Moglie pronta alla separazione: condannato il marito che la pedina e prova ad ascoltarne le telefonate

Condannato per molestie il marito che pedina in strada la moglie – oramai pronta alla separazione – e che prova in casa ad ascoltarne le telefonate.

A inchiodare l'uomo è il racconto fatto dalla donna e confermato dalla figlia. È stato appurato che la donna era stata più volte seguita dal coniuge, che l'aveva pedinata con la macchina, proprio nel periodo in cui aveva deciso di dare il via all'iter per la separazione coniugale. Ricostruita la vicenda grazie alle dichiarazioni della donna, corroborate anche dai racconti fatti dalla figlia , l'uomo sotto processo viene condannato in Tribunale alla pena dell'ammenda di Euro 300, condizionalmente sospesa, poiché riconosciuto colpevole del reato di molestie p.p. ex art. 660 c.p Nello specifico, è stato accertato che l'uomo ha molestato per diversi mesi la consorte – oramai ex – mediante inseguimenti in luogo pubblico , come raccontato dalla donna e confermato dalla figlia, testimone delle azioni compiute dal padre. Col ricorso in Cassazione, però, la difesa prova a ridimensionare i comportamenti dell'uomo, e in questa ottica sostiene che non si sia in presenza di un pedinamento ma di una semplice coincidenza di percorsi seguiti dalla donna e dall'uomo. Per dare solidità alla versione del ricorrente, poi, la difesa ricorda che il fatto di seguire insistentemente una persona o il suo veicolo può integrare una molestia quando tale seguire insistentemente sia collegato a ulteriori modalità di interferire nella sfera della libertà di quella persona e all'arrecare fastidio o turbamento, ovvero con un comportamento reiterato, invadente e infastidente che, invece, nel caso oggetto del processo non sussiste , per ammissione della stessa persona offesa . In aggiunta, poi, la difesa richiama anche la dichiarazione con cui la figlia della coppia ha espressamente affermato che il padre aveva , all'epoca, lasciato la casa adibita ad abitazione coniugale . Chiara la tesi proposta dalla difesa nelle condotte attribuite all'uomo non vi è stata alcuna intromissione continua e inopportuna nella sfera di libertà dell'allora consorte. Per demolire questa visione è sufficiente, secondo i giudici di Cassazione, richiamare il racconto fatto dalla donna, la quale ha riferito, nel corso della sua deposizione in udienza, che nel periodo in cui aveva deciso di optare per la separazione coniugale, era stata più volte seguita dal marito , il quale l'aveva pedinata con la macchina . Inoltre, è emerso che l'uomo era solito spiare, in casa, ogni comportamento della moglie, ascoltandone, come riferito anche dalla figlia, persino le telefonate , pur quando la donna si chiudeva in camera per cercare di proteggere la propria riservatezza . Impossibile, quindi, mettere in dubbio la condanna dell'uomo, colpevole di molestie ai danni dell'allora moglie. Ciò anche alla luce del principio secondo cui il reato di molestie e di disturbo alle persone punisce colui il quale, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo . E per petulanza si intende un atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione inopportuna nella altrui sfera di libertà . Tale reato non si configura come necessariamente abituale poiché suscettibile di perfezionarsi anche con il compimento di una sola azione

Presidente Siani – Relatore Renoldi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del Tribunale di Benevento in data 27/09/2022, S.F. è stato condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di 300 Euro di ammenda in quanto riconosciuto colpevole della contravvenzione prevista dall' art. 660 c.p. , perché mediante inseguimenti in luogo pubblico, per petulanza o altro biasimevole motivo, molestava l'ex coniuge, A.F., in omissis dalla fine del mese di omissis capo B . 2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione lo stesso S. a mezzo dei difensori di fiducia, avv.ti Lombardi Carmine e Di Maria Antonio, deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p. , la inosservanza o erronea applicazione dell' art. 660 c.p. . Nel dettaglio, il ricorso denuncia, ai sensi dell' art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. b , che la figlia della persona offesa, le cui dichiarazioni sarebbero state pedissequamente trascritte, avrebbe riferito che il padre, quando ella si era lamentata con lui del suo comportamento, aveva negato che fosse vero e ancora, secondo quanto raccontato nell'esame dibattimentale all'udienza del 5/10/2021, che il padre quando si fermava non si avvicinava a lei , così riscontrando quanto riferito dall'imputato in ordine al fatto che non si fosse in presenza di un pedinamento ma di una semplice coincidenza dei percorsi. E del resto, secondo la giurisprudenza, il fatto di seguire insistentemente la persona offesa o il suo veicolo potrebbe integrare una molestia quando tale seguire insistentemente sia collegato a ulteriori modalità di interferire nella sfera della libertà di lei e da arrecare fastidio o turbamento , ovvero con un comportamento reiterato , invadente e infastidente che, nel caso di specie, non sussisterebbe per ammissione della stessa persona offesa. Quest'ultima, peraltro, sarebbe completamente inattendibile, posto che la figlia avrebbe espressamente affermato che il padre, dopo il provvedimento presidenziale, aveva lasciato la casa adibita ad abitazione coniugale. E in caso di dichiarazioni in parte mendaci della persona offesa, non potrebbe affermarsi la responsabilità dell'imputato sulla base di un giudizio di semplice attendibilità intrinseca del narrato, essendo necessario che esso sia accompagnato da altri elementi che possano, in qualche modo, confermarla. 3. In data 17/09/2023 è pervenuta in Cancelleria una memoria a firma dell'avv. Milone Massimo, difensore della parte civile A.F., con la quale si invoca la declaratoria di inammissibilità del ricorso in quanto generico e manifestamente infondato. 4. In data 27/09/2023 è pervenuta in Cancelleria una memoria a firma dell'avv. Lombardi Carmine, difensore di S.F., con la quale, a sostegno dell'ammissibilità dell'impugnazione, se ne evidenzia la autosufficienza e si ribadisce il travisamento delle dichiarazioni della figlia dell'imputato, che la motivazione avrebbe distorto, emergendo da tale deposizione che non sussisterebbe, nelle condotte di S., alcuna intromissione continua e inopportuna nella altrui sfera di libertà . Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Va premesso che la fattispecie contravvenzionale prevista dall' art. 660 c.p. punisce colui il quale in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo . Secondo la giurisprudenza di legittimità, ai fini della configurabilità del reato previsto dall' art. 660 c.p. , per petulanza si intende un atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione inopportuna nella altrui sfera di libertà. Benché un minoritario indirizzo interpretativo ritenga che l'intrusione nella sfera personale del destinatario non possa prescindere da una dimensione temporale del fenomeno, il quale dovrebbe raggiungere una certa consistenza v., in proposito, Sez. 5, n. 52585 del 27/10/2017 , Gullo, Rv. 271634 - 01 , la prevalente opinione giurisprudenziale ritiene che il reato in questione non si configuri come necessariamente abituale e che esso sia suscettibile di perfezionarsi anche con il compimento di una sola azione da cui derivino gli effetti indicati dalla norma incriminatrice in questione Sez. 1, n. 19631 del 12/06/2018 , dep. 2019, Papagni, Rv. 276309 - 01 Sez. 1, n. 11514 del 16/03/2010 , Zamò, Rv. 246792 - 01 Sez. 1, n. 17787 del 9/04/2008 , Tamburrini, Rv. 239848 - 01 . 3. Tanto premesso, ritiene il Collegio che la sentenza impugnata abbia offerto una congrua motivazione in ordine alla pluralità degli elementi fattuali idonei a configurare la condotta tipica, avendo la persona offesa riferito, nel corso della sua deposizione in udienza, che nel periodo in cui aveva deciso di separarsi dal marito, ossia dal giugno al luglio del 2017, era stata più volte seguita dall'imputato, il quale l'aveva pedinata con la macchina ed era solito spiare, in casa, ogni suo comportamento, ascoltandone, come riferito anche dalla figlia, S.F., persino le telefonate, pur quando la donna si chiudeva in camera per cercare di proteggere la propria riservatezza. 3.1. A fronte di tale congrua motivazione, che ha riportato il puntuale scrutinio compiuto dal Tribunale sulla attendibilità della persona offesa, ampiamente riscontrata da quanto riferito anche dalla figlia, il ricorso ha prospettato, in maniera non autosufficiente, una discrasia tra la ricostruzione compiuta dalla sentenza e le dichiarazioni, in particolare, di S.F., le quali, per il loro tenore e a prescindere dalla loro non completa riproduzione, non smentiscono affatto quanto ritenuto in sentenza donde la manifesta infondatezza della censura. Generica e non autosufficiente è, altresì, l'ulteriore doglianza circa il parziale contrasto tra il racconto della persona offesa e le acquisizioni processuali, in particolare per quanto concerne il fatto che l'imputato si sia allontanato spontaneamente dalla casa familiare circostanza, questa, ancora una volta affidata a mere affermazioni difensive rimaste prive di riscontro rispetto a quanto riportato in sentenza, non essendo consentito, in sede di legittimità e in assenza di specifiche produzioni delle parti, un diretto accesso agli processuali contenenti gli elementi di prova di cui si assuma il travisamento. E generica, siccome non pertinente nel caso di specie è, infine, la censura relativa alla necessaria pluralità delle condotte di molestia, che la sentenza ha riscontrato nella vicenda in esame. 4. Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell' art. 616 c.p.p. , l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 Euro. L'imputato deve essere, inoltre, condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, A.F., che devono essere liquidate, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, artt. 12 e 16, come modificato dal D.M. n. 37 del 2018, nella misura di 4.000,00 Euro, cui devono aggiungersi gli accessori di legge, costituiti, D.M. n. 55 del 2014, ex art. 2 dalle spese forfettarie, da calcolarsi in misura del 15%, oltre all'IVA e al contributo per la Cassa previdenziale, da computarsi sull'imponibile. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile A.F. che liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre accessori di legge.