Senza l’unanimità dei consensi il criterio di riparto delle spese condominiali è quello proporzionale

Due proprietari impugnavano alcune delibere condominiali relativamente al riparto delle spese di manutenzione e pulizia della piscina.

Il caso Nel Condominio, infatti, era sita una piscina e da molti anni i condomini corrispondevano le relative spese mediante il pagamento di quote di eguale importo per ciascuno. I ricorrenti, tuttavia, nuovi acquirenti di un immobile in condominio, contestavano tale modalità di riporto per svariati motivi. In primo luogo, essi affermavano come la piscina non fosse un bene condominiale, ma tutt'al più un bene in comunione dei condomini dato che di questo non si faceva menzione nel regolamento condominiale. I proprietari, poi, contestavano il criterio di riparto adottato dato che non era presente nel regolamento condominiale e tale regolamento non era neanche stato menzionato nel loro atto d'acquisto. Si costituiva in giudizio il Condominio, contestando le argomentazioni dei ricorrenti. Secondo lo stabile, infatti, la piscina era da considerarsi a tutti gli effetti bene condominiale. Essa non era ricompresa nel regolamento per la semplice ragione che era stata costruita in un'epoca successiva al condominio. A seguito della costruzione, poi, i condomini avrebbero all'unanimità approvato una delibera con la decisione di derogare al normale criterio millesimale di riparto delle spese e di invece ripartire le stesse in parti uguali per ciascuna proprietà immobiliare. Il Tribunale di Brescia accoglie la domanda e sottolinea le modalità di deroga del criterio legale delle spese condominiali Con la sentenza del 6 novembre 2023 il Tribunale di Brescia decideva la questione sostanzialmente accogliendo le ragioni dei proprietari attori. A cosa si doveva tale decisione? In primo luogo, il Giudice, accogliendo l'argomentazione del Condominio, definiva come condominiale la piscina oggetto di causa. Poco importava, infatti, che tale bene non fosse menzionato nel regolamento di condominio e che non fosse espressamente previsto nei beni condomini ai sensi dell' art. 1117 c.c. , dato che nel caso in questione sussisteva una presunzione di condominialità . Il bene, infatti, fino a prova contraria risultava asservito al Condominio e ai suoi abitanti, senza che fosse possibile per gli stessi alienare la propria quota o chiedere lo scioglimento della comunione. Non esisteva, poi, alcuna assemblea ad hoc per la piscina e le questioni inerenti a tale bene erano discusse nelle assemblee condominiali. Tutto ciò premesso, però, secondo il giudice il criterio di riparto adottato dal condominio non sarebbe stato corretto. L' art. 1123 c.c. riporta infatti la regola con la quale ripartire le spese condominiali affermando che l e spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione. Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne . Tale regola può essere modificata dall'assemblea dei condomini, ma solo all'unanimità. La stessa Cassazione con la decisione n. 4844/2017 , analizzando un caso analogo, aveva specificato che ogni deroga al criterio legale di riparto può provenire solamente dall'assemblea all'unanimità o dal regolamento contrattuale di condominio anch'esso quindi approvato dall'unanimità degli aventi diritto . Nel caso in questione, tuttavia, le assemblee alle quali faceva riferimento il Condominio avevano visto il criterio in deroga approvato a maggioranza, ma non dall'unanimità dei condomini, avendo alcuni addirittura dichiarato di non voler pagare dato che non sarebbero stati intenzionati ad utilizzare la piscina. Tale assemblea, quindi, non aveva la possibilità di modificare il criterio legale di riparto delle spese, specialmente per condomini che, al momento della stessa, non avevano ancora acquistato il proprio immobile e non avevano potuto quindi partecipare all'assemblea stessa. Aggiungeva, infine, il Giudice, che la nullità delle precedenti delibere autorizzava qualsiasi condomino ad agire in ogni tempo per ottenere il rimborso dell'indebito pagato a causa dell'applicazione dell'errato criterio di riparto delle spese così anche in Cass. 6714/2010 . In conclusione, quindi, il Giudice accoglieva l'impugnazione dei condomini , annullava le delibere impugnate e condannava il condominio a sostenere le spese di lite.

Giudice Cocchia FATTO E SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO Con atto introduttivo ritualmente notificato, gli odierni attori impugnavano le delibere del 5 e del 36 marzo 2022, contestando il criterio di riparto spese utilizzato per la gestione della piscina condominiale, poiché ripatite in parti uguali tra i condomini, in modo difforme dal criterio legale previsto dall' art. 1123 c.comma in base ai millesimi di proprietà. Il Condominio convenuto si è ritualmente costituito contestando, preliminarmente, l'intervenuta decadenza dall'impugnazione con riferimento alla prima delibera del 5 marzo, per indeterminatezza della domanda di mediazione, mentre nel merito eccepisce che la piscina è stata realizzata non al momento della realizzazione del complesso condominiale, ma in un momento successivo e che i condòmini dell'epoca, all'unanimità, avevano deciso di ripartire le spese della piscina in parti eguali tra i condomini e non secondo i rispettivi millesimi di proprietà. Inoltre, contesta la qualificazione giuridica del bene piscina come bene condominiale ex art. 1117 c.comma , ritenendolo semplice in comunione tra i condomini. Il giudizio veniva ritenuto di natura documentale, anche perché le istanze istruttorie di parte convenuta vertono su circostanze oggetto di prova documentale, pertanto, fissata udienza di precisazione delle conclusioni al 03/07/2023, il giudizio veniva trattenuto in decisione con la concessione dei termini per il deposito di comparse conclusionali e repliche ex art. 190 c.p.comma MOTIVI DELLA DECISIONE Preliminarmente, si esamina l'eccezione di tardività della seconda impugnazione del 26 marzo 2022 sollevata dalla difesa convenuta per la genericità della domanda di mediazione da ricondurre alla sola prima delibera impugnata del 05 marzo 2022. La questione non è fondata. Infatti, l'amministratore del Condominio convenuto ha dato atto delle doglianze di parte attrice concernenti il riparto delle spese relative alla piscina, precisando di non poter partecipare alla mediazione per non aver raggiunto il quorum necessario c fr. docomma 9 e 11 di parte attrice . Nessuna domanda ulteriore, rispetto alla contestazione del riparto spese della piscina è stato aggiunto con l'atto di citazione, pertanto, si ritiene che sia stato espletato il tentativo obbligatorio della mediazione, peraltro, fallito a causa della mancata partecipazione del condominio, come sopra esposto. Esaminando nel merito l'impugnazione in trattazione, si rileva come la stessa sia fondata. Patte attrice lamenta l'utilizzo di un criterio differente da quello legale per la ripartizione delle spese concernenti la piscina. In effetti, nelle delibere impugnate viene adottato il criterio di ripartizione per teste in parti uguali, in luogo della ripartizione per millesimi ex art. 1123 c.comma La difesa convenuta difende la scelta dell'assemblea condominiale assumendo che la piscina non è un bene condominiale ma in comunione tra i condomini, con ripartizione delle spese in patti uguali tra i comproprietari, e, comunque, che al momento della realizzazione della piscina, dopo la costruzione del complesso condominiale, i condòmini dell'epoca all'unanimità avevano deciso di adottare il criterio del riparto spese in parti uguali tra i condomini e che tale prassi si era protratta per circa quarant'anni, anche dopo il subentro degli odierni attori quali nuovi condomini. La difesa attorea replica che i propri assistiti non hanno mai approvato alcun regolamento condominiali di tal fatta, né vi è alcun riferimento nell'atto di acquisto. Inoltre, gli stessi all'inizio non avevano compreso il criterio utilizzato dall'amministratore per la ripartizione delle spese di gestione della piscina, ed una volta compreso, hanno deciso di impugnarlo per difformità dal criterio legale. Orbene, per quanto concerne la disciplina della comunione o del condominio per la gestione della piscina, si evidenzia come in astratto sia possibile considerare beni come la piscina o gli spazi verdi in semplice comunione, in quanto tali beni, non espressamente inseriti nel novero dell' art. 1117 c.comma , non palesano in modo evidente quelle intrinseche caratteristiche di funzionalità e strumentalità rispetto al godimento dei beni in proprietà esclusiva. Conseguentemente, tali beni potrebbero essere oggetto di autonomo godimento ed assoggettati al regime della comunione in generale. In concreto, però, tale ragionamento mal si concilia col caso di specie, in assenza di assemblee per le sole parti comuni non condominiali, senza una espressa previsione regolamentare inserita negli atti di acquisto originari, si presume la condominialità dei beni comuni, non essendo l'indicazione prevista dall' art. 1117 c.comma certo un numerus clausus. Infatti, alla base del godimento della piscina vi è la qualifica di condòmini, ed è alla proprietà dell'unità immobiliare in condominio che è annesso il diritto di poter godere della piscina, giustificando così l'accessorietà e strumentalità del bene condominiale alle proprietà individuali. La ragione del pagamento delle spese condominiali risiede nella qualità di condòmino. È la misura delle spese che è stabilita dalla delibera, in ragione della natura delle obbligazioni condominiali che sono dette obbligazioni propter rem che nascono come conseguenza del condominio sulle cose, sugli impianti e sui servizi comum. Diversamente opinando, infatti, in tema di comunione, non essendo soggetta questa forma di comproprietà al vincolo di indivisibilità, allora ciascun comproprietario ne potrebbe chiedere lo scioglimento salvo diritti di prelazione, ciascun comproprietario potrebbe cedere la sua quota, anche a soggetti estranei al condominio addirittura, alla compravendita dell'appartamento potrebbe non fare seguire quella della quota della piscina. Insomma, se il bene è in comunione, per quanto certamente pertinenziale rispetto al bene principale costituito dalle unità immobiliari private, esso potrebbe assurgere a bene autonomo e come tale circolare, generando, così, problemi di gestione ben maggiori di quelli in oggetto. Infatti, in assenza di assemblee autonome per eventuali parti in comunione, si porrebbe anche il problema di far intervenire all'assemblea condominiale soggetti estranei al condominio. Infine, pur non essendo la piscina bene condominiale per espressa indicazione del Regolamento di condominio, si rileva come sia pacifico che la piscina sia stata realizzata in un momento successivo e, comunque, il suddetto Regolamento condominiale cfr. docomma 15 di patte attrice all'ait. 1 inserisce tra i beni comuni condominiali, da ripartirsi secondo i millesimi della tabella allegata, anche il giardino, anch'esso astrattamente oggetto di autonomo godimento e, soprattutto, gli impianti sportivi, tra cui si deve far rientrare anche la piscina condominiale. Posta, dunque, la natura condominiale della piscina in oggetto e, dell'applicazione dell' art. 1123 c.comma per la ripartizione delle spese di manutenzione della stessa, si esaminano le ulteriori argomentazioni del Condominio convenuto. Il Condominio, infatti, giustifica il criterio di ripartizione delle spese per teste, in parti uguali, in luogo del criterio legale della ripartizione millesimale, sulla scorta di una Convenzione stipulata all'unanimità dai condòmini dell'epoca che avevano approvato tale diverso criterio. In ogni caso, la difesa convenuta evidenzia l'esistenza di una prassi 01mai di quarant'anni e, peraltro, proseguita anche a seguito del subentro degli odierni attori nella compagine condominiale. Orbene, anche in questo caso si rimarca come in astratto queste argomentazioni possano essere considerate valide giustificazioni alla modifica del criterio legale di ripartizione delle spese, tuttavia, nel caso concreto non riescono a raggiungere questo obiettivo. Infatti, con riferimento alle predette Convenzioni cfr. doccomma 2 e 3 di parte convenuta , si rileva come nessuna delle due risulti sottoscritta da tutti i condòmini dell'epoca. I condòmini omissis sono inseriti sia nel documento 2 di parte convenuta, il cosiddetto club della piscina, che nel documento 3 tra i condòmini che, pur riconoscendo la successiva costruzione della piscina, ritengono di non aderirvi immediatamente e di non utilizzarla ex art. 1121 c.comma , con riserva di corrispondere le spese qualora loro o i loro aventi causa decidessero di utilizzare il bene piscina. Tuttavia, i suddetti condòmini non hanno mai sottoscritto né il primo, né il secondo documento, di guisa che non si possa considerare volontà unanime dei condomini quella di derogare i criteri legali delle spese di gestione e manutenzione della piscina. È pacifico, infatti, che la deroga al criterio legale può provenire solo dall'assemblea all'unanimità o dal regolamento contrattuale. Il principio è stato ribadito nella sentenza della Suprema Corte n. 4844/2017 . Alla stregua della stessa lettera dell' art. 1123 c.comma , si osserva che la disciplina legale della ripartizione delle spese per la conservazione ed il godimento delle parti comuni dell'edificio è, in linea di principio, derogabile, con la conseguenza che deve ritenersi legittima la convenzione modificatrice di tale disciplina, contenuta nel regolamento condominiale di natura contrattuale, ovvero nella deliberazione dell'assemblea, quando approvata da tutti i condomini Cass 24/02/2017 n. 4844 . Per quanto concerne la difesa del Condominio convenuto che invoca la prassi di quaranta anni, invocando una sorta di tacita modifica dei criteri legali, facta concludentia, si premette quanto segue. Le spese in condominio devono essere ripartite tra tutti i condomini ai sensi degli artt. 1123, 1124, 1126 c.comma , ovvero degli altri criteri contenuti in altri articoli di legge, salvo diversa convenzione. Il regolamento condominiale contrattuale, secondo quanto disposto dall' art. 1138 c.comma , che non contiene l'indicazione dell'inderogabilità delle norme di cui agli artt. 1123 e ss. cc ., o una deliberazione adottata con il consenso di tutti i condomini possono sicuramente deroghe alle indicazioni legislative. Le spese per i beni condominiali per legge, devono essere ripartiti tra tutti i condomini in ragione dei millesimi di proprietà, ma i comproprietari possono decidere di suddividerlo in parti uguali, mediante una convenzione con l'unanimità dei consensi. Ciò fa sì che l'obbligo di partecipare a tali spese sia direttamente ed inscindibilmente connesso al diritto di comproprietà sulle parti comuni accessori ai piani o alle porzioni di piano in proprietà esclusiva. In conseguenza di ciò, si legge in una delle più significative pronunce sul tema, queste obbligazioni seguono il diritto e si trasferiscono per effetto della sua trasmissione, affermando che la nullità di una delibera, salvi gli effetti della prescrizione e della ripetizione dell'indebito, può essere fatta valere da qualunque condòmino, anche chi abbia votato favorevolmente, in qualunque tempo Cass. n. 19/03/201On. 6714 . In tema di condominio, sono affette da nullità, che può essere fatta valere anche da parte del condòmino che le abbia votate, le delibere condominiali attraverso le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i criteri di ripartizione delle spese comuni in difformità da quanto previsto dall' art. 1123 c.comma o dal regolamento condominiale contrattuale, essendo necessario per esse il consenso unanime dei condomini, mentre sono annullabili e, come tali, impugnabili nel termine di cui all' art. 1137, ultimo comma, c.comma , le delibere con cui l'assemblea, nell'esercizio delle attribuzioni previste dall' art. 1135, n. 2 e n. 3, c.comma , determina in concreto la ripartizione delle spese medesime in diff01mità dai criteri di cui all' art. 1123 c.comma Cass. n. 19/03/2010 n. 6714 . In tal modo, la Corte di legittimità ha avallato il comportamento di un condòmino che, resosi conto tardivamente che il criterio approvato è in deroga a quello legale, per fatti concludenti, può comunque contestare le delibere che lo applicano. A maggior ragione, si deve considerare coloro che acquistano unità immobiliari e che si trovano un criterio di ripartizione derogatorio di quello legale e/o convenzionale non espressamente accettato, come nella fattispecie. In tema di condominio negli edifici, ove manchi una diversa convenzione adottata all'unanimità, che sia espressione dell'autonomia contrattuale, la ripartizione delle spese generali deve, quindi, necessariamente avvenire secondo i criteri di proporzionalità, fissati nell' art. 1123, primo comma c.comma , non essendo, consentito all'assemblea, mediante deliberazione a maggioranza, di suddividere con criterio capitario gli oneri necessari per la prestazione di servizi nell'interesse comune Cass. 04/08/2017 n. 19651 Cass. 04/12/2013 n. 27233 . Allo stesso modo, si evidenzia come non sia legale la modifica tacita dei criteri di suddivisione delle spese, a meno che dalla condotta dei condòmini non si evinca, in modo assolutamente incontrove1tibile, la volontà di tutti i condòmini di modificare i criteri stabiliti dalla legge o dal regolamento contrattuale. È vero che la prolungata applicazione di un certo criterio può assurgere a rango di norma a tutti gli effetti, ma ciò solamente se si evince la volontà consapevole dei condòmini di voler applicare un principio diverso da quello imposto dalla legge o dal regolamento vigente. Nel caso di specie, invece, tale volontà non può desumersi, quanto meno con riferimento agli attori, per non aver compreso che l'assemblea stava modificando il criterio di riparto delle spese. In altre parole, affinché si possa ritenere valida una convenzione tacita occorre necessariamente che tutti i partecipanti dimostrino inequivocabilmente la volontà di derogare ai principi altrimenti vigenti. Circostanza, questa, insussistente, quanto meno in ordine alla volontà degli attori, i quali nell'assemblea del 2022 hanno contestato il criterio modificativo. Significativa la circostanza che solo nel 2022 gli attori si siano avveduti del criterio, poiché solo con l'approvazione delle spese di manutenzione straordinaria dell'anno 2021 le spese di gestione della piscina hanno assunto un rilievo autonomo, mentre nelle annualità precedenti, con importi inferiori, non era agevole comprendere il criterio di riparto adottato e comunque non specificato. In tal modo, dunque, l'assenza di impugnazione degli attori per le precedenti delibere adottate dall'assemblea dei condomini di un edificio per ripartire le spese secondo un valore delle quote dei singoli condomini diverso da quello espresso nelle tabelle millesimali, non può compo1tare consapevole e volontaria acquiescenza rappresentata dalla concreta disapplicazione delle stesse tabelle per più anni, e non può assumere il valore di un univoco comportamento rivelatore della volontà degli attori di parziale modifica dei criteri di ripartizione da patte dei condòmini che hanno partecipato alle votazioni o che hanno aderito o accettato la differente suddivisione. Infatti, per dare luogo ad una convenzione modificatrice della relativa disciplina, che ha natura contrattuale, non richiede la forma scritta, ma solo il consenso anche tacito ojacta concludentia, purché inequivoco da parte di tutti i condòmini. Nella fattispecie, invece, la Convenzione derogatrice non è stata approvata da tutti i condòmini e, comunque, non portata a conoscenza degli odierni attori nell'atto di rogito. La prassi perpetratasi per anni è avvenuta nel silenzio dei condòmini, ma non ha mai visto inequivoche manifestazioni di volontà di tutti i condòmini, per tali ragioni, si accoglie l'impugnazione di parte attrice annullando le delibere impugnate, nella parte in cui derogano al criterio legale di ripartizione millesimale delle spese di manutenzione della piscina condominiale. L'amministratore riformulerà le partite di dare e avere senza che si renda necessaria la domanda di parte attrice al risarcimento delle somme versate. Le spese seguono la soccombenza per principio generale ex art. 91 c.p.comma e, considerata la mediazione negativa, l'assenza di attività istruttoria, si liquidano come da dispositivo P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogm diversa istanza disattesa o assorbita, - Annulla le delibere impugnate del 5 marzo 2022 e del 26 marzo 2022 nella parte in cui derogano al criterio legale di ripartizione delle spese di gestione e manutenzione della piscina, in assenza di accordo unanime di tutti i condòmini - Condanna il Condominio convenuto, in persona del legale rappresentante pro tempore, a rimborsare agli odierni attori le spese di lite, che si liquidano in € 2.500,00 per la fase di mediazione e le fasi giudiziali espletate, eccetto la fase istruttoria, oltre rimborso forfetario, CPA e IVA, come per legge.