 , non massimata, deducevano che il rapporto che si instaura fra il Servizio sanitario nazionale e la farmacia in occasione dell'erogazione dell'assistenza farmaceutica non ha natura di transazione commerciale perché trattasi di rapporto la cui disciplina non è affidata al contratto, ma alla legge ed al regolamento che rende esecutivo l'accordo collettivo nazionale stipulato in base ed in conformità alla legge D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8, comma 2 , e come tale il rapporto rimane sottratto alla autonomia privata nell'intendimento del legislatore in forza della natura del fenomeno, che è l'erogazione dell'assistenza farmaceutica per conto dell'Azienda Unità sanitaria locale. Le sentenze citate concludevano nel senso dell'inapplicabilità del saggio di interessi previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2002 alle farmacie, stante l'estraneità dell'erogazione dell'assistenza farmaceutica per conto delle Asl al paradigma della transazione commerciale e la riconducibilità del rapporto alla fonte legale ed amministrativa, ossia al D.Lgs. n. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8, comma 2, ed al relativo regolamento. Le stesse sentenze ponevano in rilievo, peraltro, la differenza tra l'ipotesi delle attività svolta dalle farmacie di erogazione di assistenza farmaceutica e le fattispecie considerate da Cass. 14 luglio 2016, n. 14349 e Cass. 11 ottobre 2016, n. 20391 , nelle quali è stata ritenuta in astratto applicabile, salvo le circostanze del caso, al rapporto fra la struttura sanitaria accreditata nell'ambito del servizio sanitario nazionale ed il soggetto pubblico la disciplina di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002 , rilevando che in quei casi la fonte del rapporto era l'accordo contrattuale, e dunque che fosse configurabile la transazione commerciale. 6.3. La successiva sentenza n. 9991 del 2019, sempre relativa alle farmacie, evidenziava piuttosto l'eterogeneità del profile soggettivo, ritenendo che le farmacie, per l'attività di erogazione di assistenza farmaceutica in favore degli assistiti del SSN, non potessero rientrare nella nozione pur lata di imprenditore presa in considerazione dal D.Lgs. n. 231 del 2002 perché erano piuttosto da considerare un segmento del Servizio sanitario nazionale, per la prevalenza della funzione pubblicistica svolta. 6.4. Quest'ultimo profilo è particolarmente valorizzato dalla successiva pronuncia a Sezioni unite, n. 26496 del 2020, che, previa un'accurata disamina della giurisprudenza precedente, nell'affermare la peculiarità funzionale delle farmacie, che le inserisce come segmento di diretta articolazione del Servizio sanitario nazionale, e giustifica la sottrazione dell'attività di erogazione dei farmaci svolta alla nozione di transazione commerciale, ha a sua volta circoscritto questa peculiarità, che ne fa prevalere il profilo pubblicistico su quello imprenditoriale, all'attività salvavita svolta dalle farmacie, e cioè alla sola somministrazione dei farmaci essenziali, di fascia A, per i quali l'assistito è dispensato dal versamento del corrispettivo, essendo titolare del diritto a riceverli quale concretizzazione del fondamentale diritto alla salute ed il soggetto che eroga I farmaci si inserisce in toto nell'espletamento del Servizio sanitario nazionale e si colloca in rapporto stretto e diretto con il pubblico interesse sotteso a tale servizio, spogliando, in parte, l'attività del farmacista dalla sua natura imprenditoriale. La predetta sentenza segnala che l'inserimento in parte qua della farmacia nel servizio sanitario nazionale quale suo segmento non trova ostacolo nei principi Eurounitari, in quanto la Corte di giustizia dell'Unione Europea ha sempre lasciato uno spazio alla discrezionalità degli Stati membri in tema di farmacie sia per l'esigenza di tutela della salute pubblica sia per i peculiari effetti, con ricadute sulla salute pubblica, del tipo di merce rappresentato dal farmaco, così da non ravvisare in genere violazione delle norme TFUE di riferimento da parte della disciplina interna dei singoli stati. La stessa pronuncia afferma poi che proprio dalla ricostruzione del rapporto tra strutture sanitarie private che operano in regime di accreditamento e SSN si posso inferirne alcune chiare differenze rispetto ai crediti nascenti dalla erogazione dei farmaci, che giustificano trattamenti differenziati, come è espressamente affermato anche in un breve quanto incisivo passaggio della decisione, là dove si dice che Nessun sostegno ad una qualche apertura in favore del riconoscimento degli interessi ex D.Lgs. n. 231 del 2002 per i crediti derivanti dalle erogazioni dei farmaci appare poi rinvenibile nell'applicazione pur chiamata a raffronto, come si è visto, anche dalla ordinanza interlocutoria del D.Lgs. n. 231 del 2002 ai crediti delle strutture private accreditate, riconosciuta ormai in modo stabile e, d'altronde del tutto condivisibile per quanto rilevato nel pertinente orientamento di questa Suprema Corte. Non sembra quindi che nel panorama giurisprudenziale di legittimità esista alcun contrasto sulla riconducibilità dell'attività svolta dalle strutture sanitarie accreditate in favore degli utenti del SSN alla nozione di transazione commerciale, né alla loro qualificabilità soggettiva in termini di imprenditore, e quindi all'assoggettamento del rapporto alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 231 del 2022. 7. Così ricostruiti il quadro normativo ed il quadro giurisprudenziale interno, non può omettersi per completezza e per trarne elementi di conforto sulla correttezza della decisione un richiamo alle più rilevanti pronunce della Corte di giustizia sul tema, prima di tirare le fila del ragionamento, la cui conclusione scaturisce univoca dal complesso degli elementi considerati ed esce rafforzata dal confronto con la giurisprudenza Europea. La Corte di giustizia ha avuto più occasioni di occuparsi delle trasposizioni nelle normative nazionali delle due direttive finora dedicate a contrastare i ritardi nei pagamenti delle transazioni commerciali oltre alla direttiva n. Direttiva 2000/35/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29 giugno 2000, trasposta nel D.Lgs. n. 231 del 2002 oggetto di applicazione nella controversia in esame, la direttiva 2011/07/UE, recepita con il D.Lgs. n. 192 del 2012 .La materia peraltro è costantemente all'attenzione degli organismi Europei, tanto che è appena stata depositata una proposta di regolamento sul tema della lotta al ritardo nei pagamenti delle transazioni commerciali, COM 2023 533 . 7 .1. Con la sentenza 1 dicembre 2022, in causa C-419 /2021, su rinvio pregiudiziale della Polonia, si è detto che la nozione di transazione commerciale non coincide con quella di contratto, ma allo scopo di ampliare la tutela dettata dalla direttiva, nel senso che è stato riconosciuto il diritto al pagamento dell'indennizzo forfettario previsto per il recupero crediti in relazione ad ogni singolo ritardo nel pagamento, in un caso di contratto a consegne ripartite. 7. 2. Con la sentenza 18 novembre 2020 , in causa C-299/19, su rinvio pregiudiziale dell'Italia, la Corte di giustizia ha ricondotto anche gli appalti pubblici nell'ambito delle transazioni commerciali, osservando che ritenere esclusa una parte così rilevante delle transazioni commerciali dall'ambito di applicazione della direttiva renderebbe gravemente frustrata la funzione dissuasiva dei ritardi in particolare, si osserva che contrasterebbe con l'obiettivo della direttiva 2000/35, enunciato al suo considerando 22, secondo cui la stessa deve disciplinare tutte le transazioni commerciali, a prescindere dal fatto che esse siano effettuate tra imprese pubbliche o private o tra imprese e autorità pubbliche. 7.3. Infine, ma non per ultima, va richiamata, sebbene in estrema sintesi, la sentenza n. 28 gennaio 2020, resa in causa C-122 2018, Grande Chambre, contro l'Italia, con la quale l'Italia, all'esito di una procedura di infrazione che si è articolata in una complessa istruttoria in cui il Governo italiano ha strenuamente difeso i miglioramenti posti in essere per ridurre i ritardi nei pagamenti specie nei settori più critici, tra i quali spicccava in particolare quello sanitario, è stata condannata, proprio per il ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali, e in particolare per i ritardi nel settore sanitario, in cui il tempo medio nel period in considerazione era stato di 67 giorni, quindi oltre i sessanta giorni consentiti. Nel procedimento conclusosi con la predetta sentenza, la Commissione Europea chiedeva alla Corte di giustizia di dichiarare che la Repubblica italiana, avendo omesso e omettendo tuttora di assicurare che le sue pubbliche amministrazioni evitino di oltrepassare i termini di 30 o 60 giorni di calendario per il pagamento dei loro debiti commerciali, è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza della direttiva 2011/7/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali GU 2011, L 48, pag. 1 , e, in particolare, a quelli di cui all'art. 4 di tale direttiva. La sentenza osserva, al punto 12, che i ritardi di pagamento costituiscono una violazione contrattuale resa finanziariamente attraente per i debitori nella maggior parte degli Stati membri dai bassi livelli dei tassi degli interessi di mora applicati o dalla loro assenza e/o dalla lentezza delle procedure di recupero. E' necessario un passaggio deciso verso una cultura dei pagamenti rapidi, in cui, tra l'altro, l'esclusione del diritto di applicare interessi di mora sia sempre considerata una clausola o prassi contrattuale gravemente iniqua, per invertire tale tendenza e per disincentivare i ritardi di pagamento. Tale passaggio dovrebbe inoltre includere l'introduzione di disposizioni specifiche sui periodi di pagamento e sul risarcimento dei creditori per le spese sostenute e prevedere, tra l'altro, che l'esclusione del diritto al risarcimento dei costi di recupero sia presunta essere gravemente iniqua . Al punto 25 la sentenza aggiunge per quanto riguarda i ritardi di pagamento, particolarmente preoccupante è la situazione dei servizi sanitari in gran parte degli Stati membri. I sistemi di assistenza sanitaria, come parte fondamentale dell'infrastruttura sociale Europea, sono spesso costretti a conciliare le esigenze individuali con le disponibilità finanziarie . . Gli Stati membri dovrebbero quindi poter concedere agli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria una certa flessibilità nell'onorare i loro impegni. A tal fine, gli Stati membri dovrebbero essere autorizzati, a determinate condizioni, a prorogare il periodo legale di pagamento fino ad un massimo di sessanta giorni di calendario. Gli Stati membri, tuttavia, dovrebbero adoperarsi affinché i pagamenti nel settore dell'assistenza sanitaria siano effettuati in accordo con i periodi legali di pagamento . Prosegue poi, al punto 46, osservando che da una lettura congiunta dei considerando 3, 9 e 23 della direttiva 2011/7 risulta che le pubbliche amministrazioni, alle quali fa capo un volume considerevole di pagamenti alle imprese, godono di flussi di entrate più certi, prevedibili e continui rispetto alle imprese, possono ottenere finanziamenti a condizioni più interessanti rispetto a queste ultime e, per raggiungere i loro obiettivi, dipendono meno delle imprese dall'instaurazione di relazioni commerciali stabili. Orbene, per quanto riguarda dette imprese, i ritardi di pagamento da parte di tali amministrazioni determinano costi ingiustificati per queste ultime, aggravando i loro problemi di liquidità e rendendo più complessa la loro gestione finanziaria. Tali ritardi di pagamento compromettono anche la loro competitività e redditività quando tali imprese debbano ricorrere ad un finanziamento esterno a causa di detti ritardi nei pagamenti. Tali considerazioni, relative all'elevato volume di transazioni commerciali in cui le pubbliche amministrazioni sono debitrici di imprese, nonché ai costi e alle difficoltà generate per queste ultime da ritardi di pagamento da parte di tali amministrazioni, evidenziano che il legislatore dell'Unione ha inteso imporre agli Stati membri obblighi rafforzati per quanto riguarda le transazioni tra imprese e pubbliche amministrazioni e implicano che l' art. 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/7 sia interpretato nel senso che esso impone agli Stati membri di assicurare che dette amministrazioni effettuino, nel rispetto dei termini previsti da tali disposizioni, i pagamenti a titolo di corrispettivo delle transazioni commerciali con le imprese. Da quanto detto la sentenza conclude nel senso che non può essere condivisa l'interpretazione della Repubblica italiana secondo la quale l' art. 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/7 impone agli Stati membri unicamente l'obbligo di garantire che i termini legali e contrattuali di pagamento applicabili alle transazioni commerciali che coinvolgono pubbliche amministrazioni siano conformi a tali disposizioni e di prevedere, in caso di mancato rispetto di tali termini, il diritto, per un creditore che ha adempiuto agli obblighi contrattuali e di legge, alla corresponsione di interessi, ma non l'obbligo di assicurare il rispetto effettivo di tali termini da parte delle suddette pubbliche amministrazioni. Sulla base di queste ed altre considerazioni, la Repubblica Italiana, con la predetta sentenza, è stata ritenuta responsabile di mancato rispetto degli obblighi comunitari, non assicurando che le sue pubbliche amministrazioni rispettino effettivamente i termini di pagamento stabiliti all' art. 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/7/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di tali disposizioni. La linea che emerge dalle più recenti pronunce della Corte di giustizia è dunque quella della sollecitazione delle amministrazioni pubbliche al rispetto della regolarità dei pagamenti, con particolare attenzione alla materia sanitaria, per l'importanza del budget collegato e per il numero di imprese coinvolte. Un recupero di efficienza nella riduzione dei tempi di pagamento recherà con sé un abbattimento dei costi connessi agli interessi per i ritardi, mentre la sottrazione dello Stato debitore alla sua responsabilità per la mancanza di un tempestivo adempimento delle transazioni commerciali lo esporrebbe al palpabile rischio di esporsi nuovamente ad una procedura di infrazione. 8. Tutte le considerazioni che precedono conducono univocamente a ricondurre il rapporto tra la struttura privata accreditata svolgente in questo caso attività di riabilitazione fisioterapica che ha svolto le sue prestazioni in favore dei fruitori del Servizio sanitario nazionale e chiede quanto dovuto per il ritardo nel pagamento delle prestazioni erogate e l'ente pubblico che, all'interno della Regione, è obbligato a corrispondere i corrispettivi per tali prestazioni, nell'ambito della nozione di transazione commerciale intercorsa tra un imprenditore e il SSN e quindi nell'ambito di applicabilità della particolare disciplina dettata dal D.Lgs. n. 231 del 2002 per sanzionare i ritardi nei pagamenti delle transazioni commerciali. Non vi sono elementi per assimilare, come sostiene la ASL controricorrente, le società private che svolgono in favore degli assistiti del SSN prestazione di servizi alle farmacie là dove dispensano farmaci salvavita è questa la circoscritta affermazione contenuta in Cass. S.U. n. 26496 del 2020 e di considerarle pertanto, sotto il profilo soggettivo, un segmento del Servizio Sanitario nazionale, né per ritenere che debbano anch'esse essere sottratte, in caso di ritardi nei pagamenti da parte dell'Amministrazione pubblica, all'ambito di applicabilità della disciplina, di ispirazione comunitaria, che compensa con interessi particolarmente elevati e con altri profili derogatori alla disciplina generale, anch'essi ispirati al favor creditoris che sono fuori dall'oggetto della presente analisi, quali la mora ex re e il luogo di adempimento dell'obbligazione il ritardo nel pagamento. 8.1. Sia la fonte dell'attività svolta sia le caratteristiche di tale attività come sottolineato anche dal Procuratore generale nelle sue conclusioni rendono le prestazioni di servizio ai fruitori del SSN erogate dalle strutture private accreditate pienamente riconducibili nell'ambito di applicazione del D.Lgs. n. 231 del 2002 , in quanto transazioni commerciali svolte da un imprenditore con la pubblica amministrazione. 8.2. Quanto alla fonte dell'attività svolta essa e', sulla base della ricostruzione che precede, duplice, provvedimentale e contrattuale. Mediante l'accreditamento le strutture autorizzate acquisiscono lo status di soggetto idoneo a erogare prestazioni e servizi sanitari per conto del SSN, ma poi l'abilitazione a fornire, in concreto, prestazioni a carico del SSN deriva loro dalla stipula di accordi contrattuali che, ai sensi del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8-quinquies definiscono i programmi di attività, con indicazione dei volumi e delle tipologie di prestazioni erogabili. Per le strutture accreditate, dunque, gli accordi contrattuali sono l'ultimo e decisivo passaggio per dar vita al rapporto tra le parti e all'attività di assistenza svolta appunto dalle strutture accreditate. E, in tale contesto, anche i pagamenti vengono eseguiti sulla base di tali contratti. Per le farmacie, invece, la fonte del rapporto, è normativa, essendo fondata su accordi che vengono recepiti e quindi normativizzati in un decreto del Presidente della repubblica. 8.3. C'e' quindi una diversità di fondo sia funzionale che strutturale , come osservato dal Procuratore generale, perché le farmacie erogano un servizio pubblico sostanzialmente quali organi delle aziende sanitarie limitatamente, peraltro, sulla base di quanto affermato da Cass. S.U. n. 26496 del 2020, quanto alla erogazione di farmaci di classe A e sulla base di accordi normativizzati, mentre i centri accreditati erogano un servizio sì pubblico e al pubblico, ma non quali organi delle aziende sanitarie, bensì mantenendo la loro identità di società commerciali che organizzano l'erogazione dei servizi al pubblico degli utenti del SSN sulla base di specifici accordi contrattuali. 8.4. Quanto al profilo oggettivo, le prestazioni rese rientrano nell'ampia nozione di transazione commerciale espressa dalla norma come emerge dalla giurisprudenza della Corte di giustizia sopra ripercorsa, le prestazioni di servizi sanitari e ad essi assimilati, in favore dei fruitori dei sistemi sanitari dei vari Stati, non soltanto rientrano nella nozione di transazione commerciale, ma ne rappresentano una quota significativa e costantemente monitorata dagli organismi comunitari. 8.5. Quanto ai profili soggettivi, non può dubitarsi, all'esito dell'analisi svolta, poi che la ASL, o l'Assessorato regionale alla salute da una parte, una struttura privata accreditata, dotata in genere dello statuto di società commerciale, e che mantiene la sua piena autonomia rispetto al Servizio sanitario nazionale con il quale lavora, possano rientrare nei dettati definitori del decreto n. 231 del 2002, art. 2 sopra riportati, che fanno riferimento ai contratti conclusi tra imprese o tra una impresa e una pubblica amministrazione. Stante le diversità di fondo esistenti tra le dispensazioni di farmaci operate dalle farmacie e le prestazioni assistenziali svolte dai centri accreditati, per queste ultime non si evidenzia quella prevalenza della funzione pubblicistica sulla struttura di società commerciale che eroga una prestazione dietro corrispettivo, costruita dalle Sezioni Unite n. 26496 del 2020 fino a far scolorare il carattere imprenditoriale dell'attività svolte dalle farmacie, in cui prevale il profilo funzionale, assorbente, che le fa rappresentare come un segmento del Servizio sanitario nazionale del resto circoscritta alla erogazione di farmaci di fascia A . 8.6. La soluzione opposta, oltre che non essere giustificata alla luce della ricostruzione sia normativa che giurisprudenziale operata, realizzerebbe l'effetto sostanziale di neutralizzare in un settore cruciale la lotta alla morosità nei pagamenti imposta dalla normativa di ispirazione Europea, esonerandone la pubblica amministrazione in maniera contrastante sia, direttamente, con il paradigma definitorio ampio riversato nel D.Lgs. n. 231, art. 2 v. in questo senso anche Cass. n. 28151 del 2019 , a proposito di un rapporto tra professionista e pubblica amministrazione sia con l'interpretazione che delle norme recepite nell'ordinamento interno è stata già data a livello comunitario. 9. Applicando ora il percorso argomentativo finora svolto all'esame del ricorso e alla soluzione delle questioni poste da quest'ultimo, il primo motivo è fondato e va accolto ed anche il secondo motivo va accolto nella sua prima parte. Ha errato la corte d'appello nell'applicare le norme richiamate e nell'individuare la corretta interpretazione di esse secondo il diritto vivente della Corte, predicando alle strutture private accreditate presso il SSN la soluzione data per le farmacie, predicare alle prime acriticamente lo statuto delle seconde, ritenendole anch'esse segmenti del Servizio sanitario nazionale, e come tali escluse dalla possibilità di svolgere un'attività qualificabile in termini di transazione commerciale , il tutto senza verificare l'omogeneità o meno delle due situazione, la correttezza della operazione interpretativa, la stessa portata della affermazione contenute nei precedenti giurisprudenziali in relazione alle farmacie. 10. Anche il secondo motivo di ricorso va accolto nella sua prima parte, e la sentenza impugnata va cassata in relazione, là dove fonda la motivazione esclusivamente sulla ritenuta applicabilità a tutte le transazioni commerciali concluse dalle strutture sanitarie accreditate con il Servizio sanitario nazionale della giurisprudenza creatasi in relazione alle sole farmacie in ragione della specificità di una parte della loro attività, operando una applicazione analogica non corretta in quanto mancante del presupposto della similarità del caso, in quanto non tiene in alcun conto la specificità, ontologica e pertanto teleologica, dell'assistenza farmaceutica sussistente in misura tale da incidere anche sulla natura di chi, in correlazione coordinazione con altri compartecipi, la pratica , posta in rilievo dalle Sezioni Unite. 11. In conformità alle osservazioni che precedono e coerentemente con l'orientamento di legittimità già delineatosi, in cui la stessa area del dubbio, come sottolineato in precedenza, concerneva il solo settore specifico delle farmacie, e non tutte le altre strutture sanitarie private che erogano un servizio connesso col Servizio sanitario nazionale, il ricorso è accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa è rinviata alla Corte d'appello di Napoli in diversa composizione, che si atterrà ai principi di diritto che seguono e deciderà anche sulle spese del presente giudizio. Le prestazioni sanitarie erogate ai fruitori del Servizio sanitario nazionale dalle strutture private con esso accreditate, sulla base di un contratto scritto, accessivo alla concessione che ne regola il rapporto di accreditamento, concluso dalle stesse con la pubblica amministrazione dopo l'8 agosto 2002, rientrano nella nozione di transazione commerciale di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 2 avendo le caratteristiche di un contratto a favore di terzo, ad esecuzione continuata, per il quale alla erogazione della prestazione in favore del privato da parte della struttura accreditata corrisponde la previsione dell'erogazione di un corrispettivo da parte dell'amministrazione pubblica. Ne consegue che, in caso di ritardo nella erogazione del corrispettivo dovuto da parte della amministrazione obbligata, spettano alle strutture private accreditate gli interessi legali di mora ex D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 5 . Il ricorso è pertanto accolto, la sentenza è cassata e la causa è rinviata alla Corte d'appello di Napoli in diversa composizione, che si atterrà ai principi di diritto indicati e deciderà anche sulle spese dei gradi di merito. Le spese del giudizio di legittimità sono compensate, in considerazione della complessità della questione. P.Q.M. accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Napoli in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese dei gradi di merito. Compensa le spese del giudizio di legittimità.