Rifiuti speciali: sequestrato il mezzo di trasporto e l’area

Non è esclusa a priori la sequestrabilità del mezzo di trasporto utilizzato per commettere il reato per il solo fatto che sia utilizzato anche a fini leciti.

Sequestro preventivo Il Tribunale ha annullato il sequestro preventivo del mezzo di trasporto utilizzato per la commissione del reato sull'assunto che era sufficiente il sequestro dell'area di terreno dove venivano portati i rifiuti e che l'autoveicolo poteva essere utilizzato dall'indagato anche per fini leciti. Il Procuratore della Repubblica ha proposto ricorso in cassazione denunciano l'errata applicazione delle disposizioni, tanto della confisca – che è misura obbligatoria con riguardo ai mezzi utilizzati per il trasporto illecito di rifiuti art. 259 comma 2 d.lgs. n. 152/2006 – quanto della disposizione del codice di rito in tema di sequestro preventivo impeditivo , con riferimento ai presupposti per disporre il sequestro impeditivo in relazione al reato di trasporto illecito dei rifiuti. Il tribunale, nell'annullare il sequestro dell'autoveicolo, ha sostenuto che non vi era pericolo di dispersione e che era sufficiente il sequestro dell'area di terreno a realizzare le finalità preventive atte a scongiurare la reiterazione di condotte dello stesso genere di quelle contestate. Sovrabbondanza non è proporzionalità La S.C. precisa che il riferimento alla sovrabbondanza del sequestro rispetto alle finalità impeditive perseguite non può essere inteso come applicazione del principio di proporzionalità di cui all' art. 275 comma 2 c.p.p. che va applicato nella scelta delle misure cautelari personali e che non è richiamato dall' art. 321 c.p.p. Quest'ultima disposizione fa infatti riferimento solo alla necessità di evitare, oltre all'aggravamento e alla protrazione delle conseguenze del reato già commesso, l' agevolazione di altri reati . Il giudice della cautela reale deve invece valutare e verificare la possibilità di fronteggiare il pericolo di aggravamento o di protrazione o di agevolazione mediante il ricorso a misure cautelari meno invasive , oppure limitando l'oggetto del sequestro o il vincolo in termini tali da limitare l'incidenza sui diritti del destinatario della misura. Il sequestro va mantenuto anche se vi sono utilizzi leciti del medesimo mezzo Tale principio, secondo la Corte, è stato applicato in modo errato dal Tribunale in particolare, la motivazione si presenta priva di riscontri probatori e assertiva là dove fa riferimento ai possibili impieghi leciti dell'autoveicolo sequestrato. La Corte afferma, invece, che la circostanza che il mezzo sequestrato sia utilizzato anche” per trasporti leciti non ne esclude la strumentalità alla possibile realizzazione di altri trasporti illeciti, cosicché il riferimento al possibile utilizzo anche” lecito risulta improprio. Il riferimento all'area sequestrata Pure il rilievo attribuito al sequestro dell'area nella quale si trova l'impianto abusivamente realizzato per il trattamento illecito dei rifiuti speciali è errato. La Corte evidenzia che all'indagato sono state contestate anche attività di raccolta di rifiuti poi trasportati e conferiti nell'area . Inoltre, l'accertamento del pericolo di reiterazione richiede una valutazione prognostica circa la possibilità di condotte reiterative , ma non anche l'accertamento dell'imminenza di specifiche opportunità di ricaduta nel delitto. Insomma, il sequestro dell'area e dell'impianto di trattamento illecito dei rifiuti non è di per sé sufficiente a salvaguardare il grave pericolo di reiterazione del reato. L'indagine prognostica circa la sussistenza del pericolo L'ordinanza è stata annullata con rinvio. L'indagine prognostica dovrà tenere conto del quadro indiziario e valutare la possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un'analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale, indipendentemente dall'accertamento di specifiche occasioni di ripetizione delle condotte.

Presidente Di Stefano – Relatrice Vigna Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Napoli il 10 febbraio 2022 - che condannava l'imputato e la compagna in relazione ai reati di lesioni colpose aggravate nei confronti del figlio neonato così riqualificato il reato di cui al capo 2, che originariamente contemplava il reato di lesioni volontarie aggravate e di abbandono di minori capo 3 e assolveva i predetti dal reato di maltrattamenti capo 1 - a seguito di appello del Pubblico ministero, ha condannato B.C., in ordine ai reati di cui ai capi 1 e 3 dell'originaria imputazione e, ritenuta la continuazione tra gli stessi e quelli quello di cui al capo 2 , ha determinato la pena inflitta in anni nove di reclusione. In sostanza, si contesta a B., in concorso con la propria compagna T.A., affetta da vizio parziale di mente, di avere maltrattato il figlio neonato - consentendo che il bambino nascesse presso l'abitazione familiare senza alcuna assistenza medica ed ostetrica - impedendo al personale del 118 , il giorno della nascita, di procedere alla visita del bambino e alla medicazione del cordone ombelicale del neonato - omettendo di condurre il neonato presso il presidio ospedaliero e comunque di farlo visitare - omettendo di condurre tempestivamente il neonato, presso un presidio ospedaliero, a seguito delle lesioni gravissime cagionate da lui e dalla compagna con un disinfettante inidoneo -cagionando al neonato lesioni cutanee gravissime e, comunque, non impedendo la causazione e l'aggravamento di tali lesioni così ingenerando nel neonato V., uno stato di sofferenza fisica tale da provocare un pericolo per la sua vita. Si contesta, poi, all'imputato di avere, in concorso con la compagna, abbandonato il minore, del quale avevano la custodia, nella qualità di conviventi e di genitori naturali, con le seguenti condotte - omettevano di adottare in favore del minore, subito dopo la nascita, le necessarie condotte di cura custodia e assistenza non procedendo a far sottoporre il neonato a visita medica - non provvedevano immediatamente, dopo che erano state cagionate al piccolo V., le gravissime lesioni di cui al capo 3 , a condurre il bambino presso un presidio ospedaliero e non prestavano alcun tipo di cura materiale assistenziale fino al omissis -ometteva il B., benché fosse consapevole dello stato psicologico della T., di chiedere l'intervento di personale medico delle forze dell'ordine al fine di impedire che il neonato restasse affidato a quest'ultima. Infine, si contesta all'imputato di avere provocato al neonato, sempre in concorso con la compagna, lesioni personali gravissime tali da richiedere un immediato intervento chirurgico di asportazione di lesioni cutanee necrotiche dal torace, dall'addome, dalle cosce, dall'emi volto sinistro e dallo scroto, causate dalla esposizione e dal contatto con un agente chimico non identificato. 2.Avverso la sentenza, ricorre per cassazione B., deducendo i seguenti motivi 2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata assoluzione dell'imputato in ordine al reato di maltrattamenti. Se il desiderio della coppia era quello di tenere con sé il piccolo V., è illogico ipotizzare che gli imputati abbiano procurato volontariamente le lesioni descritte in atti. Il lasso temporale nel quale si sono svolti gli eventi è estremamente breve, solo tre giorni, e non vi è alcuna dimostrazione della volontaria causazione nel tempo, e a più riprese, delle lesioni certificate sul corpo del bambino. Quella del protrarsi volontariamente delle lesioni è solo un'ipotesi, per nulla riscontrata in atti, che, comunque, incontra un limite temporale troppo breve per rientrare nell'alveo della fattispecie di cui all' art. 572 c.p. . 2.2. Violazione di legge vizio di motivazione con riguardo - alla mancata assoluzione dai reati di cui ai capi 2 e 3 - alla mancata esclusione delle aggravanti contestate - al mancato assorbimento del reato contestato al capo 3 in quello contestato al capo 2 , ritenendo sussistente l'ipotesi di cui al dell' art. 591 c.p. , comma 3. La sentenza impugnata opera una valutazione frazionata degli elementi della vicenda in esame. In particolare, tratta superficialmente il tema della percezione esterna delle condizioni psicologiche di T.A., B., risponde sostanzialmente di una condotta omissiva, che avrebbe ragione di esistere solo in virtù delle condizioni psichiche della T La sentenza impugnata attesta l'esistenza di un disturbo psicotico in soggetto con deficit cognitivo lieve, ma non contestualizza questo deficit nell'ambito socio culturale di riferimento. Un riscontro alla possibilità che il deficit della T., non fosse mai stato percepito da chi la circondava viene offerto dalla dottoressa M., che riferisce di condizioni di vita socio ambientali accettabili e non evidenzia situazioni di squilibrio, nonché dallo stesso consulente del Pubblico ministero, il quale afferma che il deficit non era di grado così elevato. Anche gli ulteriori testi escussi in dibattimento non riconoscono l'esistenza di un deficit cognitivo nella donna. La valutazione del rapporto esistente tra i due imputati non è stata oggetto di scrupolosa valutazione da parte dei giudici d'appello. È emerso, infatti, come l'unica persona con la quale la T. volesse stare fosse proprio B. e che, con costui, tentava di ricostruire una famiglia. A ciò si aggiunga che, nella coppia, era la T., ad avere un carattere dominante e spesso violento nei confronti di B Tutte le prove rendono pacifica la circostanza che l'imputato, almeno dal omissis , non dormisse più nell'abitazione di Portici e si trattenesse, per volontà della donna, solo all'esterno di detta abitazione. È, invece, dimostrato l'intervento di B. nel momento in cui si rese conto che il bambino non stava bene egli si adoperò per dichiarare la nascita del predetto al fine di ottenere un medico di base. Quanto al reato di abbandono, lo stesso non è ravvisabile poiché, come ha dimostrato il dibattimento, il piccolo V., ebbe a stare continuativamente in compagnia della mamma. Quanto all'aggravante contestata ai sensi dell' art. 583 c.p. , non è emerso in dibattimento che il neonato abbia riportato lesioni gravissime, nè la natura delle stesse, nè che vi sia stato un indebolimento di un senso o di un organo. Nulla, infine, viene detto con riferimento all'invocato assorbimento tra i due reati, e cioè il reato di lesioni in quello di cui all' art. 591 c.p. , comma 3. 2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione con particolare riguardo alla mancata riduzione della pena inflitta con applicazione di una pena base ai minimi edittali, mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione mancata concessione della sospensione condizionale della pena. Occorreva tenere conto della occasionalità della condotta, dell'incensuratezza dell'imputato, del suo corretto comportamento processuale. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato con riferimento al vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dei reati di maltrattamenti e di lesioni dolose. 2.11 primo motivo di ricorso è fondato. La difesa deduce correttamente il vizio di motivazione nel giudizio di condanna per il reato di maltrattamenti di cui al capo 1 , in relazione al fatto che la condotta incriminata avrebbe avuto una durata troppo breve quattro giorni per potere parlare di abitualità della stessa e che non era stata fornita la prova della coscienza e la volontà dell'imputato di ricorso ad atti violenti e vessatori, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere la personalità della vittima Sez. 6, n. 25183 del 19/06/2012 Rv., R., 253042 . 2.1. Ai fini di un compiuto esame delle censure appena indicate, è utile premettere alcune precisazioni in tema di obbligo di motivazione rafforzata . Innanzitutto, per quanto attiene alla individuazione del contenuto dell'obbligo di motivazione rafforzata , occorre avere riguardo all'elaborazione giurisprudenziale sul punto. In particolare, secondo le Sezioni Unite, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato così Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 23679-01 . L'indicazione delle Sezioni Unite ha trovato amplissima applicazione nelle pronunce successive di questa Corte cfr., tra le tantissime, Sez. 5, n. 48355 del 18/11/2022, Nuara, non massimata, e Sez. 6, n. 10130 del 23/01/2015, Marsili, Rv. 262907-01 . Tale principio appare pienamente coerente con il dettato normativo. In particolare, l' art. 533 c.p.p. , comma 1, primo periodo, prevede che il giudice pronuncia sentenza di condanna se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli, al di là di ogni ragionevole dubbio . Ora, il superamento di ogni ragionevole dubbio, perché possa dirsi effettivamente realizzato, nel caso di ribaltamento della decisione assolutoria in primo grado, presuppone necessariamente il confronto del giudice di appello con gli argomenti posti a fondamento della prima sentenza e la persuasiva confutazione degli stessi. 2.2. Nel caso de quo, con riferimento alla ricostruzione della fattispecie di maltrattamenti, la violazione dell'obbligo di motivazione rafforzata si evince in relazione a più profili. Il Tribunale, nell'assolvere l'imputato perché il fatto non sussiste, dopo avere premesso che, per integrare il reato di maltrattamenti, è necessaria una serialità di singole condotte lesive, che è sufficiente siano in forma cronologicamente e numericamente minimale , ha sottolineato che la condotta contestata si è protratta nell'arco di soli quattro giorni e che, conseguentemente, si è in presenza di una espansione cronologica troppo ristretta ai fini di una corretta integrazione della norma incriminatrice in questione . A fronte di questi rilievi, la sentenza della Corte di appello si è preoccupata unicamente di precisare che per integrare il requisito della abitualità non è necessario che le condotte vengano perpetrate in un tempo prolungato, essendo, invece, sufficiente la ripetizione degli atti vessatori anche per un periodo limitato purché continuativo . Quanto alla sussistenza degli altri elementi costitutivi del reato di cui all' art. 572 c.p. , la Corte di appello territoriale si è limitata a sostenere l'esistenza di una protratta condotta omissiva e commissiva mediante la quale gli imputati hanno determinato le condizioni per infliggere al neonato plurime e insopportabili sofferenze fisiche. La Corte d'appello, quindi, pur ribaltando l'esito del giudizio da assoluzione in condanna, ha rimarcato un principio di diritto, peraltro, condiviso dal tribunale e cioè la non necessarietà che la condotta venga perpetrata in un arco temporale esteso , ma ha omesso di confutare specificamente l'argomento della motivazione della prima sentenza espressamente valorizzato ai fini del proscioglimento l'impossibilità di instaurare in quattro giorni quel clima di abituale vessazione della persona offesa che costituisce l'elemento tipico del reato in esame , e di dare conto delle ragioni della incompletezza o incoerenza dello stesso, tale da giustificare la riforma del provvedimento impugnato. In tal modo, la sentenza impugnata ha violato l'obbligo di motivazione rafforzata. La Corte di appello territoriale, in relazione a questo segmento del fatto, non offre chiarimenti precisi, e, anzi, dapprima dà atto del desiderio di paternità dell'imputato e dei messaggi amorevoli sul figlio neonato inviati alla suocera, poi sottolinea il fatto che al momento della nascita, fu l'imputato a chiamare i 118 perché i medici potessero visitare il bambino e apprestare le cure del caso appena nato in casa, circostanza resa impossibile dalla compagnia che acconsentì unicamente alla recisione del cordone ombelicale e, infine, precisa che, non appena B. , si rese conto delle lesioni sul corpo del bambino, si spaventò moltissimo, si attivò immediatamente per fare registrare la sua nascita in Comune così da potere avere diritto ad un pediatra di famiglia e contattò nuovamente il 118 , preoccupatissimo delle condizioni di salute dello stesso. La sentenza impugnata, con riguardo a questi profili, nulla dice di specifico, se non che risultava provato che l'imputato aveva trascorso i primi quattro giorni di vita del bambino in casa, con la compagna, e che, quindi, aveva accudito e lavato il bambino insieme a lei. Così facendo la Corte di appello non si è confrontata con quanto dichiarato, nel corso del proprio esame dibattimentale, dall'imputato, il quale ha spiegato la violenza della T. e la volontà di quest'ultima di allontanarlo dall'appartamento di Portici sin dai giorni precedenti al parto l'imputato ha anche specificato di avere dormito nel corso di quei quattro giorni sul luogo di lavoro . I giudici di appello, quindi, hanno ritenuto una partecipazione piena, cosciente e volontaria di B. , al compimento del fatto di reato, non adducendo validi riscontri a tali conclusioni e non prendendo in esame le dichiarazioni dei colleghi di lavoro del predetto i quali hanno confermato di averlo visto dormire sul posto di lavoro e del vicino di casa al quale B. aveva confidato di volersi trasferire altrove . Nella sentenza impugnata, inoltre, si sostiene che il ricorrente, volontariamente, non fece visitare il nascituro, nè si adoperò per dichiararlo all'anagrafe entrambe le circostanze sono smentite dalle emergenze processuali e non sono ancorate a nessuna prova documentale. La Corte d'appello, quindi, ha omesso di confutare specificamente gli argomenti della motivazione della prima sentenza in ordine alla esatta ricostruzione del fatto, espressamente valorizzati ai fini del proscioglimento perché ritenuti tali da fondare un ragionevole dubbio in ordine alla sussistenza della condotta di maltrattamenti e, comunque, del dolo del reato. 2.3. Si ribadisce, al riguardo, che non è necessario, per la configurabilità del reato in esame, un comportamento vessatorio continuo ed ininterrotto, perché il reato è caratterizzato da un' unità significante costituita da una condotta abituale che si estrinseca con più atti, delittuosi o no, che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, ma collegati da un nesso di abitualità ed avvinti nel loro svolgimento da un' unica intenzione criminosa di ledere l'integrità fisica o il patrimonio morale del soggetto passivo cioè, in sintesi, di infliggere abitualmente tali sofferenze. A integrare l'abitualità della condotta non è necessario che la stessa venga attuata in un tempo prolungato, essendo sufficiente la ripetizione degli atti vessatori, come sopra caratterizzati e unificati , anche se per un limitato periodo di tempo, anche se - pare opportuno rimarcarlo - uno degli indici obiettivi è rappresentato proprio dalla seriazione di atti che contrassegna, di norma l'abitualità. L'elemento psichico, poi, si concretizza in modo unitario, uniforme e tale da evidenziare nell'agente una grave intenzione di avvilire e sopraffare la vittima e deve ricondurre ad unità i vari episodi di aggressione alla sfera morale e materiale di quest'ultima. Tuttavia, deve escludersi che la compromissione del bene protetto si verifichi in presenza di semplici fatti che ledono, ovvero mettono in pericolo l'incolumità personale, la libertà o l'onore di una persona della famiglia, essendo necessario, per la configurabilità del reato, che tali fatti siano la componente di una più ampia ed unitaria condotta abituale, idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile Sez. 6, n. 4935 del 23/01/2019, M., Rv. 274617 - 01 . Il fatto che con il verbo maltrattare il legislatore abbia utilizzato un'espressione comprensiva, sia della condotta tipica, sia dell'elemento soggettivo del reato, non esime, quindi, la Corte di appello, in sede di rinvio, dal prendere in esame i profili più strettamente legati all'elemento psicologico. Sul punto, la giurisprudenza è costante nel senso che per la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di cui all' art. 572 c.p. , è sufficiente il dolo generico cioè la coscienza e volontà di sottoporre il soggetto passivo a tali sofferenze in modo continuo ed abituale Sez. 6, n. 15146 del 19/03/2014, D'A., Rv. 259677 - 01 . L'elemento unificatore dei singoli episodi è, quindi, costituito da un dolo unitario, e pressoché programmatico, che abbraccia e fonde le diverse azioni esso consiste nell'inclinazione della volontà ad una condotta oppressiva e prevaricatrice che, nella reiterazione dei maltrattamenti, si va via via realizzando e confermando, in modo che il colpevole accetta di compiere le singole sopraffazioni con la consapevolezza di persistere in una attività illecita, posta in essere già altre volte esso è, perciò costituito da una condotta abituale che si estrinseca con più atti, delittuosi o no, che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, ma collegati da un nesso di abitualità ed avvinti nel loro svolgimento dall'unica intenzione criminosa di ledere l'integrità fisica o il patrimonio morale del soggetto passivo, cioè, in sintesi, di infliggere abitualmente tali sofferenze. La valutazione di tale componente soggettiva di difficile connotazione esterna è rimessa necessariamente al prudente apprezzamento del giudice di merito il quale, però, proprio per tale ragione, deve fornire del suo convincimento una motivazione priva di vizi logici e ancorata a dati di fatto che costituiscano chiara manifestazione della intima volizione dell'imputato. 3.Difetta la motivazione rafforzata anche con riferimento al reato di lesioni dolose aggravate. I giudici di appello hanno ritenuto una partecipazione piena, cosciente e volontaria di B. al compimento del fatto di reato, non adducendo validi riscontri a tali conclusioni. I Giudici del rinvio, fermi restando i poteri istruttori e di apprezzamento delle fonti di prova, dovranno evitare di incorrere nei vizi rilevati e spiegare analiticamente perché i dubbi e le perplessità evidenziati nella pronuncia di prima cura non abbiano carattere di decisività in senso favorevole all'imputato. 4. Il secondo motivo, volto a censurare i medesimi vizi di legge in relazione ai reati di abbandono di minore di cui al capo 2 , è inammissibile perché versato interamente in fatto. I giudici d'appello, dopo un'attenta ricostruzione delle ripetute occasioni in cui il ricorrente è intervenuto nella vicenda e nei rapporti tra la coppia e i sanitari, pervengono alla riforma della decisione sulla base di corretti rilievi non solo in ordine a comportamenti commissivi, ma anche omissivi rispetto agli agiti della moglie, peraltro argomentando adeguatamente anche rispetto all'irrilevanza della individuazione della sostanza utilizzata per i lavaggi del bambino una volta riscontrata la certa natura ustionante delle lesioni da esso patite. Il motivo, pertanto, rimane su un piano generico, senza un adeguato confronto con le risposte fornite nel provvedimento impugnato a ciascuna delle questioni dedotte, e nuovamente riproposte. La deduzione relativa al mancato assorbimento del reato di cui all' art. 591 c.p. , comma 3, nel reato di lesioni è manifestamente infondata, trattandosi di un reato aggravato dall'evento. 5. La sentenza impugnata deve, conseguentemente, essere annullata con rinvio in relazione ai capi 1 e 3 . Il ricorso è, invece, inammissibile in relazione al reato di cui all' art. 571 c.p. . P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli. Dispone, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52 , che sia apposta, a cura della cancelleria, sull'originale del provvedimento, un'annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati in sentenza.