Rimborso ritenute d’acconto operate sugli interessi attivi maturati sui conti della società fallita, spetta anche al curatore fallimentare?

La Suprema Corte di cassazione, Prima Presidente, ha dichiarato inammissibile, per difetto del requisito di cui al n. 2 del comma 1, art. 363-bis c.p.c. , il rinvio pregiudiziale sollevato dalla CGT Abruzzo, nato a seguito del fallimento di una s.a.s. e inerente alla restituzione di ritenute d'acconto, operate dalla banca sugli interessi attivi maturati sui conti intestati alla società fallita.

Diritto al rimborso del credito fiscale Il caso in esame origina dal rinvio pregiudiziale degli atti operato dalla CGT dell'Abruzzo alla Corte di cassazione, ai sensi dell' art. 363-bis c.p.c. , per la risoluzione di una questione relativa la legittimazione e la spettanza del diritto al rimborso di somme ritenute a titolo di acconto art. 26, comma 4, lett. b d.P.R. n. 600/1973 nel corso di una procedura fallimentare inerente a una società di persone conclusasi senza residuo attivo e, pertanto, senza nessun reddito imponibile. La controversia verte sulla sussistenza in favore del curatore di una società di persone, del diritto al rimborso del credito fiscale relativamente alle ritenute d'acconto operate dalla banca sugli interessi attivi maturati sui conti correnti intestati alla società incorsa in fallimento. Il Giudice di prime cure CT Chieti escludeva la spettanza del ricorso invocato, riconoscendolo ai soci secondo la percentuale di partecipazione agli utili. La decisione veniva appellata dal curatore fallimentare il quale sosteneva che, in assenza di residuo attivo e pertanto di reddito imponibile, il diritto al rimborso delle ritenute subite a titolo d'acconto spetta al fallimento, mancando il presupposto impositivo. L'Agenzia delle Entrate, resistendo all'appello, sosteneva che le ritenute d'acconto non possono essere chieste a rimborso direttamente dalla società di persone … ”. I precedenti giurisprudenziali In materia di rimborso di ritenute d'acconto sugli interessi attivi maturati sui conti della società fallita, diversi sono gli interventi della Cassazione che descrivono un quadro interpretativo consolidato. Cass., Sez. I, n. 13154/1995 Statuisce che i sostituti d'imposta art. 26, comma 2 d.P.R. n. 600/1973 sono obbligati ad operare le ritenute d'acconto sugli interessi di conti correnti e di depositi bancari e postali anche quando l'impresa a favore della quale sono corrisposti sia soggetta a liquidazione coatta amministrativa Cass., Sez. V, n. 7797/2001 e n. 7838/2001 Legittimano il diniego del fisco di restituire al commissario liquidatore l'importo della ritenuta d'acconto operata da un istituto di credito sugli interessi attivi maturati su somme depositate presso l'istituto stesso da una società di mutua assicurazione successivamente sottoposta a liquidazione coatta amministrativa Cass., Sez. Trib., n. 19314/2011 Riafferma che i sostituti d'imposta art. 26, comma 2 d.P.R. n. 600/1973 sono tenuti ad operare le ritenute d'acconto sugli interessi di conti correnti e di depositi bancari e postali anche quando l'impresa, a favore della quale sono corrisposti, sia sottoposta a liquidazione coatta amministrativa Cass., Sez. Trib., n. 6630/2019 Statuisce il principio per cui l'impresa soggetta a liquidazione coatta amministrativa continua ad essere assoggettata ad imposta sul reddito di impresa, sia per quanto generato nel periodo compreso tra inizio dell'esercizio ed il provvedimento che ordina l'apertura della procedura, sia per quello, eventualmente, prodotto nel periodo compreso tra l'inizio e la fine della stessa. La CGT Abruzzese sottolineando l'assenza di precedenti sul caso concreto rimetteva, ricorrendo al rinvio pregiudiziale, alla Corte di cassazione. Nell'ordinanza di remissione si dispone che i principi nomofilattici espressi con riferimento a società di capitali sono operanti anche alle società di persone, sulla scorta del principio generale in materia di ripetizione di indebito secondo cui il diritto di ripetere l'indebito spetta al solvens ex art. 2033 c.c. che, nel caso di specie, si identifica con l'ente sostituito che ha riscosso gli interessi al netto della ritenuta operata dal sostituto senza che a tal fine possa aver rilevanza la natura di tale ente quale società di capitali o di persone. In un simile contesto, non appare prospettabile una grave difficoltà interpretativa, sicché, nella vicenda esposta, viste le suddette statuizioni, la Cassazione dichiara inammissibile il rinvio pregiudiziale sollevato dalla CGT Abruzzese proprio per difetto del requisito della difficoltà interpretativa grave, di cui al n. 2 del comma 1 dell' art. 363-bis c.p.c.

Fatto 1. - Nel corso di un giudizio tributario avverso il silenzio-diniego di rimborso richiesto, dal fallimento di una società in accomandita semplice, per la restituzione di ritenute d'acconto operate dalla banca sugli interessi attivi maturati sui conti intestati alla società fallita, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell'Abruzzo, con ordinanza depositata il 7 novembre 2023 RGN 22323 del 2023 , ha disposto il rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di cassazione, ai sensi dell' art. 363-bis c.p.c. , per la risoluzione di una questione di diritto. La questione sollevata verte sulla legittimazione e sulla spettanza del diritto al rimborso delle ritenute a titolo di acconto ex art. 26, comma 4, lettera b , del D.P.R. n. 600 del 1973 Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi nel corso della procedura fallimentare relativa ad una società di persone conclusasi senza residuo attivo e, quindi, senza alcun reddito imponibile. Si tratta di stabilire se sussista in capo al curatore del fallimento di una società di persone il diritto al rimborso del credito fiscale correlato alle ritenute d'acconto operate dalla banca sugli interessi attivi maturati in relazione ai conti correnti intestati alla società fallita. 2. - Nel processo a quo la Commissione tributaria provinciale di Chieti, in primo grado, ha escluso la spettanza alla curatela del rimborso invocato, correlato all'eccedenza delle ritenute d'acconto operate dalla banca in costanza di procedura. Secondo la Commissione tributaria provinciale, il rimborso può essere chiesto soltanto dai soci secondo la percentuale di partecipazione agli utili. Il curatore del fallimento, nel proporre appello, ha sostenuto che, in mancanza di residuo attivo in capo al fallimento e quindi di reddito imponibile, il diritto al rimborso delle ritenute subite a titolo d'acconto spetta al fallimento, per sopravvenuta insussistenza del presupposto impositivo e ciò indipendentemente dalla circostanza per cui si tratti di società di persone anziché di società di capitali. L'appellata Agenzia delle entrate, nel resistere al gravame, ha osservato che le ritenute d'acconto - quali accantonamenti operati dal sostituto d'imposta a titolo di imposte dirette - non possono essere chieste a rimborso direttamente dalla società di persone, posto che essa, a differenza della società di capitali soggetta ad IRES imposta sui redditi delle società , non è autonomo soggetto d'imposta ai fini delle imposte dirette sicché il rimborso, ad avviso dell'Agenzia, potrebbe essere chiesto solo dai soci, secondo la percentuale di partecipazione agli utili, previo scomputo dalle imposte da ciascuno dovute, con ciò facendosi applicazione della specifica disciplina prevista dall' art. 22 TUIR Testo unico delle imposte sui redditi , dettato per le modalità di scomputo delle ritenute operate sui redditi di soggetti non IRES, quali appunto i soci, persone fisiche, di società di persone. 3. - Tale essendo la vicenda processuale, la questione sollevata intercetta, in effetti, una situazione ricorrente. La gestione concorsuale, anche attraverso le iniziative recuperatorie del curatore e le operazioni liquidatorie dallo stesso condotte, acquisisce o genera somme che sono riversate in conto corrente, per essere distribuite fra i creditori ex art. 110 ss. della legge fallimentare nel contesto necessitato dei riparti fallimentari. Giacendo sul conto, il denaro produce interessi attivi, che gli istituti bancari accreditano al correntista al netto di ritenute d'acconto. In esito alla procedura concorsuale le ritenute operate si rivelano tendenzialmente eccedentarie rispetto al reddito d'impresa, partorendo un credito fiscale rimborsabile. 4. - Ciò premesso, preme osservare che, nella giurisprudenza della Corte di cassazione, non manca l'enunciazione di principi idonei ad orientare ai fini della risoluzione della questione interpretativa posta. Sul tema del rimborso di ritenute d'acconto operate sugli interessi attivi maturati sui conti della società fallita, si registrano interventi della Corte di cassazione destinati ad offrire un quadro interpretativo coerente e sedimentato. Passando in rassegna i precedenti, Cass., Sez. I, 29 dicembre 1995, n. 13154 , ha enunciato il principio secondo cui i sostituti d'imposta indicati nell' art. 26, comma 2, del D.P.R. n. 600 del 1973 hanno l'obbligo di operare le ritenute d'acconto sugli interessi di conti correnti e di depositi bancari e postali anche quando l'impresa a favore della quale sono corrisposti sia sottoposta a liquidazione coatta amministrativa, non rilevando in contrario la circostanza che l'accertamento di un effettivo debito d'imposta sul reddito d'impresa dell'ente possa essere compiuto soltanto nella fase di chiusura della liquidazione, ove risulti un residuo attivo imponibile, scomputandosi in tal caso dall'imposta dovuta dal commissario liquidatore gli acconti prelevati dai sostituti nel corso della procedura e versati all'erario ed insorgendo, invece, il diritto dell'ente medesimo al rimborso totale o parziale di dette somme nell'opposta ipotesi in cui, in base alle risultanze del conto di gestione e del bilancio finale, non siano dovute imposte sui redditi d'impresa o siano dovute imposte per un ammontare inferiore a quello delle ritenute d'acconto. L'affermazione di principio contenuta nella sentenza del 1995 innerva il formante ermeneutico successivo della giurisprudenza di legittimità. Per Cass., Sez. V, 8 giugno 2001, n. 7797, e per Cass., Sez. V, 11 giugno 2001, n. 7838 , è legittimo il rifiuto dell'amministrazione finanziaria di restituire al commissario liquidatore l'importo della ritenuta d'acconto legittimamente operata da un istituto di credito sugli interessi attivi maturati su somme depositate presso l'istituto stesso da una società di mutua assicurazione successivamente sottoposta a liquidazione coatta amministrativa, restando irrilevante il fatto che nel caso di liquidazione coatta amministrativa la liquidazione dell'imposta avviene alla chiusura della procedura concorsuale e non sulla base di una dichiarazione annuale dei redditi. Lungo la medesima lunghezza d'onda si pone la sentenza della Sezione Tributaria 22 settembre 2011, n. 19314. Vi si ribadisce che i sostituti d'imposta indicati nell' art. 26, comma 2, del D.P.R. n. 600 del 1973 hanno l'obbligo di operare le ritenute d'acconto sugli interessi di conti correnti e di depositi bancari e postali anche quando l'impresa, a favore della quale sono corrisposti, sia sottoposta a liquidazione coatta amministrativa, non rilevando in contrario la circostanza che l'accertamento di un effettivo debito d'imposta sul reddito d'impresa dell'ente possa essere compiuto soltanto nella fase di chiusura della liquidazione, ove risulti un residuo attivo imponibile. Ad un tal esito, infatti, dall'imposta che risulterà dovuta, si scomputeranno gli acconti prelevati dai sostituti nel corso della procedura e versati all'erario, mentre insorgerà, invece, il diritto dell'ente medesimo al rimborso totale o parziale di dette somme, nell'opposta ipotesi in cui, in base alle risultanze del conto di gestione e del bilancio filiale, non siano dovute imposte sui redditi d'impresa o siano dovute imposte per un ammontare inferiore a quello delle ritenute d'acconto, senza che ciò si ponga in contrasto con il principio di capacità contributiva e il diritto di difesa. Con la sentenza n. 6630 del 7 marzo 2019, infine, la Sezione Tributaria ha enunciato il principio secondo cui l'impresa posta in liquidazione coatta amministrativa continua ad essere assoggettata all'imposta sul reddito di impresa, sia per quello prodotto nel periodo compreso tra l'inizio dell'esercizio ed il provvedimento che ordina l'apertura della procedura, sia per quello eventualmente prodotto nel periodo compreso tra l'inizio e la fine della stessa, essendo stato previsto espressamente, in considerazione delle esigenze temporali proprie della liquidazione concorsuale, un periodo d'imposta diverso ed eventualmente più ampio di quello ordinario, coincidente con la durata della procedura medesima. 5. - La Corte di giustizia tributaria di secondo grado rimettente, sottolineando la natura di società di persone rivestita nel caso di specie dall'ente fallito, evidenzia l'assenza di precedenti specifici calibrati su questa specifica condizione soggettiva. Per questa ragione il giudice a quo chiama in soccorso, ricorrendo al rinvio pregiudiziale, la Corte di cassazione. Ma la stessa ordinanza di rimessione dà atto che, benché precipuamente espressi con riferimento a società di capitali, i principi nomofilattici espressi dalla Corte di cassazione sono destinati ad operare anche in rapporto alle società di persone. L'ordinanza di rimessione, in particolare, richiamando Cass., Sez. V, 22 settembre 2011, n. 19314 , riconosce, in esito ad una approfondita analisi del precedente, che tale giurisprudenza, pur riferendosi esplicitamente alle società di capitali, è estensibile per identità di ratio anche alle società di persone, risolvendosi in un' applicazione del generale principio in tema di ripetizione di indebito secondo cui il diritto di ripetere l'indebito spetta al solvens ex art. 2033 c.c. che, nel caso di specie, si identifica con l'ente sostituito che ha riscosso gli interessi al netto della ritenuta operata dal sostituto senza che a tal fine possa aver rilevanza la natura di tale ente quale società di capitali o di persone . In altri termini, secondo l'ordinanza di rimessione, l'indirizzo espresso dalla pronuncia richiamata della Corte di cassazione postula una risposta affermativa al quesito sulla legittimazione del curatore ad ottenere il rimborso delle ritenute occorse a titolo di acconto ex art. 26, comma 4, lettera b , del D.P.R. n. 600 del 1973 , nel corso della procedura fallimentare relativa ad una società in accomandita, conclusasi senza residuo attivo e, dunque, senza alcun reddito imponibile. In questo contesto, non appare prospettabile una grave difficoltà interpretativa sulla sola base del rilievo che la tesi sostenuta dall'Agenzia appellata è di segno diverso, nel senso che la natura dell'ente sarebbe invece determinante ai fini della individuazione del soggetto avente diritto al rimborso delle ritenute operate ai sensi dell' art. 26 del D.P.R. n. 600 del 1973 dagli istituti di credito . 6. - Ne consegue che il rinvio pregiudiziale non può essere ammesso, facendo, appunto, difetto il requisito della difficoltà interpretativa grave, di cui al n. 2 del comma 1 dell' art. 363-bis c.p.c. P.Q.M. visto l 'art. 363-bis c.p.c ., dichiara inammissibile il rinvio pregiudiziale sollevato dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell'Abruzzo con l'ordinanza di cui in premessa.