La Cassazione ritorna sulla legittima difesa e ne precisa nuovamente i limiti

La determinazione volontaria dello stato di pericolo esclude la ricorrenza della legittima difesa in ragione del fatto che – a prescindere dal requisito dell'ingiustizia dell'offesa – difetta il presupposto della necessità della reazione difensiva. […]

[…] Essa non sussiste, quindi, nel caso in cui l'agente si sia ragionevolmente rappresentato una reazione aggressiva quale effetto della situazione pericolosa dallo stesso determinata. Ciò in quanto il requisito della necessità” della reazione difensiva ha una portata perentoria e tassativa. Omicidio di Mario Cerciello Rega il processo non è ancora finito Roma, estate 2019. il vicebrigadiere dei Carabinieri Mario Cerciello Rega è insieme a un suo collega, Andrea Varriale, quando interviene per fermare due giovani stranieri, responsabili del furto di un borsello. I militari, in quella operazione, non vestivano l'uniforme erano in borghese proprio per sventare il c.d. cavallo di ritorno”, cioè il ricatto che i due stranieri volevano finalizzare. Dall'intervento nasceva una colluttazione, e il vicebrigadiere trentacinquenne vi trovava la morte, trafitto all'addome da undici coltellate. I due ragazzi, cittadini americani, saranno arrestati poco dopo. Per loro il processo di primo grado terminava con l'ergastolo. In appello, grazie al bilanciamento tra le aggravanti e le attenuanti generiche, soltanto uno sconto di pena 22 anni per il primo, 24 per il secondo imputato. Le imputazioni sono pesantissime omicidio volontario pluriaggravato dal nesso teleologico e dall'averlo commesso in danno di un pubblico ufficiale , lesioni personali, resistenza a pubblico ufficiale, porto abusivo di coltello. I ricorsi per cassazione sottopongono all'attenzione della Corte di legittimità numerosissime questioni, tra le quali non è facile fare una cernita per illustrarvi le più interessanti. Certamente, tra esse si distinguono quelle che ruotano attorno alla riconoscibilità – nella condotta dei due giovani – degli estremi della legittima difesa , ma si segnala anche un profilo processuale particolarmente notevole. Cominciamo subito da quest'ultimo. Ergastolo e giudizio abbreviato quando può applicarsi la riduzione di pena? Nel caso che ci occupa abbiamo visto che tra il primo e il secondo grado di giudizio la pena veniva ridotta non più l'ergastolo, ma pene temporanee per entrambi gli imputati. A questo punto, nel giudizio di legittimità si propone il tema della riconoscibilità della diminuente prevista per il rito abbreviato che, però, è precluso come sappiamo per i reati puniti con la pena dell' ergastolo . Il meccanismo di recupero offerto dal sistema processuale è semplice se all'esito del giudizio emerge la giudicabilità di quel fatto nelle forme del rito abbreviato, il decidente può diminuire la pena nella misura prevista per il rito alternativo. Secondo la cassazione, però, questa situazione non è sovrapponibile a quella che si crea nel momento in cui la pena è ridotta perché vengono bilanciate le aggravanti con le attenuanti . A fare la differenza è l' identità del fatto oggetto di imputazione , che rimane inalterata nonostante il riconoscimento degli elementi circostanziali utili per bilanciare quelli di segno opposto. In sostanza se l' imputazione rimane la stessa e non vi è alcuna riqualificazione giuridica , non si può fare luogo alla diminuzione di un terzo post-dibattimentale. Il principio, già noto alla giurisprudenza di legittimità, ha ottenuto così una nuova conferma. Una panoramica sulla legittima difesa presupposti e limiti della sua operatività Altra parte decisamente interessante della sentenza è quella che riguarda i limiti della operatività della legittima difesa gli Ermellini compiono un'analisi dell'istituto a trecentosessanta gradi e pongono alcuni paletti ermeneutici di cui conviene prendere nota. In prima battuta, si osserva che la reazione difensiva non è giustificabile se l' azione lesiva si è ormai esaurita . In secondo luogo si ribadisce il criterio che deve guidare la valutazione della condotta reattiva nel momento in cui i beni in conflitto siano di diverso rango la proporzione tra offesa ingiusta e difesa viene meno in questo caso se la consistenza dell'interesse leso è enormemente più rilevante, sul piano della gerarchia dei valori costituzionalmente e penalmente protetti, di quella dell'interesse difeso” e, si aggiunge, la lesione inferta all'aggredito sia di gran lunga più rilevante del male minacciato. Ancora la necessità della reazione difensiva viene meno nel caso in cui l' agente abbia volontariamente cagionato la situazione pericolosa nella quale ha posto in essere la propria condotta essa viene parimenti meno nel caso in cui l'agente abbia avuto la possibilità di allontanarsi dal proprio aggressore. È il caso, insomma, del c.d . commodus discessus . Andando ad altri istituti, connessi a quello oggetto d'analisi, si ripete che la legittima difesa putativa deve, per essere riconosciuta come tale, comunque appigliarsi a un dato di fatto oggettivo , mal rappresentatosi nella mente del soggetto agente ma comunque tale da aver suscitato la giustificata persuasione di trovarsi esposto ad un pericolo concreto e attuale. Diverso il caso dell' eccesso colposo di legittima difesa in questo caso, invero, è necessario che tutti i requisiti della scriminante siano sussistenti e che l'agente abbia per errore ecceduto dai suoi limiti. L'ipotesi non ricorre nel caso in cui l'errore sia invece volontario”, cioè l'agente abbia sbagliato” intenzionalmente nel dosare la propria reazione. Spesso una sentenza possiede un argomento che la rende famosa” Ne parliamo apposta alla fine. E non perché l'argomento sia di secondaria importanza, bensì per la ragione che – come dimostrano le cronache più tempestive – su questo passaggio si è subito appuntata l'attenzione di chi ne ha dato notizia. Noi però riteniamo che dal punto di vista tecnico-giuridico questo aspetto sia di gran lunga meno importante di quello relativo ai limiti della reazione difensiva lecita, o alla questione della applicabilità della riduzione della pena per il successivo riconoscimento della possibilità di procedere con giudizio abbreviato. Si tratta del passaggio con il quale i giudici di Piazza Cavour hanno annullato con rinvio per vizio di motivazione la sentenza d'appello nella parte in cui riconosceva l'aggravante dell'aver commesso l'omicidio ai danni di un pubblico ufficiale in servizio , nella specie un carabiniere. Il passaggio che non ha retto al vaglio di legittimità è quello nel quale i due giovani stranieri avrebbero verosimilmente compreso di avere di fronte due agenti della forza pubblica. Il vocabolo Carabinieri”, pronunciato dai due militari intervenuti per fermare gli imputati, sarebbe stato da questi compreso oppure no? La motivazione del giudice di secondo grado non è perfetta e su questo profilo si dovrà celebrare un nuovo giudizio. Vedremo come si pronuncerà la corte di assise di Appello della Capitale, alla quale è devoluto nuovamente anche il giudizio di responsabilità per uno dei due imputati, accusato di concorso in omicidio.

Presidente Boni – Relatore Casa Ritenuto in fatto 1. N.H.G.C. e E.F.L. venivano tratti a giudizio immediato, con decreto del 20 novembre 2019, per rispondere dei reali, commessi in concorso tra loro in Omissis , nella notte tra il Omissis , di tentata estorsione aggravata in danno di B.S. capo 1 , omicidio volontario pluriaggravato in danno di C.R.M. capo 2 , resistenza a pubblico ufficiale capo 3 , lesioni personali aggravate in danno di VA.An. capo 4 e porto abusivo di coltello capo 5 . Con riferimento al reato più grave, è utile riportare la condotta descritta nel capo d'imputazione in concorso tra loro, dopo aver stabilito un appuntamento in Omissis per la riconsegna dello zainetto di cui al precedente capo, raggiunto il luogo concordato ed avvicinatisi i due Carabinieri C.R.M. e V.A. in borghese allertati dal B., nonostante il C.R.M. e ed il V. si fossero qualificati come appartenenti all'Arma dei Carabinieri, dapprima ingaggiavano una colluttazione, rispettivamente, il C. con E. e il V.A. con N.H., di poi E. colpiva con numerosi fendenti il C. attingendolo in zone vitali, tanto che in conseguenza delle riportate lesioni il medesimo C. decedeva presso il Pronto Soccorso dell'ospedale Omissis . Entrambi i correi si davano, poi, a precipitosa fuga, incuranti delle condizioni di C. esanime . 2. Con sentenza resa il 5 maggio 2021, la Prima Corte di Assise di Roma dichiarava i due imputati colpevoli dei reati loro ascritti, unificati dal vincolo della continuazione, condannandoli, anche ai fini civili e con le sanzioni accessorie di legge, alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno per la durata di due mesi. 3. Con decisione del 17 marzo 2022, la Prima Corte di Assise di appello di Roma, in riforma della pronuncia di primo grado, impugnata dagli imputati, riconosciute ad entrambi le circostanze attenuanti generiche, ritenute equivalenti alle aggravanti di cui al capo 2 della rubrica, rideterminava la pena in 22 anni di reclusione per N.H. e in 24 anni di reclusione per E., revocando la pena accessoria della pubblicazione della sentenza e confermando, nel resto, la pronuncia appellata. Hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati. 4. Ricorso redatto dall'avv. CAPRA Roberto nell'interesse di E.F.L Evidenzia, in premessa, l'anomalia della situazione processuale al vaglio della Corte di legittimità, in quanto ci si troverebbe, al contempo, di fronte a una doppia conforme in ordine all'affermazione di responsabilità degli imputati e a una doppia difforme in ordine alla valutazione degli elementi probatori decisivi ai fini della ricostruzione delle condotte e delle responsabilità anche in merito agli elementi costitutivi delle circostanze aggravanti contestate gli aspetti non collimanti delle due sentenze investirebbero la valutazione di attendibilità delle dichiarazioni rese da V.A., eseguita dai giudici dell'appello secondo il criterio della credibilità frazionata la rilevanza dell'antefatto di Trastevere rispetto ai fatti di Omissis la ricostruzione della vicenda attinente alla cessione dello stupefacente il contenuto della telefonata intercorrente tra S. e V. alle ore 1.16.27 del 26.7.2019 l'operazione di recupero dello zaino di B. il percorso seguito da C.R. e da V. nell'avvicinarsi agli imputati il momento della qualificazione come appartenenti all'Arma dei Carabinieri esternata dai due suddetti militari . Tali diversità ricostruttive e valutative avrebbero imposto una motivazione rafforzata della decisione di secondo grado, che, tuttavia, non sarebbe riscontrabile nel caso in esame. Vengono, quindi, sviluppati i seguenti motivi di ricorso. 4.1. Vizio di motivazione, anche per travisamento, su puniti decisivi attinenti alla consapevolezza, in capo ad E., di avere di fronte un appartenente alle Forze dell'ordine prima e durante la colluttazione. Violazione di legge in relazione agli artt. 210 e 192 c.p.p. in ordine all'attendibilità del dichiarante V Viene articolato nei seguenti sotto-motivi, tutti attinenti alla contestazione di concorso in omicidio pluriaggravato di cui al capo 2 della rubrica. 1a - Manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione sulla consapevolezza dell'imputato di avere di fronte un appartenente alle Forze dell'ordine. Rileva la difesa tecnica che la Corte di Assise di appello, diversamente dal primo giudice, avrebbe ritenuto acquisiti tre punti fermi il percorso leggermente in diagonale seguito dai due Carabinieri nell'avvicinarsi agli imputati, l'essersi i predetti voltati repentinamente in direzione dei due giovani, la mancata esibizione dei tesserini di riconoscimento. Nello sviluppo argomentativo seguito per dimostrare la consapevolezza, in capo ad E., della qualifica di Carabinieri rivestita da C.R. e da V. la sentenza di secondo grado avrebbe individuato l'elemento dirimente nella qualificazione verbale dichiarata dai due militari, siccome desumibile dalla deposizione resa da V., riscontrata dalla versione dei fatti resa dall'imputato N.H Siffatta conclusione, secondo la difesa di E., sarebbe viziata da illogicità e travisamento, perché non si sarebbe confrontata a in primo luogo, con il dato certo della scelta adottata dagli operanti di non farsi riconoscere, avendo agito essi in borghese b in secondo luogo, con l'inattendibilità delle dichiarazioni rese da V. nel loro complesso e nella dimensione frazionata che si era voluta privilegiare. Riguardo a tale ultimo tema, il ricorso mette in risalto che, proprio alla luce della corretta applicazione dei principi della valutazione frazionata , attesa Interferenza temporale, logica e fattuale caratterizzante i due passaggi della dichiarazione di V., l'uno attinente alla menzogna sull'esibizione del tesserino, l'altro alla esternata qualificazione verbale come Carabiniere, detta qualificazione non avrebbe potuto definirsi processualmente certa e comprovata. Le dichiarazioni rese da N.H. sulla circostanza sarebbero state travisate dalla Corte di merito che le avrebbe erroneamente apprezzate in termini di riscontro. Ed invero, la versione resa dall'imputato si discostava da quella resa dal militare su un punto determinante, vale a dire il tempo nel quale. V. si sarebbe qualificato come Carabiniere, collocato da N.H., a differenza dell'altro, in un momento successivo a quello della fase di approccio, ossia dopo la breve fuga iniziale del giovane e nel corso della colluttazione ingaggiata con l'operante. Si rimarca in ricorso che la dichiarazione di N.H. presenterebbe limiti ben definiti, in quanto a il solo V. avrebbe pronunciato la parola Carabiniere unita all'invito a fermarsi b il solo N.H. sarebbe stato destinatario di tale invito qualificato c nulla sarebbe stato riferito in merito alla possibilità di E. di aver sentito tale affermazione, circostanza non riportata neppure da V E allora, nell'affermare che entrambi gli imputati prendevano coscienza di quanto veniva loro indicato pag. 128 della sentenza , la Corte di Assise di appello avrebbe compiuto un salto logico, non supportato da plausibile e adeguata motivazione né dagli elementi di prova presi in considerazione. La decisione impugnata, d'altra parte, non avrebbe offerto significativi elementi ulteriori capaci di colmare le stigmatizzate lacune argomentative su un punto decisivo. In primo luogo, si rileva che l'informazione circa l'avere C.R. proferito, nel corso della colluttazione con E., la frase fermo, fermo, Carabinieri , proveniva da V., sulla valutazione della cui attendibilità si richiamano le censure già esposte. In ogni caso, la sentenza non avrebbe offerto spunti logici per suffragare la conclusione per cui l'intimazione di V. a N.H. fosse stata correttamente percepita e compresa da E., già impegnato, in quel momento, nel violento scontro con l'altro militare. In secondo luogo, si critica come manifestamente illogico, anche perché frutto di travisamento, ritenere che l'affermazione, espressa da E. nell'interrogatorio del 26.7.2019, hanno detto qualcosa in italiano , valorizzata in sentenza, potesse rappresentare, ancorché legata ad un momento precedente l'incontro con gli imputati e mentre i Carabinieri dialogavano fra loro, un elemento di conferma della pretesa qualificazione dei due operanti. In terzo luogo, parimenti illogico e travisante doveva considerarsi il richiamo a quanto accaduto in via Omissis e al fatto che E. avrebbe dichiarato di aver appreso da N.H., scappato a gambe levate, che le persone intervenute erano poliziotti. Illogico perché, quand'anche in Omissis fossero intervenuti poliziotti o carabinieri, non necessariamente ciò significava che costoro potessero o dovessero intervenire anche in Omissis , peraltro a sostegno di uno spacciatore quale B Travisante, perché, dall'interrogatorio reso da E., era emerso un dato processuale dissonante e contrario rispetto a quanto recepito in sentenza, in quanto attinente al fatto, riferito da N.H. all'amico, di essere stato derubato/rapinato da persone che si spacciavano per poliziotti, ma che poliziotti, all'evidenza, non erano. Ancora, l'affermazione, riportata a pag. 160, secondo la quale il fatto, riferito da N.H., che V. si fosse qualificato come Carabiniere sin dall'inizio e poco prima della colluttazione suggeriva logicamente che ciò fosse avvenuto anche per il collega, si sarebbe rivelata del tutto apodittica, in assenza di elementi seri dai quali inferire che C.R. si fosse comportato allo stesso modo. Inoltre, si stigmatizza come radicalmente contraddittoria la motivazione laddove, dopo aver escluso, a pag. 114, che la qualificazione come Carabiniere operata da C.R. al momento dell'incontro con il teste D., potesse essere apprezzata a conforto del modus operandi del militare anche nell'incontro con i due imputati, a pag. 160 sarebbe pervenuta a conclusioni opposte, così impedendo all'interprete di comprendere l'esatto pensiero del giudice di secondo grado. Infine, con un ragionamento illogico ed errato, la Corte di Assise di appello avrebbe inquadrato nel fatto notorio la conoscenza all'estero del vocabolo carabiniere si legge, infatti, a pag. 233 Trattasi infatti di un vocabolo ampiamente conosciuto non solo in Italia, ma anche all'estero . Tale affermazione, oltre ad essere errata in diritto e non comprovata da alcun dato di comune percezione, mal si attaglierebbe al caso di specie, in quanto indurrebbe a ritenere che qualsiasi diciannovenne statunitense che non parla e non comprende la lingua italiana conosca, invece, il senso della parola carabiniere . Altrettanto manifestamente illogico il passaggio motivazionale riportato a pag. 235, laddove, da un lato, si dà atto della quasi completa ignoranza della lingua italiana da parte di E. e, dall'altro, si afferma che risulta pienamente provato che la parola Carabinieri sia stata ben compresa dall'imputato, attribuendo carattere rilevante all'antefatto di Omissis con l'intervento di militari in borghese, dove si dice che E. avrebbe appreso la circostanza da N.H. verosimilmente , avverbio che renderebbe, di per sé, illogico il giudizio finale. Sul punto, in ricorso si rimprovera alla Corte di merito di non aver tenuto conto dei messaggi telefonici scambiati dall'imputato con la fidanzata K., nel periodo intercorrente tra i fatti di Omissis e quelli di Omissis , messaggi nei quali il primo aveva riferito alla ragazza che a Omissis erano stati dei neri a prendere i soldi, senza accennare ad alcun intervento da parte delle Forze dell'ordine. Ne' si era tenuto conto del racconto fatto da E. alla madre dopo essere stato arrestato, in cui il giovane aveva riferito alla genitrice di aver appreso solo in carcere di aver ucciso un poliziotto . Ulteriore profilo di palese contraddittorietà, a detta della difesa, inficerebbe la motivazione tra due passaggi il primo, a pag. 118, in cui si afferma che gli imputati ebbero coscienza, o quanto meno il fondato sentore, che i due soggetti sopraggiunti non fossero semplici passanti disinteressati alla loro presenza, ma soggetti collegati all'estorsione idonei ad attirare la loro attenzione il secondo, a pag. 231, in cui, al contrario, si ritiene che, al sopraggiungere dei militari, gli imputati non potessero nutrire sospetti che si trattasse di malintenzionati. Quest'ultima osservazione, tra l'altro, tradirebbe l'omessa considerazione di premesse certe dai quali il giudizio non poteva prescindere e, in particolare che i due giovani si aspettavano l'arrivo di una sola persona, B., uno spacciatore, quindi, o un intermediario nello spaccio di stupefacente, al quale sapevano di aver sottratto lo zaino che avevano notato due uomini effettuare un percorso anomalo, per coglierli di sorpresa che costoro era vestiti per mimetizzarsi nel sottobosco trasteverino che non c'era stato nessun dialogo tra gli imputati e i due sconosciuti che C.R. tentò per primo di immobilizzare E. che le colluttazioni erano durate pochi secondi. Non poteva, dunque, reggere, a un confronto logico con tali elementi, l'affermazione secondo la quale i militari non potevano ingenerare in loro alcun sospetto che si trattasse di malintenzionati nei propri confronti , affermazione, come detto, palesemente in contrasto con quella precedente. Anche il richiamo finale alla prova logica , in base alla quale ritenere che in una vicenda caratterizzata dalla presenza di militari in servizio di polizia, l' E. avesse piena coscienza, soprattutto all'atto della loro qualifica verbale, che si trattasse proprio di appartenenti alle FF.OO. costituirebbe frutto di un ragionamento manifestamente illogico e contraddittorio, poiché fondante la propria conclusione su fatti in realtà mai provati la conoscenza, da parte dell'imputato, che a Omissis avessero operato Carabinieri . Le ultime considerazioni difensive sul tema vengono spese a proposito della scelta dei militari in ordine all'approccio dei due imputati. Una volta accertato, come fa la sentenza, che i Carabinieri avevano superato i due giovani, simulando disinteresse nei loro confronti, e che poi si erano voltati repentinamente per sorprenderli, senza esibizione alcuna dei tesserini, non rimaneva che un approccio fisico per bloccarne l'eventuale fuga, ossia proprio quel tentativo di immobilizzazione che i giudici di merito riconoscono essere avvenuto pagg. 92-93 da parte di C.R., sicché del tutto contraddittorio, rispetto all'evidenziato dato probatorio, doveva considerarsi il passaggio motivazionale di pag. 154 in cui, viceversa, si dava atto che era stato E., trovatosi di fronte il Vicebrigadiere, a colpire subito quest'ultimo con il coltello. In ordine alla intervenuta qualificazione come Carabiniere di C.R., che la sentenza ascriverebbe, alternativamente e, quindi, senza certezza, al momento precedente l'approccio con gli imputati o nel corso della colluttazione, la difesa, oltre a lamentare l'omessa valutazione delle dichiarazioni rese da due persone presenti in loco al momento dei fatti R. e H. - i quali avevano escluso di aver sentito qualcuno qualificarsi o intimare qualcosa - osserva che, anche a voler reputare processualmente acclarata la frase attribuita da V. al collega, la stessa non avrebbe dimostrato che E. avesse potuto esattamente recepirla. L'iter argomentativo svolto sul punto dalla sentenza impugnata sarebbe inficiato da illogicità manifesta, in quanto, non confrontandosi con il contesto nel quale la frase era stata pronunciata, avrebbe ritenuto logico che l'imputato, nel breve volgere di pochi secondi, pur non comprendendo l'italiano, di fronte a un uomo che non aveva esibito il tesserino giustificativo e non aveva la pistola di ordinanza, impegnato in una serrata colluttazione, avesse compreso il significato di quella affermazione. Si trattava di una conclusione errata perché del tutto priva di senso logico, forzata dai giudici dell'appello per dare prova dell'elemento cardine dell'intero processo che, una volta riconosciuta la mancata esibizione dei tesserini, si connotava per evidente debolezza. 1b - La ricostruzione della colluttazione - Le risultanze medico-legali - Manifesta illogicità e mancanza della motivazione per travisamento e omessa valutazione di elementi probatori rilevanti, dedotti in appello e concernenti punti decisivi. La diversa ricostruzione, operata in appello, dell'itinerario percorso dai due militari prima dell'approccio con gli imputati avrebbe dovuto indurre la Corte di secondo grado a rivisitare il complesso degli elementi di prova onde pervenire alla ricostruzione dello sviluppo e della dinamica della colluttazione dunque, se essa potesse essere avvenuta in piedi o a terra nonché quale fosse stata la posizione reciproca dei due contendenti. La difesa di E. evidenzia la rilevanza del punto, osservando che, se la colluttazione fosse avvenuta effettivamente per terra, con C.R. sovrastante l'imputato, come riferito sin dall'inizio da quest'ultimo e come emerso dalle intercettazioni ambientali in carcere del 2.8.2019, vi sarebbe ulteriore spazio per accreditare una situazione di legittima difesa, anche putativa. La Corte di Assise di appello, avendo pretermesso la valutazione combinata dell'analisi della mappa delle tracce di sangue sul selciato e delle risultanze medico-legali, aveva concluso nel senso che la colluttazione sarebbe avvenuta in piedi, conclusione, tuttavia, inficiata da travisamento della prova e da motivazione manifestamente illogica. I giudici dell'impugnazione, in primo luogo, non si erano confrontati con alcune prove di segno contrario a le tracce di sangue sul selciato, come analizzate e spiegate dal consulente V., stavano ad indicare che il ferimento era avvenuto nella zona I/J lettere segnaposti e qui le gocce erano cadute da un'altezza inferiore rispetto a quelle del percorso intercorrente tra la zona I/J e la zona A/H, sicché era verosimile che la vittima fosse più vicina al terreno rispetto a quando, barcollando dopo il ferimento, aveva percorso i due o tre metri fino alla zona di quiete dove sarebbe stata soccorsa dal collega V. b le ferite, come concordemente sostenuto da tutti i consulenti, erano state rilevate, simmetricamente, sul lato destro e sinistro del corpo della vittima, circostanza stridente con quanto comunemente avviene nei ferimenti con arma bianca e risultavano portate tutte dall'esterno, orientate in senso latero-mediale e quasi tutte dorso-laterali c non risultavano rilevate ferite da parata o difesa, ulteriore circostanza, quest'ultima, che portava ad escludere che i due contendenti si trovassero in piedi frontalmente. I descritti elementi non sarebbero stati presi in considerazione dalla Corte di Assise di appello, la quale si sarebbe limitata a operare una selezione indebita di alcune informazioni, interpretandole in modo palesemente illogico ed errato. Il primo travisamento viene individuato dalla difesa nell'affermazione secondo la quale entrambe le consulenze medico-legali quelle redatte, rispettivamente, dal Dott. G.M., consulente del P.M., e dal Dott. V., consulente della difesa avrebbero espresso la convinzione che la colluttazione avvenne in piedi. Il Dott. V., in realtà, seppure in termini di compatibilità, aveva espresso, al contrario, la sua propensione per un ferimento avvenuto con i due contendenti in terra il Dott. G., d'altro canto, incaricato della sola autopsia, in sede dibattimentale aveva ipotizzato, con molta cautela, che l'inizio del ferimento potesse essere avvenuto in piedi. Un secondo travisamento viene individuato nelle prove dichiarative fornite dall'imputato N.H. e dal teste V., nessuno dei quali aveva affermato che la colluttazione in questione sarebbe avvenuta in piedi. Nel ricorso si contestano, infine, quelle che la Corte di merito definisce inferenze logiche a supporto delle sue conclusioni sulla dinamica della colluttazione. Quanto alla ritenuta inverosimiglianza della circostanza che E., sovrastato da un uomo della stazza di C.R. 114 kg di peso , potesse aver estratto il coltello e ferito la vittima anche attraverso il passaggio dell'arma da una mano all'altra, si assume che la sentenza non si sarebbe confrontata con le osservazioni del consulente V., il quale aveva spiegato come la sovrapposizione del Carabiniere sull'imputato non dovesse intendersi in modo statico, esattamente combaciante, ma, ovviamente, dinamico e, dunque, da consentire sia la libertà del movimento per estrarre il coltello sia la libertà di movimento per ferire. Inoltre, la Corte di merito aveva ignorato, sul punto, quanto riferito da E. in due colloqui in carcere con i familiari del 2.8.2019 e del 5.9.2019 , quando disse di essere stato buttato a terra e di aver avvertito le mani dello sconosciuto al collo, di aver estratto il coltello e di aver cambiato la mano dell'impugnatura. Del tutto congetturale, ad avviso della difesa, oltre che non coerente con le prove acquisite, sarebbe la seconda inferenza logica , alla luce della quale si giudica inverosimile che all'esito di una così copiosa fuoriuscita di sangue del corpo della vittima, in ipotesi dall'alto verso il basso, i vestiti dell' E. avessero riportato solamente qualche sparuta traccia ematica, dovendo, piuttosto, essere intrisi di sangue . Al riguardo, il difensore del ricorrente richiama le spiegazioni fornite dal consulente V. circa la distinzione tra i concetti di emorragia e di sanguinamento, correlati, nel caso di specie, al tessuto adiposo sottocutaneo della vittima e all'iniziale tamponamento del sangue da parte degli indumenti. Viene, poi, richiamata una pretermessa intercettazione in cui l'imputato esprimeva il suo stupore per non essere stato coperto di sangue . Si contesta, infine, come travisante il pensiero della difesa, l'inferenza relativa al prospettato strangolamento , termine che, in realtà, intendeva valorizzare un inizio di contatto da parte di C.R. con l'apposizione delle mani al collo di E., contatto fisico, del resto, riconosciuto dalla stessa sentenza impugnata, alle pagg. 92-93, laddove si parla di tentativo di immobilizzazione dei due ragazzi, evidente conseguenza del voluto effetto sorpresa. 1c - L'attendibilità di V. - Violazione degli artt. 210 e 192 c.p.p. e vizio di motivazione sul tema dell'attendibilità di V., nonché assenza di motivazione con riferimento all'esame della credibilità soggettiva del teste assistito e al collegamento con i pretesi riscontri. Assume la difesa del ricorrente che il giudizio di credibilità complessiva espresso in sentenza si sarebbe fondato su un'impropria ed errata valutazione dei criteri di ponderazione delle dichiarazioni palesemente inveritiere. Le conclusioni rassegnate sul punto dai giudici di secondo grado a pag. 214, laddove si qualificano i punti della ricostruzione non accolti come discostamenti solo marginali rispetto alla ricostruzione accolta in sentenza, esprimerebbero una determinazione manifestamente illogica e contraddittoria, se solo si pensa che la Corte di Assise di appello avrebbe ricostruito in modo difforme dal racconto di V. il percorso seguito dai due Carabinieri per sorprendere i due ragazzi americani, la mancata esibizione dei tesserini identificativi, il tentativo posto in essere da C. di immobilizzare E., ossia tutti gli aspetti decisivi per la verifica del tema centrale del processo, che, come già sottolineato, consiste nella consapevolezza o meno in capo all'imputato di essersi trovato di fronte un appartenente alle Forze dell'ordine. Il ricorso si sofferma su alcuni punti, rispetto ai quali contesta come basata su argomentazioni manifestamente illogiche e/o travisanti la valutazione di attendibilità del narrato di V In particolare, si tratta a dei fatti di Omissis e della consapevolezza del ruolo rivestito da B. rimanda alle critiche formulate nel successivo paragrafo d b dell'incontro col teste D., in ordine al quale V. non avrebbe mai riferito alcunché c delle modalità di avvicinamento degli imputati, in cui la motivazione sarebbe minata alla base da una intrinseca contraddittorietà, in quanto, da un lato, in essa si definisce attendibile e persino corroborata da ulteriori acquisizioni probatorie una determinata dichiarazione e, dall'altro, si ammette che la stessa, proprio sui punti fondamentali il percorso seguito dai Carabinieri il momento dell'avvenuta qualificazione l'esibizione dei tesserini , sia talmente falsa da dover imporre una ricostruzione differente d del mancato possesso della pistola, in ordine al quale la Corte di Roma avrebbe omesso di formulare osservazioni refluenti sulla credibilità soggettiva del teste e dello scopo dell'operazione intrapresa rimanda alle critiche formulate nel successivo paragrafo d f della percezione del numero degli estorsori indicati indifferentemente in uno o due e della loro descrizione come magrebini , informazioni che la Corte di merito avrebbe giustificato in termini di imprecisioni trascurabili con giudizio manifestamente illogico g della videoripresa e della registrazione del coimputato N.H. oggetto di bendaggio, giustificate da V. con l'esigenza di sottoporre a saggio fonico la voce del ragazzo per comparazione con quella recepita nelle conversazioni con B., senza che la Corte territoriale si fosse pronunciata in merito, sempre al fine di operare il dovuto giudizio sulla credibilità soggettiva del dichiarante h della manifestata inconsapevolezza, da parte di V., della cancellazione, dal suo telefono cellulare, esclusivamente dei contatti intercorsi la notte del fatto, rispetto alla quale la Corte di secondo grado avrebbe, ancora una volta, omesso di apprezzare l'influenza sulla credibilità del teste i della compilazione, a posteriori, dell'ordine di servizio vuoto e dell'invito, rivolto dal collega A. a V. di non parlarne con nessuno , riguardo alle quali circostanze il superficiale giudizio di attendibilità espresso dai giudici del gravame si sarebbe fondato sul mancato confronto con le informazioni emergenti dai messaggi vocali e di testo acquisiti. In conclusione, assume la difesa, sull'argomento, che la frazionabilità delle dichiarazioni di V., seppure possibile, avrebbe implicato una preliminare valutazione di credibilità del dichiarante e della sua personalità, del tutto assente in sentenza, seguita da uno scrutinio logico delle singole affermazioni. Viceversa, appariva apodittica e inficiata dalla omessa considerazione delle doglianze difensive, oltre che contraddittoria, la ritenuta complessiva attendibilità di V., accompagnata dalla ondivaga affermazione che fossero non veridiche tutte le dichiarazioni rese con il palese intento di preservare la propria posizione processuale . 1d - Vizio di motivazione, travisamento e omessa valutazione di elementi dedotti in appello con particolare riferimento alla consapevolezza, da parte di V. e di C.R., del ruolo assunto da B. nella cessione di stupefacente consumatasi a Omissis e sulla identità dei due truffati con i due estorsori, nonché al rilievo che tali circostanze avevano avuto nella determinazione dei due militari nel programmare l'operazione di recupero dello zainetto, causalmente rilevante in ordine alla scelta di sorprendere i due imputati e di effettuare un tentativo di immobilizzazione, causa della reazione dell' E Manifesta illogicità della motivazione in ordine all'inattendibilità di V. circa le mendaci dichiarazioni rese sui fatti di Omissis . La difesa del ricorrente sintetizza il rilievo della questione di Omissis nei termini seguenti V. e C.R., quando presero in carico l'ordine della Centrale Operativa, erano a conoscenza del ruolo rivestito da B. nei fatti di cessione di stupefacente e della sola nel lessico romanesco, parola da intendersi nel senso di raggiro, imbroglio, nella specie riferita ad una compravendita di cocaina non conclusa, n. d.e. consumatasi, nel pomeriggio del Omissis , in via Omissis e, parimenti, sapevano che i due estorsori che sarebbero andati ad incontrare erano i due turisti truffati dalla combriccola trasteverina. La posizione assunta dai giudici di secondo grado in relazione alla conoscenza, da parte dei due Carabinieri, del ruolo che B. e i due imputati avevano rivestito a Omissis viene espressa a pag. 103 con la frase riportata a pag. 109 del ricorse non abbiano i due Carabinieri in quel momento operato una limpida connessione logica tra i due eventi quantomeno dal punto di vista dei soggetti coinvolti l'operazione di recupero a prima vista e senza il senno del tragico epilogo appariva agli operanti del tutto semplice e banale tanto da averla affrontata con superficialità . Tale affermazione si porrebbe, ad avviso della difesa, in palese contrasto con quanto si legge a pag. 117 della stessa sentenza La ricostruzione precisata, accolta da questo Giudice, risponde peraltro a un criterio di normalità, atteso che è pienamente plausibile oltreché d'uso che i due operanti in borghese, intenti a recarsi ad un incontro con i due estorsori, in un primo momento si siano avvicinati con l'intento di non dare immediatamente nell'occhio, per non ingenerare una naturale reazione di fuga dei soggetti attenzionati. Questo a maggior ragione della già avvenuta fuga del N. in via Omissis , di cui, come si è visto, i due militari erano pienamente al corrente, pertanto, consci della possibilità che i due giovani si sottraessero al fermo . L'aperta contraddizione tra le due proposizioni non consentirebbe, al lettore, di comprendere quale sia stata l'effettiva convinzione espressa dai giudici. La incompiuta e contraddittoria valutazione di questi ultimi non si sarebbe confrontata, tra l'altro, con il contrasto, dedotto nei motivi di appello, tra quanto riferito da V. a proposito dell'intenzione di procedere all'arresto dei due giovani, sebbene con modalità tranquille , e quanto riferito da B., il quale aveva dichiarato, per quanto dettogli dai Carabinieri durante il tragitto in macchina, che il programma non prevedeva un arresto formale, ma solo il recupero dello zainetto, con le sue dinamiche sostanziali e brevi. In definitiva, la programmata operazione di recupero dello zainetto, senza favorire lo scambio tra persona offesa ed estorsori, nel mancato rispetto dei protocolli e del mandato ricevuto dalla C.O., sviluppatasi attraverso una condotta che la stessa sentenza riconosceva essere finalizzata a cogliere di sorpresa i due stranieri, era stata, in realtà, proprio secondo quanto affermato in un passaggio della motivazione, assolutamente determinata da quanto accaduto in via Omissis , tanto che il pericolo di fuga di coloro che i militari intendevano bloccare veniva prefigurato in ragione della conoscenza di come N.H. si fosse in precedenza dileguato. Il ricorso prosegue illustrando l'incidenza delle censure sopra esposte sulla qualificazione giuridica delle condotte ascritte ad E., con particolare riferimento alla configurabilità della legittima difesa reale o putativa e dell'eccesso colposo in relazione al reato ex art. 575 c.p. , dei presupposti delle due aggravanti contestate art. 576 c.p. , comma 1, nn. 1 e 5-bis e della integrazione del reato di resistenza a pubblico ufficiale. 1e - Sulla legittima difesa reale o putativa e l'eccesso colposo in relazione al capo 2 . Secondo la prospettazione sviluppata in ricorso, l'iter argomentativo seguito dalla Corte di Assise di appello per escludere gli elementi costitutivi dell'invocata scriminante sarebbe inficiato da una errata applicazione della legge penale e da significative incongruenze motivazionali. Nell'escludere l'attualità del pericolo, la Corte di merito aveva evidenziato come i due Carabinieri fossero visibilmente disarmati, riconoscibili come tali all'esito dell'avvenuta qualificazione a voce nonché sulla base dell'antefatto di Omissis . La motivazione, tuttavia, non avrebbe tenuto conto dei plurimi elementi istruttori di segno contrario, già elencati nei motivi che precedono. Il ricorso richiama, in particolare, le censure formulate sia sul momento nel quale C.R. poteva essersi qualificato cioè, dopo l'inizio della colluttazione , sia sulla impossibilità di E. di comprendere l'eventuale qualificazione verbale. Opina il difensore che, in realtà, proprio il requisito dell'attualità del pericolo avrebbe caratterizzato l'agire dell'imputato, il quale ben aveva potuto vivere il tentativo fisico di immobilizzazione posto in essere dal militare quale attentato imminente alla sua incolumità personale, da parte di uno sconosciuto, ragionevolmente inteso come malvivente. Del tutto illogica e contraddittoria, poi, sarebbe l'affermazione della Corte territoriale, riportata a pag. 223 della sentenza impugnata, secondo la quale non era dato ravvisare, nella specie, un'offesa ingiusta, in assenza di una minaccia per il bene della vita ed al più poteva astrattamente ritenersi sussistente una minaccia alla disponibilità dello zaino sottratto, che però, in quanto oggetto della condotta estorsiva, era del tutto inidoneo a porsi alla base di un'offesa qualificabile come tale. Ed in effetti - si sottolinea in ricorso - una volta ricostruito dalla sentenza il percorso dei Carabinieri come finalizzato a sorprendere i due americani, nonché il tentativo di immobilizzare E. da parte di C. come primo elemento di un approccio fisico importante, l'affermazione che in quel momento l'imputato potesse in qualche modo riferire la situazione venutasi a creare allo zaino sottratto a B. andava considerata manifestamente illogica, posto che l'unica conseguenza plausibile scaturita dalla ricostruzione operata dalla sentenza stessa andava individuata nella percezione, da parte dell'imputato, di un pericolo attuale di un attentato al bene della sua vita. Anche le osservazioni sviluppate nella decisione impugnata a proposito della possibilità di un commodus discessus, inconciliabile con il requisito della necessità dell'azione, si ponevano in netto contrasto con l'elemento storico acclarato dai giudici di merito e costituito dal più volte richiamato tentativo di immobilizzazione posto in essere da C.R., che, evidentemente, aveva impedito all'imputato di fuggire. Si contesta, in ricorso, anche la ritenuta insussistenza del requisito della proporzione, escluso dalla Corte di secondo grado per l'abnormità del mezzo utilizzato e le modalità della reazione caratterizzanti la condotta dell'imputato. Obietta la difesa che l'utilizzo del coltello avrebbe dovuto essere calato nelle circostanze concrete dell'agire di E Ed invero, il giovane condizionato dalla propria situazione psichiatrica, avrebbe utilizzato l'arma a disposizione solo perché sentitosi costretto e percependo immediato, attuale e perdurante per alcuni secondi, il concreto pericolo portato alla sua vita quanto all'elemento psicologico, poco incideva la reiterazione a brevissima distanza di tempo di plurime coltellate, perché esse si inserivano in un unico e breve contesto, nel quale la convinzione della sussistenza di un pericolo attuale ne avrebbe caratterizzato l'operare. La convinzione espressa nella motivazione circa il fatto che, dopo la qualificazione come Carabiniere palesata da C.R., E. fosse stato messo in condizione di fermarsi, non dava conto del rilievo del perdurare dell'azione offensiva, riferito a uno scontro esauritosi in non più di una dozzina di secondi. Secondo la difesa del ricorrente, in conclusione, partendo proprio dalla ricostruzione fattuale operata in sentenza, le considerazioni giuridiche in ordine alla sussistenza degli elementi costituivi della scriminante della legittima difesa, anche nella dimensione putativa, ne avrebbero giustificato il riconoscimento nel caso di specie. In ogni caso, avrebbe dovuto essere riconosciuto, quanto meno, l'eccesso colposo. L'errore commesso dalla Corte di Assise di appello, al riguardo, sarebbe consistito nel non individuare correttamente la scansione cronologica degli eventi per effettuare la valutazione corretta in merito alla possibilità di poter fotografare la condotta dell'imputato nell'eccesso colposo in legittima difesa. Si legge in ricorso che il profilo di rimprovero giuridico avrebbe potuto essere mosso ad E. nella seconda parte della colluttazione, nella quale, forse, gli si poteva addebitare di essere caduto in errore, colposamente, nel travalicare i limiti della scriminante in questione. 1f - Inosservanza ed erronea applicazione della circostanza aggravante di cui all' art. 576 c.p. , comma 1, n. 1 , in relazione all' art. 61 c.p. , n. 2 , con riguardo all'aver commesso il fatto di cui al capo 2 per conseguire l'impunità del reato di tentata estorsione, nonché vizio di motivazione sugli elementi posti a fondamento della ritenuta aggravante. Si stigmatizza la mancata verifica, da parte della Corte di secondo grado, dell'effettivo intento di E., onde comprendere se esso fosse stato diretto semplicemente a sfuggire alle conseguenze penali della vicenda dello zaino oppure alla protezione di se stesso, nei termini già più volte precisati. Il convincimento di un pericolo di aggressione, perfino se erroneo, avrebbe interrotto il nesso teleologico tra le due condotte, tanto più da parte di un giovane affetto dalla patologia psichiatrica pacificamente riconosciuta da periti e consulenti e dalla stessa sentenza. 1g - Inosservanza ed erronea applicazione della circostanza aggravante di cui all' art. 576 c.p. , comma 1, n. 5-bis , vizio di motivazione, nonché omessa considerazione di elementi probatori decisivi. Premette il difensore del ricorrente che il punto rilevante, ai fini dell'applicazione della circostanza aggravante, deve essere individuato nell'accertamento motivazionale circa la qualificazione come Carabiniere operata da C.R. e il momento della stessa. Osserva, poi, che se, anche a detta di V., la prima qualificazione di C.R. fu pronunciata nel corso della colluttazione, la percezione da parte di chiunque, in particolare di un ragazzo americano con problemi psichiatrici, totalmente ignaro della lingua e in Italia da due giorni per la prima volta nella sua vita, non sarebbe logicamente accertata dalla motivazione criticata. Al riguardo, la sentenza avrebbe, tra l'altro, omesso di valutare una prova dedotta dalla difesa nei motivi di appello, consistita nella chat intercorsa tra E. e la fidanzata Z.K. tra le ore 1.35.15 e le ore 2.46.02 del Omissis , nel corso della quale il ragazzo, descrivendo alla interlocutrice quanto accaduto all'amico N.H. a Omissis , raccontava come questi fosse stato derubato da alcuni niggas , da alcuni bulli , neri, nel gergo giovanile californiano, senza menzionare in alcun modo interventi di agenti delle forze dell'ordine. L'affermazione della Corte di merito circa il fatto che E. sapesse di dover attendere dei Carabinieri, pertanto, non solo presupponeva un'informazione inesistente in atti, ma appariva viziata dalla omessa valutazione di una prova decisiva e contrastava con altri passaggi della decisione, laddove si riconosceva che i due militari furono scambiati per turisti o persone qualunque fino al momento in cui i due giovani furono colti di sorpresa dai militari. Ancora a proposito dell'aggravante in esame, la difesa del ricorrente dubita fortemente che V. e C.R. stessero realizzando un'operazione nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni o del servizio , come richiesto dalla norma. Le molteplici anomalie, riconosciute anche dai giudici di merito, che avevano caratterizzato l'operato della pattuglia quella notte, alcune delle quali costituenti reato, non potevano rientrare nel parametro dell'adempimento delle funzioni o del servizio, essendosi poste totalmente al di fuori dalle disposizioni e dagli ordini ricevuti. Ne' la scheda aperta presso la C.O., cui si riferiva la sentenza, giustificherebbe diverse conclusioni, perché se era indubbio che al momento della ricezione degli ordini i due militari stessero adempiendo il loro dovere, era altrettanto indubbio che, da quel momento in poi, la loro condotta si fosse posta al di fuori di ogni legittimo confine, in un perverso percorso di inadempimento delle funzioni , rispetto al quale una chiusura della scheda sarebbe potuta avvenire in mille modi. Quanto alla situazione colposa circa l'aggravante contestata in cui, secondo i giudici di merito, l'imputato si sarebbe, in ogni caso, trovato, la relativa affermazione si poneva in contrasto con altri passaggi della sentenza, già richiamati e ricordati a pag. 134 del ricorso. 4.2. Erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione con riferimento al riconosciuto apporto concorsuale di E. nel reato di tentata estorsione di cui al capo 1 . Gli elementi evidenziati dalla Corte di merito, pur incontestabili, andrebbero considerati insufficienti per ricavarne un apporto causale rispetto al reato di tentata estorsione. I primi due ricerca dello stupefacente e sottrazione dello zaino riguarderebbero chiaramente una antefatto irrilevante, atteso che i due imputati non avevano certo sottratto lo zaino già prefigurandosi una richiesta estorsiva gli ultimi due occultamento dello zaino nella fioriera e porto del coltello non avrebbero avuto alcuna incidenza causale sul tentativo di estorsione, atteso che l'incontro, per le note scelte poste in essere da C.R. e da V., non era avvenuto con la persona offesa della richiesta estorsiva ed aveva avuto uno sviluppo del tutto estraneo ai rapporti di dare e avere illeciti ipotizzati da B. e da N.H 4.3. Erronea applicazione dell' art. 69 c.p. e vizio di motivazione con riferimento al giudizio di bilanciamento tra circostanze. Il vizio di motivazione scaturirebbe - secondo il ricorso - dall'avere la sentenza trascurato del tutto l'analisi delle circostanze aggravanti in contestazione e di aver preso in considerazione elementi disomogenei, come tali inidonei a giustificare una valutazione logica e attendibile. Inoltre, la Corte capitolina non avrebbe risposto alla richiesta, dedotta in appello, di riconoscimento delle attenuanti con carattere di prevalenza, fornendo una valutazione contraddittoria sul pentimento e sulla resipiscenza manifestati da E. ben prima dell'ultima udienza d'appello. 4.4. Erronea applicazione della legge penale con riferimento alla corretta interpretazione del combinato disposto dell' art. 69 c.p. e art. 438 c.p.p. , comma 6-ter, e art. 442 c.p.p. . Si assume che la ratio dell'intervento innovatore, che aveva escluso la possibilità di accedere al rito abbreviato e all'automatica correlata riduzione di pena per i reati puniti con la pena dell'ergastolo, avrebbe potuto giustificarsi, anche sotto il profilo della tenuta costituzionale, soltanto se la pena perpetua avesse rappresentato in concreto l'approdo della valutazione finale sanzionatoria. Militerebbe in tal senso un elemento ermeneutico di raffronto testuale tra la originaria formulazione della norma, precludente la possibilità di accedere al rito abbreviato per i procedimenti per i quali la legge prevede la pena dell'ergastolo , sostituita dal testo attuale, che, all' art. 438 c.p.p. , comma 1-bis dispone Non è ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo . La scelta semantica che ha portato alla nuova formulazione della norma non sarebbe casuale e imporrebbe una valutazione in riferimento esclusivamente alla pena in concreto disposta dal giudice della cognizione, non essendo l'elemento circostanziale aggravante di per sé ostativo all'ammissione al rito speciale. 4.5. Carenza e illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza della violazione dei principi del giusto processo ex art. 6 CEDU . Con apposito motivo di gravame la difesa aveva denunciato l'illegittima conduzione del dibattimento nel corso degli esami e controesami, nonché l'illiceità delle esternazioni concernenti anticipazioni del giudizio, manifestando serie perplessità sulla irreprensibilità della conduzione di un processo secondo i canoni della giustizia e dell'equità. Dopo aver analizzato le trascrizioni delle udienze di primo grado, le registrazioni e i filmati, la Corte di Assise di appello, del tutto illogicamente, aveva ritenuto infondate le censure difensive, relegando i criticabili comportamenti tenuti dai primi giudici al mero rango di attitudine personale del giudicante . Così facendo, la suddetta Corte non avrebbe dissipato il ragionevole dubbio riguardo all'imparzialità dei giudicanti, deliberatamente omettendo di valutare se i timori del ricorrente potessero essere considerati oggettivamente giustificati. Quanto alla possibilità per la difesa di presentare dichiarazione di ricusazione, prospettata dalla sentenza impugnata, dimenticava la Corte di merito come le espressioni di convincimento e di pregiudizio - poi oggetto di apposito motivo di appello - non erano, di per sé, riconducibili ad evidenti situazioni di incompatibilità tali da permettere alla difesa di ricusare, fondatamente, il giudice. Nel processo in questione, era stato solo il progredire e il concludersi del procedimento ad offrire un quadro completo in ordine alla effettiva dimostrazione delle preventive e indebite manifestazioni di convincimento e pregiudizio della Corte di Assise di Roma. 5. Ricorso redatto dall'avv. BORZONE Renato nell'interesse di E.F.L In premessa, indica i profili in relazione ai quali la sentenza impugnata non potrebbe essere considerata alla stregua di una doppia conforme pagg. 3-7 . 5.1. Preliminarmente, apparenza e contraddittorietà della motivazione dell'impianto generale della sentenza . In relazione a una serie di temi di prova decisivi quanto ai capi 2 , 3 e 4 attendibilità di V. valutazione delle dichiarazioni di B. ricostruzione dell'operazione di polizia e della dinamica del fatto accaduto in Omissis esame delle intercettazioni ambientali in carcere valutazione psichiatrica del ricorrente , la difesa di E. deduce i seguenti vizi. 1a Travisamento della prova per omissione e per l'omessa valutazione di elementi acquisiti nel processo e potenzialmente decisivi. Le omesse valutazioni riguarderebbero - le conversazioni intercorse tra E. e la fidanzata Z. nella notte del Omissis profilo già toccato dal ricorso dell'avv. CAPRA - le intercettazioni ambientali in carcere del 2.8.2019 e del 5 e 6.9.2019, le ultime due liquidate come irrilevanti senza essere state esaminate, la prima analizzata solo quanto ad una singola frase anche tale profilo risulta dedotto nel ricorso dell'avv. CAPRA - le cinque dichiarazioni di B., nelle quali il predetto ribadiva essergli stato detto dai due militari C.R. e V. che sarebbero andati a recuperare lo zaino e poi se ne sarebbero andati tutti a casa , informazione di cui non vi sarebbe traccia in sentenza - le testimonianze di Z.K. in videoconferenza dagli USA e della madre dell'imputato E.L., riscontrate in dibattimento dall'avv. PETERS Craig, che avrebbero dimostrato, in modo decisivo, l'assoluta inconsapevolezza dell'imputato di aver fronteggiato dei rappresentanti della legge - le testimonianze di R.L. in strada, al momento dello scontro, con il proprio cane e H.M. un clochard che dormiva all'aperto, nel portico della banca, a dieci metri dal luogo delle colluttazioni , i quali non avrebbero ascoltato o percepito grida o urla e, in particolare, l'intimazione ferma, ferma, Carabinieri che sarebbe stata proferita da C.R. all'indirizzo di E. - gli elementi afferenti alla scena del crimine dedotti dalla difesa a sostegno della prospettata dinamica della colluttazione a terra collocazione delle tracce ematiche sulla strada mancanza di sangue sulle scarpe e sulle suole delle scarpe dell'imputato compatibilità delle ferite con la dinamica descritta da E. sin dal primo interrogatorio - le menzogne dette da V. sulla propria pistola d'ordinanza. 1b - Carenza di completezza della motivazione in relazione a singole decisive doglianze formulate nei motivi di appello, in specie con riguardo alla conformità argomentativa rispetto alla sentenza di primo grado. Ci si riferisce, in particolare - alla omessa valutazione della integrità dei dati processuali dichiarativi sulle modalità dello scontro in piedi o a terra tra C.R. ed E., con particolare riguardo alla dichiarazione di N.H. che vide seduto il militare al centro della strada al momento della fuga - alla omessa valutazione delle s.i.t. del Comandante D.P., il quale escluse che V. avesse visto in piedi C.R., per come dal teste riferitogli nell'immediatezza del fatto - alla omessa integrale valutazione del contenuto e del momento temporale delle intercettazioni ambientali - alla omessa valutazione di quanto dichiarato nella conferenza stampa degli investigatori il 30.7.2019, acquisita come prova all'udienza dell'8.1.2021, secondo cui E. fu cinto da C.R. e solo successivamente estrasse il coltello - alla omessa valutazione delle doglianze della difesa sulla concedibilità della circostanza di cui all' art. 89 c.p. - alla omessa valutazione e travisamento delle informazioni disponibili in relazione alla prima persona che descrisse i due protagonisti della colluttazione con i militari come marocchini non fu B., ma V., come riferito dal maresciallo D.N. . 1c - Omessa valutazione delle allegazioni difensive in astratto idonee ad incidere sulla valutazione della attendibilità della testimonianza della persona offesa. Si lamenta, in sintesi, che la sentenza non avrebbe esaminato integralmente la memoria difensiva del 10.3.2022, l'atto di appello circa l'interesse di V. a mentire su alcuni dettagli dei fatti di Omissis e la doglianza articolata a pag. 319 dell'appello circa il fatto che V. avesse accomunato il collega C.R. nella inconsapevolezza della c.d. sola raggiro afferente alla cessione di stupefacente. 1d - Contraddittorietà logica di singole affermazioni della sentenza per la natura congetturale delle stesse o per uso scorretto dei sillogismi per risposte discendenti da errata lettura delle doglianze decisive per contraddittorietà con altri passaggi della motivazione. Si tratta di censure, per lo più, già illustrate nel ricorso dell'avv. CAPRA affermazione che il vocabolo Carabinieri sia noto universamente erroneo sillogismo per cui, avendo V. pronunciato la parola Carabinieri , altrettanto avrebbe fatto il suo collega erronea percezione di deduzione difensiva a proposito del cambio di mano del coltello durante la colluttazione incontro col teste D., che V. non aveva mai incontrato, etc. . 1e - Manifesta carenza logica tra le premesse poste e le conseguenze o le omesse conseguenze che se ne ricavano, pur dedotte nell'appello. Si censurano, in particolare ed esemplificativamente - l'omesso integrale esame tra la riconosciuta anomalia della c.d. operazione di polizia e la concreta possibilità dell'insorgenza di un equivoco di valutazione dei ragazzi americani, i quali, come la stessa sentenza riconosce, si attendevano di incontrare B. e/o i suoi amici spacciatori, non Forze dell'ordine - il riconoscimento dell'operazione condotta dai due Carabinieri come anomala e connotata da modalità informali , ma solo parzialmente, avendo la Corte di merito tralasciato l'esame delle ulteriori anomalie prospettate nell'appello azione condotta fuori zona di competenza e disarmati violazione dell'ordine della C.O. di comunicare l'appuntamento spegnimento dei cellulari, irreperibilità per 35 minuti e non traendo da tali dati le evidenti conseguenze circa la menzogna di V. anche sulla qualificazione come Carabiniere prima della colluttazione e sull'equivoco in cui incorsero gli imputati su chi avessero di fronte - gli erronei e contraddittori parametri circa la frazionabilità delle dichiarazioni di V., ritenute, diversamente dalla sentenza di primo grado, menzognere laddove egli avesse un interesse personale e di carriera e veritiere in caso contrario la carenza logica nel valutare che V. avesse un integrale interesse a difendere non solo se stesso, ma anche l'operazione compiuta e i singoli passaggi della stessa, in considerazione della violazione degli ordini ricevuti dalla C.O In sintesi, sub 1f , si stigmatizza la carenza del necessario rapporto dialettico tra i motivi di appello e la sentenza impugnata. 5.2. Manifesta illogicità, contraddittorietà e carenza di motivazione in relazione alla parziale valutazione di attendibilità del carabiniere V.A. - Assenza di motivazione per omesso esame della memoria difensiva depositata all'udienza del 10.3.2022 - Vizio di motivazione nell'esame dei parametri di credibilità soggettiva di V. e al collegamento con i riscontri richiesti dall' art. 192 c.p.p. . Con la memoria difensiva in questione venivano segnalate numerose contraddizioni e temi di criticità in ordine a molti dei quali si lamenta il mancato vaglio da parte della Corte di merito. Gli elementi prospettati dalla difesa avrebbero dovuto essere esaminati, quand'anche non direttamente afferenti ai passaggi del tragico episodio finale, per una valutazione complessiva della credibilità soggettiva e della personalità del carabiniere, che avrebbe consentito di cogliere la sua propensione a mentire . Nel ricorso, si riepilogano in 13 punti le più significative omissioni in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata circa le dichiarazioni di V. relative a elementi ritenuti decisivi v. pagg. 21-26 . Insiste la difesa nel sostenere che proprio quegli aspetti di anomalia caratterizzanti, a giudizio della stessa Corte di merito, l'operazione posta in essere quella notte dalla pattuglia C.R.- V. rappresentarono altrettante ragioni d'interesse a non dire la verità circa l'episodio finale. Sicché, anche per la mancanza di una preliminare valutazione di credibilità e personalità del dichiarante, appariva apodittica e fondata sulle omissioni delle doglianze difensive, oltre che contraddittoria, la ritenuta complessiva attendibilità di V., anche alla luce della menzogna riferita quanto alla natura di consegna controllata che avrebbe qualificato l'operazione di polizia, disattesa dalla stessa Corte di Assise di appello. 5.3. Contraddittorietà e inadeguatezza logica della motivazione circa la ricostruzione di quanto avvenuto nel rione di Omissis tra le ore 0.15 e le ore 1.25 circa del Omissis - Travisamento dei fatti ricostruttivi e difetto di indagine sulle ragioni delle menzogne di V. in tale sede - Omesso confronto dialettico della sentenza con decisive doglianze dedotte nell'atto di appello. Nell'atto di appello la difesa aveva prospettato la seguente ricostruzione dei fatti avvenuti in Omissis . C.R. e V. furono tenuti al corrente via whatsapp del pedinamento di B. e dei due ragazzi americani per un'ora, avendo V. ricevuto finanche la fotografia di B. e N.H. a via Omissis , P. lo spacciatore e T., presentatisi immediatamente come informatori dei Carabinieri e amici delle guardie , all'arrivo confuso e irrituale dei quattro militari liberi dal servizio furono lasciati andar via prima dell'apertura del pacchetto che rivelò l'ipotetica sola alle ore 1.16 vi fu una telefonata di oltre un minuto tra S. e V. della quale nessuno dei due volle rivelare il contenuto, ma che fu, evidentemente, il via libera di C. e V. per lasciare andare gli informatori. La sentenza impugnata, ad avviso della difesa, avrebbe eluso il confronto con le informazioni disponibili e le tesi difensive, salvo misurarsi parzialmente con esse, ma con travisamento o delle doglianze difensive o dei fatti controversi. Il ricorso, analiticamente, richiama le pagine della sentenza caratterizzate dai vizi dedotti pagg. 57, 87, 108-109, 91, 103, 104, dolendosi anche della mancata considerazione delle s.i.t. del B Censura, quindi, come del tutto priva di logica l'affermazione, riportata a pag. 103 della sentenza impugnata, secondo la quale i Carabinieri C.R. e V., pur nella possibilità di ricondurre i due giovani estorsori ai polletti di cui avevano parlato via messaggio qualche ora prima con i colleghi fuori servizio, non avessero in quel momento non meglio specificato operato una limpida connessione logica tra i due eventi quantomeno dal punto vista soggettivo . Conclude osservando che la rilevanza dell'episodio di Omissis stava nel comprendere le ragioni per le quali V. avesse negato fino all'assurdo logico di sapere cosa fosse accaduto in precedenza, finanche che stessero cercando due persone e che B. fosse quello seguito dai suoi colleghi che per un'ora gli avevano comunicato via chat i suoi movimenti. Di qui i vizi di motivazione censurati. 5.4. Contraddittorietà e inadeguatezza logica della motivazione circa la fase dell'avvicinamento dei due Carabinieri agli imputati e in particolare, al punto della ritenuta Qualificazione dei militari come Carabinieri - Omesso confronto dialettico della sentenza con decisive doglianze indicate nell'atto di appello - Difetto di motivazione con riguardo alla corretta verifica della gravità, precisione e concordanza degli indizi circa suddetta qualificazione e al momento in cui sarebbe avvenuta. Si tratta di un motivo che, seppure con differenti modalità espositive, ricalca le censure già formulate dal co-difensore nel ricorso già illustrato e che qui si richiamano. In sintesi, si rimprovera alla Corte di secondo grado di aver fornito, sull'episodio decisivo, rilevante ai fini della configurabilità della legittima difesa putativa o della circostanza aggravante di cui all' art. 576 c.p. , comma 1, n. 5-bis , altalenanti e contrastanti versioni, mantenendo, in particolare, una prospettazione alternativa tra la conoscenza ex ante prima del tentativo di bloccaggio o di immobilizzazione della qualità di Carabiniere di C.R. da parte del ricorrente e l'averlo appreso, viceversa, quando il tentativo di bloccaggio già vi era stato. 5.5. Carenza di motivazione e omesso esame delle doglianze difensive in relazione al tema della ricostruzione dinamica del fatto e dell'analisi medico-legale - Omesso confronto dialettico della sentenza con decisive doglianze indicate nell'atto di appello - Difetto di motivazione con riguardo alla corretta verifica della gravità, precisione e concordanza degli indizi concernenti la modalità della colluttazione e le complessive informazioni disponibili. Anche questo motivo ricalca, nella sostanza, l'analogo motivo dedotto dal co-difensore, già illustrato. La difesa elenca dalla lettera a alla lettera p gli elementi di rilievo con in quali la Corte di merito non si sarebbe confrontata, compromettendo la tenuta della motivazione pagg. 5156 del ricorso . 5.6. Carenza di motivazione e omesso esame delle intercettazioni ambientali nella loro integralità - Omessa valutazione degli elementi di riscontro alle captazioni - Decisività delle prove non considerate e omesse nella valutazione dei fatti ai capi 2 , 3 e 4 della rubrica. La difesa reitera le doglianze, già accennate nei motivi precedenti, sulla omessa considerazione di brani di intercettazioni sostanzialmente confermativi della omessa esibizione dei tesserini e dell'omessa qualificazione da parte dei due Carabinieri, oltre che della dinamica della colluttazione, incidenti, potenzialmente, sulla valutazione della legittima difesa putativa, sulla gravità del fatto e sulla sussistenza delle aggravanti contestate in riferimento al capo 2 . 5.7. Omesso esame e conseguente carenza di motivazione circa una prova decisiva quanto alla mancata valutazione della risposta positiva dell'imputato, in alcuni passaggi delle intercettazioni ambientali, alla richiesta di visionare le telecamere formulata dall'avv. PETERS Craig, amico dei genitori del ricorrente. Nella captazione ambientale del 2.8.2019, E. aveva risposto favorevolmente alla proposta formulata dall'avv. PETERS di acquisire i filmati registrati dalla telecamera di videosorveglianza puntata sulla farmacia di via Omissis e sull'incrocio di detta via con via Omissis . Tale proposta era antecedente alla data Omissis dell'informativa di P.G. da cui si seppe che detta telecamera non funzionava. La Corte di merito aveva ignorato una precisa deduzione decisiva per valutare l'attendibilità di E. e della sua buona fede. 5.8. Inosservanza ed erronea applicazione dell' art. 576 c.p. , comma 1, n. 5-bis , - Carenza di motivazione in relazione agli ulteriori presupposti di fatto ritenuti esistenti e viceversa travisati. Ricalca, nella sostanza, i rilievi critici esposti dal co-difensore nell'analogo motivo di ricorso già illustrato. 5.9. Inosservanza ed erronea applicazione della circostanza aggravante di cui all' art. 576 c.p. , comma 1, n. 1 , in relazione all' art. 61 c.p. , comma 1, n. 2 , con riguardo all'aver commesso il fatto di cui al capo 2 per conseguire l'impunità dal reato di estorsione tentata. Ricalca, nella sostanza, i rilievi critici esposti dal co-difensore nell'analogo motivo di ricorso già illustrato. 5.10. Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 52,55 e 59 c.p. in correlazione alla ravvisata insussistenza dei presupposti giuridici per ritenere nella condotta del ricorrente gli estremi della legittima difesa putativa o dell'eccesso colposo in legittima difesa. Ricalca, nella sostanza, i rilievi critici esposti dal co-difensore nell'analogo motivo di ricorso già illustrato. 5.11. Inosservanza ed erronea applicazione dell' art. 89 c.p. - Carenza di motivazione in relazione al rigetto della dedotta infermità mentale del ricorrente - In ogni caso, nullità della perizia ai sensi dell' art. 178 c.p.p. , lett. c , e art. 111 Cost. per omessa videoregistrazione del colloquio con i periti disposta dalla Corte di Assise, per omessa acquisizione al contraddittorio di un atto peritale reputato indispensabile dagli stessi giudicanti. Premette il difensore del ricorrente che, contrariamente a quanto disposto dalla Corte di primo grado all'atto del conferimento dell'incarico, i periti incaricati non avevano provveduto alla richiesta videoregistrazione del colloquio clinico in carcere con l'imputato, il che avrebbe integrato una causa di nullità della perizia, con le inevitabili conseguenze. Quanto al tema dell'imputabilità, la difesa ricorda di aver fondato le proprie doglianze nell'atto di appello sul contrasto di valutazioni rilevato tra il perito e il suo ausiliario prof. A.L Sul punto, nessuna risposta era stata fornita dalla Corte di secondo grado. La relazione A., in particolare, faceva riferimento a chiari elementi di interferenza nella lettura della realtà in condizioni di stress emotivo nell'imputato, che, viceversa, riconducevano alla mancata analisi da parte del perito F. delle condizioni di E. al momento del fatto, e ponevano in dubbio l'inesistenza del nesso eziologico tra disturbo e condotta, per nulla riesaminata dalla Corte romana nonostante specifiche obiezioni. La difesa aveva, tra l'altro, segnalato come la perizia fosse stata eseguita a distanza di un anno dal fatto, circostanza non esaminata dai periti - né dalla impugnata sentenza - ma assumente un valore determinante, in quanto, da un anno, E. non avrebbe fatto più uso massivo di hashish ed altre droghe. Avrebbe dovuto essere verificato se il tempo intercorso avesse potuto spostare la valutazione del perito da una diagnosi definita medio-elevata ad una di gravità rilevante in linea con Sez. U Raso . Ulteriori rilievi investono il mancato confronto con alcune considerazioni del consulente S. e sulla valutazione fornita dall'ospedale californiano Omissis in occasione del T.S.O. praticato ad E. dopo il suo ultimo tentativo di suicidio, posto in essere un anno prima dei fatti. Ancora, la sentenza viene criticata per non aver preso in considerazione la c.d. diagnosi multipla formulata dal consulente della difesa, posto che il disturbo borderline di personalità avrebbe dovuto essere analizzato non isolatamente, ma unitamente all'uso compulsivo di stupefacenti, al grave disturbo depressivo maggiore accompagnato da cronica ideazione suicidiaria e al disturbo post traumatico da stress. Altro rilievo attiene alla mancata valutazione degli esiti della risonanza magnetica eseguita, che, all'esame neurobiologico, aveva rilevato l'esistenza di undici aree del cervello dell'imputato più piccole del normale . Quanto all'esame della questione psichiatrica circa lo stato mentale di E. la sera del fatto, non sarebbero state valutate le risultanze processuali indicate alle pagg. 428-431 dell'atto di appello. Infine, solo con una formula di stile, era stata rigettata la richiesta di aggiornata risonanza magnetica funzionale. 5.12. Carenza e contraddittorietà della motivazione in ordine all'affermazione di responsabilità per il reato di resistenza a pubblico ufficiale. Fa richiamo ai precedenti motivi, essendo comuni i profili di doglianza. 5.13. Travisamento della prova, omesso esame delle doglianze difensive e carenza di motivazione in ordine al concorso nel reato di lesioni personali in danno di V La difesa aveva prodotto in allegato all'atto di appello il referto medico relativo alle lesioni accusate dal V., con prognosi di sei Torni, da cui risultava come esse fossero state soltanto riferite , ma non diagnosticate. Si rappresentava, inoltre, come V., pochi giorni dopo il fatto, avrebbe organizzato una partita di padel, sport inconciliabile con una lombosciatalgia. Nessuna risposta veniva fornita dalla Corte di secondo grado a pag. 240 della sentenza, in cui si limitava a dare per scontate le lesioni in questione senza farsi carico delle obiezioni difensive. 5.14. Inosservanza ed erronea applicazione dell'artt. 110,56,629 c.p Tale delitto era stato delineato in ragione della minaccia di non restituire altrimenti quanto sottratto . La condotta di minaccia era stata posta in essere esclusivamente dal coimputato N.H., sicché erroneamente era stato ritenuto il concorso di E 5.15. Inosservanza ed erronea applicazione dell' art. 69 c.p. e art. 438 c.p.p. , commi 1-bis e 6-ter, art. 442 c.p.p. sulla ritenuta persistente ostatività al riconoscimento della diminuente del giudizio abbreviato laddove siano neutralizzate ex art. 69 c.p. le circostanze aggravanti implicanti la pena dell'ergastolo. Il motivo è sovrapponibile all'analogo motivo già illustrato in relazione al ricorso del co-difensore si insiste, in particolare, sulla necessità di riferirsi alla pera in concreto inflitta, in esito al giudizio di comparazione fra circostanze. 5.16. Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 62-bis , 69 e 133 c.p. ed omessa verifica di tutti gli elementi di fatto sottoposti all'attenzione del giudice. Nel negare il riconoscimento delle attenuanti generiche con carattere di prevalenza sulle aggravanti, la Corte di merito non avrebbe preso in esame, quanto alla ritenuta assenza di segnali di resipiscenza, gli elementi valorizzati dalla difesa alle pagg. 475-476 dell'atto di appello che dimostravano il contrario. Quanto alla personalità e alla leggerezza nella commissione del fatto, la difesa rinvia a quanto dedotto nello specifico motivo di appello. 6. Ricorso redatto dagli avvocati PETRELLI Francesco e ALONZI Fabio nell'interesse di N.H.G.C Si articola nei seguenti motivi. 6.1. Vizio di motivazione con riferimento alla prova del concorso nel reato di omicidio, con particolare riferimento alla esistenza del necessario contributo condizionalistico consapevolmente fornito all'azione omicidiaria posta in essere dal coimputato, ovvero alla dedotta partecipazione morale offerta all'autore della stessa in termini di determinazione, istigazione, rafforzamento o di ogni altra forma di contributo aqevolativo alla suddetta condotta, risultando la decisione impugnata violativa delle regole imposte dall' art. 546 c.p.p. , comma 1, lett. e , nonché dei canoni probatori di cui agli artt. 192 e 533 c.p.p. , con specifico riguardo alla errata valutazione degli elementi indiziari, alla incongrua ricognizione dell'attendibilità intrinseca ed estrinseca della fonte dichiarativa E., nonché, infine, ai molteplici e ripetuti travisamenti della prova documentale, dichiarativa e tecnico-scientifica. 6.1.1. Premessa. Analogamente ai due ricorsi proposti nell'interesse di E., anche il presente ricorso si apre con una considerazione preliminare sulla impossibilità di considerare la decisione di appello come una doppia conforme secondo un argomentare che ricalca quello già illustrato a proposito del coimputato e che qui si richiama. 6.1.2. Sull'uso e l'abuso della c.d. prova logica . Non è chiaro - deducono i difensori - se con l'uso di tale espressione la Corte di merito abbia voluto fare riferimento a un nuovo tipo di prova, alla c.d. prova indiziaria o ad argomenti di natura logica, residuando, quindi, il dubbio che l'uso dell'aggettivo logico abbia costituito lo strumento - una sorta di artificio retorico - atto ad eludere la giustificazione delle conclusioni probatorie alle quali di volta in volta si è giunti. Qualora la Corte di Roma avesse inteso riferirsi alla prova indiziaria, si sarebbe dovuta presupporre l'esistenza di indizi certi e non oggetto di supposizioni e intuizioni del giudice. 6.1.3. L'inversione logica del procedimento valutativo. Si lamenta l'inversione del naturale ordine cronologico, logico e giuridico, intercorrente fra il reato concordato relativo alla tentata estorsione ai danni di B. e il reato di omicidio materialmente posto in essere da E. ai danni del Vicebrigadiere C.R Anziché guardare al più grave reato di omicidio attraverso la prospettiva degli autori della tentata estorsione, i giudici avrebbero sostanzialmente riassorbito l'estorsione nell'ambito dell'omicidio, determinando una confusione di ruoli ed una inammissibile prospettazione dell'elemento psicologico del reato, ricostruito su mere basi congetturali e su scivolosi e dubbi passaggi inferenziali. 6.1.4. L'uso distorto e sostitutivo dei comportamenti post-factum. Ci si duole che la Corte territoriale abbia sostituito l'indizio certo e convergente con elementi circostanziali postumi, incapaci di ricostruire a ritroso i fatti psichici e le condotte reali. Attraverso questo alterato percorso inferenziale si è sostituita all'analisi del factum la retorica del post factum, in sé incapace di fornire alla decisione una idonea copertura probatoria. Si lamenta, inoltre, che, nel valorizzare illogicamente le presunte condotte negative dell'imputato, la Corte di merito abbia selettivamente ignorato numerosi comportamenti costituenti altrettanti indici di inconsapevolezza delle condotte altrui da parte di N.H 6.1.5. I vizi della motivazione. Fatta tale premessa, si deduce, quale prima censura, la mancanza di motivazione in ordine alla prova del concorso dell'imputato nel reato di omicidio volontario di cui al capo 2 . Si richiama, in primo luogo, il rilievo formulato in preambolo circa la radicale revisione, operata dalla sentenza impugnata, con riguardo ad elementi decisivi della ricostruzione del contatto fra V. e N.H., quali la mancata esibizione dei tesserini, il tentativo di fuga immediatamente posto in essere da N.H. e l'insussistenza di un'aggressione da parte di quest'ultimo ai danni del militare. Il radicale mutamento dei presupposti storico-fattuali sulle modalità di approccio dei due Carabinieri avrebbe dovuto condurre a necessitate conseguenze in ardine alla esistenza del concorso di N.H. nelle condotte poste in essere dal coimputato. Diversamente, i giudici dell'appello avrebbero operato una disarticolazione del discorso giustificativo, al di fuori di una congrua e logica ricostruzione della vicenda, che desse spiegazione di come condotte diametralmente opposte - quella di E. e quella di N.H. - potessero avere una radice rappresentativa e deliberativa comune. Si legge, infatti, da una parte pag. 124 , che il N. tenta subito di fuggire, salvo venir bloccato nell'azione dal V. , mentre dall'altra pag. 268 si legge che depone a favore della responsabilità concorsuale ex art. 110 c.p. il comportamento tenuto dal N. al momento della colluttazione col V., svoltasi in contemporanea al confronto tra il C.R. e l' E. . Non comprende la difesa del ricorrente come un comportamento non aggressivo e di semplice fuga possa essere stato inteso come un intenzionale rafforzamento delle possibilità dell' E. . 6.1.5.1. La mancata risposta alle devoluzioni difensive. Si denuncia la carenza della motivazione anche con riferimento alla omessa risposta, da parte dei Giudici dell'appello, ad una serie di questioni devolute con l'impugnazione. Tale mancanza impone alla difesa di riproporre le argomentazioni ignorate. 6.1.6. La motivazione sul concorso morale e materiale. Ad avviso della difesa del ricorrente, l'affermazione riportata a pag. 279 della sentenza impugnata va confermata la valutazione del dolo di partecipe in seno al N., concorrente morale e materiale nell'omicidio non è supportata da elementi di fatto capaci di giustificarla. 6.1.6.1. La mancanza di motivazione sulla conoscenza, da parte di N.H., che E. fosse armato. Sulla esistenza di dati eminentemente di natura logica a supporto della presa di coscienza, in capo a N.H., del porto del coltello da parte di E., la difesa censura che la sentenza non avrebbe fornito risposta alle deduzioni sviluppate nei motivi di appello. Sottolinea una contraddizione tra parti della decisione in cui si afferma, da un lato, la presa di coscienza del porto del coltello ad opera di E. pag. 172 in termini di passiva presa d'atto di un comportamento altrui, e, dall'altro, si ipotizza la sussistenza di un affidamento da parte di N.H. ritenendosi comprensibile che il trasporto fosse affidato all' E. e spingendosi, infine, a ricostruire uno scenario secondo il quale i due imputati sarebbero usciti dall'albergo con le parti assegnate il N. nelle vesti di organizzatore della vicenda, l' E., piuttosto incaricato della difesa armata della loro incolumità, nonché della buona riuscita dell'operazione , ricostruzioni incompatibili, in quanto l'una alternativa all'altra, nonché frutto di una rielaborazione congetturale. Si stigmatizza come confermativo di tale paradossale confusione l'assunto ulteriore della Corte di merito, secondo il quale la stessa condotta posta in essere da E. di portare il coltello avrebbe rafforzato il proposito, in capo a N.H., di perseverare nell'azione da lui prevalentemente organizzata e portarla a compimento. 6.1.6.2. La visibilità dell'arma omissioni e travisamenti. La Corte di merito confuta le affermazioni di N.H. circa la sua inconsapevolezza del porto del coltello da parte di E. valorizzando quelli che definisce dirimenti dati logici . Il primo dei quali, relativo al carattere ingombrante dell'arma, trasportata nella tasca anteriore della felpa dell'amico. Oppone la difesa che l'argomento della visibilità del coltello verrebbe proposto incongruamente, ossia senza fare riferimento alle immagini che dimostrerebbero tale visibilità e senza tener conto di quanto dichiarato da V. circa il fatto che i due giovani avessero le mani vuote e apparissero disarmati. Ne' le immagini delle telecamere renderebbero visibile, né percepibile la presenza dell'arma nella tasca anteriore della felpa, circostanza, peraltro, ammessa anche dal Col. D. in sede di conferenza stampa del 30.7.2019. Su tali argomenti la Corte territoriale avrebbe omesso ogni valutazione, svolgendo ulteriori considerazioni del tutto eccentriche rispetto al fuoco del problema. Incongruo, ad esempio, indugiare sulla comprensibilità del fatto che il trasporto dell'arma fosse affidato ad E. in quanto proprietario del bene, di valenza neutra ai fini dimostrativi, o sulla circostanza, altrettanto neutra, che l'arma fosse stata ininterrottamente custodita nella stanza comune sino all'uscita dall'albergo per recarsi all'appuntamento o, infine, che N.H. non avesse saputo descrivere l'arma nel corso del suo interrogatorio. Ancora, non avrebbe potuto essere utilizzata a carico di N.H. la circostanza, valorizzata dai giudici di merito, di aver indossato la felpa in piena estate come sintomatica della necessità di occultare la propria identità e di tenere ben nascosto il coltello, in quanto il ricorrente aveva già indossato la felpa quando era uscito, da solo, dall'albergo per individuare il luogo dell'appuntamento. 6.1.6.3. L'incertezza e l'inconcludenza dei comportamenti post-factum. Le circostanze, valorizzate dalla Corte romana a carico di N.H., consistite nell'aver aiutato E. a nascondere il coltello e nell'aver trascorso con l'amico la notte nella stanza, contaminata con plurime tracce ematiche, non sarebbero pertinenti al tema d'indagine, essendo compatibili anche con l'inconsapevolezza del ricorrente. Quanto all'ulteriore elemento dell'avere costui lavato il coltello nel lavabo, la difesa denuncia un travisamento della prova derivante dall'accertamento tecnico biologico, atteso che l'esistenza di una traccia mista della vittima e dell'imputato non poteva attestare alcuna simultaneità nel rilascio della stessa, come confermato dal Maggiore R.C. del R.I.S. e dalla Dott.ssa B.M., consulente di parte. Del resto, sia sull'asciugamano in cui il coltello venne avvolto sia sul coltello stesso vennero rilevate tracce biologiche del solo E., non del coimputato. 6.1.6.4. La mancata valutazione delle deduzioni difensive e i relativi travisamenti delle prove biologiche. La Corte di Assise di appello, in sintonia con i primi giudici, avrebbe travisato la prova biologica sulle tracce di sangue rilevate sulla porzione di marciapiede e sulla griglia costeggiante l'albergo di via Omissis , utilizzata per sostenere che in quel luogo E. avesse riposto l'arma nella custodia e poi nel tascone della felpa prima di rientrare in hotel, a testimonianza del fatto che N.H. fosse consapevole del porto di un'arma da combattimento da parte dell'amico quando si recò sul luogo dell'incontro. I giudici dell'appello trascuravano di considerare che, all'esito degli approfondimenti tecnico-biologici, le tracce ematiche non risultarono attribuibili al Vicebrigadiere C.R., dal che si deduceva che non avrebbero potuto costituire il segno del passaggio dell'arma del delitto impugnata da E. e del contestuale gocciolamento del sangue della vittima. D'altro canto, tali conclusioni sarebbero confermate dalla visione delle immagini tratte dalle telecamere di pertinenza della gioielleria Omissis e dell'hotel Omissis , che dimostravano come l'arma fosse stata riposta nella tasca da E. ancor prima di essere raggiunto dall'amico. Neppure i giudici dell'appello, nonostante l'argomentata censura difensiva, si erano confrontati con le descritte evidenze. 6.1.6.5. Sulle disseminate tracce di sangue sugli indumenti di E Assume la difesa che equivoco e privo di conducenza sarebbe l'ulteriore elemento costituito dalla copiosità delle tracce ematiche sugli indumenti di E., che avrebbe dovuto indurre il coimputato a comprendere immediatamente la gravità di quanto appena accaduto. La Corte di merito, sul punto, avrebbe trascurato di valutare quanto dichiarato da N.H. sia in occasione del primo interrogatorio reso ai PP.MM. sia in sede di esame, e cioè che l'amico gli lasciò intendere che si era trattato di un semplice ferimento e che lui si era accorto del possesso e dell'uso del coltello da parte del predetto solo al rientro in albergo. Che sugli indumenti di E. non fossero state rilevate tracce di sangue lo si evinceva, peraltro, anche dalle immagini fotografiche, mostrate in aula, allegate al fascicolo dei rilievi tecnici e dai risultati delle indagini scientifiche. La Corte di Assise di appello sarebbe, sul punto, incorsa in un travisamento della prova e avrebbe formulato affermazioni in palese contrasto fra loro, osservando, da un lato pag. 156 , che i vestiti di E. avevano riportato solamente qualche sparuta traccia di sangue , dall'altro pag. 178 , che appariva del tutto inverosimile che il N. non avesse contezza del coltello, anche alla luce delle molteplici tracce ematiche del C.R. disseminate sugli indumenti dell' E. . Doveva, in definitiva, considerarsi credibile che, quando N.H. si indusse ad aiutare E., non sapesse che questi avrebbe potuto uccidere una persona. Concludendo sull'argomento, la difesa esclude, alla luce degli elementi passati in rassegna e trascurati dalla Corte capitolina, che le c.d. condotte post factum possiedano capacità dimostrativa della consapevolezza in capo al ricorrente del possesso dell'arma da parte del coimputato. 6.1.6.6. Gli elementi confutativi non valutati dalla Corte di Assise di appello. Si tratta dell'incrocio dei dati documentali sottoposti all'attenzione della Corte di secondo grado con memoria del 15.3.2022, il primo dei quali afferente alla effettiva durata della permanenza di N.H. all'interno della stanza 109 prima di uscire per l'appuntamento concordato con B Le telecamere dell'albergo avevano consentito di ricostruire che l'imputato, rientrato in stanza alle ore 2.45.43 del Omissis dopo aver da solo effettuato un sopralluogo in strada, vi rimase, con l'amico, 2 minuti e 52 secondi, comprensivi della telefonata intercorsa con B. della durata di 87 secondi. E., in quei frangenti, era intento a chattare con la fidanzata, del tutto disinteressato alle iniziative dell'amico. Risultava, pertanto, evidente, secondo la difesa, che i due giovani non fossero affatto d'accordo e non fossero impegnati nella pianificazione di alcunché del resto, N.H. parlava in italiano con B., per cui E. non poteva neppure comprendere cosa i due stessero dicendo e quali accordi stesse prendendo il coimputato per la restituzione dello zainetto. 6.1.6.6.1. Ribadisce, poi, la difesa che le immagini tratte dalle telecamere dell'hotel confermavano la ricostruzione del ricorrente circa il fatto che egli avrebbe atteso E. sulla porta della stanza, mostrando anche come da quella posizione, con le spalle alla porta, non potesse vedere i movimenti dell'amico e, quindi, l'eventuale rapido gesto di armarsi infatti, era stato accertato che E. si trovava sulla parte destra del letto, che rimaneva nascosta allo sguardo di chi si fosse venuto a trovare nel piccolo vano d'ingresso della stanza. L'inconsapevolezza di N.H. non sarebbe stata contraddetta neppure dai movimenti successivi dei due giovani all'uscita dalla stanza Omissis , tenuto conto del fatto che il coltello era nascosto all'interno dell'ampia tasca anteriore della felpa indossata da E. e che quest'ultimo, nell'uscire dalla stanza citata, precedeva l'amico. Anche su tali punti, la difesa lamenta la mancata valutazione, da parte della Corte di merito, delle prove e delle deduzioni sviluppate nell'atto di gravame. 1.6.6.2. L'affermazione conclusiva cui era pervenuta la Corte di Assise di appello circa il fatto che, durante la permanenza nella camera d'albergo, N.H. avesse raggiunto la sicura consapevolezza in ordine al possesso del coltello da parte di E. doveva, quindi, reputarsi sprovvista di fondamento probatorio, di dati sensibili su cui basare le ravvisate inferenze logiche , oltre ad essere indebolita dall'aver trascurato i dati documentali relativi ai tempi di permanenza in quella stanza, al fatto che il ricorrente fosse impegnato, in quei frangenti, nella telefonata con B. e alla manciata di secondi solo 24 che separarono il termine della chiamata dall'uscita dalla camera. In definitiva, le circostanze valorizzate a pag. 180 della sentenza di appello - e cioè che i due giovani avessero organizzato tutta la vicenda assieme , si fossero trovati assieme in stanza , fossero usciti dall'albergo e avessero compiuto il percorso congiuntamente, nel corso del quale era ragionevole sostenere che avessero parlato e si fossero confrontati dovevano considerarsi prive della necessaria conducenza e concludenza, risultando smentite dalle trascurate emergenze indicate dalla difesa e prive dei connotati di certezza e di gravità che ne avrebbero consentito la spendita in chiave indiziaria al di là di ogni ragionevole dubbio. 6.1.7. L'affermata sussistenza del concorso. Sul tema, la difesa, anzitutto, lamenta il mancato rispetto dei criteri di valutazione fissati dall' art. 192 c.p.p. . Lamenta, inoltre, la violazione dell' art. 546 c.p.p. , comma 1, lett. e , poiché, nell'elencare e valorizzare i singoli elementi indiziari, la Corte di appello avrebbe ignorato interamente le prove contrarie e non avrebbe indicato i criteri adottati ai fini della loro valorizzazione, restando ignote le generalizzazioni empiriche adoperate nell'elaborazione delle singole operazioni inferenziali . Nel trattare la posizione di N.H., i giudici del gravame avrebbero apprezzato, in massima parte, fatti e circostanze antecedenti o successive al delitto, per lo più incerte ed equivoche. Quanto al profilo del c.d. pre-factum , la difesa del ricorrente contesta l'apoditticità dell'affermazione della sentenza secondo la quale già l'antefatto di Omissis sarebbe stato sintomatico di una piena condivisione tra i due imputati del percorso criminoso , in quanto ciò avrebbe postulato una sostanziale identità ontologica fra i fatti relativi all'acquisto di cocaina, quelli afferenti alla tentata estorsione, e la successiva condotta posta in essere da E., e configurato una sorta di coessenzialità radicalmente contrastante con la formulazione stessa delle due diverse imputazioni. Le circostanze valorizzate dalla Corte capitolina quali indici del concorso del ricorrente indicate a pag. 266 della sentenza impugnata 1 l'essersi adoperato nella ricerca dello stupefacente e nell'averne perfezionato l'acquisto 2 l'essere fuggito alla vista dei Carabinieri in borghese 3 l'aver organizzato la sottrazione dello zainetto di B. 4 l'aver gestito la trattativa estorsiva 5 l'essere uscito dall'albergo per effettuare di persona una ricognizione del luogo dell'incontro 6 l'essere il principale interessato alla buona riuscita dello scambio , ad avviso della difesa, non potrebbero essere considerate utili ai fini di instaurare una inferenza logica fra il concorso nell'estorsione e quello nell'omicidio, anche perché alcune delle indicate circostanze, quali la consapevolezza della qualità dei soggetti intervenuti in via Omissis del Vai e la responsabilità della sottrazione dello zainetto, non sarebbero oggetto di compiuta argomentazione giustificativa quanto alla loro effettiva sussistenza. 6.1.7.1. - 6.1.7.1.1. I presunti indici del concorso. Il concorso materiale. a L'essere stato N.H. gestore dell'organizzazione dell'incontro, conducendo le trattative e il sopralluogo, e generalmente assumendo l'iniziativa pag. 272 sent. . Riguardo all'addebito di tali circostanze, la difesa stigmatizza, di nuovo, la pericolosa confusione in cui sarebbe incorsa la Corte di Assise di appello nel sovrapporre la responsabilità per la tentata estorsione a quella per l'omicidio. Si osserva che l'organizzazione dell'incontro da parte del ricorrente non solo non aveva nulla a che fare con il successivo sviluppo della vicenda, ma non appariva espressione di alcun proposito violento, avendo l'imputato fissato l'appuntamento con B. a pochi metri dall'ingresso dell'hotel Omissis , ancora a quell'ora frequentato dal personale e dai clienti e, quanto alla previa ricognizione in strada, essendosi il giovane lasciato identificare dalle telecamere di UNICREDIT che ne ripresero quasi interamente l'breve percorso attorno all'edificio si tratterebbe, dunque, di comportamenti ben lontani da una prospettiva implicante un uso della violenza anche in ipotesi di degenerazione dell'incontro. b L'avere N.H. omesso di tentare di evitare che l'amico si recasse armato all'incontro, come da lui ben conosciuto, pur essendo consapevole della sua risalente precaria condizione psichica, ed anzi accettandolo nell'ambito di una suddivisione dei ruoli. La difesa, in tale argomentazione, coglie anzitutto una intrinseca contraddizione, in quanto, da un lato, in essa si postula un accordo originario tra i due ragazzi con una chiara suddivisione dei compiti , e, dall'altro, si contesta all'imputato di non aver impedito all'amico di recarsi all'incontro armato, contestazione, quest'ultima, all'evidenza antitetica e incompatibile con un accordo originario. In secondo luogo, si contesta come tale argomentazione sia formulata in violazione delle regole della logica probatoria, poiché considera come dati certi, posti alla base della dimostrazione del concorso, determinati fatti da provare. Inoltre, tali conclusioni costituirebbero frutto di un travisamento della prova, in quanto a la superficialità della conoscenza di E. da parte di N.H., ribadita da entrambi gli imputati, emergeva chiaramente dall'esame dei genitori del ricorrente b in nessun modo risultava che quest'ultimo fosse consapevole delle problematiche psichiatriche dell'amico, peraltro non percepibili dall'osservatore comune se non nel momento in cui la condotta esplosiva si manifestava all'esterno, come evincibile dalla letteratura scientifica di settore. c L'avere N.H. attivamente impedito, portando avanti la colluttazione a dispetto dell'avvenuta qualificazione di V .che il collega intervenisse a sostegno del Vicebrigadiere, attinto dai fendenti ad opera di E. pag. 273 sent. . Si assume in ricorso che la Corte territoriale sarebbe giunta a tale affermazione sulla base di una incerta ricostruzione del fatto, eludendo il tema della necessaria consapevolezza dell'altrui condotta lesiva, quale fondamento del contributo concorsuale. Si sottolinea come la stessa sentenza di appello abbia riconosciuto che N.H. non pote' essere spettatore dell'azione inaspettatamente compiuta da E Sulla scena del crimine, il ricorrente aveva assunto una condotta diametralmente opposta a quella dell'amico, manifestando con ciò l'inesistenza di un preventivo accordo, di un qualche coordinamento o di una, pur improvvisata, convergenza di intenti, avendo agito ciascuno dei due secondo stimoli, impulsi, motivazioni e contingenze difformi gli uni dagli altri. Nell'arco di pochissimi secondi tra i 15 e i 22 , le due condotte si svilupparono in maniera imprevedibile, improvvisa ed autonoma, senza che l'una potesse consapevolmente ed intenzionalmente interferire sullo sviluppo dell'altra e senza che, in capo a N.H., in particolare, potesse delinearsi una qualche espressione della volontà concorrente che fosse a sua volta sorretta da una qualche rappresentazione dell'agire altrui. Dalla circostanza che i due giovani fossero insieme al momento dell'intervento dei due militari non poteva dedursi una diretta percezione ed un qualche apprezzamento del ferimento di C.R. da parte di N.H La stessa Corte territoriale parla di una dinamica che, al momento dell'incontro con i due Carabinieri, si bipartisce il N. tenta di fuggire, inseguito dal V., mentre E., rimasto immobile sul posto, viene subito raggiunto dal C.R Il V., nel tentativo di bloccare il N., ingaggia con questo una colluttazione in terra non particolarmente violenta, rotolandosi sul marciapiede, mentre il carabiniere tenta di bloccare la fuga del giovane pag. 92 sent. . Concetto, quello della difformità delle condotte, che la Corte di merito ribadisce a pag. 93, affermando che si tratta di due dinamiche diverse e separate il V. e il N. impegnati in una scazzottata in terra, il primo intento a fermare il secondo che tenta di scappare . D'altra parte - insiste la difesa - le stesse espressioni usate da V. nel descrivere l'azione Tentavo di fermarlo l'ho lasciato andare rappresenterebbero in maniera inequivoca che non vi fu alcuna aggressione del giovane ai danni del militare, ma solo un tentativo di quest'ultimo di bloccare il ragazzo, la cui volontà, come di nuovo dichiarato dal Carabiniere in sede di esame dibattimentale, era alla fine quella di scappare esame V., ud. 15.7.2020 . Quanto alla necessaria consapevolezza e rappresentazione della condotta altrui, i Giudici dell'appello hanno sottolineato come, a causa della distanza intercorrente fra le due coppie e delle specifiche dinamiche dei fatti, non vi fosse stata la possibilità per gli uni di percepire cosa stesse capitando agli altri pag. 124 , affermazione contrastante in radice con la conclusione raggiunta circa la consapevolezza, in capo a N.H., dell'azione aggressiva dell'amico. Quanto alla notazione relativa al fatto che il ricorrente, in quella circostanza, pur sapendo che V. fosse un Carabiniere in servizio, omise di arrestarsi, la difesa sottolinea come tale scenario psicologico sarebbe stato posto in dubbio dalla stessa sentenza, laddove aveva ritenuto possibile che i due imputati avessero scambiato i due Carabinieri come turisti intenti a parlare tra di loro e che, al contempo, fosse plausibile come , in quei primi attimi, i due giovani non fossero ancora consapevoli della qualifica di operanti delle FF.OO. rivestita dal C.R. e dal V. pag. 118 sent. . D'altronde, dal testo del provvedimento impugnato non emergeva, in modo chiaro, in quale preciso momento si sarebbe realizzata la presa di coscienza, da parte degli imputati, che si trattasse di persone alla loro ricerca p. 119 , essendosi limitati i Giudici dell'appello ad affermare genericamente che la qualificazione sarebbe avvenuta all'avvio delle colluttazioni pag. 123 . In ogni caso, anche in quella situazione di assoluta incertezza, il ricorrente non avrebbe posto in essere alcuna azione violenta, essendosi limitato a cercare di fuggire. Anche la circostanza, contestata all'imputato, di aver omesso di prestare soccorso alla vittima, non solo non poteva essere utilizzata, in assenza della prova circa la consapevolezza del ferimento mortale da parte di esso, ma neppure poteva essere considerata quale contributo condizionalistico di tipo materiale alla condotta dell'omicida. Infine, la circostanza, sfornita di conforto probatorio, che N.H. avrebbe da solo pulito e occultato l'arma del delitto pag. 273 non potrebbe certo essere apprezzata come condotta attiva integrante il concorso materiale nel delitto, né utilizzata quale semplice indice-indizio del concorso in quanto - come già detto - frutto di travisamento della prova biologica. In conclusione, sul punto, ad avviso della difesa, ritenere addirittura evidente che, all'esito di un giudizio controfattuale , sarebbe ragionevole sostenere che, in assenza del contributo materiale sopra descritto, l'azione omicidiaria dell' E. non sarebbe stata del tutto intrapresa o non avrebbe raggiunto il suo risultato , risulterebbe illogico e contrario alle regole di esperienza applicabili al caso in esame. 6.1.7.1.2. Il concorso morale. Sotto il profilo del concorso morale, ancora una volta la difesa si duole che, nell'attribuire a N.H., complessivamente, il ruolo di organizzatore della vicenda e di impulso nei confronti dell'amico ai fini della presentazione alla riunione concordata , la Corte di Assise di appello abbia sovrapposto vicende eterogenee alla ben diversa e imprevedibile condotta posta in essere in un momento successivo da E La stessa critica di confusione tra le due vicende viene mossa rispetto alla circostanza, ritenuta sintomatica di concorso morale, di avere N.H. messo a disposizione del complessivo progetto criminoso la propria conoscenza della lingua italiana, quasi nulla per l' E. . Viene, poi, ribadita la già illustrata censura di radicale incompatibilità logica degli scenari contestualmente evocati dalla Corte di merito, ossia quello della suddivisione dei ruoli, nell'ambito del quale E. si sarebbe dovuto occupare della sicurezza, e quello del mancato invito alla desistenza dall'uscire armato. Quanto alla circostanza di aver mostrato un atteggiamento del tutto insensibile all'esito dell'accoltellamento del Vicebrigadiere , ribadisce la difesa che le circostanze relative alla condotta post-factum non possono essere utilizzate in assenza della prova certa della consapevolezza del ferimento mortale da parte del ricorrente. Concludendo sul punto, nel ricorso si stigmatizza l'assoluta confusione, nell'iter argomentativo della sentenza impugnata, dei piani delle circostanze fattuali e degli indizi, sovrapposizione incompatibile con un corretto procedimento inferenziale. 6.1.7.2. L'erroneo utilizzo in chiave indiziaria delle condotte immediatamente successive al reato. La difesa torna sul tema, assumendo, ancora una volta, che le condotte ascrivibili al post-factum avrebbero potuto essere apprezzate quali indici rivelatori del concorso solo se si fosse dimostrato in modo compiuto che N.H. fu effettivamente spettatore dell'aggressione armata ai danni di C.R. e pienamente consapevole degli esiti di quella condotta. Da tanto conseguirebbero l'illogicità e contraddittorietà della motivazione, laddove si afferma che l'atteggiamento del N. risulterebbe del tutto incompatibile con una condizione di inconsapevolezza rispetto all'accaduto, non avendo questi esternato alcun segno di costernazione o sbalordimento di fronte alla tragedia consumatasi a pochi centimetri da lui pag. 269 . Si censura tale proposizione perché inficiata da una inversione logica, dal momento che i Giudici del gravame avevano premesso alle deduzioni operate un dato di fatto, ovvero la consapevolezza della tragedia consumatasi , che doveva essere, a sua volta, oggetto di dimostrazione. Si ribadisce, inoltre, il carattere contraddittorio dell'affermazione rispetto a quanto in precedenza si legge in sentenza sulla ricostruzione del fatto, laddove si parla di dinamiche separate, in conseguenza delle quali V., impegnato nella colluttazione con il ricorrente, non si accorse minimamente, per un primo momento, di come a pochi passi da lui si stesse consumando il tragico ferimento del collega pag. 124 dunque, se N.H. si trovava in una identica condizione psicofisica e alla medesima distanza, era evidente che anche lui non si fosse accorto del ferimento. Del resto, le immagini estratte dalle telecamere di pertinenza della gioielleria Omissis documentavano che il giovane, non appena liberatosi dalla presa di V., fuggì in direzione dell'incrocio, scomparendo alla vista del militare, sicché, anche alla luce del dato documentale cronologico, ignorato dalla Corte di merito, che attestava la velocità della dinamica dei fatti, doveva escludersi qualsiasi compiuta percezione, da parte di N.H., di quanto effettivamente accaduto. Pertanto, illogico e contraddittorio era addebitargli di non aver posto in essere alcun atto di soccorso od aiuto alla vittima e addirittura di aver negato la percezione di un fatto la cui gravità si mostrava palese ictu oculi, non fosse altro per le copiose fuoriuscite ematiche, le urla e la vicinanza in termini di centimetri pagg. 269-270 . Infine, la circostanza della contemporaneità delle due colluttazioni, apprezzata dai giudici dell'appello in favore dell'affermazione della responsabilità concorsuale, doveva essere ribaltata, in quanto proprio quella contemporaneità si configurava come elemento dimostrativo della inconsapevolezza dell'imputato delle condotte altrui e degli eventi ad esse conseguenti. 6.1.7.3. Errata valutazione delle dichiarazioni dell' E L'espressione it's enough che, a detta di E., l'amico avrebbe pronunciato all'atto di allontanarsi dalla scena del crimine, secondo la difesa, risulterebbe collocata dal dichiarante all'interno di una descrizione confusa e oggetto di una traduzione approssimativa, e, comunque, non sarebbe stata affatto correlata da E. a una qualche consapevolezza del ferimento in capo al coimputato, che, tra l'altro, negò di averla pronunciata. Inoltre, la Corte territoriale sarebbe incorsa in un errore di diritto nel non ritenere riconducibile la dichiarazione di E. nel perimetro applicativo dell' art. 192 c.p.p. , comma 3. 6.1.7.4. La mancanza dei riscontri e la prova contraria. In ogni caso, la menzionata dichiarazione di E. non risultava riscontrata, e anzi, veniva contraddetta da prove contrarie a la circostanza che N.H. si fosse in qualche modo rivolto ad E. era stata seccamente smentita da V., oltre che negata dall'imputato b nel momento in cui V. lasciò andare via N.H., E. era già avanti, l'amico lo raggiunse e insieme i due tornarono in albergo sent. primo grado, pag. 297 , il che significava che quando il ricorrente si liberò dalla presa di V., l'amico non si trovava più accanto a C.R., ma era già in fuga. 6.1.7.5. La illogicità della motivazione sul dolo. Viene basata, per lo più, su indicatori già esaminati in sede di analisi del concorso nel reato. La difesa, quindi, ribadisce i rilievi critici di cui si è già dato atto in precedenza. Quanto alla ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni del ricorrente, secondo la Corte territoriale volte a celare la propria responsabilità e in contrasto con molteplici dati di natura fattuale , la difesa si interroga su come simile circostanza possa costituire in sé prova del dolo o anche soltanto sottrarre valore alle evidenze corroboranti, al contrario, l'assenza di tale elemento soggettivo peraltro, la suddetta Corte avrebbe omesso di indicare a quali dati fattuali avesse inteso fare riferimento, così da non lasciarne comprendere la rilevanza. 6.1.7.6. L'omessa valutazione del dolo eventuale. Si stigmatizza come manifestamente erronea e illogica la motivazione nella parte in cui avrebbe prospettato una sostanziale indifferenza circa il tipo di dolo sotteso alla condotta di N.H Nell'affermare che, anche nel caso in cui si fosse voluto ravvisare il dolo eventuale in capo a N.H., ciò non avrebbe comportato una riduzione della pena nei suoi confronti, la Corte di merito tradiva, ad avviso della difesa, un approccio formalistico e superficiale al tema dell'elemento soggettivo del reato, sfuggendo ad essa come un'indagine rigorosa sul punto avrebbe potuto condurre all'esito assolutorio per esservi un'incertezza insuperabile circa la sussistenza di quel coefficiente volontaristico di accettazione del verificarsi dell'evento non voluto, indispensabile per l'integrazione di quella forma specifica del dolo. 6.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al rapporto logico-giuridico intercorrente fra le condotte relative ai capi 1 e 2 , nonché per erronea interpretazione e applicazione dell' art. 116 c.p. , con conseguente omessa valutazione dell'esistenza del requisito della prevedibilità dell'azione omicidiaria posta in essere da E. e degli elementi integranti l'esecuzione del reato di estorsione. 6.2.1. Pur avendo riconosciuto, a pag. 282, che il delitto di tentata estorsione fungeva da antecedente logico necessario rispetto al delitto di omicidio, la Corte di Assise di appello, secondo la difesa del ricorrente, incorrendo nel già denunciato errore metodologico, avrebbe esaurito la propria analisi nella disamina della fattispecie di omicidio volontario, reputando in essa assorbita ogni questione legata all'accertamento dei rapporti con il reato di estorsione. Poiché il reato commesso l'omicidio risultava diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti l'estorsione , i giudici di merito avrebbero dovuto fondare la loro analisi sulle caratteristiche in concreto della pianificata condotta estorsiva, per verificare in che misura la successiva condotta omicidiaria potesse ritenersi collegata all'esecuzione del meno grave reato voluto da entrambi. Al contrario, i giudici dell'appello avevano operato un sostanziale appiattimento delle condotte in un unico piano valutativo, come se la presunta organizzazione della condotta estorsiva dovesse necessariamente ricomprendere al suo interno l'esito omicidiario quale parte integrante dell'esecuzione del piano originario o come suo prevedibile sviluppo. 6.2.2. Ciò premesso, i difensori del ricorrente denunciano la contraddittorietà, apoditticità, incongruenza e illogicità della motivazione laddove si afferma che il nesso che collegava il disegno estorsivo dei due giovani all'aggressione ai danni del C.R. sarebbe dimostrato dal fatto che l'omicidio risultava inevitabilmente sorretto dall'intenzione dei coimputati, una volta fallita l'operazione estorsiva e sentitisi privi di via d'uscita, di porre fine alla vicenda in modo da potersi sottrarre, almeno apparentemente, alle naturali conseguenze giuridiche pag. 231 . Tale passaggio risulterebbe tanto più incongruo se si considera che, al tempo stesso, si attribuisce a N.H. la condotta di essersi sottratto alla colluttazione core V., fuggendo come aveva fatto in via Omissis , condotta non solo diametralmente opposta a quella di E., ma, per quanto espresso in precedenza, volta a sottrarsi non alle naturali conseguenze giuridiche, quanto, piuttosto, a quella che, oggettivamente, si presentava come una situazione di pericolo. Pur ammettendosi che la condotta di E. fosse sorretta da una presunta necessità, determinatasi a valle dell'attuazione del tentativo di estorsione, la sentenza avrebbe ricondotto arbitrariamente e illogicamente tale esito a un indimostrato disegno condiviso e preordinato. 6.2.3. Parimenti illogica e contraddittoria sarebbe la ricostruzione operata dai giudici dell'appello nella parte in cui si prospetta che l'omicidio sarebbe stato sorretto dall'intenzione dei coimputati in maniera coerente con la suddivisione dei ruoli con N.H., quale organizzatore della cessione, dell'incontro e dell'estorsione ed E. deputato alla difesa della buona riuscita dello scambio. Invero, osserva la difesa, i giudici dell'impugnazione non avrebbero spiegato in quale momento e in base a quali elementi fra i due ragazzi sarebbe stato raggiunto l'accordo, se nei pochi secondi disponibili prima di uscire dalla stanza d'albergo o, successivamente, durante l'attesa in via Omissis , quasi del tutto trascorsa separatamente e con il ricorrente impegnato al telefono con B. e soprattutto, non avrebbero spiegato quale causale avrebbe consigliato di mettere a rischio la propria o l'altrui vita in relazione ad una somma ridicola e ad una vicenda riconosciuta da tutti i protagonisti come bagatellare. Inoltre, a nulla rileverebbe porre in evidenza che il proprio amico fosse armato e che, quindi, fosse inutile munirsi, da parte di N.H., del coltellino di cui disponeva, in quanto, nell'ambito di un corpo a corpo, l'autonoma indisponibilità di un coltello avrebbe esposto a pericolo il soggetto privo dell'arma. In definitiva, conclude sul punto la difesa, risulterebbe provato dai numerosi indicatori trascurati dai Giudici che N.H. non ebbe mai ad accettare il rischio che si realizzasse un evento diverso da quello non direttamente voluto, essendosi prospettato nella sua mente esclusivamente il rischio che lo scambio non si sarebbe realizzato, con la certezza che ogni alternativo corso degli eventi sarebbe stato anticipato da un suo allontanamento dalla scena. 6.2.4. - 6.2.4.1. - 6.2.4.2. L'errata valutazione del concorso anomalo, in particolare. La già denunciata errata impostazione del discorso ricostruttivo illogicamente bilanciato sul più grave reato di omicidio anziché sul meno grave reato di estorsione aveva finito per eliminare la doverosa valutazione dei rapporti intercorsi fra reato voluto e reato successivamente posto in essere dal concorrente, elidendo dal discorso giustificativo il necessario apprezzamento della prevedibilità/imprevedibilità dell'evento. Le considerazioni svolte a pag. 276 della sentenza non rispetterebbero l' art. 116 c.p. , non essendo il contributo del partecipe a poter essere colposo, ma dovendosi ricondurre eventualmente a colpa la mancata previsione dell'evolvere prevedibile delle condotte altrui. La Corte territoriale avrebbe dovuto prendere le mosse dall'accertamento della pianificazione del reato di estorsione e dalla relativa prospettazione della sua esecuzione onde poter muovere un rimprovero nei confronti dell'imputato di non aver previsto uno sviluppo plausibile e prevedibile degli eventi. Sottolinea, a tale riguardo, la difesa come i giudici dell'appello abbiano ignorato che nello stesso capo 1 dell'imputazione non venga in alcun modo descritta una condotta implicante l'uso della violenza o la minaccia di tale uso sulla persona, tanto meno con un'arma, prospettandosi esclusivamente la minaccia di non restituire altrimenti quanto sottratto , un esito, cioè, del tutto eterogeneo rispetto all'epilogo omicidiario. La difesa, concludendo sul punto, richiama il proprio motivo di appello relativo al rapporto tra il disturbo borderline sofferto da E. e il giudizio di prevedibilità, ribadendo che detta patologia - diversamente da quanto, infondatamente, affermato in sentenza - era suscettibile di fornire una spiegazione autosufficiente ed autonoma rispetto ad una condotta esplosiva totalmente avulsa dal prevedibile sviluppo degli eventi e, in quanto non conosciuta e non governabile, era suscettibile di alterare, interrompendola, la serie causale sino a quel momento seguita dagli eventi. 6.3. Inosservanza delle disposizioni contenute negli artt. 188 e 191 c.p.p. in ordine al rigetto della richiesta di dichiarare inutilizzabile l'interrogatorio reso da N.H. il Omissis ai Pubblici ministeri. 6.3.1. La richiesta difensiva era giustificata dai trattamenti inumani ai quali l'imputato era stato sottoposto poco prima dell'assunzione dell'interrogatorio, tali da condizionarne la capacità di autodeterminazione. Si fa riferimento alla fotografia divulgata sui maggiori organi di stampa il 28 luglio 2019, raffigurante il giovane ammanettato con le mani dietro la schiena e bendato e ad un video, della durata di circa 20 secondi, registrato da V. all'interno del Reparto Operativo in cui N.H. compariva nelle medesime condizioni. La risposta, fornita dai giudici di secondo grado, secondo la quale il metodo intimidatorio non sarebbe stato adottato nel corso dell'interrogatorio reso davanti ai PP.MM. e in presenza del difensore, ad avviso della difesa sarebbe agevolmente superabile, a condizione di intendere le ragioni di garanzia sottese all' art. 188 c.p.p. in sintonia con l'inviolabilità del diritto che la stessa intende tutelare, incidendo il trattamento in questione non sulla difesa tecnica del sospettato/interrogato, ma sulla sua condizione psico-fisica, la cui manomissione o alterazione non può essere oggetto di diretta percezione e valutazione da parte di terzi che non abbiano avuto notizia di quel trattamento. La richiamata disposizione, non a caso, non condiziona l'operatività della sanzione alla circostanza che vi sia una coincidenza spazio-temporale tra condotte inquinanti e successiva acquisizione probatoria, in quanto vuole evidentemente sanzionare ogni atto che leda la libertà morale di tutte le persone che intervengono nel processo, prima fra tutte l'indagato. 6.3.2. Considerato che il bendaggio è ritenuto dalle fonti internazionali una forma tipica di tortura, è evidente, che, nella specie, esso abbia inciso sulla capacità di autodeterminarsi e di riordinare la memoria del giovane N 6.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all' art. 576 c.p. , comma 1, n. 5-bis , stante la mancanza di prova della necessaria consapevolezza della qualità soggettiva della vittima e, quanto meno, sussistendo un ragionevole dubbio sulla qualità soggettiva dell'autore del bloccaggio. La difesa ripropone, elencandole, alle pagg. 86-87 del ricorso, le circostanze indicate nei motivi di appello che avrebbero potuto indurre ad escludere la consapevolezza in capo al ricorrente della qualifica soggettiva di V. e lamenta la laconica, insufficiente risposta fornita dalla sentenza impugnata a pag. 280. La maggior parte di queste circostanze ha costituito oggetto anche dei ricorsi proposti nell'interesse di E., sicché ad essi è sufficiente operare richiamo. Conclude, sul punto, la difesa che l'esclusione dell'aggravante in esame comporterebbe non solo l'insussistenza del reato di resistenza a pubblico ufficiale, ma anche la non punibilità del reato di lesione, stante l'applicabilità, nella specie, della scriminante della legittima difesa putativa. 6.5. Vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell'aggravante di cui all' art. 61 c.p. , n. 2 , per mancata consapevolezza della qualità di militari di V. e di C.R. e della relazione intercorrente fra la loro condotta e il tentativo di estorsione. La difesa si duole che la sentenza impugnata abbia affrontato il tema solo a proposito della posizione del coimputato, non rispondendo, quindi, ai motivi di appello dedotti nell'interesse di N.H Si censura, comunque, la motivazione, a volerla ritenere estensibile al ricorrente, per le considerazioni già svolte a proposito della contestata aggravante di cui all' art. 576 c.p. , comma 1, n. 5-bis , concludendosi nel senso di non potersi reputare raggiunta la prova circa la consapevolezza che la presenza dei soggetti improvvisamente avvicinatisi ai due giovani fosse da porre in relazione con la precedente vicenda estorsiva. 6.6. Vizio della motivazione in ordine alla ritenuta insussistenza della legittima difesa putativa rispetto al reato di lesioni personali, avendo l'imputato agito nella ragionevole prospettazione di una deliberata e ingiustificata aggressione da parte di due sconosciuti malfattori. La motivazione della sentenza impugnata non si sarebbe confrontata con le modalità equivoche che avevano contraddistinto la condotta dei due Carabinieri nell'avvicinarsi agli imputati, essendosi limitata a sottolineare, per escludere la scriminante, la consapevolezza del N. di quanto stesse accadendo, ivi compresa la qualifica soggettiva dei militari e, soprattutto, l'insufficienza delle dichiarazioni dell'imputato, naturalmente interessato ad allontanare da sé profili di responsabilità . Tale passaggio argomentativo, ad avviso della difesa del ricorrente, si presenterebbe come ambiguo e contraddittorio, da un lato, perché l'insufficienza delle dichiarazioni non equivarrebbe all'inattendibilità delle stesse, dall'altro, perché la ricostruzione del fatto fornita dalla sentenza coinciderebbe con la descrizione dei fatti offerta dall'imputato sin dal primo interrogatorio. Inoltre, se realmente il ricorrente avesse voluto prospettare una versione a sé favorevole, di certo non avrebbe da subito riferito di aver sentito, nel fuggire, la parola Carabinieri . 6.7. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata applicazione della circostanza attenuante di cui all' art. 62 c.p. , n. 4 , con riguardo alla richiesta estorsiva posta in essere ai danni di B Il ricorso coglie una evidente contraddizione nel passaggio della motivazione in cui, ai fini di escludere l'attenuante, si integra il valore del danno economico inflitto a B. con il contenuto del suo zainetto, oggetto di furto non contestato. In ogni caso, incongrua sarebbe la motivazione nel non considerare di particolare tenuità un danno di 80,00 Euro, somma assolutamente modesta. Tanto meno rilevante la notazione relativa alle condizioni personali della persona offesa, definite al limite dell'indigenza pag. 244 , notazione sprovvista di conforto probatorio e concernente un criterio solo sussidiario. 6.8. Vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con carattere di prevalenza. I giudici dell'appello, dopo aver motivato il riconoscimento delle attenuanti generiche, anziché operare una corretta operazione di bilanciamento con le contestate aggravanti, avevano a tal fine preso in esame, del tutto illogicamente, le circostanze che i primi giudici avevano utilizzato proprio per negare la concessione delle attenuanti stesse. Così facendo, il giudizio di bilanciamento si sarebbe rivelato del tutto apparente, essendosi risolto in un giudizio avente ad oggetto terni eterogenei ed estranei alle valutazioni imposte dall' art. 69 c.p. . D'altro canto, né la personalità dell'imputato, né il presunto atteggiamento di leggerezza nella commissione del fatto, né la dedotta mancanza di pentimento e resipiscenza, risultavano evocati sulla base di adeguati elementi di prova. Con particolare riguardo alla rielaborazione critica delle proprie responsabilità , ricorda la difesa come l'imputato abbia, contrariamente a quanto affermato in sentenza, rappresentato nel corso del suo esame tutta la propria sofferenza verso la famiglia e gli amici di M. , che non vi era ragione di reputare insincera, sì da giustificare la proposizione della Corte di merito, secondo la quale un pentimento certo e tangibile sarebbe mancato del tutto pag. 252 . La motivazione, peraltro, sul punto si rivelava contraddittoria nella parte in cui, facendo riferimento ad un percorso di rielaborazione critica, volto alla stigmatizzazione dei reati commessi, all'ammissione interiore della propria responsabilità, alla compartecipazione al dolore delle vittime da parte di E., aveva richiamato le simmetriche manifestazioni di pentimento del N. pag. 252 . Infine, sarebbero stati ignorati i tratti della personalità di un giovane studente di College inserito in una normale contesto affettivo, familiare e sociale. 6.9. Erronea interpretazione dell'art. 438 c.p.p., comma 6-ter e art. 442 c.p.p., in quanto, esclusa l'applicazione in concreto delle aggravanti relative all'omicidio, si sarebbe dovuta applicare la diminuente del rito, dovendosi ritenere superata la condizione ostativa all'accesso al rito abbreviato vizio di motivazione in ordine alla dedotta questione di interpretazione e applicazione. Il motivo è comune a quello dedotto nell'interesse del coimputato. 6.10. Vizio di motivazione con riferimento alla quantificazione delle provvisionali immediatamente esecutive di Euro 50.000,00 in favore della parte civile V.A. nonché di Euro 150.000,00 ciascuna in favore del Ministero della Difesa e del Ministero dell'Interno e di Euro 10.000,00 in favore della parte civile associazione di volontariato Vittime del dovere ODV ETS, trattandosi di quantificazioni non proporzionate al danno accertato. Il motivo, in realtà, si limita a contestare, nello specifico, l'entità della provvisionale concessa a V., in quanto del tutto sproporzionata in considerazione della natura assai modesta della malattia dorso-lombalgia e della sua entità prognosi di gg. 6 . 6.11. Sono stati depositati motivi aggiunti nell'interesse di N.H., nei quali si riprendono temi già affrontati in ricorso consapevolezza del porto dell'arma incompatibilità del dolo diretto con la nuova ricostruzione del fatto divisione dei ruoli contraddittoria prospettazione del dolo eventuale concorso nella tentata estorsione e prevedibilità dell'evento diverso modalità dell'incontro in relazione alla sussistenza dell'aggravante di cui all' art. 576 c.p. , comma 1, n. 5-bis . Diritto CONSIDERATO IN DIRITTO 01. Entrambi i ricorsi sono parzialmente fondati, per come più precisamente si indicherà nella successiva esposizione nel resto, vanno rigettati per complessiva infondatezza dei motivi. 1. Per esigenze di ordine metodologico, si ritiene necessario affrontare, anzitutto, le questioni di carattere processuale dedotte dagli interessati, prima delle quali quella, sollevata irrogazione di una pena temporanea all'esito del giudizio, il beneficio della diminuente di un terzo nei termini previsti dall' art. 438 c.p.p. , comma 6-ter, nonostante l'originaria esistenza di contestazioni relative anche a delitti puniti con la pena dell'ergastolo. Le difese, oltre a svolgere rilievi di carattere semantico che porterebbero a distinguere il significato della novella introdotta con L. 12 aprile 2019, n. 33, dalla legge previgente, sostengono, in sostanza, che pur non essendo state escluse , nella specie, le circostanze aggravanti implicanti in astratto la pena dell'ergastolo, la loro valenza sarebbe stata neutralizzata, all'esito del processo, in conseguenza dell'operatività del giudizio di bilanciamento con le concesse attenuanti generiche da ciò la considerazione per cui avrebbe dovuto trovare applicazione la particolare disposizione di legge di cui al citato art. 438 c.p.p. , comma 6-ter. Il motivo è infondato. Va premesso che, ai sensi dell' art. 438 c.p.p. , comma 6-ter, la riduzione di pena è dovuta - all'esito del dibattimento ed in presenza di una richiesta di accesso al rito abbreviato dichiarata inammissibile in relazione alla formulazione dell'imputazione - nel caso in cui per il fatto accertato risulti ammissibile il rito speciale. La disposizione va letta congiuntamente a quella introdotta, dalla richiamata L. n. 33 del 2019 , con l'inserimento, nell' art. 438 c.p.p. , comma 1-bis, che preclude l'accesso al giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo . Ora, è indubbio che il delitto di omicidio volontario aggravato dalle circostanze previste dall' art. 576 c.p. , comma 1, nn. 1 con riferimento all' art. 61 c.p. , n. 2 e 5-bis, come nella vicenda processuale in esame, è delitto che prevede l'applicazione della pena dell'ergastolo Si applica la pena dell'ergastolo se il fatto preveduto dall'articolo precedente è commesso questo è l'incipit dell' art. 576 c.p. cit. . E tale è il fatto accertato all'esito del giudizio di merito, posto che entrambe le indicate circostanze aggravanti non sono state escluse, ma semplicemente sottoposte al giudizio di bilanciamento - ai sensi dell' art. 69 c.p. - con le circostanze attenuanti generiche. Dunque, non si è verificata, sul piano dell'accertamento del fatto comprensivo degli elementi circostanziali , alcuna variazione dei contenuti iniziali della imputazione, sicché la richiesta di giudizio abbreviato resta inammissibile anche con giudizio ex post. Va rimarcato, dunque, che - come, del resto, precisato in sede di analisi della costituzionalità della nuova disciplina dal giudice delle leggi Corte Cost. n. 260 del 2020 - la disposizione correttiva di cui all' art. 438 c.p.p. , comma 6-ter, opera allorché in esito al giudizio non sia risultato provato il fatto così come contestato dal pubblico ministero , perché solo in tal caso diversa qualificazione giuridica del fatto o insussistenza in fatto della particolare circostanza aggravante l'inibizione al rito può dirsi frutto di una opzione della pubblica accusa risultata priva di supporto fattuale v., sull'argomento, la recente Sez. 1, n. 26020 del 7/3/2023, Morina, Rv. 284931 . Nel caso di approdo ad una pena diversa dall'ergastolo per effetto del riconoscimento di circostanze attenuanti - con conseguente comparazione in termini di equivalenza o prevalenza - non vi e', viceversa, alcuna smentita dei contenuti fattuali della imputazione e, pertanto, non può addivenirsi ad alcun effetto compensativo quoad poenam. Occorre, quindi, ribadire il seguente principio di diritto In tema di giudizio abbreviato, la riduzione di pena all'esito del dibattimento, ex art. 438 c.p.p. , comma 6-ter, è applicabile nei soli casi in cui la diversa qualificazione giuridica o il mancato riconoscimento di un'aggravante rendano il fatto non più punibile con la pena dell'ergastolo e non in quello in cui l'aggravante implicante, in astratto, la pena perpetua sia riconosciuta sussistente, ma sottoposta al giudizio di bilanciamento con una o più attenuanti, con la conseguenza che la richiesta di definizione can rito alternativo resta inammissibile anche con giudizio ex post . Per completezza, va detto che la tesi difensiva non è neppure giustificata sul piano semantico , non ravvisando il Collegio alcuna distinzione tra la disposizione oggi in vigore e l'originaria formulazione della norma , genericamente richiamata nel ricorso a firma dell'avv. Capra per E. a pag. 145. Come noto, l'originaria formulazione dell' art. 442 c.p.p. , comma 2, ultimo periodo, prevedeva che Alla pena dell'ergastolo è sostituita quella della reclusione di anni trenta . Come altrettanto noto, con sentenza n. 176 del 1991, la Corte costituzionale dichiarò l'illegittimità costituzionale della menzionata disposizione per eccesso di delega. Rilevò il Giudice delle Leggi che la direttiva contenuta nell'art. 2, punto 53, della legge di delega per l'emanazione del codice di procedura penale, nella sua chiara formulazione, era tale da far ritenere che la previsione del giudizio abbreviato riguardasse solo i reati punibili con pene detentive temporanee o pecuniarie, essendo la diminuzione di un terzo, che il giudizio abbreviato comporta, concepibile solo se riferita ai reati punibili con una pena quantitativamente determinata, e non quindi, ai reati punibili con l'ergastolo. Perciò, in mancanza di un criterio sulla base del quale in tali casi operare la sostituzione della pena, criterio che il legislatore delegante avrebbe dovuto espressamente indicare se avesse inteso estendere il giudizio abbreviato anche ai delitti punibili con l'ergastolo, risultava arbitraria, rispetto alla L. n. 181 del 1987, la scelta, operata a tal fine dal codice, di sostituire l'ergastolo con trent'anni di reclusione, non bastando a giustificarla il riferimento ad altre ipotesi di sostituzione della pena dell'ergastolo, previste dal codice penale in relazione a profili in nessun modo collegabili alla diminuzione di un terzo indicata dalla legge di delega per il giudizio abbreviato. In seguito, la disposizione dichiarata illegittima è stata ripristinata dalla L. 16 dicembre 1999, n. 479, art. 30, comma 1, lett. b , ed è rimasta in vigore fino all'intervento della L. n. 33 del 2019 , che l'ha soppressa. Va precisato che anche nella normativa transitoria prevista dal D.L. 7 aprile 2000, n. 82, art. 4-ter , il legislatore ha fatto riferimento, al comma 2, quanto alla possibilità per l'imputato di essere rimesso in termini per la richiesta di rito abbreviato, ai processi penali per reati puniti con la pena dell'ergastolo , usando, cioè, lo stesso termine puniti che oggi figura nell' art. 438 c.p.p. , comma 1-bis Non è ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo . Non consta, quindi, che nelle vicende legislative che, dal 1988 ad oggi, hanno contrassegnato l'accesso al rito abbreviato per gli imputati di reati puniti con l'ergastolo, sia mai stata usata l'espressione, richiamata dalla difesa di E., i procedimenti per i quali la legge prevede la pena dell'ergastolo e, in ogni caso, tra le due espressioni reati puniti con l'ergastolo e reati per il quali la legge prevede la pena dell'ergastolo non può essere ravvisata alcuna differenza sostanziale, posto che entrambe non possono che rimandare, secondo la tradizionale ermeneusi di questa Corte, alla fattispecie penale astratta, siccome originariamente contestata e non alla pena concretamente inflitta all'esito del giudizio. 2. Quanto meno infondato è il motivo di ricorso proposto nell'interesse di E. il quinto dell'atto sottoscritto dall'avv. CAPRA , con il quale si lamenta la carenza e l'illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza della violazione dei principi del giusto processo ex art. 6 della Convenzione EDU . Occorre ricordare che, in tema di ricorso per cassazione, i vizi di motivazione indicati dall' art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. e , non sono mai denunciabili con riferimento alle questioni di diritto, non solo quando la soluzione adottata dal giudice sia giuridicamente corretta, ma anche nel caso contrario, essendo, in tale ipotesi, necessario dedurre come motivo di ricorso l'intervenuta violazione di legge Sez. U, n. 29541 del 16/7/2020, Filardo, Rv. 280027 . Nella sintesi dei motivi di appello pagg. 50-53 , la Corte territoriale, nel dare atto dell'eccezione difensiva, sembra enuclearne la denuncia della violazione dell' art. 191 c.p.p. , che sarebbe discesa da modalità di conduzione del dibattimento, da parte del collegio giudicante della Corte di Assise di Roma, animate da pregiudizio nei confronti degli imputati e delle strategie attuate dai loro difensori. Va, a tal proposito, osservato, sotto un primo profilo, che la generica doglianza sulle modalità di conduzione del dibattimento da parte del Presidente del collegio non è deducibile in sede di impugnazione, potendo assumere rilevanza solo se abbia determinato una limitazione del contraddittorio per effetto dell'irrituale compressione dello svolgimento dell'esame e del controesame di una prova testimoniale, a condizione che tale questione sia stata eccepita dalla parte interessata immediatamente dopo il compimento dell'atto Sez. 3, 10085 del 21/11/2019, dep. 2020, G., Rv. 279063 . Ed invero, l'indebita compressione, da parte del Presidente del collegio, del diritto dell'imputato, non determina l'inutilizzabilità della deposizione ai sensi dell' art. 191 c.p.p. , ma integra una nullità relativa ai sensi dell' art. 181 c.p.p. , sanata ove la parte presente nulla eccepisca Sez. 3, n. 14245 del 17/3/2021 Moraca, Rv. 280923 . Nella vicenda in esame, non risulta dedotto, dalle difese, se e in che termini la modalità di conduzione dell'istruttoria dibattimentale da parte del Presidente del Collegio di primo grado si sia tradotta in una limitazione del contraddittorio e se tale limitazione abbia formato oggetto di una specifica e immediata eccezione, sicché eventuali irregolarità debbono ritenersi sanate e non suscettibili di dare luogo a motivi di ricorso ammissibili in diritto. Integrato con le appena esposte considerazioni, ai sensi dell' art. 619 c.p.p. , comma 1, deve reputarsi corretto l'approdo della Corte di Assise di appello circa la mancata ravvisabilità di violazioni dell' art. 191 c.p.p. . Assorbita, perché irrilevante per quanto detto, e', quindi, la censura, peraltro del tutto assertiva e formulata in un'ottica unidirezionale, sul passaggio motivazionale di pag. 196, in cui il Giudice a quo definisce alla stregua di mere e indimostrate prospettazioni le critiche difensive circa la conduzione del dibattimento da parte del Presidente del Collegio della Corte di Assise. Del resto, così come puntualmente osservato dalla Corte di secondo grado, il sospetto del condizionamento del giudice è preventivamente superabile con gli istituti previsti dalla legge, ossia quelli della incompatibilità, dell'astensione e della ricusazione. Gli imputati avrebbero potuto avanzare, nei termini di cui all' art. 38 c.p.p. , istanza di ricusazione del singolo giudice non potendo ricusarsi il Collegio Sez. 5, n. 1157 del 17/11/2021, dep. 2022, Boager, Rv. 282421 , ma non risulta lo abbiano fatto. Non essendosi le parti avvalse di tale strumento, la partecipazione al procedimento del magistrato nei cui confronti sarebbe stata ravvisabile, in ipotesi, una causa di incompatibilità deve considerarsi pienamente legittima, e il mancato rilievo non si riflette sulla validità degli atti dallo stesso compiuti, in quanto tale effetto non è previsto da nessuna disposizione di legge Sez. 4, n. 23160 del 6/4/2017, R., Rv. 270186 . Non solo, ma la dichiarazione di ricusazione non proposta nel grado del giudizio in cui la incompatibilità si è verificata non può essere riproposta, con l'atto di impugnazione, come motivo di nullità della sentenza per irregolare costituzione del giudice v., con riferimento al codice previgente, ma con principio estensibile a quello attuale, per identità di ratio, Sez. 5, n. 944 del 15/10/1976, dep. 1977, Tatti, Rv. 135113 . Infine, va ricordato che, costituendo l'incompatibilità del giudice unicamente motivo di ricusazione dello stesso, essa non può integrare vizio comportante la nullità del giudizio neppure allorquando la relativa causa sia divenuta nota solo dopo la definizione del relativo grado processuale, e sia ormai preclusa la proponibilità di istanza di ricusazione Sez. 3, n. 34581 del 19/05/2021, Robecchi, Rv. 282136 . Anche sotto questo ultimo profilo, pertanto, il motivo in esame deve ritenersi infondato. 3. Infondato è il terzo motivo di ricorso proposto nell'interesse di N.H., con il quale si lamenta l'inosservanza degli artt. 188 e 191 c.p.p. in ordine al rigetto della richiesta difensiva di dichiarare inutilizzabile l'interrogatorio reso dall'imputato in data Omissis ai due Pubblici ministeri procedenti. La tesi sostenuta dalla difesa, ribadita anche nella presente sede, tende a dimostrare che il trattamento inumano subito dall'imputato, poco prima dell'assunzione dell'interrogatorio, da parte degli operanti di polizia giudiziaria nei locali della caserma dei Carabinieri sita in via Omissis , dove il ragazzo venne tenuto ammanettato e bendato, avrebbe influito sulla sua capacità di autodeterminarsi e di riordinare la memoria ciò avrebbe imposto la declaratoria di inutilizzabilità dell'interrogatorio, siccome inquinato dalla condotta tenuta in precedenza dai Carabinieri in altro locale. La Corte di Assise di appello ha respinto la richiesta difensiva, evidenziando pag. 202 - che l'interrogatorio si tenne a distanza di qualche ora e in locali diversi della stessa Caserma - che l'atto venne condotto da due magistrati della Procura della Repubblica capitolina il Procuratore aggiunto D. e il Sostituto procuratore C. nel pieno rispetto di ogni garanzia di legge, circostanze non contestate dalla difesa - che l'imputato apparve del tutto sereno nelle proprie risposte e nel rapporto con le interlocutrici. Del tutto correttamente, pertanto, alla luce delle descritte emergenze, la Corte di merito ha concluso che non si era verificata alcuna violazione dell' art. 191 c.p.p. , così come dell'art. 188, tenuto conto che i contestati profili di illegittimità attenevano a una fase precedente e scollegata dalla relazione con la prova. Va ricordato, su un piano generale, che la regola fissata dall' art. 185 c.p.p. , comma 1, secondo cui la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi, che dipendono da quello dichiarato nullo, non trova applicazione in materia di inutilizzabilità, riguardando quest'ultima solo le prove illegittimamente acquisite e non quelle la cui acquisizione sia avvenuta in modo autonomo e nelle forme consentite, ancorché collegate a quelle inutilizzabili, in conformità alla ratio legislativa del vitiatur sed non vitiat Sez. 5, n. 12697 del 20/11/2014, dep. 2015, Strazimiri e altri, Rv. 263031 Sez. 2, n. 6360 del 24/1/1996, Agostino ed altri, Rv. 205373 . In sostanza, consistendo la inutilizzabilità nella impossibilità giuridica da parte del giudice di servirsi, ai fini del proprio convincimento, della prova di un determinato fatto in quanto assunta in violazione di un esplicito divieto, detta sanzione non colpisce il fatto come rappresentazione della realtà, ma il mezzo attraverso il quale il fatto viene documentato. Di conseguenza, tale fatto può costituire oggetto di una successiva prova assunta nelle forme di legge Sez. 1, n. 949 del 19/9/1997, dep. 1998, Guzzardi, Rv. 209670 . Del resto, è lo stesso art. 185 c.p.p. , comma 4, che sottrae esplicitamente le prove al regime di conseguenzialità delle nullità. Va, inoltre, rammentato che nell'attuale sistema processuale, come in quello previgente, l'interrogatorio dell'imputato, pur nella sua essenziale innegabile natura di strumento di difesa, rientra comunque nel novero di mezzi di prova e, in quanto tale, è liberamente valutabile dal giudice con il solo limite, oggi espressamente consacrato nell' art. 192 c.p.p. , comma 1, dell'obbligo di dar conto nella motivazione, come per ogni altro mezzo di prova, dei risultati acquisiti e dei criteri adottati Sez. 4, n. 11971 del 3/7/1991, Davì ed altri, Rv. 188770 . Considerato, alla luce di quanto detto e della cornice di principio tratteggiata, che le dichiarazioni rese da N.H. dinanzi ai due menzionati Pubblici ministeri in sede di interrogatorio sono state acquisite senza incorrere in violazioni di divieti stabiliti dalla legge, le stesse non potevano che essere dichiarate utilizzabili dai giudici di merito. Peraltro, la difesa, nell'insistere, apoditticamente, sul preteso condizionamento della libertà morale del suo assistito, non si è neppure confrontata con l'osservazione, formulata nella sentenza impugnata, relativa alla sostanziale conferma, da parte del N.H., di quella narrazione - che avrebbe dovuto essere influenzata dal trattamento subito in precedenza - sia in sede di interrogatorio di garanzia davanti al G.i.p. che in dibattimento, a corroborazione della serenità dell'imputato nelle proprie dichiarazioni pag. 203 . Dunque, e concludendo sul punto, non si può fare questione, nella specie, di utilizzabilità dell'interrogatorio reso ai Pubblici ministeri, da escludersi secondo l'esatto approdo dei giudici di merito, quanto, piuttosto, della eventuale valutazione del contenuto delle dichiarazioni e, sotto questo profilo, la difesa avrebbe dovuto assolvere all'onere - viceversa non assolto - di indicare se e in che termini detto contenuto narrativo sarebbe stato diverso nel caso in cui l'interrogatorio non fosse stato preceduto dai comportamenti, in tesi, condizionanti il racconto. 4. Non ha pregio la censura, formulata con l'undicesimo motivo del ricorso di E. atto a firma dell'avv. BORZONE , con cui si deduce la nullità della perizia psichiatrica, ai sensi dell' art. 178 c.p.p. , lett. c , e art. 111 Cost. , per omessa videoregistrazione del colloquio con i periti disposta dalla Corte di Assise. In primo luogo, non risulta che la censura sia stata proposta con l'atto di appello, il che renderebbe di per sé inammissibile il presente motivo di legittimità. In ogni caso, la doglianza è infondata in diritto. Invero, secondo la costante lezione di questa Corte, non sussiste nullità della perizia nel caso di assenza del verbale delle operazioni peritali e della mancata allegazione della documentazione citata nell'elaborato peritale, eventualmente attinente ai colloqui clinici avuti con il periziando, dovendosi escludere l'esistenza di un obbligo per il perito di documentazione dell'attività svolta, in difetto di qualsiasi disposizione di legge esplicita in tal senso e tenuto conto che la garanzia di correttezza delle operazioni è fornita dalla possibilità per il consulente tecnico della parte di assistere alle stesse Sez. 1, n. 17494 del 18/12/2019, dep. 2020, Defilippi, Rv. 279181 Sez. 2, n. 30232 del 5/6/2014, Santonocito, Rv. 259820 . In coerenza con tali principi, è stato affermato che non sussiste nullità della perizia psichiatrica qualora il perito abbia distrutto la videoregistrazione del relativo colloquio, dovendosi escludere l'esistenza di un suo obbligo di documentazione dell'attività svolta, sia perché manca qualsiasi disposizione esplicita in tal senso, sia perché l' art. 230 c.p.p. , mentre impone al giudice di fare menzione, nel verbale, delle richieste, delle osservazioni e delle riserve presentate dal consulente tecnico, esige dal perito soltanto che egli dia atto nella sua relazione di analoghe richieste a lui rivolte Sez. 1, n. 35187 del 10/7/2002, P.G., Botticelli e altro, Rv. 222517 nell'affermare tale principio, la Corte ha anche sottolineato che la mancanza di un dovere di documentazione dell'attività svolta dal perito è resa evidente dalla considerazione che costui deve fornire le risposte ai quesiti nel corso dell'udienza, alla quale partecipano tutte le parti interessate con i loro consulenti tecnici e che, anche quando è stata autorizzata, per la difficoltà di illustrare soltanto oralmente il parere, la presentazione di relazione scritta, questa può essere letta solo dopo l'esame in contraddittorio del perito, con la conseguenza che eventuali irregolarità o inesattezze in essa contenute possono essere immediatamente contestate . Alla stregua dei principi enunciati, nessuna nullità sarebbe potuta scaturire dall'omessa video-registrazione del colloquio del periziando con i periti. 5. Infondata è la prospettazione, comune a tutti i ricorsi, secondo la quale, nella presente vicenda processuale, ci si troverebbe di fronte a una doppia conforme in ordine all'affermazione di responsabilità degli imputati e a una doppia difforme in ordine alla valutazione degli elementi probatori decisivi ai fini della ricostruzione delle condotte e delle responsabilità anche in merito agli elementi costitutivi delle circostanze aggravanti contestate gli aspetti non collimanti delle due sentenze sono già stati evidenziati nella superiore esposizione in fatto . Tali diversità ricostruttive e valutative, secondo le difese, avrebbero imposto una motivazione rafforzata della decisione di secondo grado, che, tuttavia, non sarebbe riscontrabile. L'assunto non può essere condiviso. Come noto, in tema di giudizio di appello, la motivazione rafforzata viene richiesta nel caso di riforma della sentenza assolutoria o di condanna di primo grado e consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonché in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo dai conferire alla decisione una forza persuasiva superiore fra molte, Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, P., Rv. 278056 . Come parimenti noto, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre la cd. doppia conforme quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest'ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale Sez. 2, n. 37295 del 12/6/2019, E., Rv. 277218 . Nel caso di specie, non vi è stata riforma della sentenza di condanna di primo grado in senso assolutorio - il che avrebbe comportato un obbligo di motivazione rafforzata - ma una reformatio in melius del trattamento sanzionatorio, che, invece, tale obbligo non implicava. D'altro canto, questa Corte ha affermato che il giudice d'appello può pervenire ad una ricostruzione del fatto difforme da quella effettuata dal giudice di primo grado, ma in tal caso, per non incorrere nel vizio di motivazione, ha l'onere di tenere conto delle valutazioni in proposito svolte da quest'ultimo e di indicare le ragioni per le quali intende discostarsene Sez. 4, n. 37094 del 7/7/2008, Penasa, Rv. 241024 . E' evidente, peraltro, che il principio appena enunciato non può che applicarsi nei casi in cui il giudice dell'impugnazione sia pervenuto a una ricostruzione difforme del fatto inteso nei suoi elementi strutturali e non quando, come nella presente vicenda, abbia apportato, nella ricostruzione complessiva dei fatti, rimasta, nella sostanza, immutata, modifiche l'incidenza delle quali sulla qualificazione giuridica dei fatti e delle circostanze, e sulla decisione finale, confermativa di quella di primo grado, neppure la difesa ha saputo indicare, così incorrendo nel giudizio di aspecificità del motivo. 6. Prima di procedere all'esame dei motivi attinenti alla responsabilità penale dei ricorrenti, non appare superfluo ricordare, per quanto possibile sinteticamente, il contenuto e i limiti che caratterizzano il tipo di sindacato che compete alla Corte di cassazione in tema di vizi della motivazione. 6.1. Va subito rimarcato, al riguardo, che sono precluse al giudice di legittimità sia la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata sia l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601 . Resta, infatti, demandato solo a quest'ultimo giudice il compito di svolgere siffatta tipologia di accertamenti, posto che il controllo sulla motivazione rimesso al giudice di legittimità e', viceversa, circoscritto, ex art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. e , alla sola verifica dell'esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l'hanno determinata, dell'assenza di manifesta illogicità dell'esposizione e, quindi, della coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l'utilizzo e della non emersione di alcuni dei predetti vizi dal testo impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame, requisiti la cui sussistenza rende la decisione insindacabile Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Chen, Rv. 284556 . In sintesi, nel momento del controllo della motivazione, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento Sez. 4, n. 4842 del 2/12/2003, dep. 2004, Elia ed altri, Rv. 229369 . Pertanto, anche a seguito della modifica apportata all' art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. e , dalla L. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito Sez. 3, n. 18521 dell'11/1/2018, Ferri, Rv. 273217 . 6.2. Va, altresì, rammentato che, in tema di inammissibilità del ricorso per cassazione, i motivi devono ritenersi generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato tra molte, Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568 . Deve, ancora, tenersi presente, sempre in tema di ricorso in cassazione ai sensi dell' art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. e , che la denunzia di minime incongruenze argomentative o l'omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione ma che non siano inequivocabilmente muniti di un chiaro carattere di decisività , non possono dar luogo all'annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto. Al contrario, è solo l'esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi, oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell'impianto argomentativo della motivazione Sez. 2, n. 9242 dell'8/2/2013, Reggio, Rv. 254988 Sez. 2, n. 18163 del 22/4/2008, Ferdico, Rv. 239789 . Ne' va trascurato che l'emersione di una criticità su una delle molteplici valutazioni contenute nella sentenza impugnata, laddove le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, non può comportare l'annullamento della decisione per vizio di motivazione, potendo lo stesso essere rilevante solo quando, per effetto di tale critica, all'esito di una verifica sulla completezza e sulla globalità del giudizio operato in sede di merito, risulti disarticolato uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l'impianto della decisione Sez. 1, n. 46566 del 21/2/2017, M. e altri, Rv. 271227 . 6.3. Unitamente ai richiamati principi, va rammentato che sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, i motivi che deducano il vizio di manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contengano la loro integrale trascrizione o allegazione fra molte, Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071 va precisato che, anche a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 165-bis disp. att. c.p.p., introdotto dal D.Lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, art. 7, comma 1, trova applicazione detto principio di autosufficienza, che si traduce nell'onere di puntuale indicazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l'allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato Sez. 5, n. 5897 del 3/12/2020, dep. 2021, Cossu, Rv. 280419 . In conformità a tali principi, è stato affermato che sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, quei motivi che, deducendo il vizio di manifesta illogicità o di contraddittorietà della motivazione, riportino meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell'atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall'indebita frantumazione dei contenuti probatori, o, invece, procedano ad allegare in blocco ed indistintamente le trascrizioni degli atti processuali, postulandone la integrale lettura da parte della Suprema Corte per tutte, Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014, dep. 2015, Savasta ed altri, Rv. 263601 . Analogamente, deve ritenersi non rispondente al requisito della specificità il motivo di ricorso con il quale si denunci un difetto di motivazione sulla base del mero richiamo alle non accolte conclusioni di una consulenza tecnica di parte diverse da quelle del perito d'ufficio, cui il giudice abbia invece prestato adesione , senza indicare in modo circostanziato quali fossero i passaggi di detta consulenza che si ponevano in contrasto con le risultanze della perizia, giacché il principio di autosufficienza richiede che però le questioni dedotte in riferimento agli atti del processo siano riportati i punti di tali atti investiti dal gravame e sia indicata la rilevanza della questione Sez. 1, n. 47499 del 29/11/2007, Chialli, Rv. 238333 . Ancora in tema di inammissibilità per genericità del ricorso per cassazione, va considerato che la censura di omessa valutazione da parte del giudice dell'appello dei motivi articolati con l'atto di gravame onera il ricorrente della necessità di specificare il contenuto dell'impugnazione e la decisività del motivo negletto al fine di consentire l'autonoma individuazione delle questioni che si assumono non risolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l'atto di ricorso contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica Sez. 3, n. 8065 del 21/9/2018, dep. 2019, C., Rv. 275853 . 6.4. La rassegna appena svolta si reputa funzionale ad operare, nel prosieguo dell'esposizione, con la semplice tecnica del rinvio per relationem ogniqualvolta si renderà necessario affermare i ricordati principi di carattere generale in relazione alle singole censure esaminate, così evitando, ogni volta, di ripeterne contenuto e portata. 7. L'analisi dei motivi ripercorrerà l'ordine numerico in cui sono stati contestati i singoli reati. 8. Il primo di essi e', quindi, il concorso nel tentativo di estorsione di cui al capo 1 . Secondo la difesa di E. ricorso dell'avv. Capra , gli elementi evidenziati dalla Corte di merito, pur incontestabili, non potrebbero essere considerati sufficienti per ricavarne un apporto causale dell'imputato. I primi due ricerca dello stupefacente e sottrazione dello zaino , in particolare, riguarderebbero un antefatto irrilevante, atteso che i due imputati, al momento della sottrazione, non si prefiguravano già una richiesta estorsiva gli ultimi due occultamento dello zaino nella fioriera e porto del coltello non avrebbero avuto alcuna incidenza causale sul tentativo di estorsione, dal momento che l'incontro, per le scelte poste in essere da C.R. e da V., non era avvenuto con il destinatario della richiesta estorsiva ed aveva avuto uno sviluppo del tutto estraneo ai rapportì di dare e avere illeciti ipotizzati da B. e da N.H Nell'atto a firma dell'avv. BORZONE, inoltre, si eccepisce che la condotta di minaccia di non restituire altrimenti quanto sottratto sarebbe stata posta in essere esclusivamente dal coimputato N.H., sicché erroneamente era stato ritenuto il concorso di E Il ricorso proposto nell'interesse di N.H. non contesta l'affermazione di responsabilità dell'imputato, ma si limita a dedurre la contraddittorietà della motivazione in relazione alla mancata applicazione della circostanza attenuante di cui all' art. 62 c.p. , n. 4 , laddove, ai fini di escludere l'attenuante, si è ritenuto di integrare il valore del danno economico inflitto a B. con il contenuto del suo zainetto, oggetto di furto non contestato. In ogni caso, incongrua sarebbe la motivazione nel non considerare di particolare tenuità un danno di 80,00 Euro, somma assolutamente modesta. Tanto meno rilevante la notazione relativa alle condizioni personali della persona offesa, definite al limite dell'indigenza pag. 244 , notazione sprovvista di conforto probatorio e concernente un criterio solo sussidiario. 8.1. Le censure sono infondate. 8.1.1. Giova premettere che il profitto dei delitti di furto o di rapina è costituito dal bene oggetto di sottrazione - al momento del cui impossessamento il reato si perfeziona - e non dalla diversa utilità da esso ricavabile mediante un'attività successiva, che non può, dunque, considerarsi assorbita nella condotta precedente. Ne consegue che quando tale attività consista nella richiesta di un compenso a chi possedeva, accompagnata dalla prospettazione della mancata restituzione del bene sottratto, essa non può che considerarsi tesa a coartare l'altrui volontà a scopo di profitto colui che sia stato privato illecitamente di un bene, infatti, conserva il diritto alla restituzione, oltre che l'aspettativa morale di riacquistarlo, sicché la richiesta di denaro in cambio dell'adempimento dell'obbligo giuridico di restituire, che incombe sull'agente, influisce sulla libertà di determinazione del soggetto passivo ed integra, di per sé, minaccia rilevante ai sensi dell' art. 629 c.p. e, dunque, il delitto di tentata estorsione Sez. 2, n. 25213 dell'11/4/2019, Parigino, Rv. 276572 Sez. 2, n. 8309 del 24/6/1998 Tonarelli Rv. 211184 . Nel caso di specie, a prescindere dalla inspiegabile mancata contestazione, ai due imputati, del delitto di furto, non vi è dubbio, per quanto appena esposto, che la condotta posta in essere dai predetti, non contestata nella sua materialità neppure dalle difese, abbia integrato il delitto di tentata estorsione, come correttamente affermato dai giudici di merito. Altrettanto correttamente è stata ritenuta provata la condotta concorsuale di E. nel piano progettato dal complice, con un contributo morale e materiale pienamente adesivo ad esso e sviluppatosi, in una sequenza coerente e priva di cesure, dapprima con la ricerca dello stupefacente e la sottrazione dello zaino e, in seguito, con l'occultamento dello stesso in una fioriera antistante l'albergo di via Omissis . Del resto, è lo stesso E., in sede d'interrogatorio reso al Pubblico ministero, ad ammettere quest'ultima circostanza, che, all'evidenza, presuppone la precedente adesione alla richiesta estorsiva, contenente la minaccia di non restituire lo zaino, formulata da N.H. per telefono a B., come sottolineato dai giudici del gravame a pag. 166 della sentenza impugnata, nella voce dell'interprete Sì, ha detto che l'avevano nascosto in un cespuglio perché volevano invitare questa persona che doveva dargli a seguirlo per dargli per fare lo scambio . A fronte dell'adeguata motivazione resa dalla Corte di Assise di appello, la difesa di E. oppone rilievi essenzialmente confutativi, attribuendo, in modo apodittico, carattere di irrilevanza ai singoli episodi, atomisticamente apprezzati, e non confrontandosi, in modo realmente critico, con il costrutto argomentativo della sentenza. Manifestamente infondato è il rilievo circa il fatto che all'incontro pianificato per la restituzione non si presentò la vittima del reato, per la semplice considerazione che, in quel momento, il tentativo si era già perfezionato. 8.1.2. Quanto alla posizione di N.H., che non risulta abbia contestato l'affermazione di responsabilità, va detto che la doglianza circa la motivazione del diniego di riconoscimento dell'invocata attenuante di cui all' art. 62 c.p. , n. 4 , deve reputarsi infondata. Va premesso che, nei reati contro il patrimonio, la circostanza attenuante comune del danno di speciale tenuità è applicabile anche al delitto tentato quando sia possibile desumere con certezza, dalle modalità del fatto e in base ad un preciso giudizio ipotetico che, se il reato fosse stato riportato a compimento, il danno patrimoniale per la persona offesa sarebbe stato di rilevanza minima Sez. U, n. 28243 del 28/3/2013, Zonni Sanfilippo, Rv. 255528 Sez. 5, n. 42819 del 19/6/2014, Lucchesi e altro, Rv. 261044 . Deve aggiungersi che, ai fini del riconoscimento della citata attenuante in riferimento ai reati di tentata estorsione o di tentata rapina, la valutazione deve essere complessiva, dovendo riguardare, non solo la possibilità di desumere con certezza, dalle modalità del fatto che, se il reato fosse stato portato a compimento, il danno patrimoniale per la vittima sarebbe stato di rilevanza minima sul piano economico, ma anche il pregiudizio complessivo e il disvalore sociale recati con la condotta dell'imputato, m termini effettivi o potenziali, tra i quali, ad esempio, gli effetti dannosi conseguenti alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia, attesa la natura plurioffensiva dei citati delitti Sez. 2, n. 32234 del 16/10/2020, Fanfarilli, Rv. 280173 Sez. 3, n. 18013 del 5/2/2019, Loussaief, Rv. 275950 Sez. 2, n. 50660 del 5/10/2017, Calvio, Rv. 276195 . Ciò posto, ritiene il Collegio che la Corte territoriale abbia fatto buon governo dei richiamati principi, in quanto ha fondato, in modo del tutto logico, il diniego non solo sulla non irrilevanza, in termini assoluti, dell'importo di 80,00 Euro, ma anche sull'aggiunta, a tale importo, di un grammo di cocaina e tenuto conto, nell'ottica di una valutazione globale, che la sottrazione dello zaino aveva determinato, per la persona offesa, anche la perdita del possesso dei suoi principali effetti personali quali il telefono cellulare e le chiavi dell'abitazione. Non hanno pregio le censure difensive, che si appuntano sulla non dimostrata condizione di indigenza della vittima del reato, in quanto trattasi di elemento non decisivo sul piano motivazionale così come l'obiezione circa la mancata contestazione formale del furto, che non va ad immutare il dato fattuale dell'avvenuta sottrazione dello zaino. 9. Vanno esaminati, ora, i motivi di ricorso afferenti al delitto di concorso in omicidio volontario di cui al capo 2 , aggravato dalle circostanze previste dall' art. 576 c.p. , comma 1, nn. 1 e 5-bis. Con riguardo alla posizione di E., ritiene il Collegio che i motivi dedotti siano fondati limitatamente alla sussistenza delle circostanze aggravanti contestate, con inevitabile, logica, ripercussione - quanto all'aggravante sub n. 5-bis - sulla sussistenza del delitto di resistenza a pubblico ufficiale di cui al capo 3 , mentre, con riguardo alla posizione di N.H., si reputano fondate le censure con le quali si contesta il concorso dell'imputato nel delitto di omicidio. 9.1. Risulta dal capo d'imputazione che l'addebito di avere commesso il fatto ai danni di un appartenente all'Arma dei Carabinieri in servizio si fonda sulla circostanza, anch'essa descritta nella rubrica incolpativa, di avere i due imputati ingaggiato una colluttazione con C.R. e V. nonostante costoro si fossero qualificati come appartenenti alla suddetta Arma. La difesa di E. ha, in primo luogo, denunciato vizio di motivazione con riferimento alla circostanza di essersi i due Carabinieri qualificati come tali al momento della colluttazione ingaggiata con gli imputati, deducendo anche l'erronea applicazione del criterio della c.d. valutazione frazionata delle dichiarazioni rese da V.A La censura è infondata. La costante giurisprudenza di questa Corte reputa legittima la valutazione frazionata delle dichiarazioni confessorie, accusatorie da chiamate in correità e testimoniali` quando le parti del narrato ritenute veritiere reggano alla verifica giudiziale del riscontro, ove necessaria, e non sussista interferenza fattuale e logica - ossia un rapporto di causalità necessaria o di imprescindibile antecedenza logica - con quelle giudicate inattendibili, tale da minare la credibilità complessiva e la plausibilità dell'intero racconto Sez. 5, n. 25940 del 30/6/2020, M., Rv. 280103 . Neppure l'accertata falsità di uno specifico fatto narrato dal dichiarante impedisce, quindi, la valorizzazione delle parti ulteriori di un suo racconto più complesso, a condizione che queste siano supportate da precisi riscontri, anche non specifici, ma comunque idonei a compensare il difetto di attendibilità soggettiva Sez. 1, n. 26966 dell'1/12/2022, dep. 21/6/2023, Paola, Rv. 284836 , e purché sia data una spiegazione alla parte della narrazione risultata smentita - per esempio, con riferimento alla complessità dei fatti, al tempo trascorso dal loro accadimento o alla scelta di non coinvolgere un prossimo congiunto o una persona a lui cara - in modo che possa, comunque, formularsi un giudizio positivo sull'attendibilità soggettiva del dichiarante Sez. 6, n. 25266 del 3/4/2017, Polimeni e altro, Rv. 270153 . Va, pure, rammentato che, in tema di dichiarazioni del teste assistito, l'obbligo di dire la verità gravante sullo stesso accresce il grado di affidabilità della fonte e può essere valorizzato dal giudice nella valutazione dei riscontri esterni, consentendo di ritenere sufficienti riscontri di peso comparativamente minore rispetto a quelli richiesti nel caso di valutazione delle dichiarazioni rese dall'imputato in procedimento connesso ai sensi dell' art. 210 c.p.p. Sez. 1, n. 29624 del 16/6/2022 Placido, Rv. 283381 . Ciò posto, ritiene il Collegio che, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa di E., la Corte di Assise di appello abbia fatto corretta applicazione del criterio della valutazione frazionata delle dichiarazioni rese da V.A. con le garanzie della testimonianza assistita, previste dall' art. 210 c.p.p. per l'esame di imputato di reato probatoriamente collegato violata consegna aggravata, punita dall' art. 120 c.p.m.p. , commi 1 e 2, art. 47 c.p.m.p. , n. 2 . La Corte di merito ha dedicato ampio spazio alla valutazione dell'attendibilità di V. pagg. 205-217 , anche dando atto delle obiezioni difensive, pervenendo alla conclusione, del tutto logica, di considerare non veridiche solo le dichiarazioni rese con il palese intento di preservare la propria posizione processuale e professionale, laddove il dichiarante avesse ritenuto che potessero per lui discenderne conseguenze pregiudizievoli la stessa Corte, così come il primo giudice, ha, quindi, lasciato inalterato il giudizio di attendibilità complessiva del narrato del teste assistito, valorizzando, correttamente, gli elementi di riscontro che corroboravano il narrato medesimo. In coerenza con tali ragionevoli criteri, ha ritenuto non sufficientemente provata l'avvenuta esibizione del tesserino di riconoscimento prima dell'approccio con gli imputati in quanto tale circostanza risultava riferita dal solo V., e non riscontrata aliunde , mentre, al contrario, ha ritenuto provata la circostanza afferente alla avvenuta qualificazione come Carabinieri negli stessi frangenti, in quanto suffragata dalle dichiarazioni rese, reiteratamente, dall'imputato N.H La difesa di E. ha opposto, a tale assetto argomentativo, rilievi critici del tutto assertivi a proposito della sostenuta interferenza logica tra la menzogna sull'esibizione del tesserino e la dichiarazione sulla qualificazione come Carabinieri ovvero espressi in termini di mero dissenso e in chiave inammissibilmente rivalutativa a proposito del carattere di riscontro attribuito al narrato di N.H 9.1. Viceversa, si reputa fondatamente denunciato il vizio di motivazione della sentenza impugnata laddove i giudici di merito hanno ritenuto dimostrata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la circostanza dell'avere l'imputato, pacificamente a digiuno della lingua italiana, compreso di essersi venuto a trovare, in quei drammatici frangenti, di fronte a due Carabinieri. La Corte di Assise di appello ha basato il suo convincimento sui seguenti elementi a la parola Carabinieri è ampiamente conosciuta anche all'estero b tale vocabolo era stato, ad ogni modo verosimilmente già appreso, anche per il tramite del N., in occasione ed in seguito ai fatti di via Omissis , dove erano intervenuti altrettanti militari, sempre in borghese pag. 233 . Considerata la stretta connessione tra l'antefatto di Omissis e il sanguinoso epilogo di via Omissis , ad avviso della Corte territoriale, era la prova logica a suggerire inevitabilmente come, nel corso di una vicenda tutta caratterizzata dalla presenza di militari in servizio di polizia, l' E. avesse piena coscienza, soprattutto all'atto della loro qualifica verbale, che si trattasse proprio di appartenenti alle FF.OO. pag. 234 . Il primo assunto della Corte capitolina la parola Carabinieri è ampiamente conosciuta anche all'estero sembra utilizzare la categoria del fatto notorio , che è costituita da quelle conoscenze per le quali non vi è la necessità della dimostrazione del probandum , in quanto corrispondenti a comuni cognizioni storiche ovvero riguardanti forme elementari di manifestazioni delle forze della natura e delle relative leggi, a tutti familiari Sez. 3, n. 30720 del 18/9/2020, Villari, Rv. 280020 . A tale riguardo, questa Corte ha costantemente affermato che è affetta dal vizio di illogicità e di carenza della motivazione la decisione del giudice di merito che, anziché basarsi su massime di esperienza - caratterizzate da generalizzazioni tratte con procedimento induttivo dalla esperienza comune, conformemente agli orientamenti diffusi nella cultura e nel contesto spazio-temporale in cui matura la decisione - utilizzi semplici congetture, cioè ipotesi fondate su mere possibilità, non verificate in base all' id quod plerumque accidit ed insuscettibili, quindi, di verifica empirica Sez. 1, n. 16523 del 4/12/2020, dep. 2021, P.G. in proc. Romano, Rv. 281385 Sez. 4, n. 23093 del 2/2/2017, Rappisi, Rv. 269998 Sez. 6, n. 1686 del 27/11/2013, dep. 2014, Keller, Rv. 258135 . In tale vizio e', senza dubbio, incorsa la sentenza impugnata, in quanto ha formulato un assunto la parola Carabinieri è ampiamente conosciuta anche all'estero che, non essendo in alcun modo sviluppato, né correlato a ragionevoli termini esperienziali, logici, oppure a dati obiettivi, finisce con il proporre una mera ipotesi congetturale oltretutto inficiata da un generico ed incompleto riferimento all' estero , che neppure individua i Paesi presso i quali il vocabolo sarebbe, in tesi, conosciuto è evidente, che se la parola Carabiniere/i fosse conosciuta, ad esempio, in Spagna e in America latina, si tratterebbe, pur sempre, di un estero che non comprende gli Stati Uniti d'America dove vive l'imputato , su cui non può, all'evidenza, fondarsi il convincimento circa la esatta percezione e comprensione della qualifica in discussione da parte dell'imputato E., del quale la stessa Corte di merito ha messo in rilievo, a più riprese, l'ignoranza della lingua italiana v., ad es., anche a pag. 247, in cui si legge si tratta di due giovani ragazzi stranieri, uno dei quali non comprende di fatto la lingua italiana . Del resto, che il Giudice a quo non fosse del tutto convinto di tale affermazione lo si evince dalla proposizione successiva alla frase sulla conoscenza del vocabolo Carabinieri anche all'estero, che inizia con l'espressione ad ogni modo , equipollente di comunque - che introduce un elemento di perplessità nell'ordito motivazionale in esame - e dall'avverbio verosimilmente , quest'ultimo legato alla ritenuta apprensione, per il tramite di N.H., dell'intervento dei militari, in precedenza, durante i fatti occorsi in Omissis . Anche l'avverbio verosimilmente non esprime certezze, ma semplicemente rimanda alle categorie della probabilità e della credibilità . La Corte di secondo grado ancora tale avverbio all'antefatto di Omissis , incorrendo, tuttavia, in un momento di oggettiva contraddizione con il percorso motivazionale relativo proprio all'evocato antefatto e sviluppato alle pagg. 83 e ss. In tale parte della sentenza, infatti, nella descrizione della sequenza degli avvenimenti, si dà atto che E. e N.H. seguirono, insieme, B. l'intermediario che avrebbe dovuto condurli dal fornitore di cocaina fino a piazza Omissis , per poi, pedinati, separarsi E., quindi, rimase a piazza Omissis a custodia dello zaino e della bicicletta di B., mentre N.H. venne condotto da B. in via Omissis , definita, a pag. 84, come una strada di fatto non illuminata, solitaria e senza via di uscita per il traffico veicolare , dove si svolge il cuore della prima vicenda . Nella citata via trasteverina convergevano, oltre a N.H. e B., gli spacciatori P. e T., con i quali si effettuava lo scambio di un involucro consegnato dal P. a N.H. contro il corrispettivo di 80,00 Euro somma pagata dall'acquirente a P. . La scena, peraltro, avveniva sotto il controllo visivo dei sottufficiali dei Carabinieri, in abiti civili, S. e D., che, dopo aver pedinato B. e N., erano sopraggiunti in moto, subito raggiunti dai colleghi in tirocinio B. e B., che procedevano a piedi, anch'essi in borghese. Alla vista degli operanti, P. strappava l'involucro dalle mani di N.H. gettandolo sotto una vettura parcheggiata nei pressi. N.H., poco dopo, cercava di recuperare l'involucro, ma il tirocinante Carabiniere B., accortosi del tentativo, intimava al giovane di consegnargli l'oggetto il giovane, che non aveva fatto in tempo a riprenderlo, consegnava, allora, al Carabiniere una pasticca del farmaco Brufen , estraendola dalla tasca dei pantaloni. Subito dopo, si dava alla fuga in direzione di piazza Omissis , dov'era atteso da E Il Carabiniere B., su ordine del superiore Lgt. S., desisteva dall'inseguirlo. Nel prosieguo della ricostruzione pag. 87 , si evince che, dopo una interlocuzione con gli spacciatori P. e T., sottoposti a controllo di documenti, gli operanti in borghese contattarono la pattuglia composta da C.R. e V., che, in seguito, arrivarono a piazza Omissis , dove però si trovavano, a quel punto, ad attenderli solo i quattro militari liberi dal servizio. Nella esposta ricostruzione dei fatti non è dato rinvenire un passaggio motivazionale che faccia riferimento alla concreta possibilità, per E., di aver potuto assistere, dalla sua postazione di piazza Omissis , alla scena verificatasi in via Omissis e, soprattutto, di essersi potuto accorgere dell'intervento di esponenti delle Forze dell'Ordine. La stessa Corte di Assise di appello, a pag. 86, riconosce che l'istruttoria non aveva permesso di stabilire con certezza se i militari, intervenuti al momento dello scambio, si fossero espressamente qualificati, anche esibendo il tesserino, tanto da affermare che, quanto meno il B. ed il P. avevano avuto immediata comprensione della qualifica degli operatori in borghese il che vuol dire che E. e N. questa comprensione non l'avevano avuta . Se così e', ritiene il Collegio che contraddittoria con il brano precedente sia la conclusione, formulata alle pagg. 33-34, alla stregua della quale il c.d. antefatto di Omissis avrebbe consentito a E., verosimilmente quindi probabilmente , credibilmente , senza risolutiva forza probante per il tramite di N.H., di essere informato circa l'intervento in borghese, nello storico quartiere romano, di Carabinieri e, quasi per un nesso di consequenzialità necessaria, affermata ma non sufficientemente motivata, di essersi potuto rendere conto che, nella fase successiva verificatasi in Omissis , i due uomini con cui si incontrò, anch'essi in abiti civili - e che, per come ricostruito in sentenza, non poteva aver visto prima perché quando C.R. e V. giunsero a piazza Omissis , E. e N. si erano già allontanati in taxi per fare ritorno in albergo - fossero, analogamente, dei Carabinieri. La rimarcata inadeguatezza, sul piano logico, della motivazione non può che riflettersi sul passaggio successivo, in cui si sostiene che E., a tutto voler concedere, si sarebbe trovato in una situazione colposa, utile ad affermare la valutazione a carico dell'aggravante , posto che all'imputato nuovamente si rimprovera, così reiterando la contraddizione già stigmatizzata, l'indiretta conoscenza del coinvolgimento di Carabinieri nell'episodio dello scambio illecito avvenuto a via Omissis e la ripetuta qualificazione ad opera sia del C.R. che del V. , circostanza, quest'ultima, che incorre nel vizio congetturale sulla conoscenza del vocabolo anche all'estero per primo rilevato. 9.1.1. Le incongruenze motivazionali acclarate non possono che contaminare il percorso giustificativo addotto, a sostegno della sussistenza dell'ulteriore aggravante teleologica , che, appunto, si basa sulla percepita qualità, da parte di E., in capo a C.R. e V., di esponenti delle Forze dell'Ordine da cui fuggire per procurarsi l'impunità del delitto di tentata estorsione. 9.1.2. Per le stesse ragioni, esse si riflettono anche sulla sussistenza, a carico di E., della imputazione di resistenza a pubblico ufficiale di cui al capo 3 , atteso che, per l'integrazione dell'elemento soggettivo del reato, è necessario che l'autore del fatto sia consapevole che il soggetto contro il quale è diretta la violenza o la minaccia rivesta la qualità di pubblico ufficiale e stia svolgendo un'attività del proprio ufficio per tutte, Sez. 6, n. 17701 del 3/3/2004, Fontana, Rv. 228609 . Per le esposte considerazioni, la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di E. limitatamente alle circostanze aggravanti contestate al capo 2 ed al delitto di resistenza a pubblico ufficiale di cui al capo 3 , con rinvio per nuovo giudizio sul capo e sui punti predetti ad altra sezione della Corte di Assise di appello di Roma, che procederà ad emendare i vizi motivazionali rilevati attenendosi ai principi enunciati. Tale conclusione rende superfluo esaminare le ulteriori censure sviluppate dalla difesa sui temi oggetto delle parti annullate della sentenza in particolare, quelle finalizzate, comunque, a contestare la comprensione del vocabolo Carabinieri da parte dell'imputato e quelle ritenute dalla difesa presupposte . 9.2. I vizi della motivazione inerenti alla dimostrazione della effettiva percezione, da parte di E., della parola Carabinieri non si riverberano, per derivazione, sull'affermazione di penale responsabilità dell'imputato per l'omicidio di cui al capo 2 , che, diversamente da quanto osservato per le aggravanti, appare sostenuta da un apparato argomentativo adeguato. 9.2.1. La Corte di secondo grado ha, in primo luogo, correttamente escluso la configurabilità, nel caso di specie, della scriminante della legittima difesa. Giova premettere che detta scriminante, come noto, presuppone un'aggressione ingiusta ed una reazione legittima la prima deve concretarsi nel pericolo attuale di un'offesa che, se non neutralizzata tempestivamente, sfocerebbe nella lesione del diritto la seconda comporta l'inevitabilità del pericolo, la necessità della difesa e la proporzione tra questa e l'offesa. Ne consegue che non è giustificabile una reazione quando l'azione lesiva sia ormai esaurita né può ritenersi legittimo l'uso di mezzi che non siano gli unici nella circostanza disponibili, perché non sostituibili con altri ugualmente idonei ad assicurare la tutela del diritto aggredito e meno lesivi per l'aggressore. Ed invero il requisito della proporzione viene meno, nel conflitto fra beni eterogenei, quando la consistenza dell'interesse leso è enormemente più rilevante, sul piano della gerarchia dei valori costituzionalmente e penalmente protetti, di quella dell'interesse difeso ed il male inflitto all'aggredito abbia una intensità di gran lunga superiore a quella del male minacciato per tutte, Sez. 1, n. 9695 del 15/4/1999, De Rosa, Rv. 214936 . Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, l'uso della parola necessità , nella formulazione legislativa dei requisiti della legittima difesa di cui all' art. 52 c.p. , ha una portata perentoria che esclude, dal suo rigoroso orizzonte applicativo, qualsiasi caso di volontaria determinazione di una situazione di pericolo, ivi compreso quello in cui l'agente abbia contribuito ad innescare una sorta di duello o sfida contro il suo avversario o attuato una spedizione punitiva nei suoi confronti. La determinazione volontaria dello stato di pericolo esclude, dunque, la configurabilità della legittima difesa non per la mancanza del requisito dell'ingiustizia dell'offesa, ma per difetto del requisito della necessità della difesa, sicché l'esimente non è applicabile a chi agisce nella ragionevole previsione di determinare una reazione aggressiva, accettando volontariamente la situazione di pericolo da lui determinata Sez. 1, n. 37289 del 21/6/2018, Fantini, Rv. 273861 Sez. 1, n. 56330 del 13/9/2017, dep. 2018, Rv. La Gioiosa ed altri, Rv. 272036 Sez. 1, n. 12740 del 20/12/2011, dep. 2012, El Farnouchi, Rv. 252352 Sez. 1, n. 2911 del 7/12/2007, dep. 2008, Marrocu, Rv. 239205 . Sempre a proposito del requisito della necessità , è stato costantemente affermato che non è configurabile l'esimente della legittima difesa qualora l'agente abbia avuto la possibilità di allontanarsi dall'aggressore senza pregiudizio e senza disonore Sez. 1, n. 5697 del 28/1/2003, Di Giulio, Rv. 223441 . Quanto al requisito della proporzione tra offesa e difesa, va ricordato che esso deve essere valutato con giudizio ex ante , ponendo a confronto i mezzi usati e quelli a disposizione dell'aggredito nonché i beni giuridici, personali o patrimoniali, in conflitto, con la conseguenza che tale proporzione viene comunque meno nel caso di beni eterogenei in conflitto, quando la consistenza dell'interesse leso, quale la vita e l'incolumità della persona, sia enormemente più rilevante, sul piano della gerarchia dei valori costituzionali e di quelli penalmente protetti, dell'interesse patrimoniale difeso tra molte, Sez. 5, n. 32414 del 24/9/2020, Di Pietro, Rv. 279777 . 9.2.1.1. La legittima difesa putativa postula i medesimi presupposti di quella reale con la sola differenza che, nella prima, la situazione di pericolo non sussiste obiettivamente, ma è supposta dall'agente a causa di un erroneo apprezzamento dei fatti. Tale errore - che ha efficacia esimente se è scusabile e comporta responsabilità di cui all' art. 59 c.p. , u.c., quando sia determinato da colpa - deve in entrambe le ipotesi trovare adeguata giustificazione in qualche fatto che, sebbene malamente rappresentato o compreso, abbia la possibilità di determinare nell'agente la giustificata persuasione di trovarsi esposto al pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sicché la legittima difesa putativa non può valutarsi alla luce di un criterio esclusivamente soggettivo e desumersi, quindi, dal solo stato d'animo dell'agente, dal solo timore o dal solo errore, dovendo, invece, essere considerata anche la situazione obiettiva che abbia determinato l'errore. Essa, pertanto, può configurarsi se e in quanto l'erronea opinione della necessità di difendersi sia fondata su dati di fatto concreti, di per sé inidonei a creare un pericolo attuale, ma tali da giustificare, nell'animo dell'agente, la ragionevole persuasione di trovarsi in una situazione di pericolo, persuasione che peraltro deve trovare adeguata correlazione nel complesso delle circostanze oggettive in cui l'azione della difesa venga a estrinsecarsi Sez. 1, n. 26878 del 25/5/2012, Inturri, Rv. 253068 . 9.2.1.2. L'eccesso colposo sottintende i presupposti della scriminante con il superamento dei limiti a quest'ultima collegati. Per stabilire se nel commettere il fatto si siano ecceduti colposamente i limiti della difesa legittima, bisogna prima identificare i requisiti comuni alle due figure giuridiche, poi il requisito che le differenzia accertata la inadeguatezza della reazione difensiva, per l'eccesso nell'uso dei mezzi a disposizione dell'aggredito in un preciso contesto spazio temporale e con valutazione ex ante, occorre procedere ad un'ulteriore differenziazione tra eccesso dovuto ad errore di valutazione ed eccesso consapevole e volontario, dato che solo il primo rientra nello schema dell'eccesso colposo delineato dall' art. 55 c.p. , mentre il secondo consiste in una scelta volontaria, la quale certamente comporta il superamento doloso degli schemi della scriminante Sez. 1, n. 45425 del 25/10/2005, Rv. 233352 . Naturalmente, l'assenza dei presupposti della scriminante de qua impedisce di ravvisare l'eccesso colposo Sez. 5, n. 19065 del 12/12/2019, dep. 2020, Di Domenico, Rv. 279344 Sez. 1, n. 18926 del 10/4/2013, Paoletti e altro, Rv. 256017 Sez. 5, n. 26172 dell'11/5/2010, P., Rv. 247898 . 9.2.2. Calando gli esposti principi nel caso di specie, i giudici territoriali sono pervenuti ad un approdo immune da vizi logico-giuridici, che conserva la sua validità a prescindere dalla qualità di pubblico ufficiale rivestita dalla vittima e dalla conoscenza di essa . Ed invero, dal complesso motivazionale integrato delle due sentenze di merito è possibile enucleare i seguenti elementi che ostavano alla configurabilità dell'esimente a il difetto dei requisiti dell'ingiustizia dell'offesa e della necessità della difesa a1 perché furono gli imputati a volontariamente determinare la situazione di pericolo ponendo in essere, in precedenza, il tentativo di estorsione, ragionevolmente prevedendo la possibilità di una reazione da parte di B. al quale era stato sottratto e occultato lo zaino o di un suo emissario al momento dell'incontro in Omissis a2 perché E. scese in strada armato di un coltello con lama lunga 18 cm, ponendosi, quindi, nella condizione di colui che, con tale comportamento concludente, accetta una sfida e non agisce con scopo difensivo a3 perché E. poteva darsi alla fuga oppure fermarsi oppure, ancora, limitarsi a usare il coltello a soli fini intimidatori b il difetto del requisito della proporzione tra l'offesa e la difesa a fronte di un'azione di C.R. che, essendo stata compiuta a mani nude, al più avrebbe potuto provocare lesioni, E. reagì utilizzando un'arma micidiale un coltello della lunghezza di 31 cm, con elsa a protezione della mano offensiva, con lama tagliente zigrinata, ad uso militare, della lunghezza di 18 cm e sferrando con essa, nel breve volgere di alcuni secondi, ben undici coltellate dirette verso molteplici organi vitali e con completa penetrazione della lama v. deposizione del consulente tecnico del P.M. G. a pag. 145 della decisione impugnata , causalmente determinanti il decesso della persona offesa si legge a pag. 301 della sentenza di primo grado, per come accertato dal predetto consulente Le lesioni sinergicamente individuabili come rapidamente mortali sono le ferite B , C e J , pressoché simultaneamente hanno determinato la grave emorragia acuta per la perforazione del torace con interessamento dei polmoni bilateralmente e per la lesione vascolare alla radice dell'arto superiore destro, con conseguente rapido sanguinamento e shock ipovolemico-emorragico irreversibile insorto repentinamente . Altrettanto correttamente le Corti capitoline hanno escluso la ravvisabilità della legittima difesa putativa, in difetto di elementi obiettivi capaci di giustificare l'errore incolpevole di E. sulla esistenza di una situazione di pericolo in particolare, sottolineando la contraddizione tra la dichiarata percezione del possesso di un'arma da parte di C.R. e la ammissione di non averla, di fatto, vista pag. 312 della sentenza di primo grado . In assenza dei requisiti della scriminante, reale e putativa, non potevano i giudici territoriali che escludere, nella specie, i presupposti dell'eccesso colposo delineato dall' art. 55 c.p. , essendo, piuttosto, delineabile il superamento doloso degli schemi della scriminante Sez. 1, n. 45425 del 25/10/2005, Rv. 233352 . 9.2.2.1. La Corte di Assise di appello è pervenuta a tali conclusioni dopo aver confutato, in modo esaustivo e coerente sul piano logico, le obiezioni difensive che, a sostegno della tesi della legittima difesa, miravano ad accreditare una ricostruzione dei fatti secondo la quale C.R. si sarebbe improvvisamente avventato contro E., ponendo in essere un tentativo di strangolamento e suscitando, così, la reazione del giovane, il quale, caduto a terra e sovrastato dalla massa corporea del presunto aggressore, gli avrebbe inferto undici coltellate ai due fianchi, passando l'arma dall'una all'altra mano pagg. 154 ss. . La Corte territoriale, dopo aver esaminato le risultanze medico-legali, gli interrogatori degli imputati, la documentazione fotografica e alcune conversazioni intercettate, ha concluso nel senso che E., vedendo sopraggiungere C.R. e trovandoselo di fronte, estrasse subito il coltello dalla felpa e colpì ripetutamente il militare prima all'uno, poi all'altro fianco. Dunque, al momento del ferimento, ad avviso della Corte di merito, i due uomini si trovavano in posizione eretta, affermazione coerentemente fondata sugli esiti delle consulenze medico-legali del Dott. G. incaricato dal P.M. e del Dott. V. consulente della difesa , sulle dichiarazioni rese da N.H. v. i riferimenti a pag. 155 della sentenza impugnata e su alcune considerazioni di carattere logico. A quest'ultimo riguardo, i giudici del gravame hanno osservato a essere inverosimile ritenere che E., sovrastato da un uomo dalla corporatura possente come quella di C.R. alto mt 1,80 e pesante 115 kg , in qualsiasi posizione quest'ultimo si trovasse, avesse conservato la piena libertà motoria di estrarre il coltello dalla tasca anteriore della propria felpa e, riuscendo a divincolarsi, avesse potuto portare a segno svariati colpi prima su un fianco e poi, passando il coltello nell'altra mano, sul fianco opposto b essere inverosimile ritenere che, all'esito di una così copiosa fuoruscita di sangue dal corpo della vittima, in ipotesi dall'alto verso il basso, sugli abiti dell' E. fosse rimasta solamente qualche sparuta traccia ematica , come emerso dalle indagini biologiche, dovendo piuttosto essere intrisi di sangue alle pag. 188-189 della decisione avversata vengono riportati i risultati degli accertamenti eseguiti dal M.llo dei Carabinieri R. del R.I.S. di Roma, secondo i quali erano state rilevate 1 sulla felpa color vinaccia indossata dall'imputato al momento del fatto, tracce di sangue compatibili con il profilo di C.R. ai lati del tascone anteriore e del colletto nonché profili genetici misti C.R.- E. 2 sulle scarpe marca VANS in uso ad E., tracce di sangue riconducibili a C.R. sia sulla destra che sulla sinistra, nonché profili genetici misti C.R.- E., il cui contributore maggioritario è sempre la vittima c che la ricostruzione difensiva mal si attagliava alle stesse parole di E., il quale riferì che C.R., nel corso della prospettata colluttazione in terra, stesse cercando qualcosa , circostanza difficilmente verificabile nel caso in cui il militare si fosse effettivamente trovato fisicamente a contatto o a ridottissima distanza con il corpo dell'imputato, rimanendo, in ipotesi, privo di mobilità, soprattutto delle braccia, nel mentre era peraltro sottoposto alla scarica di fendenti d che il ridottissimo lasso di tempo in cui si era consumata la vicenda un intervallo di 15-22 secondi rendeva ben più realistico ritenere che l'azione aggressiva si fosse compiuta non appena C.R. sopraggiunse di fronte ad E Altrettanto correttamente e con coerenza con le evidenze esaminate, i giudici dell'appello hanno escluso qualsiasi ipotesi di strangolamento , fondata, peraltro, sulle dichiarazioni del solo E., ma decisamente esclusa sia dalle valutazioni medico-legali e dai rilievi fotografici acquisiti, che attestavano come l'imputato, all'esito del confronto con C.R., non mostrasse niente di più di un semplice arrossamento da contatto digitopressione , sia dal contenuto delle conversazioni captate in carcere in occasione del colloquio tra E., il padre e l'amico avv. PETERS Craig in data 2.3.2019, da cui si evince che, ad avviso dei presenti, i lividi presenti sul corpo dell'imputato erano pacificamente riconducibili a momenti diversi dal confronto che determinò la morte del Carabiniere v. pag. 158 della sentenza impugnata . A fronte di una motivazione esaustiva e del tutto immune da vizi logici e giuridici nell'escludere gli estremi della invocata scriminante, i motivi di ricorso si presentano, per lo più, meramente reiterativi di censure già formulate in sede di gravame e puntualmente confutate dalla Corte di merito nei termini sinteticamente riportati, ripercorrendo, punto per punto, e attraverso un'inammissibile vivisezione di fatti e di prove - come ricavabile dalla superiore esposizione in fatto - tutta la vicenda processuale, con approccio fattuale contro-valutativo, esasperatamente atomistico, costellato di censure spesso prive di autosufficienza, e, in una parola, sostanzialmente restio ad un effettivo confronto con la complessiva realtà probatoria, siccome filtrata attraverso la conveniente valutazione operata dai giudici di merito. Ne' può reputarsi in alcun modo fondata la denuncia di travisamento di determinate fonti di prova mossa in ricorso. Giova rammentare, al riguardo, che nel caso, come quello di specie, di cosiddetta doppia conforme , il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un'informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell' art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. e , solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado tra le più recenti, Sez. 3, n. 45537 del 28/9/2022, M., Rv. 283777 . Circostanza, quest'ultima, che non è dato ravvisare nella vicenda in esame, posto che le censure riguardano, nella sostanza, le valutazioni dei consulenti tecnici G. e V., nonché le dichiarazioni rese dai due imputati, ovvero il materiale intercettativo, presi in esame in entrambi i gradi di merito e non introdotti, per la prima volta, come oggetto di valutazione nella sentenza di appello. Si tratta, fra l'altro, di censure che attengono, ancora una volta, per lo più, alle posizioni assunte da E. e C.R. nel corso della colluttazione sempre da valorizzare nell'ottica della legittima difesa , sulla quale i giudici di merito hanno raggiunto un approdo conforme, adeguatamente fondato, come già detto, non solo sul contenuto delle consulenze tecniche G. e V. - che non risultano per nulla travisate dai giudici territoriali, per come appare dai brani riportati in sentenza - ma anche sull'esplicito narrato di N.H. e sulle evidenze della prova generica esigue tracce di sangue rilevate sugli indumenti di E. contenuto di dialoghi intercettati in carcere , nonché su elementi di natura logica, che, complessivamente valutati, non prestano il fianco a critiche, tanto meno a quei rilievi di carattere meramente assertivo, che ascrivono natura congetturale ad argomentazioni che, al contrario, appaiono costruite sulla corretta analisi delle prove esaminate, sulla logica, nonché giustificate dalla compatibilità col senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento. 9.2.3. Infondato è il motivo undicesimo motivo dell'atto firmato dall'avv. BORZONE con cui si denuncia vizio di motivazione in ordine alla esclusione dell'infermità mentale dell'imputato. Come insegnato da Sez. U, ric. Raso, ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i disturbi della personalità , che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di infermità , purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale. Ne consegue che nessun rilievo, ai fini dell'imputabilità, deve essere dato ad altre anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati, nonché agli stati emotivi e passionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di infermità Sez. U, n. 9163 del 25/1/2005, Raso, Rv. 230317 . I giudici di merito si sono pienamente conformati all'enunciato principio. Nella più diffusa motivazione svolta dalla Corte di Assise pagg. 313 ss. , cui quella di secondo grado si è legittimamente richiamata, condividendola in toto, con la tecnica per relationem, si è dato atto delle conclusioni cui sono pervenuti i periti F. e F., i quali, dopo aver sottolineato, in ciò concordando il consulente della difesa, che la storia clinica e l'esperienza di vita di E. non avevano mai evidenziato manifestazioni sintomatiche di scompenso psicotico ovvero deliri o allucinazioni , hanno accertato - previa sottoposizione dell'imputato a visita, test ed esami strumentali - la presenza di un disturbo comportamentale medio-grave che non raggiungeva, tuttavia, un livello di consistenza e intensità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere dell'imputato da ciò conseguiva, a detta dei periti, che tale disturbo diagnostico non aveva avuto alcuna rilevanza eziologica rispetto all'evento-morte del Vice-brigadiere C.R In base alle valutazioni del Collegio peritale, condivise dalla Corte di merito, l'imputato, al momento della commissione del fatto, manteneva inalterata la capacità cognitiva, previsionale e di controllo degli impulsi ed era esattamente consapevole del contesto in cui agiva, tant'e' che ai periti egli fin dall'immediatezza riferì che se avesse capito che si trattava di un tutore delle forze dell'ordine avrebbe agito diversamente. Riconosciuti la completezza e il rigore dell'indagine eseguita e la validità dell'analisi scientifica, accreditata dalla prevalente letteratura in materia, la Corte di Assise, aderendo integralmente alla impostazione dei periti, ha spiegato le ragioni per cui non ha ritenuto convincente l'elaborato del consulente della difesa prof. S In primo luogo, confutando la critica del consulente di parte, secondo la quale i periti avrebbero omesso di considerare il quadro di comorbilità del paziente, affetto da quattro patologie di rilevanza psichiatrica disturbo borderline di personalità, disturbo post traumatico da stress, abuso cronico di sostanze stupefacenti e sindrome depressiva. A tale riguardo, i giudici di primo grado hanno rilevato che l'elaborato peritale aveva tenuto conto di tutti gli aspetti e delle manifestazioni di rilevanza psichiatrica. In riferimento, ad esempio, al prospettato abuso cronico di stupefacenti, la Corte territoriale ha dato atto che la perizia e l'anamnesi dell'imputato non consentivano di ravvisare uno stato di cronica intossicazione, neppure ai fini del riconoscimento del vizio parziale di mente, osservando che l'abuso di sostanze, in particolare marijuana, aveva determinato in E. uno stato rilevante di iperemesi che non aveva mai influito sulla sua capacità di intendere e di volere. Inoltre, i dati della RMN cerebrale non avevano evidenziato alterazioni significative del tessuto cerebrale, né risultavano in anamnesi episodi di perdita di coscienza prolungata per cause traumatiche o tossiche, o episodi cerebro vascolari o altre possibili patologie neurologiche determinate dall'abuso di sostanze, dovendo, dunque, escludersi la presenza di compromissione a carattere neurologico del sistema nervoso centrale. La Corte di Assise, sottolineato il carattere controverso in letteratura del corto circuito prospettato dal consulente S. con esclusivo riferimento al momento del delitto, preceduto e seguito da uno stato di piena capacità di intendere e di volere dell'imputato, ha dato anche atto, a proposito della esplicitata volontà di E. di poter agire diversamente ove avesse compreso di essersi trovato di fronte a un Carabiniere - volontà sintomatica di una capacità di autodeterminarsi - della risposta fornita dal consulente di parte alla precisa domanda formulata in dibattimento dal P.M. In particolare, il prof. S. rispondeva osservando che l'esame del periziando era avvenuto a circa un anno dalla vicenda delittuosa, che era la prima volta dopo sette-otto anni che E. non assumeva droghe, che non soffriva più gli effetti di un abuso prolungato di sostanze ed era la prima volta nella vita che assumeva, in modo continuativo, una terapia stabilizzante adeguata quindi, verosimilmente, le sue capacità analitiche e di giudizio erano profondamente cambiate rispetto ad un anno prima. Sul punto, la Corte di primo grado ha rilevato che il consulente della difesa aveva omesso di ricordare che la stessa frase E. l'aveva già pronunciata sin dal suo primo interrogatorio reso ai Pubblici ministeri nell'immediatezza dei fatti, dato probatorio indiscutibile che andava ad inficiare in modo evidente le conclusioni rassegnate dal suddetto specialista. La stessa Corte ha svolto conclusive considerazioni sulla piena imputabilità di E., valorizzando l'organizzazione e la pianificazione che avevano preceduto, accompagnato e seguito l'evento omicidiario v. per i riferimenti pag. 3 16 della sentenza di primo grado . L'approdo cui è pervenuta la Corte di Assise nel condividere le conclusioni del Collegio peritale si rivela, in definitiva, del tutto conforme all'insegnamento di questa Corte, secondo cui costituisce giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità, la scelta operata dal giudice, tra le diverse tesi prospettate dal perito e dai consulenti delle parti, di quella che ritiene maggiormente condivisibile, purché la sentenza dia conto, con motivazione accurata e approfondita, delle ragioni di tale scelta, del contenuto dell'opinione disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti Sez. 5, n. 43845 del 14/10/2022, Figliano, Rv. 283087 . La sentenza di primo grado soddisfa, per quanto prima esposto, le richieste condizioni e, proprio per il carattere esaustivo della sua motivazione, ha indotto i giudici del gravame ad aderire integralmente ad essa. I motivi di appello, nella sostanza, ricalcavano profili già prospettati e adeguatamente affrontati dai primi giudici, sicché non è rimproveratile, in sede di legittimità, una pretesa carenza motivazionale alla Corte di secondo grado, proprio perché il terreno della imputabilità era già stato completamente arato dalla Corte di Assise vedi, ad esempio, la riproposta censura sulla omessa considerazione, da parte della suddetta Corte, della c.d. diagnosi multipla formulata dal consulente S., viceversa valutata dai giudici capitolini nei termini prima riferiti vedi, anche, la circostanza dell'essere stata eseguita la perizia a un anno dal fatto, non omessa, ma considerata nel corpo motivazionale della prima sentenza . Le ulteriori censure sul tema della perizia restano sul piano fattuale e, pertanto, non trovano cittadinanza nella presente sede di legittimità. Manifestamente infondata, infine, è la doglianza circa la mancata rinnovazione istruttoria a proposito del rigetto della richiesta di effettuare una nuova risonanza magnetica funzionale. Sul punto, la Corte di Assise di appello non si è affatto trincerata dietro una mera clausola di stile , come prospettato dalla difesa, ma ha adeguatamente fondato la sua decisione reiettiva sulla completezza degli accertamenti svolti, sull'elevato numero di udienze dedicate all'istruttoria in primo grado, sul robusto contraddittorio instaurato anche nel giudizio di appello e, infine, sul difetto di elementi scientifici addotti a giustificazione della richiesta di integrazione della perizia. 9.2.4. Inammissibile, poiché reiterativo di quello proposto in appello, è il motivo con cui si contesta la sussistenza del reato, ascritto ad E. in concorso con N.H., di lesioni personali in danno di V. di cui al capo 4 consistite in dorso lombalgia post traumatica con prognosi di 6 giorni . La Corte territoriale ha adeguatamente confutato il rilievo difensivo prospettante il dubbio sull'effettività delle lesioni a motivo del fatto che V., pochi giorni dopo gli eventi, avrebbe partecipato a un incontro di padel, osservando, in modo non illogico in relazione al carattere evidentemente lieve delle lesioni prognosi di 6 soli giorni , che tale circostanza doveva considerarsi ininfluente ai fini dell'integrazione del reato. 9.2.5. Infondato è il motivo con cui si contesta la motivazione addotta a supporto del giudizio di comparazione delle circostanze espresso in termini di equivalenza, anziché di prevalenza. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto Sez. U, n. 10713 del 25/2/2010, Contaldo, Rv. 245931 . Tanto è avvenuto nel caso di specie, in cui la Corte di Assise di appello, nel pervenire ad un trattamento sanzionatorio più favorevole agli imputati tramite il riconoscimento delle attenuanti generiche, viceversa negate dal primo giudice, ha ritenuto di formulare un giudizio di comparazione con le aggravanti in termini di equivalenza, complessivamente fondato, in modo non manifestamente illogico, sulla estrema gravità del fatto omicidiario, connotato da aspetti altamente riprovevoli anche sul piano sociale, sulla colpevole leggerezza palesata da ciascun imputato nell'occorso e su un percorso di resipiscenza solo avviato e non pienamente consolidato. Il ricorso di E., in conclusione, accolto parzialmente nei termini prima specificati, deve essere, nel resto, rigettato, perché, nel complesso, infondato. 9.3. Il ricorso di N.H. va accolto limitatamente al concorso nel delitto di omicidio di cui al capo 2 . 9.3.1. Occorre premettere alcune coordinate ermeneutiche in tema di concorso di persone nel reato. Va ricordato, in primo luogo, l'insegnamento delle Sezioni Unite, secondo il quale la circostanza che il contributo causale del concorrente morale possa manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa istigazione o determinazione all'esecuzione del delitto, agevolazione alla sua preparazione o consumazione, rafforzamento del proposito criminoso di altro concorrente, mera adesione o autorizzazione o approvazione per rimuovere ogni ostacolo alla realizzazione di esso non esime il giudice di merito dall'obbligo di motivare sulla prova dell'esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti, non potendosi confondere l'atipicità della condotta criminosa concorsuale, pur prevista dall' art. 110 c.p. , con l'indifferenza probatoria circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realtà Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, P.G., Andreotti ed altro, Rv. 226101 . Il principio, ora ricordato, è suscettibile di essere applicato a qualsiasi forma di manifestazione del concorso di persone nel reato dunque, non soltanto al concorso morale, ma anche a quello materiale Sez. 4, n. 1236 del 16/11/2017, dep. 2018, Raduano, Rv. 271755 . Ed invero è dato di comune esperienza che, nel concorso, soltanto gli esecutori materiali pongono in essere una azione criminosa conforme a quella prevista dalla fattispecie incriminatrice di parte speciale, mentre gli altri correi realizzano condotte atipiche, che valutate isolatamente e, quindi, a prescindere dal contesto nel quale si collocano , potrebbero anche risultare non illecite ciò in quanto le norme di parte speciale del codice sono costruite con riferimento alla commissione monosoggettiva del reato. All'affermazione della penale responsabilità dei concorrenti, che non abbiano compiuto alcuna azione tipica, si perviene, ricorrendone i presupposti applicativi, mediante le norme di parte generale sul concorso di persone, norme che, fondendosi con quelle di parte speciale, comportano una estensione della tipicità, consentendo così di punire anche azioni atipiche. Il problema di stabilire quando l'attività concorsuale di partecipazione diviene penalmente rilevante è stato quindi risolto nel nostro sistema penale alla luce del generale principio della pari responsabilità dei concorrenti qualunque condotta che abbia apportato un qualunque contributo alla realizzazione al fatto reato integra una partecipazione penalmente rilevante. Così come qualunque condizione, senza la quale un determinato evento non si sarebbe verificato, è causa dello stesso, così qualunque condotta, senza la quale quel determinato reato, con le sue concrete modalità, non sarebbe venuto in essere, è causa di esso ed e', quindi, penalmente rilevante . La clausola di riserva contenuta alla fine dell' art. 110 c.p. salve le disposizioni degli articoli seguenti e la previsione della minima partecipazione quale attenuante speciale art. 114 c.p. , comma 1 stanno per l'appunto a significare che, fermo restando che chiunque abbia apportato un sia pure minimo contributo causale deve rispondere del reato, comunque allo stesso può essere applicata una pena inferiore rispetto agli altri correi quando il suo apporto si sia rivelato del tutto secondario. In altri termini il ruolo effettivamente svolto da ciascun concorrente, sempre che abbia avuto un apporto causale, rileva esclusivamente ai fini della graduazione della responsabilità e non già della sua affermazione . Sempre il Massimo consesso ha affermato che la volontà di concorrere non presuppone necessariamente un previo accordo o, comunque, la reciproca consapevolezza del concorso altrui, essendo sufficiente che la coscienza del contributo fornito all'altrui condotta esista unilateralmente, con la conseguenza che essa può indifferentemente manifestarsi o come previo concerto o come intesa istantanea ovvero come semplice adesione all'opera di un altro che rimane ignaro Sez. U, n. 31 del 22/11/2000, dep. 2001, Sormani, Rv. 218525 . Va, inoltre, considerato che, in tema di concorso di persone nel reato, la configurabilità del concorso cosiddetto anomalo di cui all' art. 116 c.p. è soggetta a due limiti negativi e cioè che l'evento diverso non sia voluto neppure sotto il profilo del dolo alternativo o eventuale e che l'evento più grave, concretamente realizzato, non sia conseguenza di fattori eccezionali, sopravvenuti, meramente occasionali e non ricollegabili eziologicamente alla condotta criminosa di base Sez. 1, n. 44579 dell'11/9/2018, B., Rv. 273977 . La responsabilità del concorrente, quali che siano il suo grado di partecipazione e il suo ruolo, trova fondamento nel necessario affidamento sulla condotta e sulla volontà dei compartecipi, che gli impone di non sottovalutare il pericolo che taluno di essi, deviando dall'azione esecutiva concordata per fronteggiare eventuali difficoltà improvvisamente sopravvenute, possa realizzare un reato diverso da quello inizialmente previsto Sez. 1, n. 11495 del 12/10/2022, dep. 2023, Mustafa, Rv. 284246 Sez. 1, n. 10795 del 25/6/1999, Gusinu ed altri, Rv. 214113 . Il soggetto che non ha voluto il reato diverso risponde, quindi, di un reato doloso sulla base di un atteggiamento colposo, consistente nell'essersi affidato, per realizzare l'altra condotta concorsualmente prevista con dolo, anche all'attività altrui, la quale come tale non è finalisticamente controllabile Sez. 6, n. 17502 del 13/12/2017, dep. 2018, Larosa ed altro, Rv. 272893 . Più precisamente, ai fini dell'affermazione della responsabilità per il reato diverso commesso dal compartecipe, è necessaria la verifica della sussistenza di un nesso, non solo causale ma anche psicologico, tra la condotta del soggetto che ha voluto soltanto il reato meno grave e l'evento diverso, nel senso che quest'ultimo deve essere oggetto di possibile rappresentazione in quanto logico sviluppo, secondo l'ordinario svolgersi e concatenarsi dei fatti umani, fermo restando che la prognosi postuma sulla prevedibilità del diverso reato commesso dal concorrente va effettuata in concreto, valutando la personalità dell'imputato e le circostanze ambientali nelle quali l'azione si è svolta Sez. 5, n. 34036 del 18/6/2013, P.G., P.C., in proc. Malgeri ed altri, Rv. 257251 . 9.3.1.1. Per completezza, sembra opportuno ricordare che il contributo concorsuale nel reato non può confondersi con le ipotesi di favoreggiamento reale o personale , le quali, per loro natura, sono successive alla consumazione del reato presupposto, che è perfetto in tutti i suoi elementi nel momento in cui ha inizio l'attività diretta ad eludere le investigazioni oppure ad assicurare il profitto del reato e, comunque, le attività indicate dagli artt. 378 e 379 c.p. Sez. 6, n. 9912 del 26/5/1988, D'Andria, Rv. 179371 . In forza dell'espressa clausola fuori dei casi di concorso , contenuta negli articoli citati, le ipotesi delittuose di favoreggiamento personale, in tanto ricorrono, quindi, in quanto il soggetto agente non sia stato coinvolto nel reato presupposto né oggettivamente, mediante un apporto materiale alla sua consumazione, né soggettivamente, attraverso la manifestazione, antecedente all'esecuzione del reato, di disponibilità a fornire all'autore, in caso di necessità, un rilevante aiuto, così da rafforzarne la determinazione a delinquere Sez. 1, n. 33450 del 26/06/2001 Capasso Rv. 219892 . Nella realtà esperienziale, registrata dalla casistica giudiziaria, accade che talune circostanze del fatto possano essere indicative sia di una partecipazione dell'imputato all'attività criminosa realizzata da altri, sia del solo compimento a favore dell'autore del crimine di atti di collaborazione successivi alla commissione del reato Sez. 1, n. 6842 del 21/4/1988, Maesano, Rv. 178566 . Spetta, naturalmente, al giudice di merito stabilire, alla luce della complessiva valutazione del compendio probatorio acquisito, quale sia il significato assunto, di volta in volta, nel caso di specie, da quelle circostanze suscettibili di non univoca lettura, tenuto conto che non può costituire un post factum rispetto alla commissione del reato la condotta che influisce sull'evento costitutivo dello stesso. 9.3.2. Tanto premesso, ritiene il Collegio che, nell'affrontare il tema del concorso di N.H. nel delitto di omicidio pluriaggravato materialmente commesso da E., la Corte di Assise di appello di Roma non abbia effettuato corretta applicazione degli enunciati principi, incorrendo, inoltre, in talune insuperabili incongruenze motivazionali - messe lucidamente in rilievo dalla difesa - che hanno irrimediabilmente inficiato il percorso giustificativo seguito per addivenire alla confermata affermazione della responsabilità penale del ricorrente. La Corte di merito ha delineato la partecipazione di N.H. al delitto sia sul piano morale che materiale, formando due distinti elenchi in cui vengono annoverati elementi e circostanze che dimostrerebbero le due tipologie di concorso. E' già singolare, sul piano della nitidezza concettuale, che gli stessi elementi, in tesi, comprovanti il concorso materiale vengano ripetuti salvo uno nell'elenco includente gli indicatori del concorso morale, dal momento che, se è vero che l'accusa di partecipazione materiale al reato necessariamente implica, per continenza, la contestazione di un concorso morale, non è vero l'inverso. Ad ogni modo, già l'analisi del primo indicatore, contenuto in entrambe le liste, consente di mettere a nudo una seria criticità motivazionale. a L'essere stato il N. gestore dell'organizzazione dell'incontro, conducendo le trattative e il sopralluogo, e generalmente assumendo l'iniziativa pag. 272 sent. a proposito del concorso materiale svolgendo in particolare un'azione di impulso, nei confronti dell'amico, ai fini della loro presentazione alla riunione concordata pag. 273 a proposito del concorso morale . L'affermazione della sentenza secondo la quale già l'antefatto di Omissis sarebbe stato sintomatico di una piena condivisione tra i due imputati del percorso criminoso viene censurata come apodittica dalla difesa, in quanto ciò avrebbe postulato una sostanziale identità ontologica fra i fatti relativi all'acquisto di cocaina, quelli afferenti alla tentata estorsione, e la successiva condotta posta in essere da E., e configurato una sorta di coessenzialità radicalmente contrastante con la formulazione stessa delle due diverse imputazioni. In altre parole, la Corte di Assise di appello sarebbe incorsa in una pericolosa confusione nel sovrapporre la responsabilità per la tentata estorsione a quella per l'omicidio, evento ben diverso, successivo e imprevedibile posto in essere da E La doglianza è fondata. La Corte di merito e', in effetti, incorsa in un deprecabile e manifestamente illogico automatismo , facendo discendere, con un preteso nesso di derivazione logico-cronologica, dalle azioni pacificamente condotte da N.H. al fine di rientrare in possesso degli 80,00 Euro oggetto della truffa trasteverina e di ricevere una dose di cocaina dietro la restituzione dello zaino sottratto a B., la sua corresponsabilità non solo in relazione all'occasione dell'incontro con il suddetto intermediario necessario per il perfezionamento dell'estorsione il che è perfettamente giustificabile sul piano logico , ma anche in relazione all'evento-morte verificatosi in uno scenario tutt'affatto diverso da quello programmato essendosi, come noto, presentati all'incontro, in luogo di B., i due Carabinieri V. e C.R., che verrà ucciso . Per legare l'antefatto all'evento, tuttavia, la Corte territoriale avrebbe dovuto compiere alcuni, indispensabili, passaggi logici, chiedendosi a se il progetto omicidiario fosse già contemplato sin da quando maturò l'idea, comune agli imputati, dell'estorsione a seguito della c.d. sola di Omissis e da quali elementi di prova ciò risultasse B se il progetto, viceversa, fosse insorto in un secondo tempo, e, in particolare, in quale momento, se fosse comune a entrambi o no, se, in quest'ultimo caso, N.H. fosse consapevole e appoggiasse il progetto di E., e da quali elementi di prova ciò risultasse c se, diversamente, N.H. avesse potuto prevedere, in base alle circostanze del caso concreto, già al momento dell'antefatto, che, rispetto all'evento delittuoso voluto estorsione, poi rimasta allo stadio del tentativo , si sarebbe verificato un evento delittuoso più grave come l'omicidio, materialmente commesso dal coimputato in tal caso dovendosi valutare una responsabilità di N.H. ai sensi dell' art. 116 c.p. d se, viceversa, tale evento diverso più grave non fosse in alcun modo prevedibile al momento dell'antefatto. Si tratta di passaggi che non appaiono compiuti dalla Corte capitolina o che, comunque, risultano effettuati in modo incompleto e incongruo, sicché non può essere giustificata, sul piano della logica, la valutazione della condotta di N.H. finalizzata all'estorsione alla stregua di elemento sintomatico del suo concorso in omicidio. b L'avere il N. omesso finanche di tentare di evitare che l'amico si recasse armato all'incontro, come da lui ben conosciuto, e pur essendo consapevole della sua risalente precaria condizione psichica, ed anzi accettandolo nell'ambito di una suddivisione dei ruoli pagg. 272-273 . La difesa ha buon gioco nel cogliere, nella riportata argomentazione, una flagrante intrinseca contraddizione. Se, infatti, da un lato, si postula un accordo originario tra i due imputati, addirittura caratterizzato da una suddivisione dei ruoli quello organizzativo di N.H. e quello di soggetto deputato alla difesa armata della incolumità di entrambi, svolto da E. v. pag. 277 , non si vede come, dall'altro, e allo stesso tempo, possa logicamente contestarsi a N.H. di non aver impedito all'amico di recarsi all'incontro armato, contestazione, quest'ultima, all'evidenza antitetica e incompatibile con un accordo originario. Inoltre, l'affermazione soprariportata soffre di una carenza motivazionale e, al contempo, denota un travisamento probatorio, laddove non dà ragione della ritenuta consapevolezza, in capo a N.H., della risalente precaria condizione psichica del coimputato ed invero, la prova dichiarativa fornita dal processo al riguardo, costituita dal narrato degli imputati pag. 242 della sentenza di primo grado per E. pag. 94 della trascrizione del verbale di udienza del 3.2.2021 per N.H., all. 5 al ricorso e dei genitori dell'italo-americano v. esami di H.H. e di N.F., rispettivamente all. 15 e all. 16 al ricorso restituisce, come puntualmente dedotto dalla difesa, un rapporto di amicizia tra i due accusati di carattere superficiale, caratterizzato, nell'anno precedente i fatti, solo da qualche incontro, occasionato, fra l'altro, dal legame di amicizia nel frattempo instauratosi fra le rispettive fidanzate. c L'avere N.H. attivamente impedito, portando avanti la colluttazione a dispetto dell'avvenuta qualificazione del V . che il collega intervenisse a sostegno del Vicebrigadiere, attinto dai fendenti ad opera dell' E. pag. 273 sent. . Tale affermazione, involgente il rilevante tema della consapevolezza dell'altrui condotta lesiva, quale fondamento del contributo concorsuale, è il frutto di un non lineare percorso argomentativo. La stessa Corte territoriale, nel ricostruire l'occorso, parla di una dinamica che, al momento dell'incontro dei due giovani con i Carabinieri, si bipartisce il N. tenta di fuggire, inseguito dal V., mentre E., rimasto immobile sul posto, viene subito raggiunto dal C.R Il V., nel tentativo di bloccare il N., ingaggia con questo una colluttazione in terra non particolarmente violenta, rotolandosi sul marciapiede, mentre il carabiniere tenta di bloccare la fuga del giovane pag. 92 sent. . Concetto, quello della difformità delle condotte, che la Corte di merito ribadisce a pag. 93, affermando che si tratta di due dinamiche diverse e separate il V. e il N. impegnati in una scazzottata in terra, il primo intento a fermare il secondo che tenta di scappare il C.R. e l' E., invece, non avviano nemmeno la colluttazione, atteso che, nel giro di pochissimi secondi 15-22 secc. , il Vicebrigadiere riceve, senza poterlo minimamente immaginare, undici fendenti micidiali , Ancora, i Giudici dell'appello sottolineano come, a causa della distanza intercorrente fra le due coppie e delle specifiche dinamiche dei fatti, non vi fosse stata la possibilità per gli uni di percepire cosa stesse capitando agli altri pag. 124 si tratta di un'affermazione che contrasta vistosamente con la conclusione raggiunta circa la consapevolezza, in capo a N.H., dell'azione aggressiva e letale posta in essere da E., contrasto che non può non riflettersi sulla tenuta della motivazione circa il consapevole e volontario contributo apportato dal primo all'azione materiale eseguita dal secondo. A questo proposito, deve, anche, stigmatizzarsi il mancato confronto della sentenza con le dichiarazioni rese dal Carabiniere V. a proposito della condotta tenuta da N.H. in quei brevissimi frangenti travisamento per omissione . Nel corso dell'esame dibattimentale condotto, nel giudizio di primo grado, dal P.M. all'udienza del 15.7.2020, V. aveva risposto, sulle fasi della colluttazione con l'imputato, dicendo, per quel che qui rileva siamo andati per terra, ci siamo cominciati a rotolare sul marciapiede, però diciamo che non c'e' stata chissà quale scazzottata Ci siamo rotolati un po' goffamente per terra, fino a che appunto non ho sentito che dall'altra parte, però sentivo, non vedevo, sentivo solamente, sentivo dall'altra parte che M. diceva, urlava in maniera proprio provata, in maniera proprio strana, non da lui, fermati, basta, Carabinieri, fermati . Alla seguente domanda del P.M. se fosse potuto andare in aiuto di C.R. in quel momento, V. aveva risposto In quel momento proprio no, l'ho lasciato riferito a N.H., n. d.e. , l'ho lasciato perché per l'appunto ero ormai in una posizione sfavorevole rispetto alla colluttazione che avevo, ero con le spalle per terra, quindi siccome avevo capito che la volontà alla fine era quella di scappare la sua, non è che mi voleva fare chissà che cosa, voleva solo scappare, l'ho lasciato andare pag. 21 della trascrizione dell'esame di V. all'udienza del 15.7.2020 davanti alla Corte di Assise, all. 2 al ricorso pag. 135 sentenza di primo grado . L'intenzione di portare avanti la colluttazione per impedire a V. di accorrere in aiuto del collega, attribuita dalla Corte di Assise di appello a N.H. nella sua valenza di elemento comprovante il concorso in omicidio, avrebbe dovuto essere, all'evidenza, messa a confronto con la testimonianza di V., dalla quale parrebbe emergere una volontà diametralmente opposta dell'imputato, ossia quella di sottrarsi al controllo e fuggire, in coincidenza, tra l'altro, con la versione fornita dall'imputato medesimo. L'omesso confronto con una fonte di prova dichiarativa così rilevante, in quanto costituita dall'unico teste oculare, oltretutto giudicato dalla stessa Corte di merito complessivamente attendibile, inficia l'affermazione sub c in commento, così come la inficiano le lacune e le contraddizioni prima rilevate, con il risultato di indebolire ulteriormente la tenuta logica della motivazione. In aggiunta, sempre sulla condotta assunta da N.H. nel corso della colluttazione con V., non può non essere rilevata una lampante contraddizione fra la suddetta affermazione sub c , che ricalca l'analoga precedente proposizione di pag. 269 Ne' si può dire che il N. abbia anche solo accennato a sottrarsi allo scontro con il V. al momento della sua qualificazione come Carabiniere, che pure aveva ben compreso, al contrario perseguendo nel proprio intento di portare avanti la colluttazione , e quanto descritto a pag. 124, in cui si dice che al momento dell'incontro ravvicinato, il N. tenta subito di fuggire, salvo essere bloccato nell'azione del V. e che dopo essere entrambi caduti in terra, il giovane tenta di divincolarsi per proseguire la fuga , ricostruzione che sembrerebbe recepire quella di V., ancorché la Corte di merito non indichi la fonte del suo convincimento. La giustapposizione di due affermazioni antinomiche, aventi ad oggetto la descrizione di due condotte situate agli antipodi l'imputato tenta subito di fuggire/l'imputato non accenna a sottrarsi allo scontro, perseguendo nel proprio intento di portare avanti la colluttazione , generando una inevitabile incertezza sulla stessa ricostruzione del fatto, non può permettere di addivenire a una valutazione conclusiva dell'interprete, che, non avvedutosi della contraddizione, o, comunque, non avendola sciolta, decida di optare , fra le due ricostruzioni in contrasto, per quella funzionale all'ipotesi accusatoria, poiché si tratta di un procedimento inferenziale del tutto arbitrario, che non può fondare un'affermazione di penale responsabilità al di là di ogni ragionevole dubbio. Le fragilità motivazionali evidenziate non possono non riflettersi sulle ultime due circostanze valorizzate dalla Corte capitolina in funzione del concorso materiale di N.H., ossia l'aver omesso di prestare soccorso alla vittima d e l'aver pulito e occultato l'arma del delitto nella camera d'albergo e trattasi, infatti, di circostanze che, oltre ad appartenere al post factum e, dunque, non influenti sull'integrazione dell'evento del reato , sono suscettibili di plurime e alternative letture ove singolarmente considerate, sicché, in un corpo motivazionale costellato di criticità, non possono presentare autonoma forza probante capace di neutralizzare le criticità medesime. Quanto agli indicatori del concorso morale, elencati alle pagg. 273 e 274, rilevato che alcuni di essi coincidono con i corrispondenti indicatori del concorso materiale come il ruolo di organizzatore e l'omesso soccorso , sicché, rispetto ad essi, si richiamano le considerazioni svolte in precedenza, viene contestato all'imputato di aver messo a disposizione del complessivo progetto criminoso la propria conoscenza della lingua italiana, quasi nulla per l' E Tale affermazione va valutata criticamente negli stessi termini di manifesta illogicità con i quali si è censurata l'affermazione circa il contestato ruolo, in capo a N.H., di organizzatore della complessiva vicenda criminosa, allorché si è stigmatizzata la confusa sovrapposizione delle dinamiche dei due distinti delitti di cui ai capi 1 e 2 , posto che l'utilizzo della lingua italiana, per come rivelato dalle evidenze, è servito essenzialmente per l'attuazione del progetto estorsivo. Sotto il profilo del concorso morale viene, infine, imputato all'italo-americano di essersi coerentemente recato alla riunione insieme all' E., ben consapevole che questi fosse munito di coltello, e anzi ragionevolmente sentendosi tranquillo a seguito del porto dell'arma del sodale, senza minimamente tentare di indurlo a c'esistere dal recarsi armato allo scambio, e nell'ambito di una suddivisione di ruoli pag. 274 . Si è già detto, a proposito del parzialmente corrispondente indicatore di concorso materiale vedi sopra , del profilo di contraddittorietà che inficia il rimprovero di mancata dissuasione nell'ambito di un progetto delittuoso asseritamente condiviso e addirittura connotato da suddivisione dei ruoli. Ora preme focalizzare l'attenzione sulla contestata consapevolezza, da parte di N.H., del fatto che l' E. si stesse recando all'incontro concordato armato di coltello assolutamente letale . Il virgolettato è riportato a pag. 278, laddove si valorizzano, anche a proposito della dimostrazione del dolo diretto in capo all'imputato, sostanzialmente gli stessi elementi/circostanze figuranti nei due elenchi relativi al concorso materiale e morale. Sulla circostanza della consapevolezza in capo a N.H. del porto di coltello da parte del coimputato vi è assoluta concordanza tra i giudici dei due gradi merito. La motivazione sul punto, più diffusamente argomentata dalla Corte di Assise, non può definirsi manifestamente illogica, essendo fondata a sul fatto che il coltello fosse stato mostrato già il giorno prima all'amico da E. b sulla considerazione delle esigue dimensioni della camera d'albergo, dov'erano collocati anche degli specchi, il che rendeva inverosimile che, in un breve arco di tempo di qualche minuto, N.H. non avesse visto E. armarsi c sulla impossibilità di nascondere, rendendolo invisibile, all'interno del tascone anteriore della felpa indossata, un coltello lungo complessivamente 31 cm, inserito in un fodero di pelle che ne ampliava il volume e ciò sia in ascensore, cioè in uno spazio ristretto e ben illuminato, sia, successivamente, in via Omissis , dove i due giovani rimasero sul marciapiede diversi minuti, in un punto illuminato da insegne sovrastanti, con E. che teneva costantemente e inspiegabilmente, vista l'elevata temperatura estiva, le mani nel tascone della felpa. Le argomentazioni dei giudici di merito, scevre da vizi di manifesta illogicità e contenute nei limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento, non vengono scalfite dalle censure difensive, che, per quanto puntuali ed efficacemente sviluppate, non possono essere consentite in sede di legittimità, poiché di natura essenzialmente rivalutativa. Quanto rilevato, ad avviso del Collegio, non è comunque sufficiente per ravvisare il consapevole concorso del ricorrente nella condotta omicidiaria del coimputato in assenza di altri elementi di fatto che avvalorino l'ipotesi accusatoria. Tornando al tema dell'elemento soggettivo, la Corte di Assise di appello ha ravvisato in capo ai due imputati il dolo diretto, osservando che si è trattato, per entrambi, della rappresentazione della realizzazione dell'evento morte del C.R. come certa o probabile ai limiti della certezza . Trascura la Corte di merito che, sul piano dogmatico, il dolo non è solo rappresentazione, ma anche volontà del fatto tipico e che, conseguentemente, il dolo diretto è la forma di dolo rappresentata dalla cosciente volontà di porre in essere una condotta idonea a provocare, con certezza o alto grado di probabilità in base alle regole di comune esperienza, la morte della persona verso cui la condotta stessa si dirige, non occorrendo, invece, la specifica finalità di uccidere, e quindi il dolo intenzionale inteso quale perseguimento dell'evento come scopo finale dell'azione Sez. 5, n. 23618 dell'11/4/2016, Ganapini, Rv. 266915 . Nella vicenda in esame, viene in considerazione il dolo di concorso, che, nel rispetto dei principi generali, va adattato alla peculiarità della fattispecie concorsuale. Circa l'oggetto, pertanto, il dolo di concorso è coscienza e volontà del fatto tipico plurisoggettivo, il che implica la coscienza e volontà di realizzare un fatto di reato la consapevolezza delle condotte che gli altri concorrenti hanno esplicato, esplicano o esplicheranno la coscienza e volontà di contribuire con la propria condotta, assieme alle altre, al verificarsi del reato stesso. Nella sentenza impugnata, oltre alla mancata descrizione della componente volontaristica del dolo di concorso, viene introdotta una considerazione che inficia di perplessità logica il costrutto argomentativo. Si dice, infatti, in relazione all'elemento psicologico di N.H., che pur qualora si volesse piuttosto inquadrare l'atteggiamento soggettivo del N. nelle più ampie maglie del dolo eventuale, la determinazione della pena non potrebbe ulteriormente essere rivista favorevolmente pag. 275 . Da un lato, quindi, la Corte di merito, dopo aver affermato la sussistenza, in capo agli imputati, del dolo diretto, formula, per N.H., l'ipotesi alternativa evidentemente giudicata plausibile del dolo eventuale, dall'altro, si arresta allo stadio embrionale della mera formulazione dell'ipotesi, trascurando, tuttavia, di esplicitare le ragioni per le quali l'ipotesi medesima si sarebbe dovuta scartare. La Corte di merito torna, peraltro, subito sui suoi passi, ribadendo, al fine di escludere la ravvisabilità del concorso anomalo pagg. 276 ss. , che il dolo diretto in capo a N.H. doveva considerarsi pienamente provato dagli stessi indicatori valorizzati a sostegno del contestato concorso materiale e morale ruolo organizzativo, ribadito almeno tre volte messa al servizio del progetto criminoso della conoscenza della lingua italiana consapevolezza del porto del coltello omesso soccorso pulizia e occultamento del coltello , cui si aggiungono la pronuncia della frase it's enough rivolta all' E. e la piena conoscenza, ex ante e da molti anni della precaria condizione psichica dell' E., che sapeva peraltro sottoposto a terapie farmacologiche nel tentativo di sedarne gli impulsi, talvolta anomali . Si tornano, quindi, a richiamare, anche su tale argomento, i rilievi critici, formulati sia sul piano motivazionale che su quello del travisamento delle prove, circa la concludenza, rispetto alla prova di responsabilità del concorso in omicidio di N.H., degli indicatori già analizzati in precedenza e delle circostanze riconducibili al post factum, tra le quali va annoverata anche la frase it's enough , suscettibile, come le altre, di non univoca lettura, se singolarmente considerata. Quanto alla ritenuta conoscenza, da parte di N.H., della precaria condizione psichica di E., si è già detto che si tratta di affermazione decisamente contrastata dalle dichiarazioni rese dagli stessi imputati e dai genitori di G Oltretutto, non si avvede la Corte territoriale che, nel descrivere come talvolta anomali gli impulsi di E., introduce un ulteriore elemento di dissonanza circa la prevedibilità, da parte del coimputato, di un'azione di selvaggia violenza come quella perpetrata, la notte dei fatti, dall'esecutore materiale del delitto. Si è detto che la consapevolezza, in capo a G., del porto di coltello da parte dell'amico al momento dell'incontro con i due uomini che si rivelarono essere Carabinieri è stata convenientemente motivata. Tuttavia, tale acquisizione probatoria non è sufficiente, come parrebbero ritenere i giudici di secondo grado con una sorta di inammissibile automatismo, a ravvisare, a carico di N.H., il dolo di concorso, nella sua specifica declinazione della consapevolezza della condotta che l'altro concorrente avrebbe esplicato. Dovendosi rilevare, in base alle già esposte considerazioni, che sussistono, nella sentenza impugnata, molteplici incongruenze motivazionali ostative a giustificare, in modo logico, l'esistenza di un previo concerto tra i due giovani diretto all'omicidio, ci si sarebbe attesi dalla Corte territoriale un più approfondito scandaglio dell'elemento psicologico in capo a N.H., atteso che il percorso argomentativo seguito dai giudici di merito manca dell'analisi delle diverse situazioni che sarebbero potute scaturire dal possesso di coltello da parte di E. e delle diverse proiezioni psicologiche che avrebbero potuto animare il coimputato. In altre, più semplici, parole, visto che, nel programmato incontro con B. perché quello era il soggetto che gli americani avrebbero dovuto incontrare , il coltello in questione avrebbe potuto a non essere usato affatto b essere usato solo esibendolo a scopo di minaccia c usato al solo fine di ledere d usato per uccidere, la Corte avrebbe dovuto valutare tutti i possibili epiloghi, chiedendosi se N.H. a1 avesse consapevolmente e volontariamente accettato l'evento morte di C.R. dolo diretto , escludendo l'utilizzo del coltello a fini di minaccia o di lesioni b1 avesse accettato semplicemente il rischio della verificazione dell'evento mortale dolo eventuale , sempre escludendo l'utilizzo del coltello a fini di minaccia o di lesioni c1 non avesse colpevolmente previsto, in quanto sviluppo logicamente prevedibile, che dal programmato fatto estorsivo sarebbe scaturito, come evento diverso e più grave di quello originariamente programmato, l'omicidio di C.R. concorso anomalo ex art. 116 c.p. d1 non avesse previsto detto evento diverso e più grave, in quanto non prevedibile, in base alle circostanze del caso concreto, per la sua eccezionalità assoluzione . Anche per la mancata esplorazione di tale strade argomentative, oltre che per le molteplici e gravi lacune e le palesi incongruenze e contraddizioni riscontrate nel corpo motivazionale, la conclusiva affermazione di responsabilità di N.H. per il suo concorso, consapevole e volontario, nell'omicidio del Vicebrigadiere C.R. non può costituire un epilogo coerente e impone, in parte qua, l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio al riguardo ad altra sezione della Corte di Assise di appello di Roma, che dovrà procedere a integrale rivalutazione del compendio probatorio, libera nell'esito, attenendosi ai principi di diritto e ai criteri prima enunciati. Devono considerarsi assorbite le censure sulle aggravanti contestate in relazione al capo 2 , nonché quelle sulle attenuanti generiche e in generale sul trattamento sanzionatorio. 9.3.3. Manifestamente infondato è il motivo con il quale si deduce il mancato riconoscimento della legittima difesa putativa in relazione al reato di lesioni personali aggravate di cui al capo 4 . La Corte di secondo grado ha adeguatamente spiegato perché, alla luce delle ripetute esternazioni, da parte di C. e di V., della propria qualità di Carabinieri, non si presentava, agli occhi del ricorrente, una situazione tale da determinare in lui la giustificata persuasione di trovarsi esposto al pericolo attuale di un'offesa ingiusta sulla base di dati di fatto concreti. Deve richiamarsi, inoltre, quanto già detto a proposito della medesima scriminante invocata da E. in relazione al reato di omicidio, e cioè che essa deve essere esclusa per chi abbia volontariamente determinato una situazione di pericolo, nella specie ponendo in essere sia il reato di tentata estorsione sia quello di porto illegale di coltello. La difesa ha richiamato Sez. 1, n. 9606 del 9/1/2004, De Rosa, Rv. 227222, che ha enunciato il principio secondo cui la configurabilità della legittima difesa, a differenza di quanto avviene con riguardo allo stato di necessità, non è di per sé esclusa dalla volontaria accettazione di una situazione di pericolo, ma solo dalla già prevista necessità di dover fronteggiare quel pericolo mediante la commissione di un reato, come si verifica nel caso dell'accettazione di una vera e propria sfida - comportando questa, per sua natura, un inevitabile pericolo per la propria incolumità personale, fronteggiatine solo con la lesione dell'incolumità altrui -, mentre non si verifica quando ci si limiti semplicemente ad esporsi a possibili ma non assolutamente certe iniziative aggressive altrui, senza essere a propria volta animati da alcun intento aggressivo. Si tratta di principio perfettamente in linea con quanto prima accennato, poiché non vi è dubbio che almeno il reato di porto di coltello, commesso in concorso fra i due imputati, implicava l'accettazione di una vera e propria sfida con i presunti aggressori. 9.3.4. Va rilevato che la difesa di N.H. non ha formulato specifiche censure in relazione ai residui reati di cui ai capi 1 salvo che per il mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all' art. 62 c.p. , n. 4 , di cui si è già detto , 3 resistenza a pubblico ufficiale e 5 porto abusivo di coltello , il che determina l'irrevocabilità della dichiarata affermazione di penale responsabilità ad essi relativa. 9.3.5. Infine, non può reputarsi ammissibile il decimo ed ultimo motivo di ricorso, concernente la quantificazione delle provvisionali immediatamente esecutive concesse in favore delle parti civili V.A., Ministero della Difesa, Ministero dell'Interno e associazione di volontariato Vittime del dovere ODV ETS. Secondo la consolidata lezione di questa Corte, infatti, non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento per tutte, Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, Tuccio, Rv. 277773 . In conclusione, il ricorso di N.H., accolto limitatamente al concorso nel reato di omicidio di cui al capo 2 , deve essere, nel resto, rigettato per complessiva infondatezza. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di E.F.L. limitatamente alle circostanze aggravanti contestate al capo 2 ed al delitto di resistenza a Pubblico ufficiale di cui al capo 3 , con rinvio per nuovo giudizio sul capo e sui punti predetti ad altra sezione della Corte di Assise di appello di Roma. Rigetta nel resto il ricorso di E Annulla la sentenza impugnata nei confronti di N.H.G.C. limitatamente al concorso nel delitto di omicidio di cui al capo 2 , con rinvio per nuovo giudizio sul capo ad altra sezione della Corte di Assise di appello di Roma. Rigetta nel resto il ricorso di N.H