Omesse o false informazioni nell’autodichiarazione per conseguire il reddito di cittadinanza: nessun reato

Le omesse o false indicazioni di informazioni contenute nell'autodichiarazione finalizzata a conseguire il reddito di cittadinanza integrano il delitto di cui all'art. 7 d.l. 28 gennaio 2014 n. 4 , conv. in legge 28 marzo 2019 n 26 solo se funzionali ad ottenere un beneficio non spettante ovvero spettante in misura superiore a quella di legge.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono intervenute per risolvere un contrasto giurisprudenziale venutosi a creare nella giurisprudenza di legittimità in ordine alla natura e alla struttura del delitto ex art. 7 d.l. 28 gennaio 2014, n. 4 , conv. in legge 28 marzo 2019, n. 26 , che punisce, al comma 1, le omesse o false informazioni nell'autodichiarazione per conseguire il reddito di cittadinanza e, al comma 2, l'omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio. In particolare, la terza Sezione della Corte di Cassazione, aveva rimesso alle Sezioni Unite la questione se le omesse o false indicazioni di informazioni contenute nell'autodichiarazione finalizzata all'ottenimento del reddito di cittadinanza integrino il delitto [di cui all'art. 7] indipendentemente all'effettiva sussistenza o meno delle condizioni patrimoniali stabilite per l'ammissione al beneficio . Sul punto, un primo orientamento inaugurato da Cass. III, n. 5289/2019 ha sostenuto che il delitto in esame è incentrato sul dovere di lealtà del cittadino verso le Istituzioni , sicché la sua punibilità prescinde dall'effettiva incidenza delle informazioni omesse o false sulla spettanza del beneficio o sul suo ammontare. Tale indirizzo richiama inoltre i principi affermati dalle Sezioni Unite della Corte Cass. S.U., n. 6591/2009 in ordine all'analogo delitto ex art. 95 D.P.R. n. 115/2002, qualificando la fattispecie ex art. 7 come reato di condotta e di pericolo . Ne consegue dunque la integrazione del reato anche quando la condotta non abbia inciso sul diritto a ottenere il beneficio o sul suo ammontare . Il contrapposto orientamento a partire da Cass. III, n. 44366/2021 ha invece disatteso il parallelismo con il delitto ex art. 95 D.P.R. n. 115/2002, evidenziando le differenze strutturali tra le due fattispecie , a partire dal fine di accedere indebitamente al beneficio, richiesto dall'art. 7 in materia di reddito di cittadinanza. Secondo tale indirizzo, il delitto in questione sarebbe sì un reato di pericolo ma nella forma del pericolo concreto , occorrendo dunque verificare l'effettiva offensività della condotta rispetto al bene giuridico tutelato. Al riguardo, viene escluso che quest'ultimo possa ravvisarsi in un non meglio precisato dovere di lealtà” del cittadino, riconducendo la fattispecie alla tutela del patrimonio pubblico . Ne consegue che occorre un'offesa in concreto ai danni dell'erario perché possa a fronte, dunque, di una condotta non solo volontaria ma anche idonea a conseguire il proprio obiettivo fraudolento . Le Sezioni Unite hanno aderito al secondo orientamento , evidenziando la differenza strutturale tra il delitto ex art. 95 cit. e la fattispecie ex art. 7 cit., avuto riguardo all'elemento soggettivo e al contesto procedimentale in cui si inseriscono. La Corte sottolinea infatti che nel procedimento per ottenere l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato è previsto un termine breve, pari a dieci giorni, per adottare una decisione che avviene sulla base delle dichiarazioni e della produzione dell'istante. Al contrario, per l'ammissione al reddito di cittadinanza non sono previsti termini così stringenti ed è soprattutto riconosciuto all'ente erogatore un potere di controllo preventivo , con una pur minima attività istruttoria. La Corte esclude dunque il parallelismo tra le due fattispecie delittuose , disattendendo altresì la ricostruzione del bene giuridico tutelato in termini di dovere di lealtà del cittadino”, definito come un guscio vuoto” . Al contrario, il delitto in esame viene qualificato come reato contro il patrimonio pubblico e non già a tutela della fede pubblica , quale species dei delitti di falso. Qualificato dunque il delitto ex art. 7 cit. come reato di pericolo concreto, a consumazione anticipata , le Sezioni Unite hanno valorizzato l'avverbio indebitamente” contenuto nella formulazione della norma incriminatrice. Secondo i giudici di legittimità è infatti necessario che la condotta sia finalizzata non solo ad ottenere il beneficio bensì ad ottenerlo fuori dei casi consentiti ovvero in misura superiore a quella spettante . Ne consegue che le false od omesse informazioni non integrano la fattispecie criminosa quando non risultano tali da incidere sull' an o sul quantum del beneficio.

Presidente Cassano - Relatore Aceto Ritenuto in fatto 1. La Corte d'appello di Salerno, con sentenza pronunciata l'11 gennaio 2022, ha confermato la sentenza del 25 gennaio 2021 del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Nocera Inferiore che aveva condannato G.E. alla pena di due anni e due mesi di reclusione per il reato di cui all' art. 81 c.p. , comma 2, art. 640 c.p. , comma 2, n. 1, D.L. 28 gennaio 2019, n. 4, art. 7, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 marzo 2019, n. 26 , perché, al fine di ottenere indebitamente il beneficio economico di cui al D.L. n. 4 del 2019, art. 3, comma 1, lett. a , reddito di cittadinanza , con artifici e raggiri consistiti nell'attestare falsamente, nella dichiaraziore sostitutiva unica DSU presentata ai fini ISEE, un valore del proprio patr monio immobiliare inferiore a quello reale, induceva in errore l'INPS che gli erogava, in forza di tale dichiarazione, la somma di Euro 4.431,78 a titolo di integrazione del reddito familiare riferito all'anno 2019, così procurandosi l'ingiusto profitto derivante dalla indebita percezione del sussidio. Il fatto è contestato come commesso in Omissis . La Corte di appello ha ritenuto fondata l'ipotesi accusatoria sul presupposto che il perfezionamento della fattispecie delittuosa di cui all'art. 7, cit., si realizza per il solo fatto di avere portato all'attenzione dell'amministrazione erogatrice del reddito di cittadinanza dati non veritieri l'omissione, nella specie, riguardava la comproprietà da parte dell'imputato di alcuni terreni con la propria moglie , a nulla rilevando la circostanza, prospettata dalla difesa, che la dichiarazione parzialmente non veritiera non aveva alterato i termini economici dei limiti reddituali per l'ottenimento del beneficio. 2. L'imputato ha proposto ricorso per cassazione articolando, per il tramite del difensore di fiducia, tre motivi. 2.1. Con il primo motivo deduce la violazione del D.L. n. 4 del 2019, art. 7 ,artt. 42 e 43 c.p., e il vizio di motivazione in relazione alla mancanza dell'elemento soggettivo del reato, non sussistendo alcuna prova che consenta di ritenere che l'intenzione dell'imputato fosse stata quella di ottenere, attraverso la falsa dichiarazione, un beneficio altrimenti non dovuto, considerato che, anche dichiarando il valore immobiliare omesso, egli avrebbe comunque avuto diritto al sussidio. Secondo il ricorrente, il reato di cui al D.L. n. 4 del 2019, art. 7, comma 1, afferma, è di pura condotta e a dolo specifico. Censura, quindi, la sentenza impugnata per aver messo in diretta correlazione l'incompleta dichiarazione ISEE con il fine di ricevere il reddito di cittadinanza, senza aver compiuto i necessari approfondimenti in ordine alla consapevolezza e volontarietà della contestata omissione. Richiama, ad ogni buon conto, la diversa interpretazione della norma seguita dalla Corte di cassazione che, in un caso analogo, ha ritenuto che la rilevanza penale della condotta, dovendosi informare al principio dell'offensività concreta, sussista solo quando l'intenzione dell'agente sia quella di conseguire, attraverso dichiarazioni false o incomplete, beneficio altrimenti non dovuto. Aggiunge che la Corte di appello non ha nemmeno indicato le ragioni della affermata analogia tra il reato di cui al D.L. n. 4 del 2019, art. 7 e quello di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95 che sanziona la falsità o le omissioni nelle dichiarazioni richieste ai fini della ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, benché si tratti di procedimenti diversi il secondo, infatti, è caratterizzato da due fasi ammissione al beneficio e liquidazione assenti nel caso di ammissione al reddito di cittadinanza. La sentenza impugnata, osserva, non tiene conto della diversità strutturale dei due reati e sul dolo specifico che qualifica il reato per il quale si procede non afferma alcunché, essendosi limitata a sostenere che l'imputato ha commesso il reato per il sol fatto di aver indicato una falsa consistenza del proprio patrimonio immobiliare. In tal modo, prosegue, la Corte territoriale ha abdicato al proprio compito di ricostruire compiutamente il fatto incorrendo in un vizio motivazionale. 2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione dell' art. 640 c.p. , comma 2, n. 1, , e il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza degli artifici e dei raggiri. Osserva che, essendo demandata all'amministrazione la verifica del possesso dei requisiti in capo all'istante per la concessione del beneficio reddituale, la dichiarazione ai fini ISEE non era idonea a produrre automaticamente alcuna conseguenza in ordine all'erogazione del reddito richiesto, rientrando tra i poteri dell'autorità erogante quello di rigettare la domanda all'esito delle necessarie verifiche sulla completezza dei dati indicati. 2.3. Con il terzo motivo deduce la violazione dell' art. 177 c.c. e il vizio di motivazione, in quanto la mancata menzione delle quote in comproprietà con il coniuge non può costituire omissione rilevante, trattandosi di beni che non rientrano nel patrimonio personale del dichiarante. Lamenta che la relativa questione, già non adeguatamente affrontata dal Giudice dell'udienza preliminare di Nocera Inferiore, non aveva formato oggetto di specifico esame da parte della Corte di appello di Salerno. 3. Con successiva memoria, trasmessa all'esito della requisitoria del Sostituto Procuratore generale contenente la richiesta di annullamento con rinvio, la difesa ha ulteriormente sviluppato i primi due motivi di ricorso. In relazione al primo, osserva che intanto può ritenersi configurabile l'elemento intenzionale del reato di cui all'art. 7 comma 1, D.L. n. 4, cit., in quanto non sussistano le condizioni in capo all'istante per accedere al beneficio e si versi perciò in un'ipotesi di illegittimo godimento del bene, venendo altrimenti meno l'obbligo di trasmissione delle verifiche compiute dagli organi amministrativi all'autorità giudiziaria. In relazione al secondo motivo rileva che, in mancanza di un danno per l'amministrazione causalmente collegato alla dichiarazione non veritiera, non possa ravvisarsi il reato di truffa, essendo stata l'erogazione del reddito di cittadinanza riconosciuta all'imputato in ragione delle sue effettive condizioni economiche. Ha concluso, quindi, chiedendo raccoglimento del ricorso o la rimessione alle Sezioni Unite della questione relativa alla configurabilità del reato di cui al D.L. n. 4 del 2019, art. 7 in presenza di dichiarazione non veritiera allorquando sussistano comunque i requisiti per l'ammissione al beneficio. 4. La Terza Sezione penale, con ordinanza n. 2588 dell'11 ottobre 2022 depositata il 20 gennaio 2023 , rilevata l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale sulla questione posta con il primo motivo, ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite. L'ordinanza muove dalla premessa che nella richiesta volta a ottenere il reddito di cittadinanza possono in astratto verificarsi tre d stinte ipotesi a il mendacio per totale assenza di requisiti b il mendacio finalizzato al conseguimento di un beneficio maggiore rispetto al dovuto c il mendacio che non incide sul diritto a ottenere il sussidio né sull'ammontare del beneficio. La Sezione rimettente dà quindi conto dell'esistenza di due opposti orientamenti della giurisprudenza di legittimità in merito alla interpretazione del D.L. n. 4 del 2019, art. 7, comma 1. Secondo un primo indirizzo, integrano il delitto in esame le false indicazioni od omissioni di informazioni dovute, anche parziali, dei dati di fatto riportati nell'autodichiarazione finalizzata all'ottenimento del reddito di cittadinanza, indipendentemente dalla sussistenza delle condizioni di reddito per l'ammissione al beneficio. Alla stregua di un secondo orientamento, invece, il delitto è configurabile solo quando le condotte di mendacio siano finalizzate a conseguire il beneficio del reddito di cittadinanza e il richiedente in concreto non ne abbia diritto o ne abbia diritto in misura minore. Sarebbero, pertanto, penalmente rilevanti le false dichiarazioni solo nel caso in c ui la percezione del sussidio risulti indebita nell'an o nel quantum. Il primo orientamento ricostruisce la fattispecie di cui all'art. 7, cit., come reato di pericolo astratto e la riconduce ad una species del genus del reato di falso il secondo orientamento, che fa leva sul dolo specifico, allinea la fattispecie a quella dei reati di pericolo concreto in quanto richiede, quale ulteriore elemento per il suo perfezionamento, l'indebito arricchimento dell'agente. 5. La Prima Presidente, con decreto del 30 gennaio 2023, ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione la data del 13 luglio 2023. A seguito di tempestiva richiesta del difensore, con decreto del 14 marzo 2023 la Presidente ha disposto la trattazione orale del ricorso ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176 , e successive modifiche. 6. Con memoria del 28 giugno 2023 l'Avvocato generale ha anticipato le ragioni del sostegno al secondo indirizzo, ulteriormente illustrate in sede di discussione. Osserva che il delitto di cui al D.L. n. 4 del 2019, art. 7, comma 1, si colloca nel solco dei reati di falso pur presentando indubbi profili di specificità quanto a condotte, elemento soggettivo, ecc. ecc., rispetto ai falsi nelle dichiarazioni sostitutive sanzionate ai sensi del combinato disposto di cui al D.P.R. n. 445 del 2000 art. 76 e art. 483 c.p. e segg Il dolo specifico, richiesto ai fini della perfezione del reato di cui all'art. 7, cit., costituisce un inedito nella materia dei reati di falso svolgendo una funzione selettiva tipizzante che esclude dall'ambito del penalmente rilevante le condotte inidonee al raggiungimento dello scopo che l'agente si è prefisso nello specifico, l'indebita percezione del beneficio , qualificando il delitto come reato di pericolo concreto. La diversità strutturale del reato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95 e quello di cui al D.L. n. 4 del 2019, art. 7 non consente - aggiunge - l'operazione ermeneutica sulla quale fa leva il primo indirizzo. Il delitto di cui all'art. 7 richiede un quid pluris il dolo specifico che qualifica la condotta che l'art. 95, D.P.R. n. 115, cit., non richiede essendo sufficiente, ai fini della sua integrazione, la consapevolezza e la volontà di dichiarare il falso, senza che rilevi lo scopo che l'agente si è prefisso. Considerato in diritto 1. La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite è la seguente Se le omesse o false indicazioni di informazioni contenute nell'auto dichiarazione finalizzata all'ottenimento del reddito di cittadinanza integrino il delitto di cui al D.L. 28 gennaio 2019, n. 4, art. 7 convertito in L. 28 marzo 2019, n. 26 , indipendentemente dall'effettiva sussistenza o meno delle condizioni patrimoniali stabilite per l'ammissione al beneficio . 2. Il D.L. 28 gennaio 2019 , n. 4 , convertito con modificazioni dalla L. 28 marzo 2019, n. 26 , ha istituito il reddito di cittadinanza di seguito Rdc definito dall'art. 1 quale misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all'esclusione sociale, nonché diretta a favorire il diritto all'informazione, all'istruzione, alla formazione e alla cultura attraverso politiche volte al sostegno economico e all'inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro . Beneficiari del Rdc sono i nuclei familiari in possesso, cumulativamente, dei requisiti soggettivi ed economici indicati dall'art. 2, comma 1, lett. a , b , c e c bis . Tali requisiti devono essere in possesso del richiedente e del suo nucleo familiare al momento della domanda e per tutta la durata di erogazione del beneficio stesso. Il Rdc decorre dal mese successivo a quello della richiesta. Il suo valore mensile è pari ad un dodicesimo del valore calcolato su base annua art. 3, commi 1 e 5 ed è riconosciuto per tutto il periodo durante il quale il beneficiario si trova nelle condizioni previste all'art. 2 art. 3, comma 6 , condizioni la cui variazione deve essere comunicata all'INPS nei termini e modi indicati dall'art. 3, commi 8 e ss., e art. 5, comma 1. La domanda, redatta su modulo approvato dall'INPS, può essere presentata presso gli uffici postali, i Centri di assistenza fiscale CAF o gli istituti di patronato art. 5, comma 1 . Con la domanda il richiedente autocertifica il possesso dei requisiti richiesti per il Rdc art. 5, comma 5 se tali requisiti sono già stati dichiarati dal nucleo familiare ai fini ISEE, la domanda di Rdc deve essere associata dall'INPS alla corrispondente dichiarazione unica sostitutiva. Il beneficio è riconosciuto se ne ricorrono le condizioni. A tal fine, la domanda deve essere comunicata all'INPS entro dieci giorni lavorativi dalla richiesta nei successivi cinque giorni lavorativi l'INPS verifica il possesso dei requisiti per l'accesso al Rdc sulla base delle informazioni disponibili nei propri archivi e in quelli delle amministrazioni titolari dei dati anagrafe tributaria, il PRA e le altre amministrazioni pubbliche detentrici dei dati . I Comuni devono a loro volta accertare il possesso dei requisiti di residenza e soggiorno di cui all'art. 2, comma 1, lett. a art. 5, commi 3, 4, 4-bis, 4-ter, 4-quater . Il Rdc deve essere riconosciuto, al più tardi, entro la fine del mese successivo alla trasmissione della domanda all'INPS art. 5, comma 3 , ma il pagamento delle somme può essere sospeso per non più di centoventi giorni in attesa delle verifiche anagrafiche che l'INPS può richiedere ai Comuni. Decorso tale termine senza che il Comune abbia fornito i dati richiesti, il pagamento delle somme è comunque disposto comma 4-quater, aggiunto, insieme con i commi 4-bis, 4-ter e 4-quinquies, dalla L. 30 dicembre 2021, n. 234 , che ha modificato anche il comma 4 . I requisiti reddituali e patrimoniali si considerano posseduti per tutta la durata della attestazione ISEE in vigore al momento della domanda e sono verificati nuovamente solo in caso di presentazione di nuova dichiarazione sostitutiva unica di seguito DSU . Gli altri requisiti si considerano posseduti sino a quando non intervenga comunicazione contraria da parte delle amministrazioni competenti alla loro verifica. In tal caso, l'erogazione del beneficio deve essere interrotta a decorrere dal mese successivo alla comunicazione stessa e revocata art. 5, comma 5 . Il beneficiario del Rdc deve in ogni caso comunicare, nei termini stabiliti dall'art. 7, comma 2, le variazioni del reddito o del patrimonio, quand'anche provenienti da attività irregolari, e fornire le informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio stesso. Resta in ogni caso fermo il potere dell'INPS di verificare i requisiti autocertificati in domanda ai sensi del D.P.R. n. 445 del 2000, art. 71 art. 5, comma 5 . I commi 4, 5, 6, 7 e 8 dell'art. 7 disciplinano i casi della revoca e della decadenza del beneficio. La revoca è disposta sia in caso di condanna per uno dei reati di cui all'art. 7, commi 1 e 2, o per uno dei reati indicati dal comma 3 del medesimo articolo il cui elenco è stato incrementato dalla L. n. 234 del 2021 a decorrere dal 1 gennaio 2022 , sia quando l'amministrazione erogante accerta la non corrispondenza al vero delle dichiarazioni e delle informazioni poste a fondamento dell'istanza ovvero l'omessa successiva comunicazione di qualsiasi intervenuta variazione del reddito, del patrimonio e della composizione del nucleo familiare dell'istante. La revoca ha efficacia retroattiva ed il beneficiario è tenuto alla restituzione di quanto indebitamente percepito. La decadenza dal Rdc è invece disposta quando, alternativamente i anche uno solo dei componenti il nucleo familiare non dichiara la immediata disponibilità al lavoro o, comunque, viola gli obblighi assunti in sede di sottoscrizione del patto per il lavoro e il patto per l'inclusione sociale che, a norma dell'art. 4, condizionano l'erogazione del beneficio art. 7, commi 5, lett. a, b, c, d, h, 7, lett. c, 8, lett. b, 9, lett. d ii il beneficiario non comunica, ai sensi dell'art. 3, comma 9, le variazioni della condizione occupazionale nelle forme dell'avvio di un'impresa o di lavoro autonomo da parte di uno o più componenti il nucleo familiare nel corso dell'erogazione del Rdc o effettua comunicazioni mendaci producendo un beneficio economico maggiore art. 7, lett. f iii non presenta una DSU aggiornata in caso di variazione del nucleo familiare art. 7, lett. g iv il nucleo familiare abbia percepito il beneficio economico del Rdc in misura maggiore rispetto a quanto sarebbe spettato, per effetto di dichiarazione mendace in sede di DSU o di altra dichiarazione nell'ambito della procedura di richiesta del beneficio, ovvero per effetto dell'omessa presentazione delle prescritte comunicazioni, fermo restando il recupero di quanto versato in eccesso comma 6 . In termini generali, si può sin d'ora anticipare che la revoca consegue all'accertamento della mancanza originaria dei requisiti richiesti per l'erogazione del Rdc la decadenza costituisce, invece, una sanzione in caso di violazione degli obblighi alla cui osservanza è condizionata l'erogazione del beneficio oppure il conseguimento del beneficio in misura maggiore del dovuto. Nei casi di dichiarazioni mendaci e di conseguente accertato illegittimo godimento del Rdc, i Comuni, l'INPS, l'Agenzia delle entrate, l'Ispettorato nazionale del lavoro INL , preposti ai controlli e alle verifiche, trasmettono, entro dieci giorni dall'accertamento, all'autorità giudiziaria la documentazione completa del fascicolo oggetto della verifica art. 7, comma 14 . In questo contesto normativo si inseriscono i reati previsti dall'art. 7, commi 1 e 2, che puniscono con la reclusione da due a sei anni chi, al fine di ottenere indebitamente il Rdc, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere ovvero omette informazioni dovute comma 1 e con la reclusione da uno a tre anni chi, fruendo già del beneficio, non comunica le variazioni del reddito o del patrimonio anche se provenienti da attività irregolari e le altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio stesso nei termini previsti dall'art. 3, commi 8, ultimo periodo, 9 e 11. Prima di esaminare i due orientamenti che hanno dato vita al contrasto ermeneutico rimesso all'esame delle Sezioni Unite, è opportuno dar conto del fatto che la L. 29 dicembre 2022, n. 197 , art. 1, comma 318, ha abrogato la D.L. n. 4 del 2019, art. 7 a decorrere, però, dal 1 gennaio 2024. La fattispecie incriminatrice e', perciò, tutt'ora in vigore. Il legislatore, peraltro, nell'introdurre il cd. assegno di inclusione misura di sostegno economico e di inclusione sociale e professionale destinata a sostituire integralmente il Rdc e definita dal D.L. 4 maggio 2023, n. 48, art. 1, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 3 luglio 2023, n. 85 , quale misura nazionale di contrasto alla povertà, alla fragilità e all'esclusione sociale delle fasce deboli attraverso percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro , ha contestualmente ed espressamente previsto che al Rdc continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al D.L. n. 4 del 2019, art. 7 vigenti alla data in cui il beneficio è stato concesso, per i fatti commessi fino al Omissis . 3. Secondo un primo orientamento, integrano il delitto di cui al D.L. n. 4 del 2019, art. 7, comma 1, le false indicazioni od omissioni di informazioni dovute, anche parziali, dei dati di fatto riportati nell'autodichiarazione finalizzata all'ottenimento del Reddito di cittadinanza , indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l'ammissione al beneficio. Tale principio è stato affermato per la prima volta da Sez. 3, n. 5289 del 25/10/2019, dep. 2020, Sacco, Rv. 278573 e Sez. 3, n. 5290 del 25/10/2019, dep. 2020, Sciortino, non mass., e successivamente ribadito da Sez. 2, n. 2402 del 05/11/2020, dep. 2021, Giudice, non mass. Sez. 3, n. 33808 del 21/04/2021, Casà, non mass. Sez. 3, n. 33431 del 09/09/2021, Sferlazza, Rv. 281814, non mass. sul punto Sez. 3, n. 30303 del 15/09/2020, Colombo, non mass. Sez. 3, n. 5309 del 24/09/2021, Iuorio, non mass. Secondo questo indirizzo la disciplina sanzionatoria del Rdc è correlata, nel suo complesso, al generale principio antielusivo che si incardina sulla capacità contributiva ai sensi dell' art. 53 Cost. , la cui ratio risponde al più generale canone di ragionevolezza di cui all' art. 3 Cost. pertanto, la punibilità del reato di condotta viene correlata, ben oltre il pericolo di profitto ingiusto, al dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni dalle quali riceve un beneficio economico. Ne consegue che le due fattispecie incriminatrici citate trovano applicazione indipendentemente dall'accertamento dell'effettiva sussistenza delle condizioni per l'ammissione al beneficio e, in particolare, dal superamento delle soglie di legge. Tale conclusione non sarebbe smentita dal fatto che, per l'integrazione del reato di cui al comma 1, è richiesto il fine di ottenere indebitamente il beneficio o che le informazioni omesse oggetto del comma 2 siano quelle dovute e rilevanti ai fini della revoca o riduzione del beneficio . Entrambi i riferimenti - si osserva - devono essere intesi come diretti a qualificare i dati che sono in sé rilevanti ai fini del controllo, da parte dell'amministrazione erogante, sulla sussistenza dei presupposti per la concessione e il mantenimento del beneficio e a differenziarli da quelli irrilevanti, senza che possa essere lasciata al cittadino beneficiario la scelta su cosa comunicare e cosa omettere. Ciò perché, si ribadisce, il legislatore ha inteso creare un meccanismo di riequilibrio sociale, quale il reddito di cittadinanza, il cui funzionamento presuppone necessariamente una leale cooperazione fra cittadino e amministrazione, che sia ispirata alla massima trasparenza, come emerge anche dai successivi commi dell'art. 7, che disciplinano, non a caso, un'ampia casistica di fattispecie di revoca, decadenza e sanzioni amministrative. A conforto di questa conclusione, Sez. 3, Sacco, cit., richiama i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alla fattispecie penale di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95 in materia di patrocinio a spese dello Stato. Viene richiamato, in particolare, il principio affermato da Sez. U, n. 6591 del 27/11/2008, dep. 2009, Infanti, Rv. 242152 - 01, secondo cui integrano il delitto di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95 le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l'ammissione al beneficio. Orbene, annota Sez. 3, Sacco, la disciplina fissata dal D.L. n. 4 del 2019, art. 7 non si differenzia in maniera essenziale da quella del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95 in quanto entrambe appaiono dirette a sanzionare la violazione del dovere di lealtà del cittadino verso l'amministrazione che eroga una provvidenza in suo favore e non prevedono, perciò, la necessità di accertare la sussistenza in concreto dei requisiti reddituali di legge. Conclusivamente, il reato di cui all'art. 7, cit., e', secondo questo indirizzo, un reato di condotta e di pericolo, in quanto diretto a tutelare l'amministrazione contro mendaci e omissioni circa l'effettiva situazione patrimoniale e reddituale da parte dei soggetti che intendono accedere o già hanno fatto accesso al reddito di cittadinanza Sez. 3, Iuorio . Sicché il reato risulterebbe integrato nel caso di mendacio per totale assenza di requisiti o nel caso di mendacio per ottenere un beneficio maggiore rispetto al dovuto o, infine, nel caso di mendacio non incidente sul diritto a ottenere il sussidio né sull'ammontare del beneficio in tutti questi casi, infatti, viene leso il patto di leale cooperazione tra cittadino e Stato. 4. Un diverso orientamento, inaugurato da Sez. 3, n. 44366 del 15/09/2021, Gulino, Rv. 282336-01, e ribadito da Sez. 2, n. 29910 del 08/06/2022, Pollara, Rv. 283787, ritiene, invece, che integrano il delitto di cui al D.L. n. 4 del 2019, art. 7 soltanto le false indicazioni o le omissioni strumentali al conseguimento del beneficio cui altrimenti l'agente non avrebbe diritto. Nel prendere consapevolmente le distanze dal primo orientamento, la suddetta pronuncia di Sez. 3, Gulino ritiene errata l'opzione ermeneutica che si basa sul parallelismo della fattispecie incriminatrice del D.L. n. 4 del 2019, art. 7 che riguarda il reddito di cittadinanza, con la fattispecie di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95 che riguarda il diverso istituto del gratuito patrocinio a spese dello Stato. Si afferma che, nel prevedere le sanzioni penali in caso di falsità delle o omissioni nelle dichiarazioni sostitutive di certificazione ovvero nelle altre dichiarazioni cui la disposizione fa riferimento, l'art. 95 D.P.R. n. 115, cit., mai richiama, come invece espressamente prevede il D.L. n. 4 del 2019, art. 7 il fatto che attraverso tali falsità od omissioni si sia perseguito il fine di accedere indebitamente ad un beneficio. Con tale avverbio, si osserva, il legislatore ha inteso fare riferimento non tanto ad una volontà di accesso al beneficio messa in atto non iure, in assenza, cioè, degli elementi formali che ne avrebbero consentito l'erogazione, quanto ad una volontà diretta ad un conseguimento di esso contra jus, in assenza, cioè, degli elementi sostanziali per il suo riconoscimento il riferimento alla natura indebita del beneficio sottende, appunto, secondo Sez. 3, Gulino, la mancanza degli elementi per la instaurazione del rapporto obbligatorio sostanziale a carico dello Stato. Ragionando diversamente si giungerebbe alla conseguenza di sanzionare penalmente la violazione di un obbligo privo di concreta offensività, laddove, si osserva, appare più in linea con il principio di necessaria offensività del reato ritenere che con l'espressione al fine di ottenere indebitamente il beneficio il legislatore abbia inteso tipizzare in termini di concretezza il pericolo che potrebbe derivare dalla falsità delle dichiarazioni presentate per il conseguimento del reddito di cittadinanza. La rilevanza penale della condotta sussiste, pertanto, nei soli casi in cui l'intenzione dell'agente sia quella di conseguire un beneficio altrimenti non dovuto. In linea con la sentenza Gulino, Sez. 2, Pollara, cit., precisa che il dolo specifico richiesto al fine dell'integrazione del reato di cui all'art. 7 D.L. n. 4, cit., non può ridursi alla verifica dell'atteggiamento psicologico 1 enuto dal soggetto agente, indipendentemente dalla idoneità della condotta nel perseguire l'obiettivo descritto dalla norma l'indebito ottenimento della prestazione , risultando più aderente ad una concezione del principio di offensività, coerente con i canoni costituzionali, una lettura della fattispecie incriminatrice in termini di reato di pericolo concreto, dovendosi apprezzare la capacità della condotta ad incidere sulla rappresentazione falsata e astrattamente idonea ad attribuire all'agente il possesso di requisiti mancanti per fruire della misura in esame. Il dolo specifico assolve, nella presente fattispecie e coerentemente con una delle sue funzioni tipiche, il compito di restringere l'area della penale rilevanza alle sole condotte finalizzate all'ottenimento di un beneficio altrimenti non dovuto. Il nesso funzionale tra le condotte lato sensu fraudolente e l'effettiva indebita percezione del contributo economico trova conferma - secondo Sez. 2, Pollara - anche nel sistema dei controlli e delle verifiche delle istanze di accesso alla misura, atteso che l'obbligo di trasmissione all'autorità giudiziaria della documentazione amministrativa contenente i risultati delle verifiche condotte, posto a carico dei soggetti pubblici cui è affidata tale attività di vigilanza, è previsto per le ipotesi in cui dalle comprovate dichiarazioni mendaci sia derivato il conseguente accertato illegittimo godimento del Rdc D.L. n. 4 del 2019, art. 7, comma 14 . 5. Le Sezioni Unite aderiscono al secondo orientamento. L'argomento utilizzato dal primo orientamento per sostenere l'irrilevanza della sussistenza dei requisiti per ottenere il Rdc e la conseguente superfluità del relativo accertamento si fonda su un parallelismo il confronto con il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95 e su una individuazione del bene tutelato dalla norma incriminatrice il dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni dalle quali riceve un beneficio economico niente affatto convincenti. Il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95, sanziona con la reclusione da uno a cinque anni le falsità o le omissioni nella dichiarazione sostitutiva di certificazione, nelle dichiarazioni, nelle indicazioni e nelle comunicazioni previste, ai fini dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, dall'art. 79, comma 1, lett. b , c e d . Si tratta, in particolare delle informazioni relative alle generalità del richiedente il beneficio e dei componenti la sua famiglia e relativi codici fiscali lett. b delle informazioni relative alla sussistenza delle condizioni di reddito previste per l'ammissione al patrocinio, con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali fini, determinato secondo le modalità indicate nell'art. 76 D.P.R. n. 115, cit. lett. c dell'impegno a comunicare, nella pendenza del processo, ogni variazione rilevante dei limiti di reddito lett. d . Prevede inoltre che, se dal fatto consegue l'ottenimento o il mantenimento dell'ammissione al patrocinio, la pena è aumentata. Sul piano strutturale, mentre il reato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95 richiede il dolo generico, quello di cui al D.L. n. 4 del 2019, art. 7, richiede il dolo specifico di ottenere indebitamente il Rdc, essendo irrilevante, ai fini della sussistenza del reato, l'effettivo conseguimento del beneficio l'ottenimento o il mantenimento del patrocinio a spese dello Stato, quale conseguenza delle falsità od omissioni aggravano invece il reato di cui all'art. 95 cit La falsità nella dichiarazione sostitutiva di cui all'art. 79, comma 1, lett. c , penalmente sanzionata dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95, inoltre, è correlata alla ammissibilità dell'istanza, non a quella del beneficio richiesto così, in motivazione, Sez. U, n. 6591 del 27/11/2008, dep. 2009, Infanti, cit. le falsità e le omissioni sanzionate dal D.L. n. 4 del 2019, art. 7, riguardano invece i requisiti di ammissione e mantenimento del beneficio. Divergono profondamente, inoltre, i contesti procedimentali nei quali i due reati sono collocati. La procedura prevista per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato nel processo penale è informata alla massima celerità e snellezza, trattandosi di istituto finalizzato ad assicurare e a rendere effettivo il diritto di difesa nell'ambito di un processo penale pendente. Per questo motivo il Giudice che procede, verificata l'ammissibilità dell'istanza, entro dieci giorni dalla data di presentazione dell'istanza stessa, ammette l'interessato al patrocinio dello Stato se, alla stregua della dichiarazione sostitutiva prevista dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 79, comma 1, lett. c , ricorrono le condizioni di reddito cui l'ammissione al beneficio è subordinata D.P.R. n. 115 del 2002, art. 96, comma 1 . La documentazione integrativa eventualmente richiesta dal Giudice ai sensi dell'art. 79, comma 3, può essere sostituita, in caso di impossibilità, da una dichiarazione sostitutiva di certificazione da parte dell'interessato art. 94, comma 1, D.P.R. n. 115, cit. . Il Giudice può respingere l'istanza se, tenuto conto degli indicatori richiamati dall'art. 96, comma 2, ha motivo di credere che l'interessato non versi nelle condizioni previste per l'ammissione al patrocinio a tal fine, può trasmettere l'istanza e la relativa dichiarazione sostitutiva alla Guardia di finanza per le necessarie verifiche, ma deve comunque decidere nei dieci giorni successivi alla presentazione dell'istanza stessa. Quando si procede per uno dei delitti previsti dall' art. 51 c.p.p. , comma 3-bis, o nei confronti di persona proposta o sottoposta a misura di prevenzione, il Giudice deve preventivamente chiedere al questore, alla Direzione investigativa antimafia e alla Direzione nazionale antimafia le informazioni necessarie e utili relative al tenore di vita dell'interessato, alle sue condizioni personali e familiari e alle attività economiche eventualmente svolte art. 96, comma 3 ciò nondimeno la decisione deve essere adottata nei dieci giorni successivi alla presentazione dell'istanza art. 96, comma 4 . Normalmente i controlli sono effettuati dopo l'adozione del decreto di ammissione e se, a seguito degli accertamenti dell'ufficio finanziario competente, risulta che il beneficio è stato erroneamente concesso, l'ufficio finanziario stesso ne chiede la revoca D.P.R. n. 115 del 2002, art. 98, u.c., . La revoca del decreto di ammissione è altresì obbligatoria nei casi stabiliti dall'art. 112, commi 1 e 2, D.P.R. n. 115, cit Anche il procedimento finalizzato all'eventuale erogazione del Rdc deve essere definito in tempi brevi, ma non con quell'immediatezza richiesta per assicurare al non abbiente la difesa nel processo penale pendente, dovendo essere effettuato, come visto, al più tardi, entro la fine del mese successivo alla trasmissione della domanda. Nel procedimento per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, i controlli preventivi sulla corrispondenza al vero dei dati comunicati con la domanda dell'interessato sono, per la maggior parte dei casi, eventuali, superabili anche con dichiarazione sostitutiva di certificazione, e di certo non condizionano perlomeno non nell'immediato la decisione, considerato che il Giudice deve comunque assumere le proprie determinazioni entro dieci giorni dalla presentazione dell'istanza. La domanda di Rdc è invece sottoposta ad una sia pur minima attività istruttoria finalizzata alla verifica del possesso dei requisiti per l'accesso al beneficio. E' interessante, da questo punto di vista, notare come il legislatore imponga all'INPS la verifica del possesso dei requisiti per l'accesso del Rdc D.L. n. 4 del 2019, art. 5, comma 3 non di quelli dichiarati nella domanda o nella DSU cui la stessa faccia eventualmente riferimento. Nel caso di ammissione al patrocinio a spese dello Stato nel processo penale i dati comunicati con la domanda assumono, dunque, un ruolo pressoché decisivo e ciò spiega l'evocazione del dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni dalle quali egli riceve un beneficio economico, dovere la cui violazione rende superflua la verifica della possibile sussistenza, in concreto, delle condizioni di ammissione al beneficio stesso. Va peraltro rimarcato che la giurisprudenza più recente in tema di patrocinio a spese dello Stato nel processo penale tende a superare l'eccessivo rigore del principio affermato da Sez. U, Infanti, richiedendo, in caso di oggettiva sussistenza delle condizioni di ammissione al beneficio, che il dolo generico del reato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95 venga rigorosamente provato Sez. 4, n. 35969 del 29/05/2019, Arlotta, Rv. 276862-01 Sez. 4, n. 4623 del 15/12/2017, dep. 2018, Rv. 271949-01 Sez. 4, n. 45786 del 04/05/2017, Bonofiglio, Rv. 27105101 Sez. 4, n. 21577 del 21/04/2016, Bevilacqua, Rv. 267307-01 . Le stesse Sezioni Unite, con sentenza n. 14723 del 19/12/2019, dep. 2020, Pacino, Rv. 278871-01, hanno successivamente affermato il principio di diritto secondo il quale la falsità o l'incompletezza della dichiarazione sostitutiva di certificazione prevista dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 79, comma 1, lett. c non comporta, qualora i redditi effettivi non superino il limite di legge, la revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, che può essere disposta solo nelle ipotesi espressamente disciplinate dal D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 95 e 112 . E' significativo notare che la pronuncia richiama, facendone argomento di decisione, l'indirizzo giurisprudenziale di cui al capoverso che precede in tema di prova rigorosa del dolo generico del reato di cui all'art. 95, cit In conclusione, la diversità strutturale dei due reati, quello di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95 e quello di cui al D.L. n. 4 del 2019, art. 7, nonché dei relativi contesti procedimentali, l'uno quello finalizzato all'ammissione del patrocinio a spese dello Stato informato alla massima speditezza, l'altro quello finalizzato all'erogazione del Rdc scandito da una sia pur minima istruttoria che, in ogni caso, non contempla l'intervento sostitutivo del richiedente il beneficio il quale non può autocertificare le informazioni mancanti o carenti il fatto, inoltre, che oggetto della condotta decettiva tipizzata dall'art. 95 D.P.R. n. 115, cit., sono le informazioni ritenute necessarie per la ammissibilità della domanda, mentre oggetto della condotta sanzionata dall'art. 7, comma 1, D.L. n. 4, cit., sono i dati essenziali alla erogazione stessa del beneficio, sono argomenti che ostano ad improbabili parallelismi essendo i termini di paragone indiscutibilmente eterogeni, tanto sotto il profilo strutturale, quanto sotto quello funzionale. 6. Non convince, inoltre, la teorizzazione di un dovere cli lealtà del cittadino verso le istituzioni dalle quali riceve un beneficio economico richiamato, in particolare, da Sez. 3, Sacco, cit., da Sez. 3, n. 5290, Sciortino, e, più in generale, dalle sentenze che aderiscono all'orientamento qui disatteso. Questo dovere di lealtà , infatti, sembra costituire il corrispettivo di un beneficio graziosamente concesso al cittadino, piuttosto che in forza di un diritto espressamente riconosciuto per legge sulla base di dati oggettivi e verificabili. Si tratta, pertanto, di una prospettiva che riduce il bere giuridico tutelato dal D.L. n. 4 del 2019, art. 7, a vuoto guscio privo di sostanza concreta che attrae a sé, rendendoli punibili, anche fatti del tutto inoffensivi. Il Rdc, infatti, è comunque riconducibile al rapporto tra amministrazione e società che, secondo l'impostazione costituzionale, non è un rapporto di imperio ma strumentale alla cura degli interessi di quest'ultima Corte Cost., sent. n. 341 del 1994 , sicché ciò che giustifica la sanzione penale non è la violazione di un generico dovere di lealtà , bensì il fatto che il mendacio possa ledere o effettivamente leda gli interessi pubblici alla cui tutela il beneficio economico è finalizzato. Il principio di necessaria offensività, costituzionalizzato dal combinato disposto di cui all' art. 3 Cost. , art. 13 Cost. , commi 1, 2 e 3, art. 25 Cost. , comma 2, e art. 27 Cost. , commi 1 e 3, ed espressamente riconosciuto anche dal legislatore ordinario art. 49 c.p. , comma 2, ma, prima ancora, art. 2 c.p. , nella parte in cui esclude la punibilità di un fatto che per la legge posteriore successiva non costituisce reato L. 24 dicembre 2012, n. 234, art. 32, comma 1, lett. d , che, in materia di principi e criteri direttivi generali di delega per l'attuazione del diritto dell'Unione Europea, dispone che le sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell'ammenda fino a 150.000 Euro e dell'arresto fino a tre anni, sono previste, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti , pone un limite di rango costituzionale alla discrezionalità del legislatore in materia di previsione delle fattispecie penalmente rilevanti. Il principio di offensività opera ininterrottamente dal momento della astratta predisposizione normativa a quello della applicazione concreta da parte del Giudice, con conseguente distribuzione dei poteri conformativi tra Giudice delle leggi e autorità giudiziaria, alla quale soltanto compete di impedire, con un prudente apprezzamento della lesività in concreto, una arbitraria ed illegittima dilatazione della sfera dei fatti da ricondurre al modello legale Corte Cost., sent. n. 263 del 2000 ordinanza n. 30 del 2007 nello stesso senso anche Corte Cost. sentenze n. 360 del 1995 , n. 247 del 1997 , n. 133 del 1992 , n. 333 del 191, n. 144 del 1991 . Ancor più recentemente, il Giudice delle leggi ha ribadito che il principio di offensività opera su due piani distinti. Da un lato, cioè, corne precetto rivolto al legislatore, diretto a limitare la repressione penale a fatti che, nella loro configurazione astratta, esprimano un contenuto offensivo di beni o interessi ritenuti meritevoli di protezione offensività in astratto dall'altro, come criterio interpretativo-applicativo affidato al G., il quale, nella verifica della riconducibilità della singola fattispecie concreta al paradigma punitivo astratto, dovrà evitare che ricadano in quest'ultimo comportamenti privi di qualsiasi attitudine lesiva offensività in concreto Corte Cost., sentenza n. 139 del 2023 , che richiama le sentenze n. 211 del 2022 , n. 278 e n. 141 del 2019, n. 109 del 2016, n. 265 del 2005, n. 263 del 2000, cit., e n. 360 del 1995 . Peraltro, precisa la Corte, il principio di offensività in astratto non implica che l'unico modello, costituzionalmente legittimo, sia quello del reato di danno. Rientra, infatti, nella discrezionalità del legislatore optare per forme di tutela anticipata, le quali colpiscano l'aggressione ai valori protetti nello stadio della semplice esposizione a pericolo, nonché, correlativamente, individuare la soglia di pericolosità alla quale riconnettere la risposta punitiva sentenze n. 211 del 2022, n. 141 del 2019, n. 109 del 2016 e n. 225 del 2008 prospettiva nella quale non è precluso, in linea di principio, il ricorso al modello del reato di pericolo presunto sentenze n. 211 del 2022, n. 278 e n. 141 del 201.9, n. 109 del 2016, n. 247 del 1997, n. 360 del 1995, n. 133 del 1992 e n. 333 del 1991 . Dunque, il generico dovere di lealtà , posto a fondamento dell'indirizzo ermeneutico qui disatteso, costituisce una giustificazione tautologica della potestà punitiva dello Stato prohibitum quia prohibitum che deve cedere il passo di fronte a possibili spiegazioni alternative della penale rilevanza della condotta più aderenti al principio di offensività. 7. Il reato di cui al D.L. n. 4 del 2019, art. 7 è reato di pericolo concreto a consumazione anticipata posto a presidio delle risorse pubbliche economiche destinate a finanziare il Rdc impedendone la dispersione a favore di chi non ne ha o non ne ha più diritto o ne ha diritto in misura minore. E' reato posto a tutela del patrimonio dell'ente erogante e, in particolare, delle specifiche e limitate risorse destinate all'erogazione del beneficio ed al perseguimento del fine pubblico ad esso sotteso. A sostegno di tale conclusione militano vari argomenti, il primo dei quali ha natura letterale e riguarda l'interpretazione dell'avverbio indebitamente che qualifica il dolo specifico. La lettura che propone l'indirizzo qui non accolto ne rende sostanzialmente inutile l'inserimento nella fattispecie non si comprende, cioè, per quale ragione, venendo in rilievo il dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni, il legislatore non abbia ritenuto sufficiente il solo fine di ottenere il beneficio ma abbia ritenuto necessario il fine di ottenerlo indebitamente . Sarebbe stato sufficiente pretendere la consapevolezza della falsità delle informazioni date o della doverosità di quelle omesse per ritenere punibile la condotta posta in essere nella prospettiva del conseguimento del risultato. In altre parole, se il reato sussistesse a prescindere dall'effettivo diritto dell'interessato a ottenere il beneficio, l'avverbio indebitamente finirebbe per attribuire al dolo specifico lo stesso contenuto di quello generico l'agente verrebbe punito perché rende dichiarazioni consapevolmente false o scientemente omette informazioni dovute nella prospettiva di conseguire il beneficio pur sapendo di rendere, a tal fine, dichiarazioni false o di omettere informazioni dovute. Ben più coerente con il dato testuale è la soluzione che attribuisce all'avverbio indebitamente un contenuto autonomo che qualifica il dolo specifico diversificandolo rispetto alla mera consapevolezza della falsità delle informazioni date o omesse per ottenere il beneficio. L'altro argomento ha natura sistematica e riguarda il rapporto tra il reato di cui al D.L. n. 4 del 2019, art. 7, comma 1, e quello di cui al comma 2 del medesimo articolo. L'interpretazione qui accolta rende più armonico il rapporto tra le due fattispecie di reato sanzionate dal medesimo articolo. Non v'e' dubbio, infatti, che l'omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, nonché delle altre informazioni dovute ai fini della revoca o della riduzione del beneficio è penalmente sanzionata, purché i dati non comunicati siano rilevanti. L'omessa comunicazione di dati non rilevanti costituisce puramente e semplicemente un fatto atipico che non reca alcuna offesa al patrimonio e agli interessi pubblici dell'ente erogante. L'indirizzo qui disatteso postula necessariamente la diversità dei beni tutelati dalle due fattispecie il dovere di lealtà nei confronti dell'ente erogante, nel comma 1, e il patrimonio dell'ente, nel comma 2. Non si comprende perché tale dovere di lealtà dovrebbe cessare una volta ottenuto il beneficio e perché non permei di sé anche il compito del beneficiato di rendere edotto l'ente pubblico di ogni variazione delle condizioni che legittimano la persistente erogazione del Rdc. Si potrebbe obiettare che la rilevanza dell'informazione omessa comma 2 per evitare la revoca o la riduzione del beneficio non qualifica, ai sensi del comma 1, ancie le informazioni omesse per ottenere il beneficio stesso. Questa obiezione non spiega, però, perché, in caso di decadenza dal beneficio nei casi previsti dal comma 6 dell'art. 7, l'ente debba recuperare solo quanto versato in eccesso e non l'intero ammontare delle somme corrisposte a titolo di Rdc. Il comma 6 dell'art. 7, infatti, prevede, quale specifico motivo di decadenza, la percezione del Rdc in misura maggiore rispetto a quanto sarebbe spettato al nucleo familiare per effetto di dichiarazione mendace in sede di DR o di altra dichiarazione nell'ambito della procedura di richiesta del beneficio, ovvero per effetto dell'omessa presentazione delle prescritte comunicazioni . Il legislatore ha dunque espressamente contemplato la possibilità che l'interessato ottenga il beneficio in misura maggiore del dovuto anche per effetto di dichiarazione mendace. Ma se venisse in rilievo il dovere di lealtà nei confronti dell'ente erogatore non si comprenderebbe il motivo per il quale la decadenza non determini il recupero totale di quanto versato, piuttosto che di quanto versato in eccesso . Tale conclusione consente di affermare che il reato previsto dal comma 1 dell'art. 7, cit., sussiste anche quando l'agente agisce nella prospettiva di ottenere più del dovuto e di attribuire, dunque, all'avverbio indebitamente' un contenuto più ampio, non limitato alla sola prospettiva di ottenere il beneficio senza averne diritto, ma anche a quella di ottenere il beneficio in misura maggiore del dovuto. Il fatto che in quest'ultimo caso il legislatore abbia espressamente previsto il recupero di quanto versato in eccesso , costituisce ulteriore prova che anche il bene tutelato dal comma 1 dell'art. 7 è il patrimonio dell'ente, non già un generico dovere di lealtà nei suoi confronti. Tale conclusione rende omogeneo ed unico il bene tutelato dalle due fattispecie di reato le condotte ivi previste non costituiscono altro che modalità diverse di aggressione a tale unico bene in costanza della diversità del presupposto la mancanza del beneficio e la prospettiva di ottenerlo , nel primo caso il suo godimento nel secondo. Il minimo comune denominatore di entrambe le fattispecie penali, quella di cui al comma 1 e quella di cui al D.L. n. 4 del 2019, art. 7, comma 2 è dunque costituito dal patrimonio o dalle risorse economiche dell'ente e dal fine che con il suo utilizzo si intende perseguire. Il patrimonio non rileva come bene di proprietà ma come strumento per il raggiungimento di determinati obiettivi non rileva l'aspetto statico, bensì quello dinamico sullo sfondo s'intravede l'interesse pubblico leso anche solo potenzialmente dall'azione di chi sottrae risorse per perseguirlo. Per l'erogazione del Rdc e della pensione di cittadinanza , infatti, sono state stanziate somme da iscrivere su apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali denominato Fondo per il reddito di cittadinanza , destinato ad essere alimentato almeno fino al 2022, con gli importi indicati dal D.L. n. 4 del 2019, art. 12, comma 1. Le somme sono trasferite annualmente all'INPS su apposito conto corrente di tesoreria centrale ad esso intestato, da cui sono prelevate le risorse necessarie per l'erogazione del beneficio da trasferire sul conto acceso presso Poste Italiane con cui è stipulata apposita convenzione. Con circolare del 20 marzo 2019, n. 4, l'INPS ha espressamente previsto che i n caso di esaurimento delle risorse disponibili per l'esercizio di riferimento, con decreto del Ministro del Lavoro e delle politiche. sociali, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle finanze, da adottarsi entro trenta giorni dall'esaurimento di dette risorse, è ristabilita la compatibilità finanziaria mediante rimodulazione dell'ammontare del beneficio. Nelle more dell'adozione del suddetto decreto, l'acquisizione di nuove domande e le erogazioni sono sospese analoga previsione è contenuta nella circolare dell'Istituto del 5 luglio 2019 . L'indebita percezione o fruizione del Rcic, dunque, distrae le somme messe a disposizione per finanziarne l'erogazione a danno diretto dell'ente pubblico erogatore e indiretto di chi avrebbe diritto di godere del beneficio. Deve escludersi che il reato di cui al D.L. n. 4 del 2019, art. 7, comma 1, sia posto a tutela della fede pubblica e che si risolva in un reato di falso. Non necessariamente, del resto, il fatto che una fattispecie contempli, per la consumazione del reato, l'indicazione di dati falsi o il silenzio su fatti veri legittima tale conclusione prova ne sia che il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 non è posto a tutela della fede pubblica bensì del dovere, costituzionalmente sancito, di concorrere alle spese pubbliche n ragione, ognuno, della propria capacità contributiva art. 53 Cost. , comma 1, . Ascrivere il delitto di cui al D.L. n. 4 del 2019, art. 7 alla categoria dei reati contro la fede pubblica equivarrebbe a spostarne il disvalore dall'evento alla condotta e a svuotare di senso l'avverbio indebitamente che qualifica il movente tipizzato dell'azione il dolo specifico . La previsione del dolo specifico non costituisce, quindi, nel caso di specie, un inedito nella materia del falso e, ancor più, in quella delle falsità nelle c.d. autodichiarazioni così il Procuratore generale nella sua memoria perché il reato di cui al D.L. n. 4 del 2019, art. 7, comma 1, non si colloca nella tradizione sanzionatoria dei delitti di falso, né è norma speciale rispetto al reato di cui al D.P.R. n. 445 del 2000, art. 76 . La specifica previsione del finalismo della condotta decettiva è frutto della scelta del legislatore di anticipare la tutela penale al momento della domanda piuttosto che a quello dell'erogazione del beneficio e proietta il reato fuori dall'ambito della tutela della fede pubblica collocandola in quella dell'aggressione alle risorse dell'ente pubblico specificamente destinate all'erogazione del beneficio. Il dolo specifico, in questo contesto, svolge una funzione selettiva tra condotte penalmente rilevanti e quelle che tali non sono, estromettenco dalla fattispecie quelle insuscettibili di mettere in pericolo il bene protetto. Se l'agente ha comunque diritto al beneficio, la non corrispondenza al vero delle informazioni a tal fine rese non qualifica il falso come inutile , ma rende puramente e semplicemente atipica la condotta, dovendosi escludere la natura indebita del beneficio stesso viene meno, cioè, un elemenl o del fatto tipico. Il dolo specifico, nel caso di specie, non si limita a tipizzare il movente dell'azione ma assolve anche allo scopo di qualificare la condotta, costituendo, sul piano ogge tivo, un elemento della fattispecie rivelatore dell'offesa che si intende prevenire e punire . La prospettiva ermeneutica da cui muove il Procuratore generale, pur nell'identità delle conclusioni cui perviene, e', invece, radicalmente diversa perché muove dalla erronea premessa che il delitto di cui all'art. 7, comma 1, cit., sia un reato contro la fede pubblica laddove, per le ragioni ampi2mente illustrate, è delitto contro il patrimonio dell'ente che eroga il beneficio mettendo a repentaglio le risorse destinate ad alimentarlo. L'anticipazione della tutela qualifica il delitto in questione come reato di pericolo concreto laddove l'interpretazione qui confutata lo qualifica come reato di pericolo astratto la cui declinazione applicativa, però, non potrebbe mai sfuggire alla verifica, in concreto, della idoneità della condotta tipica a ledere gli interessi tutelati dalla minaccia della sanzione penale anche nei reati di pericolo presunto, il Giudice deve escludere la punibilità di fatti pure corrispondenti alla formulazione della norma incriminatrice, quando alla luce delle circostanze concrete manchi ogni ragionevole possibilità di produzione del danno Corte Cost., sent. n. 123 del 2023 . 8. In conclusione, deve essere affermato il seguente principio di diritto Le omesse o false indicazioni di informazioni contenute nell'autodichiarazione finalizzata a conseguire il reddito di cittadinanza integrano il delitto di cui al D.L. 28 gennaio 2014, n. 4 , art. 7, conv. in L. 28 marzo 2019, n. 26 solo se funzionali ad ottenere un beneficio non spettante ovvero spettante in misura superiore a quella di legge . 9. In applicazione del principio di diritto, il primo motivo di ricorso è fondato e assorbente. Aderendo all'indirizzo ermeneutico qui disatteso, la Corte di appello ha omesso di accertare se, ed in che misura, l'infedele rappresentazione della consistenza del patrimonio immobiliare del ricorrente poteva incidere sull'au o sul quantum del beneficio richiesto ed ottenuto . Ne' dalla lettura delle sentenze di primo e di secondo grado emerge l'irrilevanza della falsità e la persistente sussistenza delle condizioni per ottenere comunque il beneficio. La contraria postulazione difensiva non trova riscontro, né è scrutinabile in questa sede di legittimità mediante l'accesso al contenuto del fascicolo del dibattimento. Sarà compito del Giudice rescissorio procedere all'accertamento sollecitato in appello e non effettuato e dare risposta agli altri motivi. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Napoli.