Responsabilità civile, confisca ed eredità giacente

La Suprema Corte si pronuncia sul tema del rapporto tra risarcimento civile e confisca in sede penale. La questione assume particolare rilevanza, trattandosi di una domanda risarcitoria svolta dal Ministero dello Sviluppo Economico nei confronti di un'eredità giacente, essendo un imputato venuto a mancare e la richiesta di risarcimento danni patrimoniali e non patrimoniali oltrepassava i 100 milioni di euro.

Il caso Il Ministero dello Sviluppo Economico conveniva in giudizio in sede civile innanzi l'eredità giacente di Tizio, chiedendo la condanna al risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale euro 90.864.416,43, a titolo di danno patrimoniale pari alla perdita sopportata per l'erogazione dei contributi statali illecitamente percepiti, ed Euro 15.000.000,00 a titolo di danno non patrimoniale , cagionato dal reato di truffa aggravata ai danni dello Stato accertato nel giudizio penale. In sede penale era stata disposta, nei confronti degli imputati e della società, la confisca per equivalente del profitto del reato fino alla concorrenza di Euro 90.864.416,43 , importo determinato sommando i contributi percepiti illecitamente dalle società amministrate dagli imputati. In sede civile la domanda risarcitoria fu accolta limitando il risarcimento del danno non patrimoniale a 10 milioni di euro . Fu ritenuto che la confisca per equivalente disposta in sede penale, non avendo natura risarcitoria, ma sanzionatoria, non escludeva l'obbligazione risarcitoria e che la confisca incideva sul patrimonio dell'imputato condannato, trasferendo le utilità all'Erario, mentre il risarcimento del danno rimediava la lesione patrimoniale subita dall'ente erogatore del contributo pubblico. Si precisava che in sede esecutiva andavano detratte le somme che il Ministero avesse già incassato per il medesimo titolo. Da qui il ricorso per cassazione e l'interesse a valutare anche se vi possa essere una damnosa hereditas … se alla confisca si aggiunge anche il risarcimento del danno. La questione La questione centrale risiede nell'interrogativo se il valore dei beni confiscati deve essere portato a detrazione dell'ammontare risarcitorio , pena la duplicazione risarcitoria, perché la confisca, pur avendo natura punitiva, ha apportato al danneggiato dal reato l'Erario le utilità sottratte costituenti il profitto del reato, o quanto meno parte di esse, per cui, elidendo il danno, deve essere considerata nella liquidazione di quest'ultimo, nel rispetto del principio di risarcibilità del danno effettivo. Diversamente vi sarebbe il rischio che il risarcimento del danno assuma natura punitiva , in violazione anche del principio della compensatio lucri cum damno . La soluzione della Cassazione Nel caso di specie la confisca era stata disposta, ai sensi dell'art. 322 ter cod. penumero nei confronti delle persone fisiche ed ai sensi dell' art. 19 d. lgs. numero 231 del 2001 , per l'equivalente economico delle erogazioni indebitamente percepite. Si tratta della confisca del profitto del reato, che viene disposta salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato l'art. 19 cit. Quest'ultimo inciso è fondamentale per il rapporto fra la confisca in sede penale, ai sensi delle norme citate, ed il risarcimento del danno, avente ad oggetto le erogazioni elargite dalla Amministrazione dello Stato. La giurisprudenza penale della Cassazione riconosce che, proprio perché la confisca ha ad oggetto il profitto del reato, il suo limite è il profitto che il danneggiato può restituire. La confisca disciplinata dall'art. 322 ter c.p. costituisce una sanzione in forza della sua natura punitiva e persegue lo scopo di ripristinare la situazione economica del reo, qual era prima della violazione della legge penale, privandolo delle utilità ricavate dal crimine commesso e sottraendogli beni di valore ad esse corrispondenti senza esplicare alcuna funzione preventiva . Essa differisce dalla condanna al risarcimento del danno , che persegue l'effetto di reintegrare il patrimonio del soggetto pubblico leso dalle erogazioni indebite Cassazione penale sez. I, 06/06/2018, numero 39874 non viola il principio del ne bis in idem la condanna dell'ente alle sanzioni amministrative con confisca dei beni e al risarcimento del danno erariale, in quanto tali provvedimenti, pur avendo carattere sanzionatorio, perseguono differenti finalità mentre la confisca viene imposta nell'interesse collettivo e con funzione socialpreventiva, la condanna al risarcimento del danno persegue l'effetto di reintegrare il patrimonio dell'ente pubblico, depauperato dalla condotta criminosa accertata in sede penale . Tuttavia la stessa Cass. penumero numero 39874/2018 cit. afferma che per quanto attiene più specificamente ai rapporti tra la confisca emessa in sede penale ed eventuali provvedimenti risarcitori, emessi in altro procedimento civile o amministrativo in favore di un ente pubblico che sia stato danneggiato dal reato e dall'illecito commesso dalla persona giuridica giudicata responsabile, la autonomia del corso dei giudizi eventualmente contestuali non si risolve anche in reciproca indifferenza dei rispettivi esiti decisori al contrario, nel determinare l'ammontare pecuniario sino a concorrenza del quale confiscare in sede penale i beni del condannato e della persona giuridica è necessario tenere conto della già avvenuta totale o parziale restituzione o corresponsione all'ente danneggiato di eventuali somme di denaro, da scomputare dal totale del profitto del reato, che va considerato, non al momento di percezione, ma all'atto della decisione. Tale soluzione trova avallo normativo proprio nella disposizione del D.Lgs. numero 231 del 2001, art. 19 , comma 1, contenente la clausola per la quale, in caso di responsabilità degli enti, la confisca deve essere disposta soltanto per quella parte del profitto del reato presupposto che non possa essere restituito al danneggiato. L'escussione di una fideiussione bancaria prestata dall'imputato preclude la confisca per equivalente in caso di restituzione della relativa somma all'erario La confisca per equivalente ha carattere sanzionatorio e prescinde dall'intervenuto risarcimento del danno. Essa tuttavia presuppone che il profitto del reato non sia venuto meno per effetto di condotte riparatorie o restitutorie poste in essere dall'imputato, anche se attraverso una polizza fideiussoria di cui l'imputato si sobbarca personalmente l'onere economico, giacché tale comportamento elimina in radice l'oggetto della misura ablatoria che, se disposta, comporterebbe una duplicazione sanzionatoria contrastante i principi dettati dagli artt. 3, 23 e 25 Cost. Cassazione penale sez. VI, 05/04/2022, numero 18491 Cassazione penale sez. III, 15/10/2013, numero 44446 . In senso contrario , Cassazione penale sez. VI, 09/04/2010, numero 25166 , per cui è legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto del reato di corruzione e rappresentato dall'indebito conseguimento di rimborsi i.v.a., anche qualora l'Erario abbia recuperato il debito tributario attraverso l'escussione delle fideiussioni costitute da terzi garanti e fino a quando questi ultimi non abbiano recuperato, esercitando l'azione di rivalsa, le somme corrisposte al danneggiato. La confisca ed il risarcimento del danno sono istituti non alternativi fondati su ratio e finalità differenti. Il ricorrente non può lamentare una duplicazione della risposta sanzionatoria esercitata nei suoi confronti laddove sia posto a subire sia la condanna al risarcimento del danno, ovvero un sequestro conservativo nell'ambito di un giudizio civile, e una confisca in sede penale atteso che mentre il primo istituto tende a risarcire la persona offesa il secondo ha lo scopo di impedire che il reo tragga vantaggio dal reato e, per questo, viene applicata anche nei casi di patteggiamento. Cassazione penale sez. II, 29/10/2021, numero 3747 Cassazione penale sez. II, 09/07/2020, numero 28921 Cassazione penale sez. VI, 06/06/2017, numero 38994 . Se è vero che confisca e risarcimento del danno hanno natura e scopi diversi il risarcimento del danno mira al ristoro del danneggiato, prescindendo dall'esistenza di vantaggi conseguiti dal reo, la confisca non opera a vantaggio della vittima, ma tende ad evitare che il reo tragga un vantaggio economico dal reato , nel caso di truffa ed erogazioni elargite dalla Amministrazione dello Stato vi può essere una sovrapposizione, proprio avallata dal citato art. 19. Così la sentenza in esame individua un principio alla base dell' art. 19 d. lgs. numero 231 del 2001 essendo parametrata la confisca a quanto indebitamente erogato, la ripetizione dell'importo corrisposto senza causa preclude, nei limiti di quanto restituito, la confisca. Non può aversi mediante quest'ultima una duplicazione di quanto già restituito del profitto derivato dal reato. Il principio, deve intendersi, opera anche in senso contrario, nel senso che l'azione restitutoria trova limite nella disposta confisca. Alla stessa conseguenza deve pervenirsi laddove l'azione promossa è di tipo risarcitorio, ed il danno allegato corrisponde alle erogazioni indebite in relazione alle quali sia già intervenuta la confisca. Riconoscere un danno risarcibile in favore dell'Erario violerebbe il principio di effettività del danno una volta che la confisca abbia avuto ad oggetto proprio il valore che viene preteso a titolo risarcitorio e fatto costitutivo della confisca e del danno è la medesima condotta pregiudizievole ai danni dell'Amministrazione pubblica. Non si tratta, però, di mero coordinamento dei due titoli in sede esecutiva , detraendo le somme già incassate dal Ministero a diverso titolo, perché il coordinamento, sulla base del principio sotteso all' art. 19 d. lgs. numero 231 del 2001 confisca del profitto del reato disposta salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato , si impone già sul piano dei valori giuridici. Come non può essere disposta la confisca per la parte che può essere restituita al danneggiato, così non può essere disposto il risarcimento per la parte che sia già oggetto di confisca, pena la violazione, come si è detto, del principio di effettività del danno. Viene così affermato il seguente principio di diritto ove sia intervenuta confisca avente ad oggetto il profitto del reato ai sensi dell'art. 322 ter cod. penumero , ovvero ai sensi dell' art. 19 d. lgs. numero 231 del 2001 , deve tenersi conto nella quantificazione del danno risarcibile in favore del soggetto pubblico, danno costituito da quanto indebitamente percepito dall'autore del reato, del valore economico dell'oggetto della disposta confisca .

Presidente Travaglino – Relatore Scoditti Fatti di causa 1. Il Ministero dello Sviluppo Economico M.I.S.E. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Milano l'eredità giacente di R.E. chiedendo la condanna al risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale, cagionato dal reato di truffa aggravata ai danni dello Stato accertato dal Tribunale penale di Milano, nella misura di Euro 90.864.416,43, a titolo di danno patrimoniale pari alla perdita sopportata per l'erogazione dei contributi statali illecitamente percepiti, e di Euro 15.000.000,00 a titolo di danno non patrimoniale. Espose in particolare parte attrice quanto segue. R.E. era stato coimputato insieme a R.F.A., A.A. e L.A., nonché alla società R. Fire s.p.a. in giudizio ai sensi della L. n. 231 del 2001, in relazione ad una truffa aggravata art. 640 bis c.p. consistita nella messa in opera di un articolato meccanismo societario volto a beneficiare di contributi statali concessi alle esportazioni extra U.E. La sentenza penale aveva disposto, ai sensi degli artt. 322 ter e 640 quater c.p. , nei confronti degli imputati e della società, la confisca per equivalente del profitto del reato fino alla concorrenza di Euro 90.864.416,43, importo determinato sommando i contributi percepiti illecitamente dalle società amministrate dagli imputati, pronunciando inoltre non luogo a procedere nei confronti di R.E. in quanto deceduto. Si costituì la parte convenuta chiedendo il rigetto della domanda. Nel corso del giudizio intervenne la sentenza d'appello di conferma della pronuncia penale. La sentenza di appello fu poi parzialmente confermata con sentenza di data 9 dicembre 2016 di questa Corte, divenendo così irrevocabile la confisca. 2. Il Tribunale adito accolse la domanda, condannando l'eredità giacente al risarcimento del danno patrimoniale domandato, oltre interessi e rivalutazione monetaria secondo il criterio di cui a Cass. Sez. U. n. 1712 del 1995 a decorrere dalla erogazione dei contributi, nonché al risarcimento del danno non patrimoniale nei limiti di Euro 10.000.000,00. 3. Avverso detta sentenza propose appello R.F.A., che nel frattempo aveva accettato l'eredità di R.E. Si costituì la parte appellata chiedendo il rigetto dell'appello. 4. Con sentenza di data 11 marzo 2020 la Corte d'appello di Milano rigettò l'appello. Osservò la corte territoriale che la confisca per equivalente disposta in sede penale, non avendo natura risarcitoria, ma sanzionatoria, non escludeva l'obbligazione risarcitoria e che la confisca incideva sul patrimonio dell'imputato condannato, trasferendo le utilità all'Erario, mentre il risarcimento del danno rimediava la lesione patrimoniale subita dall'ente erogatore del contributo pubblico. Precisò che in sede esecutiva andavano detratte le somme che il Ministero avesse già incassato per il medesimo titolo. Aggiunse, con riferimento al danno non patrimoniale, che il Tribunale lo aveva correttamente ritenuto sussistente. In particolare, osservò che il Tribunale aveva specificato di avere fatto riferimento all'entità della truffa operata, all'importanza del soggetto leso e alle ricadute di credibilità dell'azione amministrativa di governo e che i criteri adottati erano congrui, non sproporzionati e sufficientemente motivati. Infine, osservò che spettavano, con riferimento al danno patrimoniale, sia la rivalutazione della somma che gli interessi compensativi. 5. Ha proposto ricorso per cassazione R.F.A. sulla base di quattro motivi. Resiste con controricorso la parte intimata. È stata depositata memoria dal ricorrente. Il pubblico ministero ha presentato le conclusioni scritte. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo si denuncia violazione dell' art. 158 c.p.c. , in relazione alla eccezione di incostituzionalità della L. n. 98 del 2013, artt. 62-72, di conversione del D.L. n. 69 del 2013 . Osserva la parte ricorrente, in relazione alla circostanza che il Collegio è composto da un giudice ausiliario, peraltro relatore ed estensore della sentenza, che con ordinanze nn. 32032 e 32033 del 2019 la Corte di Cassazione ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della normativa istitutiva dei giudici ausiliari. 1.1. Il motivo è infondato. A seguito della sentenza della Corte Cost. n. 41 del 2021 , che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di quelle disposizioni, contenute nel D.L. n. 69 del 2013 conv. con modif. nella L. n. 98 del 2013 , che conferiscono al giudice ausiliario di appello lo status di componente dei collegi nelle sezioni delle corti di appello, queste ultime potranno legittimamente continuare ad avvalersi dei giudici ausiliari, fino a quando, entro la data del 31/10/2025, si perverrà ad una riforma complessiva della magistratura onoraria fino a quel momento, infatti, la temporanea tollerabilità costituzionale dell'attuale assetto è volta ad evitare l'annullamento delle decisioni pronunciate con la partecipazione dei giudici ausiliari e a non privare immediatamente le corti di appello dei giudici onorari al fine di ridurre l'arretrato nelle cause civili Cass. n. 32065 del 2021 . 2. Con il secondo motivo si denuncia violazione dell'art. 332 ter c.p., artt. 1223 e 2043 c.c. , ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che il valore dei beni confiscati, quanto meno nella valutazione ad opera della Guardia di Finanza nella misura di Euro 84.712.233,03, deve essere portato a detrazione dell'ammontare risarcitorio, pena la duplicazione risarcitoria, perché la confisca, pur avendo natura punitiva, ha apportato al danneggiato dal reato l'Erario le utilità sottratte costituenti il profitto del reato, o quanto meno parte di esse, per cui, elidendo il danno, deve essere considerata nella liquidazione di quest'ultimo, nel rispetto del principio di risarcibilità del danno effettivo. Aggiunge che deve trovare applicazione il principio della compensatio lucri cum damno e che diversamente il danno avrebbe natura punitiva in mancanza di previsione di legge. 2.1. Il motivo è fondato. La confisca in questione è stata disposta, ai sensi dell'art. 322 ter c.p., nei confronti delle persone fisiche ed ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 19, per l'equivalente economico delle erogazioni indebitamente percepite. Si tratta della confisca del profitto del reato, che viene disposta salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato , prevede l'art. 19. Quest'ultimo inciso è la chiave di volta per l'inquadramento del rapporto fra la confisca in sede penale, ai sensi delle norme citate, ed il risarcimento del danno, avente ad oggetto le erogazioni elargite dalla Amministrazione dello Stato. La giurisprudenza penale di questa Corte riconosce che, proprio perché la confisca ha ad oggetto il profitto del reato, il suo limite è il profitto che il danneggiato può restituire. Cass. pen. 39874 del 2018 riafferma, come ricorda la decisione impugnata, che la confisca disciplinata dall'art. 322 ter, costituisce una sanzione in forza della sua natura punitiva e persegue lo scopo di ripristinare la situazione economica del reo, qual era prima della violazione della legge penale, privandolo delle utilità ricavate dal crimine commesso e sottraendogli beni di valore ad esse corrispondenti senza esplicare alcuna funzione preventiva . Essa differisce dalla condanna al risarcimento del danno, che persegue l'effetto di reintegrare il patrimonio del soggetto pubblico leso dalle erogazioni indebite. Afferma tuttavia Cass. pen. 39874 del 2018 per quanto attiene più specificamente ai rapporti tra la confisca emessa in sede penale ed eventuali provvedimenti risarcitori, emessi in altro procedimento civile o amministrativo in favore di un ente pubblico che sia stato danneggiato dal reato e dall'illecito commesso dalla persona giuridica giudicata responsabile, la autonomia del corso dei giudizi eventualmente contestuali non si risolve anche in reciproca indifferenza dei rispettivi esiti decisori al contrario, nel determinare l'ammontare pecuniario sino a concorrenza del quale confiscare in sede penale i beni del condannato e della persona giuridica è necessario tenere conto della già avvenuta totale o parziale restituzione o corresponsione all'ente danneggiato di eventuali somme di denaro, da scomputare dal totale del profitto del reato, che va considerato, non al momento di percezione, ma all'atto della decisione. Siffatta soluzione riceve avvallo normativo per effetto della disposizione del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 19, comma 1, contenente la clausola per la quale, in caso di responsabilità degli enti, la confisca deve essere disposta soltanto per quella parte del profitto del reato presupposto che non possa essere restituito al danneggiato . Su questa linea vanno ricordate le seguenti decisioni. Cass. pen. 45054 del 2011, secondo cui in tema di responsabilità degli enti, la confisca deve essere disposta soltanto per quella parte del profitto del reato presupposto che non possa essere restituito al danneggiato, per cui è da escludere la confiscabilità della somma sequestrata per equivalente, ove tale somma o parte di essa abbia già formato oggetto di restituzione. Ha poi affermato Cass. pen. 44446 del 2013 che in tema di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, la confisca del profitto non può essere disposta nel caso di restituzione integrale all'erario della somma anticipata dallo Stato, giacché tale comportamento elimina in radice l'oggetto della misura ablatoria che, se disposta, comporterebbe una duplicazione sanzionatoria contrastante i principi dettati dagli artt. 3, 23 e 25 Cost. , ai quali l'interpretazione dell'art. 640 quater c.p., deve conformarsi. Negli stessi termini è Cass. pen. 29512 del 2015. La restituzione integrale all'Erario della somma indebitamente percetta, come da ultimo affermato da Cass. pen. 44189 del 2022, elimina in radice l'oggetto della misura ablatoria che, se disposta, comporterebbe una duplicazione sanzionatoria contrastante i principi costituzionali. In questa rassegna va ricordata la risalente Cass. pen. 10120 del 2010, la quale ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 322 ter c.p. e della L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 143, per la parte in cui, nel prevedere la confisca per equivalente anche per i reati tributari previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 , contrasterebbero, nel caso di sanatoria della posizione debitoria con l'Amministrazione finanziaria, con gli artt. 23 e 25 Cost. , in quanto la restituzione all'Erario del profitto del reato fa venir meno lo scopo principale perseguito con la confisca, escludendo la temuta duplicazione sanzionatoria. Ha osservato il Collegio che la sanatoria della posizione debitoria con l'amministrazione finanziaria fa venir meno lo scopo principale che si intende perseguire con la confisca. Ne consegue che la restituzione all'erario del profitto derivante dal reato elimina in radice lo stesso oggetto sul quale dovrebbe incidere la confisca. In caso contrario si avrebbe una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in violazione principio che l'espropriazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al profitto derivato dal reato. Dalla elaborazione giurisprudenziale di questa Corte in materia di confisca del profitto del reato e restituzione all'Erario delle erogazioni indebitamente percepite si evince un principio, che è alla base del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 19, secondo cui, essendo parametrata la confisca a quanto indebitamente erogato, la ripetizione dell'importo corrisposto senza causa preclude, nei limiti di quanto restituito, la confisca. Non può aversi mediante quest'ultima una duplicazione di quanto già restituito del profitto derivato dal reato. Il principio, deve intendersi, opera anche in senso contrario, nel senso che l'azione restitutoria trova limite nella disposta confisca. Alla stessa conseguenza deve pervenirsi laddove l'azione promossa è di tipo risarcitorio, ed il danno allegato corrisponde alle erogazioni indebite in relazione alle quali sia già intervenuta la confisca. Riconoscere un danno risarcibile in favore dell'Erario violerebbe il principio di effettività del danno una volta che la confisca abbia avuto ad oggetto proprio il valore che viene preteso a titolo risarcitorio e fatto costitutivo della confisca e del danno è la medesima condotta pregiudizievole ai danni dell'Amministrazione pubblica. Non si tratta del mero coordinamento dei due titoli in sede esecutiva, detraendo le somme già incassate dal Ministero a diverso titolo, come affermato dalla corte territoriale e dal pubblico ministero nelle sue conclusioni scritte, perché il coordinamento, sulla base del principio sotteso al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 19 confisca del profitto del reato disposta salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato , si impone già sul piano dei valori giuridici. Come non può essere disposta la confisca per la parte che può essere restituita al danneggiato, così non può essere disposto il risarcimento per la parte che sia già oggetto di confisca, pena la violazione, come si è detto, del principio di effettività del danno. Il giudice del rinvio, nella liquidazione del danno risarcibile, dovrà quindi computare il valore economico dell'oggetto della confisca, attenendosi al seguente principio di diritto ove sia intervenuta confisca avente ad oggetto il profitto del reato ai sensi dell'art. 322 ter c.p., ovvero ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 19, deve tenersi conto nella quantificazione del danno risarcibile in favore del soggetto pubblico, danno costituito da quanto indebitamente percepito dall'autore del reato, del valore economico dell'oggetto della disposta confisca . 3. Con il terzo motivo si denuncia violazione dell' art. 185 c.p. , artt. 2059, 2727 e 2729 c.c. , artt. 132, 163 e 164 c.p.c. , ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, nn. 3 e 4. Osserva la parte ricorrente che il danno non patrimoniale è stato riconosciuto sulla base di una motivazione apparente, già in primo grado e poi nella sentenza di appello, e che risulta postulato un danno in re ipsa in mancanza di allegazione e prova del danno conseguenza. 3.1. Il motivo è fondato. Ha affermato il giudice del merito che il Tribunale, per la liquidazione del danno non patrimoniale, aveva specificato di avere fatto riferimento all'entità della truffa operata, all'importanza del soggetto leso e alle ricadute di credibilità dell'azione amministrativa di governo e che i criteri adottati erano congrui, non sproporzionati e sufficientemente motivati. La motivazione ha un tono meramente assertivo e non esplicativo in quanto assume gli indici fatti propri dal tribunale e poi ne predica la congruità e il carattere non sproporzionato, senza illustrare, in relazione all'importo liquidato, la ragione di una siffatta valutazione. Irrilevante è poi il giudizio di sufficienza motivazionale, posto che il controllo del giudice di appello non è di legittimità, ma di merito. In conclusione, la motivazione è apparente e non è idonea ad integrare il requisito motivazionale previsto dalla norma costituzionale. 4. Con il quarto motivo si denuncia violazione degli artt. 2043 e 1223 c.c. , ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che con riferimento al debito di valore, di cui si è chiesta la liquidazione, l'attore ha domandato l'applicazione degli interessi compensativi, ma questi spettano a condizione che i mancati guadagni siano provati dal creditore, il quale deve pure provare la non sufficiente efficacia reintegrativa della mera rivalutazione. Aggiunge che tale allegazione e prova non è stata offerta dal creditore. 4.1. Il motivo è fondato. Il principio di diritto tenuto fermo dalla giurisprudenza di questa Corte è nel senso che qualora la liquidazione del danno da fatto illecito extracontrattuale sia effettuata per equivalente , con riferimento, cioè, al valore del bene perduto dal danneggiato all'epoca del fatto illecito, e tale valore venga poi espresso in termini monetari che tengano conto della svalutazione intervenuta fino alla data della decisione definitiva, è dovuto al danneggiato anche il risarcimento del mancato guadagno, che questi provi essergli stato provocato dal ritardato pagamento della suddetta somma. Tale prova può essere offerta dalla parte e riconosciuta dal giudice mediante criteri presuntivi ed equitativi, quale l'attribuzione degli interessi, ad un tasso stabilito valutando tutte le circostanze obiettive e soggettive del caso in siffatta ultima ipotesi, gli interessi non possono essere calcolati dalla data dell'illecito sulla somma liquidata per il capitale, definitivamente rivalutata, mentre è possibile determinarli con riferimento ai singoli momenti da stabilirsi in concreto, secondo le circostanze del caso con riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, in base ai prescelti indici di rivalutazione monetaria, ovvero in base ad un indice medio Cass. sez. n. 1712 del 1995 . In base a tale giurisprudenza, da tempo ormai consolidata, il risarcimento del mancato guadagno deve essere allegato e provato, con tutti i mezzi, anche presuntivi e mediante l'utilizzo di criteri equitativi ai sensi dell' art. 2056 c.c. , comma 2 da ultimo, in questo senso, Cass. n. 4938 del 2023 . Il giudice del merito, limitandosi a riconoscere puramente e semplicemente gli interessi compensativi, senza alcun ragionamento probatorio, sia pure di carattere presuntivo, ha violato questo principio di diritto. In sede di rinvio il giudice dovrà accertare se il pregiudizio in discorso, benché domandato, sia stato provato, sia pure in termini presuntivi. P.Q.M. Accoglie il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso, rigettando il primo motivo cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti rinvia alla Corte di appello di Milano in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.