Da “Abogado” ad “Avvocato”: recap dell’iter dalle Sezioni Unite

Va rifiutata la richiesta nell’albo degli Avvocati ordinario dell’Abogado che nel triennio di riferimento documenta la propria attività stragiudiziale in 4 procedimenti senza far emergere il grado del suo apporto. Tale attività non risponde alle prescrizioni ex art. 13 del d.lgs. n. 96/2001 circa il requisito dell’esercizio effettivo e regolare della professione di avvocato, nonché dell’art. 12 della stessa legge, considerata la natura minimale” della collaborazione e la tipologia di attività ed atti”, in soli 4 procedimenti giudiziari in un triennio.

Il rigetto della dispensa dalla prova attitudinale Il CNF aveva rigettato il ricorso presentato da un Abogado contro la decisione di un COA, con cui era stata rifiutata l'iscrizione nell'Albo ordinario, previa dispensa dalla prova attitudinale ex articolo 8 d.lgs. n. 115/1992, ai sensi dell' articolo 12 e ss. del d.lgs. 96/2001 , su istanza presentata dallo stesso, quale avvocato stabilito o integrato. Il CNF, rilevata la funzione del COA, della dispensa della prova attitudinale nella necessità di apprestare tutela alla funzione giudiziaria nel nostro stato, evitando che possano operare professionisti poco qualificati o all'oscuro delle peculiarità del diritto italiano, con un potere istruttorio, di ampio spettro, di verifica delle attività di fatto svolte in Italia dall'Abogado, ha evidenziato che, nella specie, il COA avesse compiuto l'istruttoria garantendo il contraddittorio e la piena esplicazione del diritto di difesa all'interessato, e avesse correttamente vagliato il requisito richiesto per l'esonero dalla prova attitudinale, dell'esercizio della professione forense, effettivo, regolare, col titolo professionale di origine, per un periodo non inferiore a 3 anni, avuto riguardo a durata, frequenza, periodicità e continuità delle prestazioni, nonché al numero dei clienti ed al giro di affari , rilevando che, nei 3 anni previsti dalla disciplina, l'Abogado si era limitato a collaborazioni riferibili a soli 4 procedimenti giudiziari, senza peraltro che fosse emerso con chiarezza quale fosse stato il suo apporto, mentre era rimasto indimostrato il presupposto che richiede un adeguato numero di clienti e il correlato giro d'affari” realizzato. La normativa Il d.lgs. n. 96/2001 , attuando la direttiva 98/5/CE volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale, all'articolo 12 elenca le condizioni per l'”Integrazione nella professione di avvocato”, all'articolo 13 regola il Procedimento per la dispensa ”, all'articolo 14 disciplina invece l'”Attività di durata inferiore nel diritto nazionale”. L'orientamento della Corte UE La Corte di Giustizia ha chiarito che il diritto dei cittadini di uno Stato membro di scegliere, da un lato, lo Stato membro nel quale desiderano acquisire il loro titolo professionale e, dall'altro, quello in cui hanno intenzione di esercitare la loro professione è inerente all'esercizio, in un mercato unico, delle libertà fondamentali garantite dai Trattati. Per l'effetto, la circostanza che un cittadino di uno Stato membro che ha conseguito una laurea in tale Stato si rechi in un altro Stato membro al fine di acquisirvi la qualifica professionale di avvocato e faccia in seguito ritorno nello Stato membro di cui è cittadino per esercitarvi la professione di avvocato , con il titolo professionale ottenuto nello Stato membro in cui tale qualifica è stata acquisita, costituisce uno dei casi in cui l'obiettivo della direttiva 98/5 è conseguito e non può costituire, di per sé, un abuso del diritto di stabilimento risultante dall'articolo 3 della direttiva 98/5. I casi di abuso del diritto Le pronunce giurisprudenziali della Corte, tuttavia, riconoscono anche l'interesse dello Stato a impedire che si eludano le leggi nazionali in materia di preparazione professionale Corte giust. UE, 7.2.1979, causa C-115/78, infra, sez. III , dando vita a fenomeni di abuso del diritto . I diritti riconosciuti dall'UE, al pari di quelli attribuiti dal diritto interno, si prestano a essere esercitati in modo non conforme alle finalità per cui sono stati attribuiti dal legislatore, dando vita a un abuso del diritto. L'orientamento delle Sezioni Unite Lo stesso consesso Cass. civ., sez. un., n. 28340/11 aveva chiarito che il soggetto munito di equivalente titolo professionale di altro Paese membro, avvalendosi del procedimento di stabilimento/integrazione” previsto dalla direttiva 98/5/Ce, volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica , è legittimato a chiedere l'iscrizione nella Sezione speciale dell'Albo italiano del Foro ove intende eleggere domicilio professionale in Italia, utilizzando il proprio titolo d'origine nella specie, quello spagnolo di Abogado ” e, al termine di 3 anni di effettiva attività in Italia, d'intesa con un avvocato iscritto nell'Albo italiano, può̀ chiedere di essere integrato” col titolo di avvocato italiano e l'iscrizione all'Albo ordinario, dimostrando al COA effettività e regolarità dell'attività svolta in Italia come professionista comunitario stabilito. A ciò si aggiunga che, nella pronuncia n. 5073/2016, avevano affermato un principio di diritto L'avvocato stabilito, che abbia acquisito la qualifica professionale in altro Stato membro dell'Unione Europea, può ottenere la dispensa dalla prova attitudinale di cui all' articolo 8 del d.lgs. n. 115 del 1992 , se - nel rispetto delle condizioni poste dall' articolo 12 del d.lgs. n. 96 del 2001 , di attuazione della direttiva 98/5/CE volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale - abbia esercitato in Italia, in modo effettivo e regolare, la professione con il titolo professionale di origine per almeno tre anni, a decorrere dalla data di iscrizione nella sezione speciale dell'albo degli avvocati, tale presupposto non essendo, invece, integrato ove l'avvocato stabilito abbia esercitato la professione, seppur in buona fede, con il titolo di avvocato invece che con quello professionale di origine . La dispensa dalla prova attitudinale E' prevista dall' articolo 12 del d.lgs. 96/2001 e rispetto alla quale si è precisato che l' articolo 12 d.lgs. 2 febbraio 2001, n. 96 , di attuazione della direttiva 98/5/CE volta a facilitare l' esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale , prevede le condizioni per la dispensa dalla prova attitudinale di cui all' articolo 8 d.lgs. n. 115/1992 , stabilendo che l'avvocato stabilito debba avere, per almeno tre anni a decorrere dalla data di iscrizione nella sezione speciale dell'albo degli avvocati, esercitato in Italia in modo effettivo e regolare” la professione con il titolo professionale di origine”, aggiungendo che per esercizio effettivo e regolare della professione si intende l'esercizio reale dell'attività professionale svolta, senza interruzioni che non siano quelle dovute agli eventi della vita quotidiana quindi, al fine di conseguire la dispensa suddetta, l'esercizio della professione forense da parte dell'avvocato stabilito deve essere a di durata non inferiore a tre anni scomputando gli eventuali periodi di sospensione b effettivo e quindi non formale o addirittura fittizio c regolare e quindi nel rispetto della legge forense e del codice deontologico d con il titolo professionale di origine, previa iscrizione nell'albo professionale l'esercizio della professione di avvocato senza aver conseguito in Italia la relativa abilitazione ovvero l'iscrizione mediante dispensa ai sensi dell'articolo 12 citato, integra la condotta materiale del reato, ex articolo 348 c.p., di abusivo esercizio di una professione . Il rigetto per mancanza dei presupposti richiesti dalla normativa Le Sezioni Unite osservano che la sentenza del CNF ha accertato che il COA ha proceduto a un'articolata istruttoria, non ritenendo integrati i requisiti necessari per ottenere la dispensa, richiamati col parere n. 178/2018 del CNF, dove si indica come oggetto di valutazione la durata, frequenza, periodicità e continuità delle prestazioni, nonché il numero dei clienti ed il giro di affari”. Sempre per lo stesso collegio, tali motivi involgono una valutazione degli elementi istruttori acquisiti, riservata al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità a fronte di una logica ed esaustiva motivazione. Il COA aveva rilevato che l'unica attività documentata svolta dall' Abogado nel triennio era consistita solo in collaborazioni” attività stragiudiziale in 4 procedimenti giudiziari e peraltro non era emerso con chiarezza neppure quale fosse stato il grado del suo apporto. Si è quindi rilevato, nella deliberazione impugnata, che tale attività non rispondeva alle prescrizioni dell' articolo 13 d.lgs. n. 96/2001 , circa il requisito dell'esercizio effettivo e regolare della professione di avvocato, e dell'articolo 12 della stessa legge, considerata la natura minimale” della collaborazione e la tipologia di attività ed atti”, in soli 4 procedimenti giudiziari in tre anni.

Presidente D'Ascola – Relatore Iofrida Fatti di causa Il Consiglio Nazionale Forense, con sentenza n. 27/2021, ha respinto il ricorso presentato dall'Abogado G.P. avverso la decisione del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di del 3/10/2018, con la quale era stata rifiutata l'iscrizione nell'Albo ordinario, previa dispensa dalla prova attitudinale di cui al D.Lgs. n. 115 del 1992, art. 8, ai sensi del D.Lgs. n. 96 del 2001, artt. 12 e segg., su domanda presentata il 30/3/2018, dal G. , quale avvocato stabilito o integrato. In particolare, il CNF, rilevata la funzione, riservata al COA, della dispensa della prova attitudinale nella necessità di apprestare tutela alla funzione giudiziaria in Italia, evitando che possano operare soggetti scarsamente qualificati o all'oscuro delle peculiarità del diritto italiano, con un potere istruttorio, di ampio spettro, di verifica delle attività concretamente svolte in Italia dal professionista, ha evidenziato come, nella specie, il Consiglio dell'Ordine avesse compiuto un'articolata e lunga istruttoria, garantendo il più ampio contraddittorio e una piena esplicazione del diritto di difesa all'interessato con piena corrispondenza tra i provvedimenti di preavviso di rigetto ed il provvedimento conclusivo di diniego , e avesse correttamente vagliato il requisito richiesto ai fini dell'esonero dalla prova attitudinale, dell'esercizio della professione forense, effettivo, regolare, con il titolo professionale di origine, per un periodo non inferiore a tre anni, avuto riguardo a durata, frequenza, periodicità e continuità delle prestazioni, nonché al numero dei clienti ed al giro di affari , rilevando che, nei tre anni previsti dalla normativa nella specie 2015, 2016 e 2017 , il ricorrente si era limitato a collaborazioni , riferibili a pochi quattro procedimenti giudiziari, senza peraltro che fosse emerso con chiarezza quale fosse stato effettivamente il suo apporto, ed era rimasto del tutto indimostrato il presupposto che richiede un adeguato numero di clienti ed il correlato giro d'affari realizzato, risultando anche a-specifiche le testimonianze degli avvocati M. e Z. al più riferibili ad un unico, seppure articolato, contenzioso Iraq/Unicredit . Avverso la suddetta pronuncia, l'Abogado G.P. propone ricorso per cassazione, notificato il 1/4/2021, affidato a sette motivi, nei confronti del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di che resiste con controricorso . Il P.G. ha depositato memoria chiedendo declaratoria di rigetto del ricorso. Il ricorrente ha depositato memoria. Ragioni della decisione 1. Il ricorrente lamenta a con il primo motivo ed il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c. , n. 3, del D.Lgs. n. 96 del 2001, artt. 12, 13, emanato in attuazione della Direttiva 98/5/CE, al fine di facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale, in relazione alla L. n. 247 del 2012, art. 21, e relativo regolamento di attuazione, D.M. n. 47 del 2016 che aveva previsto, all'art. 2, la necessità della trattazione di almeno cinque affari per ciascun anno, anche se l'incarico professionale è stato conferito da altro professionista , requisito, peraltro, abolito dal D.M. n. 174 del 2021 , a fronte di una procedura di infrazione comunitaria avviata dalla Commissione della UE, come dedotto nella memoria dal ricorrente , non postulando l'art. 12 citato, quanto alla dispensa dalla prova attitudinale, un numero minimo di procedimenti annui ovvero l'obbligatorietà dell'esercizio cumulativo di attività giudiziali e stragiudiziali ovvero la verifica di adeguata confidenza con il diritto nazionale b con il terzo motivo, l'eccesso di potere, per avere il COA preteso di subordinare l'iscrizione degli abogados con concessione della dispensa ad un numero minimo di procedimenti patrocinati, con ostacolo frapposto all'integrazione nella professione di avvocato da parte di avvocati comunitari che si siano avvalsi della procedura di stabilimento di cui alla Direttiva 98/5/CE e al D.Lgs. n. 96 del 2001 c con il quarto motivo, la violazione ex art. 360 c.p.c. , n. 3, della L. n. 241 del 1990, art. 10 bis, avendo il COA consentito al ricorrente di presentare osservazioni difensive a fronte dell'inserimento nel diniego dell'istanza di motivi assenti nel c.d preavviso di rigetto d con il quinto motivo, la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c. , n. 4, per mancanza della motivazione, in violazione dell' art. 132 n. 4 c.p.c. e con il sesto motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c. , n. 4, dell' art. 115 c.p.c. , in relazione alla ritenuta non corretta valutazione delle allegazioni fornite in ordine all'attività svolta dal ricorrente, avuto riguardo anche alle testimonianze degli avvocati Z. e M. circa l'attività stragiudiziale prestata nei contenziosi con la Repubblica dell'Iraq f con il settimo motivo, l'eccesso di potere e l'omessa motivazione, non essedo state neppure analizzate le questioni affrontate nei procedimenti giudiziari ritenuti dal COA riferibili al G. e il contratto di assistenza e consulenza legale. 2. Il quadro normativo. Il D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 96 , emanato in attuazione della direttiva 98/5/CE volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale art. 1 della Direttiva , all'art. 12 Integrazione nella professione di avvocato prevede Condizioni. 1. L'avvocato stabilito che per almeno tre anni, a decorrere dalla data di iscrizione nella sezione speciale dell'albo degli avvocati, abbia esercitato in Italia, in modo effettivo e regolare, la professione con il titolo professionale di origine è dispensato dalla prova attitudinale di cui al D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 115, art. 8 . 2 . Per esercizio effettivo e regolare della professione di cui al comma 1 si intende l'esercizio reale dell'attività professionale esercitata senza interruzioni che non siano quelle dovute agli eventi della vita quotidiana. Nel caso di interruzioni dovute ad eventi di altra natura, l'attività svolta è presa in esame se la stessa ha avuto una durata almeno triennale, senza calcolare il periodo di interruzione, e se non vi siano ragioni che ostino ad una valutazione dell'attività come effettiva e regolare. 3. L'avvocato stabilito che è stato dispensato dalla prova attitudinale, se concorrono le altre condizioni previste dalle disposizioni in materia di ordinamento forense, può iscriversi nell'albo degli avvocati e per l'effetto esercitare la professione con il titolo di avvocato . L'art. 13 Procedimento per la dispensa recita 1. La domanda di dispensa si propone al Consiglio dell'ordine presso il quale l'avvocato stabilito è iscritto. 2. La domanda è corredata dalla documentazione relativa al numero e alla natura delle pratiche trattate, nonché dalle informazioni idonee a provare l'esercizio effettivo e regolare dell'attività professionale svolta nel diritto nazionale, ivi compreso il diritto comunitario, per il periodo minimo di tre anni. L'interessato è tenuto a dichiarare l'eventuale esistenza di procedimenti penali o disciplinari a suo carico, pendenti o già definiti nello Stato membro di origine, fornendo al Consiglio ogni ulteriore utile informazione. 3. Il Consiglio dell'ordine verifica la regolarità e l'esercizio effettivo dell'attività esercitata, anche mediante richiesta di informazioni agli uffici interessati e, ove ritenuto opportuno, invita l'avvocato a fornire chiarimenti o precisazioni in ordine agli elementi forniti e alla documentazione prodotta. 4. La deliberazione in merito alla dispensa è assunta dal Consiglio dell'ordine nel termine di tre mesi dalla data di presentazione della domanda o dalla scadenza del termine per la sua integrazione. La deliberazione è motivata e notificata entro quindici giorni all'interessato e al Procuratore della Repubblica, al quale sono altresì trasmessi i documenti giustificativi. Nei dieci giorni successivi il Procuratore della Repubblica riferisce con parere motivato al Procuratore generale presso la Corte di appello. Quest'ultimo e l'interessato possono presentare, entro venti giorni dalla notificazione, ricorso al Consiglio nazionale forense. Il ricorso del pubblico ministero ha effetto sospensivo. La deliberazione è altresì comunicata al Ministero della giustizia per l'esercizio delle funzioni di vigilanza. 5. Anche prima della verifica dell'attività professionale svolta, il Consiglio dell'ordine può rigettare la domanda in pendenza di procedimenti disciplinari per altri gravi motivi, qualora sussistano ragioni di ordine pubblico 6. Qualora il Consiglio non abbia deliberato nel termine stabilito nel comma 4, gli interessati e il pubblico ministero possono presentare ricorso, entro venti giorni dalla scadenza di tale termine, al Consiglio nazionale forense, il quale decide sul merito delle iscrizioni. 7. Tutti i soggetti che, in ragione del loro ufficio, vengono a conoscenza degli elementi e delle informazioni comunque acquisiti nel corso dell'istruttoria della domanda di dispensa sono tenuti al segreto . L'art. 14 Attività di durata inferiore nel diritto nazionale stabilisce che 1. L'avvocato stabilito che per almeno tre anni, a decorrere dalla data di iscrizione nella sezione speciale dell'albo, ha esercitato la professione con il titolo professionale di origine, ma ha trattato pratiche attinenti al diritto nazionale per un periodo inferiore, è dispensato dalla prova attitudinale se l'attività effettiva e regolare svolta e la capacità di proseguirla, da valutare sulla base di un colloquio, consentono di ritenere verificata la condizione di cui all'art. 12, comma 1. 2. Ai fini della dispensa, oltre all'attività effettiva e regolare svolta, si considerano le conoscenze e le esperienze professionali acquisite nel diritto italiano, nonché la partecipazione a corsi o seminari sul diritto italiano, anche relativi all'ordinamento forense e alla deontologia professionale. 3. Il colloquio si svolge davanti al Consiglio dell'ordine di cui all'art. 13, comma 3. 4. Il procedimento per la dispensa è disciplinato dalle disposizioni di cui all'art. 13. 4. Sono fatte salve le disposizioni del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 115 , emanato in attuazione della direttiva n. 89/48/CEE relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni . La Corte di Giustizia ha chiarito che il diritto dei cittadini di uno Stato membro di scegliere, da un lato, lo Stato membro nel quale desiderano acquisire il loro titolo professionale e, dall'altro, quello in cui hanno intenzione di esercitare la loro professione è inerente all'esercizio, in un mercato unico, delle libertà fondamentali garantite dai Trattati v., in tal senso, sentenza Commissione/Spagna, C-286/06, punto 72 . Pertanto, il fatto che un cittadino di uno Stato membro che ha conseguito una laurea in tale Stato si rechi in un altro Stato membro al fine di acquisirvi la qualifica professionale di avvocato e faccia in seguito ritorno nello Stato membro di cui è cittadino per esercitarvi la professione di avvocato, con il titolo professionale ottenuto nello Stato membro in cui tale qualifica è stata acquisita, costituisce uno dei casi in cui l'obiettivo della direttiva 98/5 è conseguito e non può costituire, di per sé, un abuso del diritto di stabilimento risultante dall'art. 3 della direttiva 98/5. I cittadini dell'Unione possono, infatti, invocare le direttive Europee anche per stabilirsi nel proprio Stato di origine e ivi esercitare un'attività di carattere autonomo quando, avvalendosi della libertà di circolazione dell'Unione, hanno ottenuto le proprie qualifiche professionali in uno Stato membro diverso da quello di origine. Si tratta, in sostanza, dei casi in cui un cittadino UE, dopo un periodo di residenza in uno Stato membro durante il quale abbia acquisito titoli o esperienza professionale, intenda farli valere una volta tornato nel Paese di origine. La Corte di giustizia ha accolto un'interpretazione estensiva della libertà di stabilimento per evitare una sorta di discriminazione al contrario fondata sulla nazionalità, in quanto il diritto previsto dall'art. 49 TFUE 52 TCE , oltre ad essere fondamentale nel sistema dell'Unione Europea, non sarebbe pienamente realizzato se gli Stati membri potessero impedire di fruirne a coloro che si sono avvalsi delle possibilità offerte in materia di circolazione e di stabilimento acquisendo grazie ad esse le qualifiche professionali contemplate dalla direttiva in un Paese membro diverso da quello di cui posseggono la cittadinanza. Le pronunce giurisprudenziali della Corte, tuttavia, riconoscono anche l'interesse dello Stato ad impedire che si eludano le leggi nazionali in materia di preparazione professionale Corte giust. UE, 7.2.1979, causa C-115/78, infra, sez. III , dando vita a fenomeni di abuso del diritto. I diritti riconosciuti dall'Unione Europea, al pari di quelli attribuiti dal diritto interno, si prestano ad essere esercitati in modo non conforme alle finalità per cui sono stati attribuiti dal legislatore, dando vita ad un abuso del diritto. La stessa Corte, nella pronuncia del 14/7/2014 cause riunite C-58/13 e C-59/13 , ha esaminato la questione se l'art. 3 della direttiva 98/5 debba ritenersi invalido alla luce dell' art. 4, paragrafo 2, TUE - disposizione secondo cui l'Unione è tenuta a rispettare l'identità nazionale degli Stati membri, insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale - nella misura in cui consente l'elusione della disciplina di uno Stato membro che subordina l'accesso alla professione forense al superamento di un esame di Stato laddove la previsione di siffatto esame è disposta dalla Costituzione di detto Stato e fa parte dei principi fondamentali a tutela degli utenti delle attività professionali e della corretta amministrazione della giustizia , non ravvisando motivi di invalidità della disposizione, in quanto l'art. 3 della direttiva 98/5 riguarda unicamente il diritto di stabilirsi in uno Stato membro per esercitarvi la professione di avvocato con il titolo professionale ottenuto nello Stato membro di origine e non disciplina anche l'accesso alla professione di avvocato nè l'esercizio di tale professione con il titolo professionale rilasciato nello Stato membro ospitante , cosicché una domanda di iscrizione all'albo degli avvocati stabiliti, presentata ai sensi dell'art. 3 della direttiva 98/5, non è tale da consentire di eludere l'applicazione della legislazione dello Stato membro ospitante relativa all'accesso alla professione di avvocato , non incidendo l'art. 3 della direttiva 98/5, nel consentire ai cittadini di uno Stato membro che ottengano il loro titolo professionale di avvocato in un altro Stato membro di esercitare la professione di avvocato nello Stato di cui sono cittadini con il titolo professionale ottenuto nello Stato membro di origine, sulle strutture fondamentali, politiche e costituzionali nè sulle funzioni essenziali dello Stato membro di origine ai sensi dell' art. 4, paragrafo 2, TUE . 3. Questa Corte a Sezioni Unite Cass. civ., sez. un., 22 dicembre 2011, n. 28340 ha affermato che il soggetto munito di equivalente titolo professionale di altro Paese membro, avvalendosi del procedimento di stabilimento/integrazione previsto dalla citata direttiva 98/5/Ce, volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica, può chiedere l'iscrizione nella Sezione speciale dell'Albo italiano del Foro nel quale intende eleggere domicilio professionale in Italia, utilizzando il proprio titolo d'origine quale, per il ricorrente, quello, spagnolo, di abogado e, al termine di un periodo triennale di effettiva attività in Italia d'intesa con un legale iscritto nell'Albo italiano , può chiedere di essere integrato con il titolo di avvocato italiano e l'iscrizione all'Albo ordinario, dimostrando al Consiglio dell'Ordine effettività e regolarità dell'attività svolta in Italia come professionista comunitario stabilito. Le Sezioni Unite, nella pronuncia n. 5073/2016, hanno poi affermato il seguente principio di diritto L'avvocato stabilito, che abbia acquisito la qualifica professionale in altro Stato membro dell'Unione Europea, può ottenere la dispensa dalla prova attitudinale di cui al D.Lgs. n. 115 del 1992, art. 8, se - nel rispetto delle condizioni poste dal D.Lgs. n. 96 del 2001, art. 12, di attuazione della direttiva 98/5/CE volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale - abbia esercitato in Italia, in modo effettivo e regolare, la professione con il titolo professionale di origine per almeno tre anni, a decorrere dalla data di iscrizione nella sezione speciale dell'albo degli avvocati, tale presupposto non essendo, invece, integrato ove l'avvocato stabilito abbia esercitato la professione, seppur in buona fede, con il titolo di avvocato invece che con quello professionale di origine . Nella ricostruzione dell'istituto della dispenda dalla prova attitudinale prevista dal D.Lgs. n. 96 del 2001, art. 12, si è precisato che I il D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 96, art. 12, di attuazione della direttiva 98/5/CE volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale, prevede le condizioni per la dispensa dalla prova attitudinale di cui al D.Lgs. n. 115 del 1992, art. 8, stabilendo che l'avvocato stabilito debba avere, per almeno tre anni a decorrere dalla data di iscrizione nella sezione speciale dell'albo degli avvocati, esercitato in Italia in modo effettivo e regolare la professione con il titolo professionale di origine , aggiungendo che per esercizio effettivo e regolare della professione si intende l'esercizio reale dell'attività professionale svolta, senza interruzioni che non siano quelle dovute agli eventi della vita quotidiana II quindi, al fine di conseguire la dispensa suddetta, l'esercizio della professione forense da parte dell'avvocato stabilito deve essere a di durata non inferiore a tre anni scomputando gli eventuali periodi di sospensione b effettivo e quindi non formale o addirittura fittizio c regolare e quindi nel rispetto della legge forense e del codice deontologico d con il titolo professionale di origine, previa iscrizione nell'albo professionale III l'esercizio della professione di avvocato senza aver conseguito in Italia la relativa abilitazione ovvero l'iscrizione mediante dispensa ai sensi dell'art. 12 cit. integra la condotta materiale del reato, previsto dall' art. 348 c.p. , di abusivo esercizio di una professione. 4.Tanto premesso, i primi tre motivi, che reiterano doglianze già prospettate nel ricorso al CNF, sono inammissibili, in quanto non rivolti a censurare le ragioni decisorie espresse nella sentenza impugnata. Invero, la sentenza del CNF ha accertato che il Consiglio dell'Ordine ha proceduto ad una articolata istruttoria, in ossequio ai compiti al medesimo assegnati dalla Legge non ritenendo integrati i requisiti oggettivi e soggettivi necessari per ottenere la dispensa, espressamente richiamati unitamente al condiviso parere n. 178/2018 del CNF, che indica come oggetto di valutazione la durata, frequenza, periodicità e continuità delle prestazioni, nonché il numero dei clienti ed il giro di affari . I motivi suddetti involgono poi una valutazione degli elementi istruttori acquisiti, riservata al giudice di merito, non sindacabile in questa sede di legittimità a fronte di una logica ed esaustiva motivazione. Questa Corte a Sezioni Unite Cass. n. 34476/2019 , conf. Cass. 5987/2021 ha ribadito che È inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l'apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito principio affermato con riferimento ad un motivo di ricorso che, pur prospettando l'omesso esame di risultanze probatorie, in realtà tendeva ad una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti dai quali era originata la condanna disciplinare di un avvocato . Da alcuna parte della sentenza impugnata del CNF si evince che la valutazione di diniego da parte del COA sia stata incentrata dalla mancata verifica del requisito del numero minimo di cinque affari per ciascuno anno, di cui al D.M. n. 47 del 2016, e si sia limitata ad un'operazione numerica. Il COA aveva rilevato che l'unica attività documentata svolta dal professionista con il tiolo di origine nel triennio era consistita solo in collaborazioni attività stragiudiziale in quattro procedimenti giudiziari e peraltro non era emerso con chiarezza neppure quale fosse stato il grado del suo apporto. Si è quindi rilevato, nella deliberazione impugnata, che tale attività non rispondeva alle prescrizione del D.Lgs. n. 96 del 2001, art. 13, in punto di requisito dell'esercizio effettivo e regolare della professione di avvocato, e dell'art. 12 della stessa legge, considerata la natura minimale della collaborazione e la tipologia di attività ed atti , in soli quattro procedimenti giudiziari in tre anni il COA aggiungeva che tale giudizio negativo poteva formularsi anche tenendo conto, come parametro di riferimento di quanto previsto dalla L. n. 247 del 2012, art. 21, e dal successivo regolamento ministeriale approvato con D.M. n. 47 del 2016 disposizione questa che aveva introdotto il requisito ulteriore della trattazione da parte del professionista di almeno cinque affari per ciascun anno e che è stata abrogata dal D.M. n. 174 del 2021, art. 1, a seguito di una procedura di infrazione elevata dalla Commissione Europea contro l'Italia , per l'accertamento dell'esercizio effettivo e continuativo della professione ai fini della permanenza dell'iscrizione all'Albo. Trattasi, nel ragionamento del COA, confermato dal CNF, di una semplice argomentazione aggiuntiva di quanto già rilevato, in ordine alla inidoneità dell'attività documentata dall'abogado per ritenere soddisfatti i requisiti imposti dalla legge ai fini della richiesta dispensa. 5. Il quarto motivo, con il quale si contesta la violazione della L. n. 241 del 1990 , risulta infondato, avendo il CNF rilevato che al ricorrente era stato garantito il più ampio contraddittorio e piena esplicazione del diritto di difesa, convocando più volte l'interessato prima della decisione finale in particolare, gli sono stati inviati vari preavvisi di rigetto con esplicazione dei motivi del prospettato diniego dell'istanza. Peraltro, questa Corte a Sezioni Unite Cass. 5445/2012 , conf. Cass. Sez. Un. 20680/2018 ha affermato che A norma della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21-octies , l'annullabilità di un provvedimento amministrativo per violazione dell'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento, prescritto dall'art. 7 della medesima legge, è esclusa a quanto ai provvedimenti di natura non vincolata, subordinatamente alla prova da parte dell'Amministrazione che il provvedimento non avrebbe potuto essere diverso anche in caso di intervento di detti interessati, essendo al riguardo sufficiente la mera eccezione dell'Amministrazione o dei controinteressati per consentire la prova che l'intervento partecipativo del privato non avrebbe potuto avere alcuna influenza sul contenuto del provvedimento b quanto ai provvedimenti di natura vincolata, al pari che per la violazione delle altre norme del procedimento, nel caso di evidenza della inidoneità dell'intervento dei soggetti ai quali è riconosciuto un interesse ad interferire sul loro contenuto. A tale riguardo, un provvedimento vincolato è configurabile allorché non soltanto la scelta dell'emanazione o meno dell'atto, ma anche il suo contenuto siano rigidamente predisposti da una norma o da altro provvedimento sovraordinato, sicché all'Amministrazione non residui alcuna facoltà di scelta tra determinazioni diverse, non essendo invece ravvisabile nel caso in cui l'emanazione del provvedimento sia collegata ad un atto negoziale proveniente da soggetti privati estranei all'apparato amministrativo, avente forza di legge esclusivamente tra le parti che lo hanno stipulato . Si è poi chiarito Cass. 11083/2020 , anche in relazione alla comunicazione del preavviso di rigetto, che L'annullabilità di un provvedimento amministrativo adottato in violazione delle norme sul procedimento o sulla forma degli atti deve essere esclusa qualora, per la natura vincolata dell'atto, il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, siccome rigidamente predisposto da una norma o da altro provvedimento sovraordinato, senza che all'amministrazione residui facoltà di scelta tra determinazioni diverse. Il principio rileva anche in ipotesi di mancata comunicazione del preavviso di rigetto dell'istanza, in violazione della L. n. 241 del 1990, art. 10 bis . In definitiva, le garanzie procedimentali non costituiscono un mero rituale formalistico e il difetto di comunicazione di avvio del procedimento è ininfluente ove risulti che il contenuto del provvedimento, nella specie negativo e vincolato, a fronte della manata dimostrazione del possesso dei requisiti richiesti dalla legge per ottenere l'esonero dalla prova attitudinale, non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Inoltre, si ripete, la verifica in concreto dei requisiti di legge involge questione di fatto, non sindacabile in questa sede. 6. Gli ultimi tre motivi, variamente articolati violazione dell' art. 132 c.p.c. , n. 4 e dell' art. 115 c.p.c. , con i quali si lamenta l'erronea o omessa motivazione sulla valutazione delle attività espletate dal ricorrente nel triennio, sono inammissibili, in quanto mirano ad una diversa ricostruzione, favorevole al ricorrente, delle attività svolte, in particolare di consulenza, a fronte di una motivazione basata su elementi oggettivi, quali l'assenza di effettiva attività professionale svolta con il titolo d'origine, la non chiarezza delle collaborazioni prestate, la loro esiguità e la mancanza di specificità delle testimonianze degli avvocati M. e Z. ed il loro riferirsi, in ogni caso, ad un solo contenzioso. 7. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguino la soccombenza. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. P.Q.M. La Corte respinge il ricorso condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.000,00, a titolo di compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 , comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.