Sposo immaturo: il matrimonio è nullo per la Chiesa ma non per lo Stato

Respinta la richiesta avanzata dall'uomo e mirata a vedere riconosciuta dai giudici italiani come efficace per lo Stato italiano la nullità matrimoniale sancita in ambito ecclesiastico. I Giudici chiariscono che l'incapacità di valutare ex ante la rilevanza di un vincolo senza termini, come il matrimonio religioso, non significa necessariamente deficit psichico, alla luce delle disposizioni dell'ordinamento italiano.

Valido per lo Stato italiano il matrimonio religioso annullato dalla Chiesa a causa della accertata immaturità – identificata come grave difetto di discrezione di giudizio” – all'epoca delle nozze, di uno degli sposi. A mettere in dubbio la validità del matrimonio , contratto oltre venti anni fa, è, nel caso specifico, l'uomo, che però ottiene soddisfazione solo dai tribunali ecclesiastici, i quali dichiarano la nullità delle nozze a causa del difetto di discrezione di giudizio da parte dell'uomo circa i diritti e i doveri matrimoniali essenziali . Per i giudici italiani, invece, è impossibile ritenere efficace per lo Stato italiano la nullità matrimoniale sancita in ambito ecclesiastico. Nello specifico, i giudici della Corte d'Appello osservano che la sentenza ecclesiastica , passata in giudicato e munita di esecutività, ha accertato la causa di nullità del matrimonio secondo le norme del diritto canonico ma accolgono l'obiezione proposta dalla donna, ravvisando la contrarietà della delibazione ecclesiastica all'ordine pubblico interno a fronte di una convivenza coniugale durata oltre dieci anni . Per maggiore chiarezza, poi, i giudici d'Appello chiariscono che i vizi genetici riscontrati dall' ordinamento canonico debbono considerarsi sanati dall'accettazione del rapporto , nel caso specifico, poiché dalla data del matrimonio l'uomo e la donna hanno convissuto per più di dieci anni come marito e moglie, tenendo una consuetudine di vita coniugale comune , stabile e continua nel tempo ed esteriormente riconoscibile . Col ricorso in Cassazione, però, l'avvocato che rappresenta l'uomo prova a fornire una differente chiave di lettura. In particolare, il legale osserva che, Codice di diritto canonico alla mano, sono incapaci a contrarre matrimonio coloro che difettano gravemente di discrezione di giudizio circa i diritti e i doveri matrimoniali essenziali da dare e accettare reciprocamente e aggiunge che, nel caso preso in esame, il Tribunale ecclesiastico ha accertato la nullità del matrimonio non per un vizio del consenso attinente il foro interno della persona, come nel caso di simulazione, bensì per una causa oggettiva , le cui evidenze sono state codificate in specifici comportamenti accertati nel giudizio canonico con strumenti diagnostici scientifici dai quali la sentenza ecclesiastica ha dedotto l'impossibilità oggettiva per l'uomo di costituire e dar vita alla situazione giuridica propriamente descritta come matrimonio . Secondo il legale, quindi, questo accertamento non è ascrivibile al foro interno della persona ed incide negativamente sulla stabilità della convivenza, privata della sua effettività sostanziale pur se durata formalmente oltre dieci anni. E a questo proposito aggiunge poi che l' invalidità per vizio psichico ha impedito l'instaurarsi di una effettiva convivenza, nonostante il trascorrere del tempo . Alle obiezioni proposte dall'avvocato dell'uomo, però, i Giudici di Cassazione ribattono richiamando il principio secondo cui alla favorevole delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio osta, quale limite di ordine pubblico interno, la convivenza delle parti come coniugi se protrattasi per almeno un triennio . E questo principio ha applicazione soprattutto a fronte di una sentenza ecclesiastica che dichiari la nullità del matrimonio in virtù della incapacitas naturalis , ossia per difetto di discrezione di giudizio, e per incapacità di assumere e adempiere le obbligazioni matrimoniali essenziali . I Giudici precisano poi che il vizio genetico posto a base della nullità del matrimonio in ambito ecclesiastico per l'incapacità a contrarre matrimonio trova corrispondenza nell'ipotesi di invalidità contemplata dal Codice Civile laddove prevede che il matrimonio può essere impugnato da quello dei coniugi che, sebbene non interdetto, provi di essere stato incapace di intendere o di volere, per qualunque causa, anche transitoria, al momento della celebrazione del matrimonio, di guisa che la convivenza ultratriennale non costituisce un limite di ordine pubblico in presenza di un vizio di capacità . Inoltre, sempre Codice Civile alla mano, l'azione impugnatoria non può essere proposta se vi è stata coabitazione per un anno dopo che il coniuge incapace ha recuperato la pienezza delle facoltà mentali . Invece, il matrimonio può essere impugnato per l'incapacità di intendere e di volere del coniuge al momento della celebrazione, intesa come menomazione della sfera intellettiva e volitiva di tale grado da impedire di far comprendere il significato e le conseguenze dell'impegno assunto . In sostanza, si dà rilievo all'incapacità di intendere o di volere di un soggetto, ossia ad un deficit psichico alla stregua di simili condizioni, sebbene non occorra la totale privazione delle facoltà intellettive o volitive, è, tuttavia, necessario che esse siano grandemente menomate, a tal punto da impedire in ogni caso la formazione di una volontà cosciente . Occorre, quindi, che il soggetto, al momento di compiere l'atto, versi in uno stato patologico - da intendere come alterazione del normale stato fisiologico - che, pur non tale da eliminare in modo totale e assoluto le facoltà psichiche, su di esse comunque incida in un modo decisivo, quindi superiore rispetto alla ordinaria situazione dovuta, ad esempio, alla mera immaturità o fragilità affettiva, riconducibile all'essere il soggetto, volta a volta, semplicemente giovane o, magari, anziano . Al contrario, deve trattarsi di uno stato patologico , in cui le normali facoltà, cioè, siano patologicamente perturbate, impedendo al soggetto la seria valutazione del contenuto e degli effetti dell'atto che compie e, quindi, il formarsi di una volontà che possa dirsi cosciente, non, però, nel senso della incoscienza che si attribuisce mediamente ai soggetti in età giovanile e che nulla ha di patologico, se non l'entusiasmo e l'energia vitale . In conclusione, non può bastare per l'invalidità del matrimonio una situazione descritta come di mera deficienza caratteriale o immaturità, per non avere uno o entrambi i coniugi valutato la rilevanza dell'atto, il matrimonio canonico, in sé indissolubile e, dunque, di portata davvero rilevante, in quanto destinato per scelta originaria a durare per tutta la vita . Ciò perché l'incapacità di valutare ex ante la rilevanza di un vincolo senza termini non significa necessariamente deficit psichico, alla luce delle disposizioni dell'ordinamento italiano , chiariscono i Giudici.

Presidente Antonio – Relatore Tricomi Ritenuto Che 1.- La Corte di Appello di Palermo ha respinto la richiesta avanzata da P.D. di dichiarazione di efficacia nella Repubblica Italiana della sentenza emessa il 30 novembre 2017 dal Tribunale Ecclesiastico Regionale Siculo, confermata con sentenza del 30 gennaio 2019 dal Tribunale Ecclesiastico Partenopeo di appello e resa esecutiva in forza di decreto dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica del 14 maggio 2019, con la quale è stata dichiarata la nullità del matrimonio contratto in data 2 febbraio 2002 da esso esponente con M.C. per difetto di discrezione di giudizio da parte dell'attore P. a norma del canone 1095, numero 2, C.D.C. . Nel giudizio si era costituita M., che aveva eccepito la contrarietà all'ordine pubblico interno della delibazione per convivenza coniugale ultradecennale ed aveva chiesto il rigetto dell'istanza. La Corte di appello, dopo aver premesso che la sentenza ecclesiastica, passata in giudicato e munita di esecutività, aveva accertato la causa di nullità del matrimonio secondo le norme del diritto canonico, ha accolto l'eccezione sollevata da M. ed ha respinto la domanda di proposta da P., ravvisando la contrarietà all'ordine pubblico interno. Ha rilevato, richiamando l'insegnamento delle Sezioni Unite, secondo il quale i vizi genetici riscontrati dall'ordinamento canonico dovevano considerarsi sanati dall'accettazione del rapporto, che ciò era attestato dal fatto che dalla data del matrimonio i coniugi avevano convissuto per più di dieci anni come marito e moglie, tenendo una consuetudine di vita coniugale comune, stabile e continua nel tempo esteriormente riconoscibile. P. ha proposto ricorso per cassazione con un mezzo, illustrato da memoria. M. è rimasta intimata. È stata disposta la trattazione camerale ex art. 380 bis.1. c.p.c. 2.1.- Con un unico motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'Accordo di revisione del Concordato lateranense, art. 8, comma 2, e del protocollo addizionale, art. 4, lett. b numero 3, ratificato con L. numero 121 del 1985 , nonché delle altre norme citate in sentenza si deduce anche una non corretta applicazione dei dettati normativi richiamati, perché sarebbero stati ignorati aspetti rilevanti su cui si erano fondate le ragioni del ricorso. In particolare, il ricorrente sostiene che il canone 1095, numero 2 del C.D.C. non assume rilievo solo in ordine al matrimonio inteso come atto , ma anche rispetto al matrimonio - rapporto in quanto stabilisce che sono incapaci a contrarre matrimonio coloro che difettano gravemente di discrezione di giudizio circa i diritti e i doveri matrimoniali essenziali da dare e accettare reciprocamente . Sostiene che il Tribunale ecclesiastico aveva accertato la nullità del matrimonio non per un vizio del consenso attinente il foro interno, come nel caso di simulazione, bensì per una causa oggettiva le cui evidenze erano state codificate in specifici comportamenti accertati nel giudizio canonico con strumenti diagnostici scientifici dai quali la sentenza ecclesiastica aveva dedotto l'impossibilità oggettiva di costituire e dar vita alla situazione giuridica propriamente descritta come matrimonio. Insiste sul fatto che questo accertamento non sarebbe ascrivibile al foro interno ed inciderebbe negativamente sulla stabilità della convivenza, privata della sua effettività sostanziale. Deduce che l'invalidità per vizio psichico avrebbe impedito l'instaurarsi di una effettiva convivenza nonostante il trascorrere del tempo e prospetta l'applicabilità dell' art. 120 c.c. , che disciplina le cause di invalidità del matrimonio nell'ordinamento italiano. Infine, il ricorrente invoca l'applicabilità al caso di specie di principi affermati con le sentenze di legittimità numero 19691/2014 e numero 6611/2015. 2.2.- Il motivo è infondato. 2.3.- Va rammentato che i principi enunciati dalle Sezioni Unite con le decisioni nnumero 16379 e 16380 del 2014 - secondo cui alla favorevole delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio osta, quale limite di ordine pubblico interno, la convivenza delle parti come coniugi protrattasi per almeno un triennio, limitando ai casi di nullità matrimoniale tipici e propri unicamente del diritto canonico, ma non anche del diritto italiano - sono stati meglio perimetrati con specifico riguardo alla sentenza ecclesiastica che abbia dichiarato la nullità del matrimonio in virtù della incapacitas naturalis, ossia per difetto di discrezione di giudizio , di cui al numero 2 del canumero 1095 C.D.C. e per incapacità di assumere e adempiere le obbligazioni matrimoniali essenziali , di cui al numero 3 del canumero 1095 C.D.C. In particolare, questa Corte ha affermato che il vizio genetico posto a base della sentenza ecclesiastica di nullità dal canumero 1095 nnumero 2-3, che attiene all'incapacità a contrarre matrimonio, trova corrispondenza nell'ipotesi di invalidità contemplata dall' art. 120 c.c. , secondo cui il matrimonio può essere impugnato da quello dei coniugi che, sebbene non interdetto, provi di essere stato incapace di intendere o di volere, per qualunque causa, anche transitoria, al momento della celebrazione del matrimonio Cass. numero 149/2023 di guisa che la convivenza ultratriennale non costituisce un limite di ordine pubblico in presenza di un vizio di capacità ex art. 120 c.c. Questo principio trova un precedente in una vicenda afferente l' art. 122 c.c. e ss., comma 2, e - sulla possibilità di impugnare il matrimonio da parte del coniuge il cui consenso sia stato dato per effetto di errore essenziale su qualità personali dell'altro coniuge - nella decisione in cui il vizio genetico accertato dal tribunale ecclesiastico atteneva all'errore essenziale del marito indotto da dolo della moglie sulle qualità personali della stessa, inerenti alla sterilità Cass. numero 17910/2022 . Orbene, l' art. 120 c.c. recita 1. Il matrimonio può essere impugnato da quello dei coniugi che, quantunque non interdetto, provi di essere stato incapace di intendere o di volere, per qualunque causa, anche transitoria, al momento della celebrazione del matrimonio. 2. L'azione non può essere proposta se vi è stata coabitazione per un anno dopo che il coniuge incapace ha recuperato la pienezza delle facoltà mentali e prevede che il matrimonio possa essere impugnato per l'incapacità di intendere e di volere del coniuge al momento della celebrazione, intesa come menomazione della sfera intellettiva e volitiva di tale grado da impedire di far comprendere il significato e le conseguenze dell'impegno assunto Cass. numero 20862/2021 . La disposizione dà rilievo all'incapacità di intendere o di volere di un soggetto, ossia ad un deficit psichico alla stregua di simili condizioni, previste da numerose altre disposizioni dell'ordinamento cfr. artt. 428, 591, 775 e 1425 c.c. , ma anche artt. 1191, 1389 e 2046 c.c. artt. 85, 86, 87, 88, 89, 91, 96 e 98 c.p. art. 286 c.p.p. D.Lgs. 18 dicembre 1997, numero 472, art. 4, in tema di imputabilità per le sanzioni tributarie, e L. 24 novembre 1981, numero 689, art. 2, in tema di imputabilità per le sanzioni amministrative ed altre , sebbene non occorra la totale privazione delle facoltà intellettive o volitive, è, tuttavia, necessario che esse siano grandemente menomate, a tal punto da impedire in ogni caso la formazione di una volontà cosciente. Occorre, quindi, che il soggetto, al momento di compiere l'atto, versi in uno stato patologico - da intendere come alterazione del normale stato fisiologico - che, pur non tale da eliminare in modo totale e assoluto le facoltà psichiche, su di esse comunque incida in un modo decisivo, quindi superiore rispetto alla ordinaria situazione dovuta, ad esempio, alla mera immaturità o fragilità affettiva , riconducibile all'essere il soggetto, volta a volta, semplicemente giovane o, magari, anziano . Nell' art. 120 c.c. , così come nelle altre disposizioni che contemplano la figura sopra menzionate, deve invece trattarsi di uno stato patologico, in cui le normali facoltà, cioè, siano patologicamente perturbate, impedendo al soggetto la seria valutazione del contenuto e degli effetti dell'atto che compie e, quindi, il formarsi di una volontà che possa dirsi cosciente non, però, nel senso della incoscienza che si attribuisce mediamente ai soggetti in età giovanile e che nulla ha di patologico, se non l'entusiasmo e l'energia vitale v., per ampia disamina sul tema, Cass. numero 28409/2023 . Non basta, in conclusione, ad integrare la fattispecie dell' art. 120 c.c. , una situazione descritta come di mera deficienza caratteriale o immaturità, per non avere uno o entrambi i coniugi valutato la rilevanza dell'atto, il matrimonio canonico, in sé indissolubile e, dunque, di portata davvero rilevante, in quanto destinato per scelta originaria a durare per tutta la vita l'incapacità di valutare ex ante la rilevanza di un vincolo senza termini non significa necessariamente deficit psichico, ai sensi delle ricordate disposizioni dell'ordinamento italiano Cass. numero 28409/2023 . 2.4.- Il controllo sulla circostanza se i vizi, come riscontrati dalla sentenza del tribunale ecclesiastico, si inquadrino in una delle cause di nullità del matrimonio riconosciute dall'ordinamento italiano spetta alla corte d'appello, quale giudice della delibazione, il cui operato è quindi controllabile in sede di legittimità dalla Corte di cassazione con riguardo alla corretta sussunzione nelle norme sulla nullità del matrimonio, di cui al Titolo VI, Capo III, Sezione VI del libro primo del codice civile. 2.5. - Nella specie, dalla sentenza impugnata non si evince l'accertamento di alcuno dei vizi inquadrabili nell' art. 120 c.c. , e quindi i precedenti ricordati non appaiono invocabili nella concreta decisione, attesa la non sovrapponibilità dei presupposti applicativi del canone 1095, numero 2, con quelli dell' art. 120 c.c. , con evidente infondatezza della censura. 2.6.- È da aggiungere che il ricorrente ha svolto la sua censura in termini astratti e quindi, anche, inammissibili, perché ha riportato plurimi precedenti giurisprudenziali, ma non ha illustrato, come sarebbe stato suo onere in osservanza del principio di specificità del ricorso attraverso la puntuale localizzazione negli atti pregressi, se e quali specifici elementi di fatto già accertati in sede ecclesiastica avrebbero potuto essere sussunti dalla Corte di appello - a suo parere - nell'ambito del vizio psichico e, quindi, considerati rilevanti, ai fini dell'applicabilità dell' art. 120 c.c. 3.- In conclusione, il ricorso va rigettato. Non si provvede sulle spese, in assenza di attività processuale dell'intimata. Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003, art. 52 . Raddoppio del contributo unificato, ove dovuto. P.Q.M. - Rigetta il ricorso - Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003, art. 5 2 - Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, art. 13 , comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.