Decadenza dell’amministratore di s.r.l. e conoscibilità in capo ai terzi

In fattispecie ante riforma diritto societario d.lgs. 6/2003 la decadenza dell’amministratore di s.r.l. a seguito del suo fallimento personale è conseguenza automatica del fallimento stesso e non implica una delibera assembleare da iscrivere al registro imprese. Ne deriva che la circostanza è opponibile ai terzi solo se la società ne dimostri l’effettiva conoscenza in capo ai terzi stessi ex art. 2383 ultimo comma c.c., non bastando a tal fine l’assolvimento degli oneri di pubblicità relativi all’apertura della procedura concorsuale.

Il Fallimento di una s.r.l. citava in giudizio gli acquirenti di un immobile comprato nel 2000 dalla s.r.l. in bonis per far dichiarare l'invalidità del contratto dal momento che era stato stipulato dall'amministratore unico della s.r.l. fallito personalmente nel 1983. Il Tribunale accoglieva la domanda per carenza di potere rappresentativo dell'amministratore unico da ritenersi decaduto dalla carica in conseguenza del fallimento personale come previsto dagli artt. 2383 e 2487 c.c. nelle versioni ante riforma diritto societario d.lgs. 6/2003 . La sentenza veniva confermata in appello e così gli acquirenti ricorrevano in Cassazione. In primo luogo, è opportuno segnalare che al caso in esame è applicabile ratione temporis la disciplina codicistica anteriore alla riforma del diritto societario . A quell'epoca il vecchio” art. 2487 c.c. estendeva, in relazione agli amministratori di s.r.l., la disciplina prevista dall' art. 2382 c.c. per le s.p.a. che prevedeva la decadenza dall'ufficio di amministratore per chi veniva dichiarato fallito. Oggi invece la riforma del diritto societario ha accentuato le differenze tra i due tipi di società in ordine a tale aspetto. Pertanto, nella società a responsabilità limitata, il fallimento dell'amministratore non comporta più per legge la decadenza da tale carica, ove non sia diversamente previsto nello statuto. Al momento della stipula del contratto nel 2000 quindi l'amministratore, già fallito personalmente nel 1983, era decaduto in forza dell'operatività del richiamo all' art. 2382 c.c. menzionato. Chiarita la disciplina, il fulcro della vicenda riguarda l' opponibilità ai terzi acquirenti dell'intervenuta decadenza dalla carica . L' art. 2383 ultimo comma c.c. stabilisce l'inopponibilità di anomalie che attengono alla carica di amministratore occorse dopo la regolare assunzione dell'ufficio medesimo con relativa iscrizione nel registro imprese. È però fatta salva la possibilità per la società di dimostrare la conoscenza di simili vicende in capo ai terzi. Secondo la Corte d'Appello l'onere della prova in questione era stato assolto con l'adempimento delle formalità pubblicitarie della sentenza di fallimento personale dell'amministratore risalente al 1983 che all'epoca consistevano nell'affissione del provvedimento all'Albo del Tribunale e nelle comunicazioni al P.M., alla Camera di Commercio, all'Archivio Notarile, all'Ufficio anagrafe ed elettorale. La curatela del fallimento della s.r.l. aveva dimostrato simili adempimenti e da ciò la Corte d'Appello aveva ritenuto assolto l'onere della prova in capo alla società ex art. 2383 c.c. desumendo il conseguente deficit di diligenza dei terzi acquirenti. La Cassazione non condivide tale impostazione e accoglie il ricorso. Secondo gli Ermellini, infatti, le forme di pubblicità sopra elencate attengono esclusivamente alla procedura concorsuale . Esse sono quindi idonee a garantire la conoscibilità solo dell'apertura della procedura e non anche la prova della conoscenza in capo a terzi delle cause di ineleggibilità e/o decadenza dell'amministratore. Al contrario le vicende relative a nomina/modifica/revoca/decadenza degli amministratori conseguono a delibere societarie soggette al regime pubblicitario dell'iscrizione nel registro imprese ex art. 2385 c.c. Ciò comporta la presunzione iuris et de iure senza scampo” della conoscenza in capo ai terzi. Nella fattispecie però mancava una delibera assembleare in tal senso poiché la decadenza era scattata automaticamente in conseguenza dell'intervenuto fallimento nel 1983. In altri termini non vi era una decisione societaria di decadenza dalla carica da rendere pubblica con l'iscrizione nel registro imprese . In questo caso allora la curatela non poteva fare affidamento né sulle forme di pubblicità della sentenza dichiarativa di fallimento dell'amministratore per le ragioni esposte, né sulla pubblicità nel registro imprese perché circostanza non iscrivibile in quella sede. In sostanza occorreva dimostrare la conoscenza effettiva in capo ai terzi acquirenti del fallimento dell'amministratore non potendo operare altre forme di presunzione. Ma ciò non era stato fatto dalla curatela della s.r.l. Secondo la Corte di Cassazione il ragionamento dei giudici di merito finiva quindi per applicare alla fattispecie forme di pubblicità in realtà non pertinenti e poneva in capo ai terzi un surplus di attività” estesa alla verifica della condizione personale dell'amministratore unico attività resa ancora più complessa se si considera che il fallimento del soggetto era intervenuto addirittura 17 prima dell'atto di compravendita nel 2000 . Nei gradi di merito non era quindi emerso nulla che potesse dimostrare in capo ai terzi la conoscenza della decadenza dell'amministratore, né, tanto meno, la qualifica di imprenditore commerciale del medesimo con relativo fallimento in proprio.

Presidente Di Virgilio – Relatore Poletti Fatti di causa 1. Con atto di citazione del 2007, il Fallimento Omissis s.r.l. conveniva in giudizio C.A. e F.M., chiedendo di accertare la nullità del contratto di compravendita di un immobile concluso nell'anno Omissis tra la società Omissis e i convenuti, in quanto stipulato dall'amministratore unico della società G.A., che era stato dichiarato fallito nel 1983. 2. Il Tribunale di Civitavecchia, con sentenza n. 611/2011, dichiarava l'invalidità del contratto per carenza di potere rappresentativo di G.A., applicando al caso di specie l' art. 2383 c.c. , comma 7 richiamato dall' art. 2487 c.c. nel testo precedente alla riforma introdotta dal D.Lgs. n. 6 del 2003 , ritenendo provata la conoscenza della causa di invalidità dei convenuti per effetto delle formalità previste dalla L.Fall., art. 17 ossia dall'affissione della sentenza dichiarativa di fallimento all'albo del Tribunale. Condannava di conseguenza i convenuti al rilascio dell'immobile. 3. Avverso la sentenza proponevano appello C.A. e F.M 4. Con sentenza n. 265/2018, nella resistenza dell'appellato, la Corte di Appello di Roma rigettava il gravame, ritenendo opponibili agli appellati gli effetti della sentenza dichiarativa di fallimento del G. e non spendibile l'affidamento incolpevole degli acquirenti, cui è stato imputato un deficit di diligenza, considerata la prova delle pubblicità della sentenza di fallimento. 5. Contro la sentenza ricorrono per cassazione C.A. e F.M., affidando le loro censure a due motivi. 6. Resiste con controricorso il Fallimento Omissis s.r.l. 7. Con ordinanza interlocutoria n. 1814/2020 della Sesta Sezione Civile-2 il ricorso è stato rimesso alla pubblica udienza, in difetto dei presupposti per la pronuncia in camera di consiglio. 8. Il P.M. ha depositato conclusioni scritte, concludendo per l'accoglimento del ricorso. Ragioni della decisione 1. - Il primo motivo contesta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia art. 360 c.p.c. , n. 3 in riferimento agli artt. 1337,1338,1393,1398,2382,2384 c.c. e art. 360 c.p.c. , n. 5 a differenza di quanto ha ritenuto la Corte d'appello, i ricorrenti ritengono che non erano tenuti a verificare la legittimità del potere rappresentativo di G.A. e che vada riconosciuto il loro incolpevole affidamento circa la corrispondenza della situazione apparente a quella reale. 2. - Il secondo motivo lamenta ulteriore violazione e falsa applicazione di norme di diritto art. 360 c.p.c. , n. 3 in riferimento agli artt. 1337,1338,1393,1398,2383 e 2384 c.c. per non avere la Corte d'appello considerato che, dal combinato disposto delle norme richiamate, risulta che il fallimento in proprio non determina l'incapacità alla carica sociale dell'amministratore unico della società a responsabilità limitata. 3.- Il ricorso merita accoglimento nei termini di cui si dirà subito. 4.- Per ragioni di priorità logica, avendo ad oggetto il problema se la dichiarazione di fallimento dell'amministratore integri una causa di ineleggibilità o di decadenza dalla carica nell'ambito della società a responsabilità limitata, deve essere affrontato in via preliminare lo scrutinio del secondo motivo di ricorso. La questione va collocata nella disciplina vigente ratione temporis, ossia prima della riforma del diritto societario, posto che l'atto di compravendita tra la società Omissis s.r.l. rappresentata da G.A., già fallito in forza di sentenza del 1983 e gli acquirenti F.M. e C.A. venne stipulato il Omissis in quell'epoca, diversamente dal regime vigente, il vecchio testo dell' art. 2487 c.c. estendeva, riguardo all'amministrazione delle s.r.l., l' art. 2382 c.c. dettato in tema di s.p.a., dovendo pertanto trovare applicazione, anche per le prime, la regola secondo la quale non può essere nominato amministratore, e se nominato decade dal suo ufficio, . il fallito . Al momento della stipula del contratto, l'amministratore era dunque decaduto dalla carica in forza dell'operatività del richiamo all' art. 2382 c.c. Il ricorrente invoca a sostegno del motivo giurisprudenza pronunciata in epoca post-riforma, dalla quale non è dato desumere motivi di riconsiderazione di tale indirizzo. Il legislatore del 2003 non ha, infatti, previsto per le società a responsabilità limitata un rinvio all' art. 2382 c.c. in ragione della divergenza segnata dalla riforma dei due modelli organizzativi societari il primo - quello della società a responsabilità limitata - più elastico e flessibile, imperniato fondamentalmente su una considerazione delle persone dei soci e dei loro rapporti personali , volto altresì a consentire il reinserimento nell'attività imprenditoriale delle persone dichiarate fallite il secondo - quello delle società per azioni, destinato ad imprese di grandi dimensioni - provvisto di una disciplina tendenzialmente rigida che non lascia particolari margini di adattamento agli intendimenti e bisogni concreti delle persone dei soci Cass. n. 25050/2021 , la quale giustifica - secondo la giurisprudenza di questa Corte, pur nel quadro di rilievi critici provenienti da parte della dottrina - anche l'impossibilità di applicazione in via analogica della norma in questi termini cfr., oltre alla decisione sopra riportata, anche Cass. n. 18904/2013 . 5.- Ciò precisato, si può passare ad analizzare il primo motivo di ricorso, con il quale i ricorrenti a pongono la questione dell'opponibilità o meno della causa di decadenza ai terzi aventi causa dalla società rappresentata dall'amministratore decaduto e b sostengono l'erronea applicazione compiuta dalla sentenza impugnata dei principi di diritto in ordine alla rappresentanza del falsus procurator e dell'incolpevole affidamento dei terzi. Con riferimento al profilo sub b , in particolare, i ricorrenti deducono che nel corso del giudizio sia di primo grado sia di appello sarebbe mancata un'indagine circa la condotta colposa tenuta dalla società Omissis S.r.l. nel suo complesso, volta a considerare le circostanze nelle quali è emersa la rappresentanza apparente del sig. G.A Tali considerazioni introducono una questione nuova il comportamento colposo della controricorrente che richiede un accertamento in punto di fatto non compiuto dal giudizio di merito, la quale non risulta trattata nei termini in cui viene proposta nel presente ricorso, come emerge dalla trascrizione dei motivi di appello contenuta nella sentenza impugnata cfr. pag. 4 e 5 della sentenza . Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello per cui, qualora una questione giuridica - implicante un accertamento di fatto - non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell'inammissibilità per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa Cass. 32804/2019 Cass. n. 2038/19 Cass. n. 15430/18 . 5.1.- Secondo la Corte di appello di Roma il giudice di prime cure avrebbe correttamente applicato l' art. 2383 c.c. , nel punto in cui la norma prevede anche nella versione antecedente alla riforma del diritto societario l'inopponibilità delle anomalie concernenti la carica amministrativa ai terzi che non ne erano a conoscenza dopo l'iscrizione della nomina nel registro delle imprese, salvo che la società provi la sussistenza da parte dei terzi di questa conoscenza. Nel caso in analisi, secondo i giudici di merito, la conoscenza legale della causa di invalidità della nomina del G. ad amministratore della società sarebbe maturata per effetto dell'assolvimento delle formalità pubblicitarie della sentenza di fallimento. La Curatela ha infatti adempiuto l'onere probatorio che l' art. 2383 c.c. pone a carico della società , dando prova dell'assolvimento delle formalità pubblicitarie della sentenza di fallimento richieste dalla disciplina vigente all'epoca della dichiarazione di fallimento del G., ossia dell'affissione della sentenza dichiarativa di fallimento all'Albo del Tribunale, oltre che della comunicazione al P.M., alla Camera di Commercio, all'Archivio Notarile, all'Ufficio Anagrafico ed elettorale. Da qui, il deficit di diligenza degli attuali ricorrenti, considerato che risulta provata l'adozione delle forme di pubblicità della sentenza di fallimento pag. 6 . La questione va dunque risolta verificando la corretta applicazione al caso de quo del principio di cui all' art. 2383 c.c. , dettato per il tipo delle società per azioni ma richiamato per le società a responsabilità limitata dall' art. 2487 c.c. Come sostenuto anche dal Pubblico Ministero nelle sue puntuali considerazioni, in proposito occorre muovere dalla considerazione che normalmente le delibere che prevedono la revoca o dichiarano la decadenza degli amministratori anche a cagione della nullità dell'atto di nomina sono soggette al normale regime pubblicitario dell'iscrizione nel registro delle imprese art. 2385 c.c. , u.c. . La conoscenza da parte del terzo della cessazione dell'amministratore dalla carica si presume iuris et de iure in quanto si tratta di fatti ordinariamente conoscibili attraverso la consultazione del registro. A questa situazione si attaglia la giurisprudenza invocata dal controricorrente per contestare il principio dell'apparenza avanzato dai ricorrenti, ossia che, con riferimento alla rappresentanza delle persone giuridiche, il principio dell'apparenza del diritto non può trovare applicazione a tutela dell'affidamento del terzo contraente nei casi in cui la legge prescrive speciali mezzi di pubblicità mediante i quali sia possibile controllare con l'ordinaria diligenza la consistenza effettiva dell'altrui potere, come accade in ipotesi di organi di imprese commerciali regolarmente costituiti. Nella specie la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la tutela del contraente che, nello stipulare con una società di trasporti un nuovo rapporto - distinto dai rapporti commerciali intercorsi in precedenza - di ingente onere economico e gravato da un patto di esclusiva, aveva omesso di accertare la reale consistenza dei poteri del soggetto che aveva contrattato Cass. n. 10375/2005 . Ma nel caso di specie la cessazione dell'amministratore dalla carica, in quanto fallito, opera automaticamente, in virtù della previsione di legge v. supra, quanto argomentato con riferimento al secondo motivo di ricorso e quindi manca una delibera societaria di decadenza dalla carica da rendere pubblica attraverso l'apposito registro. L'inciso dell'ultima parte dell'ultimo capoverso dell' art. 2383 c.c. , salvo che la società provi che i terzi ne erano a conoscenza id est, erano a conoscenza delle cause di nullità o di annullabilità della nomina degli amministratori opera qualora la delibera non sia stata ancora iscritta nel registro delle imprese ma - deve ritenersi - anche in caso di mancanza della delibera. La norma dunque disciplina anche ipotesi, come quella in esame, nelle quali la causa di nullità della nomina dell'amministratore sia conseguenza dell'ineleggibilità prevista dalla legge e operi indipendentemente da una delibera societaria di decadenza suscettibile di essere iscritta nel registro delle imprese. Ciò è implicitamente riconosciuto anche da questa Corte secondo la quale Ai sensi degli artt. 2383 e 2385 c.c. , richiamati dal successivo art. 2487, in tema di organi di una società a responsabilità limitata, la nomina e la revoca degli amministratori devono essere iscritte nel registro di cancelleria art. 100 disp. att. c.c. e pubblicate nel bollettino ufficiale delle società per azioni ed a responsabilità limitata, divenendo opponibili ai terzi, ai sensi dell'art. 2457 ter c.c. richiamato dal successivo art. 2497 bis , solo dopo tale pubblicazione, a meno che la società non provi che i terzi ne fossero comunque a conoscenza Cass. n. 16692/2002 Cass. n. 14051/2004 . Al criterio della conoscibilità e quindi della conoscenza iuris et de iure devono dunque ritenersi affidate le vicende attinenti alla nomina e alla revoca degli amministratori che trovano la loro formale espressione in una delibera societaria regolarmente iscritta nel registro delle imprese, mentre le vicende che, pur soggette ad una diversa forma pubblicitaria, comportano l'invalidità della nomina dell'amministratore ma non risultano conoscibili attraverso la consultazione degli atti riguardanti la società resi pubblici nel registro delle imprese devono ritenersi affidate alla prova della effettiva conoscenza del terzo avente causa dalla società. Non è un caso che l' art. 2383 c.c. , u.c. nel fare riferimento alla situazione soggettiva del terzo, non operi un riferimento alla buona fede che sarebbe esclusa dalla conoscibilità secondo l'ordinaria diligenza e tra l'altro potrebbe anche convivere con l'ignoranza dipendente da negligenza, stante il principio posto dall' art. 1147 c.c. , comma 2 , ma richiede la diversa prova della effettiva conoscenza dei vizi che affliggono la nomina degli amministratori. Ma il richiamo al sistema pubblicitario che assiste la dichiarazione di fallimento, sul quale hanno fatto leva i giudici di merito, è idoneo a garantire la conoscibilità dell'apertura della procedura concorsuale, non ad integrare la prova della sicura consapevolezza da parte del terzo dell'esistenza di una causa di ineleggibilità alla nomina di amministratore e di sua decadenza. In buona sostanza, la decisione impugnata, pur premettendo che nella specie trova applicazione l' art. 2383 c.c. per il quale le cause di invalidità della nomina degli amministratori non sono opponibili ai terzi dopo l'iscrizione nel registro delle imprese, ha ritenuto raggiunta la conoscenza rectius, la possibilità di conoscenza della automatica decadenza ex lege dell'amministratore quale conseguenza della sua ineleggibilità a seguito della dichiarazione di fallimento, la disciplina in tema di pubblicità della dichiarazione di fallimento, sostituendola a quella garantita dalla pubblicità degli atti e delle vicende societarie che si attua nel registro delle imprese. Agli appellanti, attuali ricorrenti, cui è stato imputato dalla Corte distrettuale un deficit di diligenza è stato, all'opposto, richiesto in tal modo un surplus di attività, esteso alla verifica della situazione personale dell'amministratore per verificarne tutte le cause di decadenza previste dall' art. 2382 c.c. non richiesto dalla norma, ma anche non esigibile rispetto all'uso dell'ordinaria diligenza, che si traduce nella necessità di attivarsi per consultare il registro delle persone giuridiche, tanto più che nel caso in esame - come rilevato anche dal Pubblico Ministero - nulla depone nel senso che gli acquirenti conoscessero quantomeno la qualifica di imprenditore commerciale dell'amministratore elemento che avrebbe, in astratto, potuto allarmarli e dunque indurli ad uno specifico accertamento e il fallimento in proprio del G. con la relativa affissione della sentenza all'Albo del Tribunale risaliva peraltro a ben 17 anni prima il compimento dell'atto di compravendita. 6.- In conclusione, la sentenza impugnata deve essere cassata, in relazione al motivo accolto, e la causa rinviata per un nuovo esame, da condurre alla stregua dei principi posti, alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, la quale dovrà anche statuire sulle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie, per quanto di ragione, il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.