Ingiusta detenzione: non rileva il comportamento colpevole dell’indagato

La Corte di Cassazione pronuncia il seguente principio di diritto «in tema di riparazione per ingiusta detenzione […] oltre a non costituire causa ostativa al riconoscimento dell’indennizzo, non può essere considerato ai fini della diminuzione del quantum dell’indennizzo, assumendo un valore neutro non suscettibile di integrare una ipotesi di colpa lieve».

La Corte di Cassazione si pronuncia in materia di ingiusta detenzione affermando che il calcolo del relativo indennizzo è svincolato da rigidi criteri dal momento che deve basarsi su una valutazione di tipo equitativo ovvero una valutazione che tenga in debito conto tutti gli elementi incidenti sulla vicenda che ha determinato l'adozione dell'ingiusto provvedimento limitativo della libertà personale. Sul tema della liquidazione del quantum debeatur, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito il principio «della necessità di contemperare il criterio aritmetico – costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell'indennizzo di cui all'articolo 315, comma 2, c.p.p. pari a euro 516.456, 90 e la durata massima della custodia cautelare di cui all'articolo 303, comma 4, lett. c , c.p.p., pari a sei anni ovvero 2190 giorni moltiplicato per il periodo, anch'esso espresso in giorni, di ingiusta restrizione subita – con il potere di valutazione equitativa attribuito al giudice per la risoluzione del caso concreto». Questo parametro aritmetico, quindi, non è vincolante poiché il giudice, entro i limiti del tetto massimo previsto dalla legge, può derogarvi in senso ampliativo oppure in senso restrittivo purché fornisca una congrua motivazione della valutazione effettuata. Le varie condotte colpose concausali dell'indagato o imputato possono rilevare sotto vari gradi, da quella lievissima sempreché apprezzabile, a quella grave idonea ad escludere il diritto all'indennizzo. Dopo aver svolto queste precisazioni, il Collegio passa a esaminare la decisione assunta dalla Corte distrettuale affermando che quanto affermato non è condivisibile per ciò che concerne la «possibilità di considerare, allo scopo si diminuire il quantum dell'indennizzo riconosciuto, la circostanza che il richiedente abbia deciso di non fornire chiarimenti sulla vicenda, avvalendosi, nel corso del procedimento, della facoltà di cui all'articolo 64, comma 3, lett. b c.p.p.». Secondo i Giudici di legittimità il comportamento assunto dall'odierno ricorrente non può essere qualificato come colpa lieve stante la nuova formulazione del comma 1 dell'articolo 314 c.p.p. a tenore del quale «l'esercizio da parte dell'imputato della facoltà di cui all'articolo 64, comma 3, lettera b , non incide sul diritto alla riparazione di cui al primo periodo». In tal modo il legislatore ha provveduto a uniformare il diritto interno alla Direttiva UE 2016/343 del Parlamento Europeo e del Consiglio sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza in particolare è stato codificata la neutralità del diritto dell'indagato o imputato di non rispondere alle domande dell'autorità procedente in sede di interrogatorio o comunque durante il procedimento. Per cui «il silenzio serbato dall'imputato o indagato nel corso del procedimento o nel giudizio penale, non solo non [è] ostativo al riconoscimento dell'indennizzo per ingiusta detenzione, ma non [può] essere validamente considerato ai fini della riduzione del quantum dell'indennizzo, trattandosi di comportamento non qualificabile in termini di colpa lieve».

Presidente Piccialli – Relatore Bruno Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza resa in data 21/6/2023, la Corte di appello di Palermo in parziale accoglimento della richiesta di riparazione per ingiusta detenzione avanzata da M.C., ha riconosciuto in favore dell'istante la somma di Euro 210.000,00 a titolo di indennizzo. M.C, odierno ricorrente, indagato per i reati di omicidio volontario e rapina, in concorso con la madre, era stato sottoposto a custodia in carcere per un periodo protrattosi per giorni 1.119. Era stato poi definitivamente assolto dalle accuse con sentenza della Corte di Assise di Palermo irrevocabile il 24/5/2022 La Corte distrettuale, dopo attenta disamina della vicenda, ha escluso che il richiedente avesse dato causa all'adozione della misura restrittiva a suo carico attraverso comportamenti gravemente colposi. Ha tuttavia ritenuto valutabile, ai fini della quantificazione dell'indennizzo, la circostanza che il richiedente si fosse avvalso della facoltà di non rispondere nel corso del procedimento, individuando in tale comportamento una colpa lieve. Avverso il provvedimento di cui sopra ha proposto ricorso per cassazione il richiedente, dolendosi, a mezzo del difensore, della decurtazione operata dal giudice della riparazione nella quantificazione dell'indennizzo. Sebbene il giudice della riparazione possa, nell'esercizio del suo autonomo potere di determinazione del quantum debeatur, considerare tutti gli elementi disponibili, egli deve offrire adeguata motivazione del suo convincimento. Ciò non si sarebbe verificato nel caso in esame, non avendo indicato in che misura ed entro quali limiti il comportamento silente avesse influito sull'applicazione della misura. 2. Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, con requisitoria scritta, ha concluso per l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati. La liquidazione dell'indennizzo per la riparazione dell'ingiusta detenzione è svincolata da criteri rigidi, dovendo basarsi su una valutazione equitativa, che tenga globalmente conto di tutti gli elementi che abbiano influito sulla vicenda che ha determinato l'adozione del provvedimento restrittivo ingiusto. La giurisprudenza di legittimità, in tema di liquidazione del quantum da riconoscere a titolo d'indennizzo per ingiusta detenzione, ha stabilito il principio della necessità di contemperare il criterio aritmetico - costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell'indennizzo di cui all'articolo 315, comma 2, c.p.p. pari ad Euro 516.456,90 e la durata massima della custodia cautelare di cui all'articolo 303, comma 4, lett. c , c.p.p., pari a sei anni ovvero 2190 giorni moltiplicato per il periodo, anch'esso espresso in giorni, di ingiusta restrizione subita - con il potere di valutazione equil ativa attribuito al giudice per la soluzione del caso concreto. Riferimento imprescindibile per la valutazione da compiersi in tema di liquidazione è costituito dal parametro aritmetico individuato, alla luce dei criteri sopra indicati, nella somma di Euro 235,82 per ogni giorno di detenzione in carcere . Siffatto parametro, tuttavia, non è vincolante potendo il giudice derogare al criterio richiamato in senso ampliativo purché nei limiti del tetto massimo fissato dalla legge oppure in senso restrittivo, a condizione che, nell'uno o nell'altro caso, fornisca congrua e logica motivazione della valutazione esperita. Le condotte colpose concausali possono assumere varie gradazioni, che vanno da quella lieve, purché apprezzabile, a quella grave, idonea ad escludere il diritto all'indennizzo. Nelle ipotesi diverse dalla colpa grave, la quale soltanto osta al diritto alla riparazione, il comportamento non rimane insignificante, dovendo essere valutato ai fini della determinazione del quantum debeatur . 2. Ciò premesso, deve ritenersi erroneo il convincimento espresso dalla Corte territoriale in ordine alla possibilità di considerare, allo scopo di diminuire il quantum dell'indennizzo riconosciuto, la circostanza che il richiedente abbia deciso di non fornire chiarimenti sulla vicenda, avvalendosi, nel corso del procedimento, della facoltà di cui all'articolo 64, comma 3, lett. b c.p.p La decisione assunta non è conforme al testo della norma ed alla ratio sottesa alla recente modifica apportata all'articolo 314 cod. proc . penumero dall'articolo 4, comma 1, lett. b D.Lgs. numero 8 novembre 2021 numero 188, non potendo il comportamento silente adottato dal richiedente essere qualificato in termini di colpa lieve . Per effetto dell'entrata in vigore del D.Lgs. numero 138/2021, recante Disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva UE 2016/343 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali , al comma 1 dell'articolo 314 c.p.p. è stato aggiunto il seguente periodo L'esercizio da parte dell'imputato della facoltà di cui all'articolo 64, comma 3, lettera b , non incide sul diritto alla riparazione di cui al primo periodo . Il legislatore ha così inteso adeguare la normativa nazionale alle disposizioni della Direttiva UE 2016/343 del Parlamento Europeo e del Consiglio sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza. Con specifico riferimento alla previsione che occupa, si è codificato il valore neutro dell'esercizio della facoltà dell'indagato o imputato di non rispondere alle domande dell'Autorità in interrogatorio e, più in generale, di rimanere silenti nel corso del procedimento. In tal modo si è conferita attuazione all'articolo 7, par. 1, della direttiva richiamata, il quale prevede che Gli Stati membri assicurano che agli indagati e imputati sia riconosciuto il diritto di restare in silenzio in merito al reato che viene loro contestato ed al paragrafo 5 del medesimo articolo, in cui si precisa che L'esercizio da parte degli indagati e imputati del diritto al silenzio o del diritto di non autoincriminarsi non può essere utilizzato contro di loro e non è considerato quale prova che essi abbiano commesso il reato ascritto loro . Il recepimento di tali principi nel contesto dell'articolo 314 c.p.p., con l'aggiunta nel comma 1 dell'ultimo periodo sopra richiamato, consente di affermare come il silenzio serbato dall'indagato o imputato nel corso del procedimento o nel giudizio penale, non solo non sia ostativo al riconoscimento dell'indennizzo per ingiusta detenzione, ma non possa essere validamente considerato ai fini della riduzione del quantum dell'indennizzo, trattandosi di comportamento non qualificabile in termini di colpa lieve. Da quanto precede può ricavarsi il seguente principio In tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, a seguito della modifica dell'articolo 314 c.p.p. ad opera dell'articolo 4, comma 1, lett. b , D.Lgs. numero 8 novembre 2021, numero 188, l'esercizio della facoltà di cui all'articolo 64, comma 3, lett. b c.p.p., oltre a non costituire causa ostativa al riconoscimento dell'indennizzo, non può essere considerato ai fini della diminuzione del quantum dell'indennizzo, assumendo un valore neutro non suscettibile di integrare una ipotesi di colpa lieve . 3. L'ordinanza impugnata deve essere pertanto annullata con rinvio alla Corte di appello di Palermo per nuovo esame limitatamente alla questione decisa. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata nei limiti di cui in motivazione e rinvia per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Palermo.