Omicidio colposo: l’ubriachezza e l’imprudenza del pedone non rilevano ai fini della condanna dell’automobilista

La condotta imprudente nonché lo stato di ubriachezza del pedone investito e ucciso dal conducente di un autoveicolo non sono stati decisivi nel determinare la condanna del conducente per omicidio colposo.

Fondamentale la ricostruzione dell'incidente. Orario, contesto e collocazione del pedone imponevano al conducente una più alta soglia di attenzione e la riduzione della velocità del veicolo Ricostruito il tragico episodio, verificatosi di notte lungo una strada provinciale in Piemonte, il conducente dell'autovettura che ha investito e ucciso un uomo viene ritenuto colpevole , sia in primo che in secondo grado, del reato di omicidio colposo e, conseguentemente, condannato alla pena mesi due di reclusione. Nelle motivazioni della sentenza di Appello si legge come la condotta dell' autista della vettura si inserisca nei parametri della colpa sia generica che specifica in materia di violazione della normativa del codice della strada a tenore del quale il conducente deve sempre conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l'arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile . Nel ricorso proposto avanti la Corte di Cassazione, l'avvocato difensore dell'automobilista mette in dubbio la responsabilità penale del suo assistito così come ricostruita dal giudice d'Appello, secondo cui un diverso comportamento lecito del conducente avrebbe evitato la realizzazione dell'evento con certezza o, quantomeno, avrebbe avuto significative probabilità di scongiurare l'evento . Su questo fronte la difesa sostiene che i giudici di secondo grado hanno omesso di valutare il preteso comportamento alternativo lecito che avrebbe potuto evitare l'evento con ragionevole probabilità statistica mentre hanno trasformato in certezza probatoria l'affermazione del consulente tecnico del pubblico ministero che nel merito si è espresso in termini di mera presunzione circa l'impatto che avrebbe potuto essere evitato se il conducente avesse adottato determinate cautele nella guida del veicolo. Infine, il difensore della parte ricorrente sostiene sia illogico ipotizzare l' omicidio colposo , stante l'abnormità del comportamento tenuto dal pedone – visto il tasso alcolemico che aveva al momento dell'impatto – e, l'assoluta imprevedibilità della sua presenza, di notte, sul ciglio della strada, ove si muoveva in modo scomposto Ancora, sostiene la difesa, è irragionevole pretendere che la persona alla guida debba, dopo aver rispettato la propria sede stradale di competenza e i limiti di velocità, farsi altresì carico di prevedere l'ipotetica presenza di un pedone, di notte, vestito di scuro . La linea difensiva muove quindi dal mettere in dubbio l'evitabilità della morte del pedone ancorché il conducente avesse adottato i comportamenti imposti dalle circostanze di tempo e di luogo e la prevedibilità della presenza, in piena notte, sulla stessa carreggiata di marcia priva di illuminazione pubblica, del pedone vestito con abiti scuri . Per i Giudici di Cassazione, però, non può essere posta in dubbio la responsabilità penale dell'automobilista . A fronte del materiale probatorio, l'imputabilità psichica dell'evento morte poggia sulla ordinaria prevedibilità della presenza del pedone e sulla prova certa che una serie di circostanze avrebbero potuto evitare l'urto dell'auto con il pedone , e quest'ultimo avrebbe potuto essere avvistato ed evitato dal conducente dell'automobile, che avrebbe potuto frenare la corsa del veicolo, se avesse attivato i fari abbaglianti, avesse viaggiato a velocità ridotta, avesse compiuto in extremis una manovra di emergenza, una volta accortosi del pedone in tempo utile per arrestare il veicolo . Continuano i Giudici la constatazione che la vittima avesse un tasso alcolemico molto alto non significa automaticamente che la sua presenza e la sua condotta di pedone siano state incontrollabili e imprevedibili nonché imponderabili da parte dell'uomo alla guida della propria autovettura . Entrando ancor più nei dettagli, poi, i magistrati osservano che l'incidente si è verificato in orario notturno, in una strada provinciale a doppio senso di marcia, priva di illuminazione pubblica, e che il pedone investito camminava in senso opposto a quello di marcia del veicolo condotto dall'uomo sotto processo ma sulla stessa corsia. Si tratta, quindi, di un comportamento, per quanto verosimilmente influente l'accertato tasso alcolemico della vittima, che tenuto conto delle circostanze concrete presenti al momento del fatto oscurità notturna, mancato uso dei fari abbaglianti, strada priva di illuminazione pubblica , rendeva ragionevolmente prevedibile e non solo per la presenza di veicoli nel senso opposto la concretizzazione di un rischio di impatto e, quindi, imponeva, di certo, al conducente una più alta soglia di attenzione e la riduzione della velocità del veicolo, che invece, nel caso concreto, era compresa tra i 78 e gli 86 chilometri orari . A fronte, quindi, della velocità eccessiva, nonostante le condizioni di oscurità, del mancato uso degli abbaglianti, dell'orario notturno, per i Supremi Giudici è logico ritenere che l' automobilista, adottando maggiori cautele, avrebbe potuto evitare il drammatico evento . In parole povere se le circostanze del fatto fossero state governate diversamente dal conducente dell'autovettura, illuminando la carreggiata con i fari abbaglianti ed effettuando un tentativo di frenata, si sarebbe evitato l'impatto con il pedone . Di conseguenza, pur considerando il concorso di colpa della vittima , l'evento fatale sarebbe stato evitabile con un comportamento dell'automobilista rispettoso della normale precauzione richiesta dal ‘codice della strada' . A completezza del ragionamento, i Giudici chiariscono che è impossibile sostenere, come ha fatto invece la difesa, l'interruzione del nesso causale psichico richiamando solo la congettura che il conducente non aveva davanti a sé una condotta alternativa in relazione ad un indimostrato e irrilevante movimento anomalo della vittima .

Presidente Di Salvo – Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Torino, con sentenza del 14/10/2022, confermava la sentenza di condanna nei confronti di M.L., emessa dal Tribunale di Alessandria in data 31/10/2019, alla pena di mesi due di reclusione per il reato previsto dall' art. 589 c.p. perché alla guida del proprio veicolo per colpa generica e specifica a causa della violazione dell' art. 141 C.d.S. , comma 2, cagionava la morte del pedone O.S 2. Avverso tale decisione ricorre la difesa dell'imputato con un primo motivo di ricorso con cui lamenta l'inosservanza ed erronea applicazione della legge penale circa gli artt. 40, 42, 589 c.p. per aver omesso la sentenza impugnata, che sul punto richiama la decisione del giudice di primo grado, di delineare il nesso di causa psichica e di aver accertato tramite un giudizio controfattuale che un diverso comportamento lecito, nei fatti omesso, avrebbe evitato la realizzazione dell'evento con certezza o quantomeno avrebbe avuto significative probabilità di scongiurare l'evento. La sentenza della Corte di appello di Torino, quindi, a parere del ricorrente, ha omesso di valutare il preteso comportamento alternativo lecito che avrebbe potuto evitare l'evento con ragionevole probabilità statistica. La violazione di legge, pertanto, secondo il ricorrente, emergerebbe dalla considerazione che la motivazione impugnata avrebbe trasformato in certezza probatoria l'affermazione del consulente tecnico del pubblico ministero che nel merito si è espresso in termini di mera presunzione circa l'impatto che avrebbe potuto essere evitato se l'imputato avesse adottato le cautele descritte in imputazione. 3. Con un secondo motivo di ricorso si lamenta l'erronea applicazione della legge penale con riferimento all' art. 589 c.p. in quanto emergerebbe l'abnormità del comportamento tenuto dal pedone visto il tasso alcolemico che aveva al momento dell'impatto e di conseguenza l'assoluta imprevedibilità della sua presenza, di notte, sul ciglio della strada ove si muoveva scompostamente. Sostiene il ricorrente che pare illogico pretendere che una persona, dopo aver rispettato la propria sede stradale di competenza e i limiti di velocità, debba altresì farsi carico di prevedere l'ipotetica presenza di un pedone, di notte, vestito di scuro. 4. Il i rocuratore generale ha concluso per l'inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 1. Entrambi i motivi possono ricondursi ad una comune critica. In primo luogo, invero, il Collegio osserva che sostanzialmente è oggetto di impugnativa l'affermazione di responsabilità penale dell'imputato circa l'applicazione delle regole che presidiano la motivazione sulla prova del nesso causale psichico sia circa l'evitabilità della morte del pedone ancorché si fossero adottati i comportamenti imposti dalle circostanze di tempo e di luogo, sia circa un giudizio di prevedibilità della presenza, in piena notte, sulla stessa carreggiata di marcia priva di illuminazione pubblica, del pedone vestito con abiti scuri. Al riguardo la Corte rileva che il ricorso, sebbene articolato in due motivi, è incentrato sostanzialmente sulla corretta applicazione degli artt. 40,42, 589 c.p. sul punto della causalità psichica dell'omicidio colposo. E, pertanto, entrambi i motivi possono trattarsi contestualmente. 2. Invero, dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata - in linea conforme con quella di primo grado - non si colgono i lamentati difetti argomentativi e i salti logici che impongano la rivisitazione della decisione della Corte di appello sul punto. Specificamente si osservi che la motivazione non solo non appare stridere con i canoni ermeneutici e di utilizzazione della prova sul nesso causale ma, invece, espone coerentemente e con linearità la prova logica della causalità della colpa cui si riferisce il ricorrente. 3. In particolare, in questa sede di legittimità, esclusa una rivisitazione del materiale probatorio circa il nesso di causa psichica, si deve evidenziare che il giudice di appello, circa l'impatto che ha portato alla morte del pedone, fonda e argomenta la sussistenza della prova dell'imputabilità psichica dell'evento morte sulla ordinaria prevedibilità della presenza del pedone e sulla prova certa non presuntiva o congetturale che una serie di circostanze avrebbero evitato l'urto dell'auto con il pedone. Quest'ultimo - spiega la motivazione impugnata - avrebbe potuto essere avvistato ed evitato dal conducente dell'auto, che quindi avrebbe potuto frenare la corsa del veicolo, se avesse attivato i fari abbaglianti, avesse viaggiato a velocità ridotta, avesse compiuto in extremis una manovra di emergenza, una volta accortosi del pedone in tempo utile per arrestare il veicolo. La considerazione che la vittima avesse un tasso alcolemico molto alto non significa automaticamente che la sua presenza e la sua condotta di pedone siano state incontrollabili e imprevedibili nonché imponderabili da parte dell'imputato alla guida della propria autovettura. 4. Le censure della difesa sul punto sono state compiutamente esaminate dalla sentenza impugnata che quindi non pare esporsi alle critiche reclamate in sede di legittimità. In particolare, con un apprezzamento di merito adeguatamente motivato, riprendendo l'istruttoria dibattimentale operata in primo grado, la motivazione evidenzia il dato, diversamente letto dalla difesa, che il sinistro si è verificato in orario notturno, in una strada provinciale a doppio senso di marcia, priva di illuminazione pubblica, e che il pedone investito camminava in senso opposto a quello di marcia del veicolo condotto dall'imputato ma sulla stessa corsia. Si tratta, quindi, di un comportamento, per quanto verosimilmente influente l'accertato tasso alcolemico della vittima, che, tenuto conto delle circostanze concrete presenti al momento del fatto oscurità notturna, mancato uso dei fari abbaglianti, strada priva di illuminazione pubblica , rendeva ragionevolmente prevedibile e non solo per la presenza di veicoli nel senso opposto la concretizzazione di un rischio di impatto e, quindi, imponeva all'imputato di certo una più alta soglia di attenzione e la riduzione della velocità del veicolo, che invece nel caso concreto era nell'ordine di 78/86 km/h. velocità, eccessiva nelle condizioni di oscurità ne mancato uso degli abbaglianti, l'orario notturno, è condivisibile e ragionevole la motivazione circa la sufficiente prova della causalità materiale e psichica per la quale, rispettando le cautele indicate in imputazione, l'evento si sarebbe evitato. Coerentemente, infatti, si desume con ragionevole certezza che/ se tali circostanze del fatto fossero state governate diversamente dal conducente dell'autovettura, illuminando la carreggiata con i fari abbaglianti ed effettuando un tentativo di frenata, si sarebbe evitato l'impatto con il pedone. 5. Tale passaggio è considerato e valutato esaurientemente nella sentenza della Corte di appello di Torino che, seppur considerando il concorso di colpa della vittima, ritiene l'evento fatale evitabile con un comportamento rispettoso della normale precauzione richiesta all'utente ai sensi del dovere specifico di cautela previsto dall' art. 141 C.d.S. , comma 2, Si tratta di una motivazione che resiste alle critiche difensive sul piano della dimostrazione logico-probatoria idonea a spiegare la sussistenza della causalità della colpa e dell'omesso comportamento alternativo lecito. In motivazione si espone con coerenza logica che le circostanze acclarate ben oltre le dichiarazioni del consulente tecnico del p.m. non sono superate dagli argomenti difensivi che avrebbero dovuto tendere a dimostrare, sul piano logico/la prova dell'interruzione del nesso di causalità materiale invero non emersa nei due gradi di giudizio, secondo gli atti messi a disposizione di questo Collegio e di causalità psichica, come indicato ripetutamente dalla giurisprudenza di legittimità in tema di omicidio colposo. Pacificamente per la prova dell'elemento soggettivo del reato si richiede non soltanto che l'evento dannoso sia prevedibile, ma altresì che lo stesso sia evitabile dall'agente con l'adozione delle regole cautelari idonee, non potendo essere soggettivamente ascritto per colpa un evento che, con valutazione ex ante, non avrebbe potuto comunque essere evitato. Sez. 4, n. 9705 del 15/12/2021 dep. 22/03/2022 , Pazzoni, Rv. 282855 Sez. 4, n. 34375 del 30/05/2017, Fumarulo, Rv. 270823 . 6. Non basta la mera asserzione o prospettazione su una ipotetica alternativa causale ma si può escludere la responsabilità soltanto per il caso in cui detto evento si sarebbe comunque verificato, in relazione al medesimo processo causale, nei medesimi tempi e con la stessa gravità od intensità, poiché in tal caso dovrebbe ritenersi che l'evento imputato all'agente non era evitabile Sez. 4, n. 28782 del 09/06/2011, Cezza, Rv. 250713 . In tema di causalità nei reati colposi, quindi, l'agente risponde dell'evento provocato con la sua condotta colposa e non di un altro evento ipotizzato, anche se destinato a prodursi ugualmente, ma con evidenze chiare della non evitabilità dell'evento che, invero, nel caso sono mancate. 7. Il ricorso, infatti, insistendo sull'asserita assenza di motivazione circa il comportamento alternativo lecito che avrebbe potuto assumere il conducente dell'auto e sul comportamento abnorme astrattamente ascrivibile alla vittima, non si concentra sull'onere difensivo di dimostrare nel merito sul piano probatorio, in sede di impugnazione davanti al giudice di legittimità sul piano argomentativo l'interruzione del nesso causale psichico. Tale onere non può essere confuso con la congettura che il conducente non aveva davanti a sé una condotta alternativa in relazione ad un indimostrato e irrilevante movimento anomalo della vittima. 8. Si impone pertanto il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.