Omicidio del coniuge e preclusione all’abbreviato

Il bilanciamento di valori ed interessi introdotto dalla legge 11 gennaio 2018, n. 4, risponde in pieno alla necessità di aggiornare l’impianto normativo penale alla mutata sensibilità dei consociati verso il gravissimo fenomeno della violenza domestica e di genere, costituente vera e propria emergenza sociale italiana.

Omicidio del coniuge ed ergastolo Con questa sentenza, la S.C. torna sul tema della preclusione alla celebrazione del rito abbreviato per gli imputati di delitti puniti con la pena dell'ergastolo, introdotto dall'art. 1, comma 1, lett. a della legge 12 aprile 2019 n. 33 ed applicabile solo a fatti commessi successivamente alla data della sua entrata in vigore, ossia il giorno successivo, come il caso di specie, inerente un omicidio commesso nel piacentino il 6 maggio 2019. Le circostanze aggravanti diverse dal coniugio Sotto un profilo fattuale, per quanto ricavabile dalle motivazioni della sentenza della Suprema Corte ora in esame, la vicenda non ha destato particolari necessità tecnico giuridiche per essere risolta sia quanto al riconoscimento della penale responsabilità dell'imputato – reo confesso – sia in ordine alla quantificazione della pena – mancando, nell'imputazione concreta la contestazione di circostanze aggravanti diverse dalla relazione di coniugio intercorrente tra vittima ed imputato. Per sgomberare subito il campo, basti richiamare il punto della decisione in cui la Cassazione dichiara inammissibile – come aveva già statuito la Corte d'appello su identica doglianza il ricorso della difesa nella parte in cui lamentava la ritenuta sussistenza delle aggravanti della crudeltà , della presenza del minore e della premeditazione . Né la motivazione, né il dispositivo della decisione di primo grado, si legge, facevano alcun cenno a dette aggravanti, con ciò integrandosi quindi la carenza di correlazione tra motivi di impugnazione e statuizioni del primo giudice. In realtà, il ricorrente aveva tentato di ritenerle implicitamente contestate”, anche se non formalmente elevate, al fine di farle entrare quanto meno nel giudizio di bilanciamento con le generiche, nella specie a loro volta negate con riferimento alla violenza usata dall'autore del fatto ritenuta, ai sensi dell' art. 133 c.p. , elemento utile per la valutazione delle modalità dell'azione la donna infatti era stata colpita con otto fendenti da arma bianca da punta e da taglio e presentava ancora il coltello conficcato nel collo al momento del rinvenimento del cadavere. L'aggravante del coniugio nel ricorso La difesa dell'imputato induce la Cassazione ad una serie di riflessioni attraverso l'esposizione di una tesi, già espressa nei gradi di merito, secondo la quale la nuova disposizione, entrata in vigore nel 2019, esclude il rito abbreviato solo per il giudizio relativo a delitti puniti ex se con la pena dell'ergastolo, e non per quelli che prevedono la pena perpetua a seguito di circostanze aggravanti . L'argomento giuridico su cui fonda tale interpretazione è l' art. 344 bis c.p.p. che, al comma 9, esclude l'operatività del nuovo istituto dell'improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione per i delitti puniti con l'ergastolo, anche come effetto dell'applicazione di circostanze aggravanti . Questa specificazione sarebbe superflua se tra tipologie di omicidio aggravato non si potesse operare detta distinzione visto che, in linea ancora più generale, quando il legislatore vuole dare rilevanza alle circostanze del reato, lo fa esplicitamente. La questione di legittimità costituzionale Con ulteriore motivo di censura, la difesa si lamenta di omessa motivazione nella sentenza gravata nella parte in cui ha dichiarato manifestamente infondata la sua eccezione di incostituzionalità dell' art. 577 comma 1 n. 1 c.p. . Analizzando invece le numerose ipotesi aggravate di omicidio volontario previste dal legislatore, emergerebbe una sorta di graduazione tra loro tant'è che, fino al 2018, l'omicidio del coniuge non divorziato non rientrava tra le ipotesi di maggiore gravità ed era punito con la reclusione da 24 a 30 anni. Il nuovo art. 577 comma 1 n. 1 c.p. invece, imponendo una pena rigidamente predeterminata, l'ergastolo, violerebbe gli artt. 3 e 27 comma 1 e 3 Cost. che chiedono massima individualizzazione del trattamento sanzionatorio . Il decisum della Suprema Corte Anzitutto la Cassazione ha ricordato che la Corte Costituzionale, investita della questione di legittimità sulla preclusione del rito abbreviato per i reati puniti con la pena dell'ergastolo, con sentenza n. 260 del 18 novembre 2020 ha dichiarato non fondate le questioni sollevate proprio dal GUP di Piacenza, all'epoca assegnatario del caso che ci occupa, e ne richiama le motivazioni. Aggiunge invece, quanto alla nuova disposizione introdotta dalla c.d. Riforma Cartabia , come essa non abbia alcuna efficacia derogatoria rispetto alla volontà legislativa precedentemente espressa nel 2019 di escludere recisamente e senza alcuna specifica i delitti puniti con l'ergastolo dal novero dei giudicabili con abbreviato. Diversamente lo avrebbe specificato, per semplificare. Quanto poi al catalogo di distinte ipotesi astratte di omicidio, caratterizzate da tre livelli diversi di gravità quello del coniuge occupava sì il gradino più basso anni 24-30 di reclusione ma questa classifica poggiava sul presupposto di essere stata redatta quando applicabile la pena di morte, ed è stata modificata sia dal nuovo ordine costituzionale, che ha sostituito quella pena con l'ergastolo e quindi ridotte a due le classi di omicidio”, sia successivamente dalla legge 11 gennaio 2018 n. 4 che per l'omicidio del coniuge ha previsto la pena perpetua.

Presidente Calvanese – Relatrice Travaglini Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 9/5/2022, la Corte d'Assise di appello di Bologna ha confermato la sentenza del 19/7/2021 della Corte di Assise di Piacenza che aveva condannato F.A. alla pena dell'ergastolo per l'omicidio della moglie E.A.D. , aggravato ai sensi dell' art. 577 c.p. , comma 1, n. 1. Fatto commesso in omissis . 1.1. La vicenda - nel suo nucleo essenziale un tipico femminicidio , essendo stata motivata dal timore dell'imputato di essere lasciato dalla moglie, la quale aveva manifestato l'intenzione di separarsi - secondo le dichiarazioni del F. era avvenuta al culmine di un litigio, svoltosi nell'abitazione familiare e generato dalla richiesta dell'imputato di chiamare la madre in vista del Ramadan. Ciò aveva determinato una reazione aggressiva della moglie, che offendeva F. e lo colpiva in corrispondenza della ferita di una recente operazione chirurgica. Sempre secondo la versione difensiva, che è stata resa nell'udienza preliminare del 16/7/2020, la donna aveva puntato un coltello contro il marito, il quale aveva tentato di afferrarle il polso della mano. I ricordi dell'imputato si arrestavano a questo punto, ma dalle evidenze oggettive è emerso che E.A.D. era stata colpita con otto fendenti da arma bianca da punta e da taglio, concentrati nelle regioni antero-laterali del collo al rinvenimento del cadavere della donna, il coltello era ancora conficcato nel suo collo, in regione antro-laterale sinistra. 1.2. L'omicidio è stato ammesso dall'imputato, il quale - nell'appello aveva invocato la concessione delle circostanze attenuanti generiche. Tuttavia, la Corte territoriale di secondo grado ha confermato il diniego già opposto dal primo collegio, con diffusa motivazione. Sono stati altresì respinti gli ulteriori motivi di gravame, attinenti all'ammissione del giudizio abbreviato o comunque all'applicazione della relativa diminuente alla considerazione di aggravarti ad effetto speciale non contestate ed insussistenti a richieste di rinnovazione istruttoria e di esclusione di documenti, in specie la relazione dei servizi sociali in data 28/5/2021. La Corte di secondo grado si è pronunciata in merito alla sollecitazione ad ulteriore interpello di costituzionalità per la previsione della pena perpetua per l'omicidio del coniuge, ritenendo che si tratti di un ambito riservato alla discrezionalità del legislatore e che non sia ravvisabile alcuna irragionevolezza o manifesta sproporzione di tale trattamento sanzionatorio. 2. Avverso detta sentenza l'imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore, avv. Andrea Perini, deducendo i seguenti motivi di impugnazione, che qui si enunciano nei limiti strettamente necessari alla motivazione della sentenza, come prescrive l' art. 173 disp. att. c.p.p. . 2.1. Il primo motivo deduce violazione di legge riferita all' art. 438 c.p.p. , comma 1-bis, nonché illogicità della motivazione sul punto. La tesi del ricorrente, già espressa nei gradi di merito, prende le mosse dall'analisi dell'indicata disposizione, che vieta di accedere al giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo. Si propone un collegamento con l' art. 344-bis c.p.p. che, al comma 9, esclude l'operatività del nuovo istituto della improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione per i delitti puniti con l'ergastolo, anche come effetto dell'applicazione di circostanze aggravanti . Si sostiene che la specificazione contenuta in tale ultima disposizione dimostra che il rito abbreviato deve ritenersi escluso soltanto per giudicare i delitti puniti ex se con la pena dell'ergastolo, e non per quelli che prevedono la pena perpetua a seguito di circostanze aggravanti, altrimenti non vi sarebbe stata ragione di specificare diversamente per l'improcedibilità dell'appello. Si propugna un'interpretazione costituzionalmente orientata dell' art. 438 c.p.p. , comma 1 bis, che sarebbe confermata da recenti arresti di legittimità, quale quello in materia di messa alla prova disciplinata dall' art. 168 bis c.p. Sez. 1, sentenza n. 36272 del 2016 , in cui si è escluso che nel sistema esista un criterio normativo unitario in base al quale determinare la pena ai fini dell'applicazione di istituti processuali, come in tema di competenza - art. 4 c.p.p. - o in tema di applicazione di misure cautelari personali - art. 278 c.p.p. - e si è aggiunto che il legislatore, quando vuole dare rilevanza alle circostanze del reato, lo fa in modo esplicito. 2.2. Con il secondo motivo si censura per omessa motivazione la ritenuta manifesta infondatezza della eccezione di incostituzionalità dell' art. 577 c.p. , comma 1, n. 1. Ripercorrendo le argomentazioni del gravame a sostegno di tale censura, ci si duole dell'apparenza della motivazione con cui essa è stata respinta nella impugnata sentenza, senza avere analizzato le numerose ipotesi aggravate di omicidio volontario previste dal legislatore, nè avere valutato la graduazione che emerge dalle circostanze descritte nell' art. 576 c.p. e art. 577 c.p. , commi 1 e 2. Invero, fino al 2018, l'omicidio del coniugè non divorziato non rientrava tra le ipotesi di maggiore gravità, ed era punito con la reclusione da ventiquattro a trenta anni, ai sensi dell' art. 577 c.p. , comma 2. Secondo la difesa ricorrente, emerge una sproporzionata parificazione sanzionatoria di tale delitto aggravato rispetto ad ipotesi di omicidio ben più gravi. Ne consegue la violazione dell' art. 3 Cost. e art. 27 Cost. , commi 1 e 3, ad opera del nuovo art. 577 c.p. , comma 1, n. 1, che impone una pena rigidamente predeterminata, l'ergastolo, in spregio al principio di massima individualizzazione del trattamento sanzionatorio ricavabile dagli indicati parametri costituzionali e dal criterio di proporzione che presiede alla graduazione delle sanzioni in base alla concreta gravità oggettiva e soggettiva del delitto. Si ripropone, dunque, la questione di legittimità costituzionale dell' art. 577 c.p. , comma 1, n. 1, - come modificato dalla L. 11 gennaio 2018, n. 4 e dalla L. 19 luglio 2019, n. 69 nella parte in cui commina la pena dell'ergastolo per l'omicidio del coniuge, anche legalmente separato, dell'altra parte dell'unione civile, della persona stabilmente convivente con il colpevole o ad esso legata da relazione affettiva. Conseguenzialmente, si solleva dubbio di costituzionalità anche per la norma dell' art. 577 c.p. , comma 2, per le ipotesi di omicidio aggravato ivi considerate, limitatamente alle predette relazioni coniugali o affettive, ove cessate. 2.3. Nel terzo, quarto e quinto motivo - da trattarsi congiuntamente attesa la comune doglianza - si evoca violazione di legge con riferimento agli artt. 517 e 521 c.p.p. , quanto alla ritenuta sussistenza di fatto delle aggravanti della crudeltà, della presenza della minore, e della premeditazione, aggravanti mai formalmente contestate. 2.4. Nel sesto motivo si censura per violazione di legge, riferita agli artt. 238 e 526 c.p.p. , l'acquisizione della relazione degli assistenti sociali ASP Azalea relativa ai figli minori dell'imputato e della vittima. Rileva il ricorrente che la pronuncia citata nell'impugnata sentenza per giustificare la legittimità di detta acquisizione documentale non è pertinente al caso in esame, in cui non si è acquisita una consulenza tecnica d'ufficio disposta in un giudizio civile, bensì una mera relazione formatasi in assenza di contraddittorio e contenente valutazioni anche in ordine a testimonianze favorevoli all'imputato. 2.5. Con l'ultimo motivo di impugnazione si deduce contraddittorietà della motivazione rispetto alle risultanze in atti, quanto alla negazione delle circostanze attenuanti generiche. In detto motivo, si passano in rassegna le argomentazioni che sono state illustrate a supporto di tale decisione per confutarne la valenza, e si adducono elementi fattuali a sostegno di condotte provocatorie e aggressive della vittima in danno del marito, anche in occasioni precedenti al delitto. Considerato in diritto 1. Il ricorso è complessivamente infondato e deve essere respinto. Preliminarmente si precisa che ci si trova al cospetto della conferma nei medesimi termini della sentenza di condanna pronunciata in primo grado, cioè ad una pronuncia c.d. doppia conforme . Tale costruzione postula che il vizio di motivazione deducibile e censurabile in sede di legittimità sia soltanto quello che - a presidio del devolutum - discende dalla pretermissione dell'esame di temi probatori decisivi, ritualmente indicati come motivi di appello e trascurati in quella sede Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, S., Rv. 277758 Sez. 5, n. 1927 del 20/12/2017, dep. 2018, Petrocelli e altri, Rv. 272324 Sez. 2, n. 10758 del 29/01/2015, Giugliano, Rv. 263129 Sez. 5, n. 2916 del 13/12/2013, dep. 2014, Dall'Agnola, Rv. 257967 o anche manifestamente travisati in entrambi i gradi di giudizio Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L. e altro, Rv. 272018 . Al di fuori di tale perimetro, resta precluso il rilievo del vizio di motivazione secondo la nuova espressione dell' art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. e , nel caso di adeguata valutazione conforme nei gradi di merito del medesimo compendio probatorio. Deve altresì ribadirsi che nei casi di doppia conforme, le motivazioni delle sentenze di merito convergono in un apparato motivazionale integrato e danno luogo ad un unico complessivo corpo decisionale Sez. 2 n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218 , che in tali termini deve essere assunto anche nella denuncia dei vizi di legittimità, nei limiti della loro rilevanza. Nel caso in esame, l'indagine di legittimità deve dunque limitarsi al vaglio della correttezza del procedimento sotto i profili della completezza di valutazione del compendio probatorio e dell'assenza di manifesto travisamento delle prove. Infine, in ordine alle critiche rivolte alla valutazione di elementi probatori, giova ricordare che trattasi di terreno interdetto alla verifica di legittimità, che può riguardare soltanto il corretto e completo apprezzamento del materiale probatorio sotto il profilo indicato e l'assenza di manifesto travisamento delle prove. E sul punto, le argomentazioni espresse dalla Corte di appello risultano corrette ed esaustive. 2. Ciò premesso, il primo motivo che denuncia la violazione dell' art. 438 c.p.p. , comma 1 bis, è infondato. Va premesso che la Corte costituzionale - investita della questione riguardante il dubbio di costituzionalità della preclusione del rito abbreviato per i reati puniti con la pena dell'ergastolo, anche con riferimento a tale caso specifico nella sentenza n. 260 del 18 novembre 2020, depositata il 3 dicembre 2020, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell' art. 438 c.p.p. , comma 1-bis, nonché della L. 12 aprile 2019, n. 33, art. 3 sollevate - in riferimento all' art. 3 Cost. , art. 27 Cost. , comma 2, e art. 111 Cost. , comma 2, - dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Piacenza nel processo in esame. Le ragioni ivi espresse non necessitano di essere ribadite in questa sede, mentre va esaminato il nuovo profilo di dedotta violazione di detto articolo che la difesa ha sollevato tratteggiando un parallelismo tra la disposizione dell' art. 438 c.p.p. , comma 1-bis, che recita non è ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo e quella di cui all' art. 344-bis c.p.p. - introdotto dalla riforma Cartabia - che, al comma 9, esclude l'operatività del nuovo istituto della improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione per i delitti puniti con l'ergastolo, anche come effetto dell'applicazione di circostanze aggravanti . La tesi sostenuta è che dunque tale novità legislativa avrebbe riflessi sulla precedente disposizione, da ritenersi applicabile soltanto ai reati ex se puniti con la pena perpetua, mentre si deve escludere la preclusione al rito speciale per i reati che comportano l'ergastolo a causa dell'incidenza di circostanze aggravanti. Tale tesi non ha fondamento. La disposizione relativa al giudizio abbreviato, dettata nella sede specifica dell' art. 438 c.p.p. , è lapidaria nell'escludere tale rito speciale per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo. La mancanza di specificazioni, limitazioni, distinguo di ogni genere, denota la volontà legislativa di escludere il rito premiale per tutti i delitti che comportano tale sanzione, in via diretta oppure come effetto dell'applicazione di circostanze aggravanti. L'istituto della improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione ha inteso esprimere il medesimo concetto, puntualizzando che non sono soggetti alla cesoia temporale i processi per i delitti di maggiore allarme sociale, individuandoli ln quelli punibili con l'ergastolo come pena originariamente prevista ovvero derivante dall'applicazione di circostanze aggravanti. Non è ravvisabile alcuna contrapposizione tra le due situazioni, tale da depotenziare peraltro a posteriori, mediante una norma sopravvenuta che non potrebbe offrire criteri interpretativi a ritroso il carattere onnicomprensivo del richiamo ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo contenuto nell' art. 438 c.p.p. , comma 1 bis anzi la specificazione introdotta dalla cosiddetta riforma Cartabia è piuttosto una conferma dell'interpretazione seguita dalla Corte costituzionale, proprio nella sentenza citata, e dalla concorde giurisprudenza di legittimità, alla quale si è conformata anche la sentenza in esame nel suo corretto percorso motivazionale. Non risultano conferenti i richiami ad arresti giurisprudenziali relativi ai criteri per determinare la pena a fini applicativi di svariati ed eterogenei istituti processuali, poiché le due norme qui abbinate non necessitano di complesse operazioni interpretative, determinando entrambe la medesima preclusione - da un lato al rito abbreviato, dall'altro alla improcedibilità processuale - per i delitti puniti con l'ergastolo, nella seconda disposizione individuandosi una mera chiarificazione del concetto già implicito nell' art. 438 c.p.p. , comma 1 bis e come tale ritenuto sia dal Giudice delle Leggi che dall'esegesi di legittimità di questa Corte. 3. Il secondo motivo di impugnazione sollecita questa Corte all'interpello di costituzionalità dell'aggravante descritta dall' art. 577 c.p. , comma 1, n. 1, che commina la pena perpetua per l'omicidio aggravato dal rapporto di coniugio, ritenendo apparente la motivazione dell'impugnata sentenza, e traendo spunto da argomentazioni contenute nella sentenza n. 260 del 2020 della Corte costituzionale . 3.1. La trattazione di tale motivo si è imperniata sulla costruzione di distinti cataloghi di fattispecie astratte di omicidio, caratterizzate da livelli decrescenti di gravità a seconda delle circostanze aggravanti ipotizzabili, prendendo le mosse dall'originario impianto del codice penale, allorché esistevano anche delitti puniti con la pena di morte. In tale graduatoria, distinta in tre livelli, fino all'introduzione della L. 11 gennaio 2018, n. 4 , l'omicidio del coniuge, seppure presente tra le fattispecie aggravate dell' art. 577 c.p. , comma 2 occupava l'ultimo gradino comportando la pena detentiva della reclusione da ventiquattro a trenta anni. Ne ricava il ricorrente che tale particolare omicidio è una fattispecie meno grave di altre - primariamente quelle ex art. 576 c.p. , in origine punite con la pena di morite, e poi quelle dell'art. 577, comma 1 punite con l'ergastolo - ed il recente inasprimento sanzionatorio che ha coinvolto una serie di omicidi tra cui quello contro il coniuge, accomunati dalla comminatoria di ergastolo, non sarebbe in linea con l'effettivo disvalore di tali delitti, evidenziando una manifesta sproporzione della pena conseguente all'applicazione dell'aggravante ex art. 577 c.p. , anche avendo riguardo alla diversa operatività delle medesime aggravanti ex artt. 576 e 577 quando destinate ad aggravare altre fattispecie di reato, come nel caso dell'omicidio preterintenzionale e delle lesioni, ai sensi dell' art. 585 c.p. . 3.2. Tale tesi è manifestamente infondata. In linea di principio, il ragionamento risulta viziato dal fatto che, nel nuovo ordine costituzionale, la pena di morte è stata abolita e sostituita con quella dell'ergastolo, così parificando il trattamento sanzionatorio tra le prime due classi di omicidi, il che non determina l'illegittimità dell'ergastolo per quella inizialmente considerata meno grave e così ab origine punita. Non solo poiché la pena perpetua per l'omicidio del coniuge è stata prevista con la recente L. n. 4 del 2018 , questo paragone non può più essere fatto, poiché il legislatore aveva davanti a sé alcune ipotesi, tutte punite con l'ergastolo, ed ha ritenuto, nella sua discrezionalità, che anche l'omicidio del coniuge fosse di pari gravità. Anche la procedibilità a querela delle lesioni personali lievi in ambito familiare o di convivenza o di rapporti sentimentali non deriva dalla maggiore o minore gravità della condotta, ma dalla scelta di riservare l'opzione punitiva al congiunto persona offesa, sicché anche questo si rivela argomento non utilmente spendibile a sostegno della costruzione teorica. Focalizzando la disamina del motivo sulla fattispecie di reato qui concretamente in esame, l'omicidio del coniuge, si osserva che il bilanciamento di valori ed interessi introdotto dalla L. 11 gennaio 2018, n. 4 risponde in pieno alla necessità di aggiornare l'impianto normativo penale alla mutata sensibilità dei consociati verso il gravissimo fenomeno della violenza domestica e di genere, costituente vera e propria emergenza sociale italiana. In tale prospettiva è stata inserita una serie di norme che attribuiscono il giusto riconoscimento alla gravità di crimini perpetrati in contesti familiari o di altre forme di prossimità di vita, ciò costituendo la ratio che ha indotto il legislatore ad estendere a tali diffuse situazioni nevralgiche di particolare esposizione a pericolo delle persone offese il trattamento sanzionatorio previsto per le più gravi ipotesi di omicidio, nelle quali correttamente ora risulta inserito anche l'omicidio in danno del coniuge una delle tante espressioni del fenomeno indicato con il neologismo femminicidio , categoria utile ad un primo ed immediato inquadramento sociologico di tali manifestazioni di violenza secondo una rimodulazione imposta dalla recrudescenza di tali eventi e dall'acuito allarme sociale che ne deriva. Pertanto, lungi dal costituire delitto di minore rilievo, l'omicidio del coniuge ha trovato con la novella legislativa il giusto inquadramento tra i delitti di maggiore gravità in linea astratta, salva ogni possibilità di graduazione concreta della pena alla luce degli ordinari criteri indicati dagli artt. 132 e 133 c.p. , che disciplinano la discrezionalità vincolata del giudice nella determinazione del trattamento sanzionatorio. La descritta impostazione risponde dunque ad una precisa scelta di politica criminale alla quale si è ispirato il legislatore nei suoi interventi legislativi del 2018 e del 2019, in quanto tale insindacabile in questa sede e non sospettabile di illegittimità costituzionale alla luce dei richiamati parametri ex art. 3 Cost. e art. 27 Cost. , commi 1 e 3, con riferimento al nuovo art. 577 c.p. , comma 1, n. 1, nei termini prospettati dalla difesa dell'imputato, che ha erroneamente paventato una pena rigidamente predeterminata, l'ergastolo, in spregio al principio di massima individualizzazione del trattamento sanzionatorio ed al criterio di proporzione che presiede alla graduazione delle sanzioni in base alla concreta gravità oggettiva e soggettiva del delitto. Si è già detto, infatti, che la comminatoria della pena perpetua non è una imposizione rigida, ma soggetta all'ordinario vaglio di personalizzazione alla stregua dei criteri codicistici che presidiano la discrezionalità vincolata del giudice in detta materia. Arbitrario e fuori sistema risulta invece il suggerimento del ricorrente che caldeggia il ritorno alla pena della reclusione da ventiquattro a trenta anni per l'omicidio del coniuge, continuando ad usare griglie di comparazione tra omicidi ormai superate dalla realtà sociale e dalla graduazione delle sanzioni imposta dal nuovo corso costituzionale. Il preteso contrasto del trattamento sanzionatorio per l'omicidio del coniuge con i principi di ragionevolezza, proporzionalità e personalizzazione della pena e con la sua finalità rieducativa è radicalmente infondato non è ravvisabile alcuna manifesta sproporzione, non vi è alcuna pena adeguata individuabile in termini diversi da quelli posti con la novella del 2018, dovendosi riconoscere che il legislatore non ha trasmodato per irragionevolezza o arbitrarietà nella scelta discrezionale relativa alla comminatoria della pena perpetua per l'omicidio del coniuge, opzione derivante da un giudizio di grave disvalore della fattispecie astratta, marcatamente superiore a quello che connota la corrispondente fattispecie non aggravata. Le medesime conclusioni sono state tratte nell'impugnata sentenza, il cui percorso motivazionale, nel solco delle argomentazioni già espresse dalla prima Corte territoriale, risulta congruo e corretto, nonché perfettamente aderente agli arresti della Corte costituzionale sulle tematiche in discorso. 3.3. La sollecitazione difensiva all'interpello di costituzionalità è dunque manifestamente infondata nella parte riguardante l'omicidio del coniuge - qui in diretto rilievo - e manifestamente irrilevante per le ulteriori fattispecie di omicidio aggravato, non coinvolte dalla presente vicenda. 4. Sono inammissibili per la natura rivalutativa delle censure, tutte già congruamente affrontate e disattese nel processo di appello, gli ulteriori motivi che di seguito si passano in rassegna. 4.1. I motivi terzo, quarto e quinto - da trattarsi congiuntamente attesa la comune doglianza - evocano violazione di legge con riferimento agli artt. 517 e 521 c.p.p. , quanto alla denunciata ritenuta sussistenza di fatto delle aggravanti della crudeltà, della presenza della minore, e della premeditazione, aggravanti mai formalmente contestate. Osserva questa Corte che, da un lato, nè la motivazione nè il dispositivo della sentenza di primo grado facevano alcun cenno a dette aggravanti, il che giustifica l'osservazione della Corte di secondo grado per cui tali doglianze sono addirittura inammissibili per carenza di correlazione con le statuizioni del primo giudice dall'altro lato, la pretesa del ricorrente di escludere ogni riferimento alla violenza usata dal F. contro la moglie al fine di consentire il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è palesemente contraria all' art. 133 c.p. che richiede la valutazione di ogni modalità dell'azione , motivatamente ritenuta dai giudici di ambo i gradi connotata da particolare violenza. Infine, va segnalata una ulteriore ragione di inammissibilità ex art. 606 c.p.p. , comma 3, della doglianza riferita alla pretesa contestazione in fatto della premeditazione, in quanto non dedotta con i motivi di appello, ma per la prima volta in sede di legittimità. 4.2. Il sesto motivo denuncia violazione di legge, riferita agli artt. 238 e 526 c.p.p. , per l'acquisizione della relazione degli assistenti sociali ASP Azalea relativa ai figli minori dell'imputato e della vittima. Sul punto, prescindendo dalla doglianza difensiva che ha deplorato l'assenza di ogni presa di contatto dei servizi sociali con il padre in ordine ai rapporti con i figli minori, contatti che invero non avrebbero mai potuto essere instaurati, essendo stato F. immediatamente sospeso dalla responsabilità genitoriale, si osserva che in alcun modo è stata dimostrata la decisività della acquista relazione ai fini delle determinazioni sulla responsabilità penale e sul trattamento sanzionatorio dell'imputato. Dal canto suo, la Corte di Assise di appello ha affermato che tale documento non ha modificato in alcun modo il quadro probatorio e le determinazioni in ordine alla pena, la cui specie discende direttamente dall'aggravante del coniugio, e dall'assenza di ragioni per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. 4.3. Infine, il settimo motivo deduce contraddittorietà della motivazione rispetto alle risultanze in atti, quanto alla negazione delle circostanze attenuanti generiche. Trattasi di motivo integralmente rivalutativo delle diffuse e corrette argomentazioni illustrate dalla Corte di secondo grado, e alimentato da plurime osservazioni di natura schiettamente fattuale, in quanto tali inammissibili nella presente sede di legittimità, anche volendo prescindere dai limiti imposti dalla ricorrenza di una pronuncia cosiddetta doppia conforme come si è illustrato all'inizio della trattazione in diritto, paragrafo 1 , e dall'assenza di indici di pretermissione di temi probatori decisivi o di manifesto travisamento della prova in entrambi i gradi di giudizio. Vale soltanto ribadire che, in tema di circostanze attenuanti generiche, la consolidata esegesi di legittimità afferma che la relativa valutazione si configura come un giudizio di fatto, lasciato alla discrezionalità del giudice di merito Sez. 3, n. 26272 del 07/05/2019, Boateng, Rv. 276044 , il quale deve motivare la sua decisione nei soli limiti atti a far emergere, in misura sufficiente, l'avvenuta valutazione circa l'adeguamento della pena concretamente applicata rispetto alla gravità effettiva del reato e alla personalità dell'imputato tra le tante, Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, dep. 2011, Straface, Rv. 248737 Sez. 1, n. 46954 del 4/11/2004, PG in proc. Palmisani e altro, Rv. 230591 , se del caso anche attraverso il ricorso a formule sintetiche così Sez. 4, n. 23679 del 23/04/2013, Viale e altro, Rv. 256201 . Non è stato questo il caso dell'impugnata sentenza, che ha affrontato ogni profilo, oggettivo e soggettivo, della vicenda in termini assolutamente approfonditi, analizzando premesse, svolgimento e condotta post crimen patratum dell'imputato, e rendendo una motivazione ineccepibile per coerenza e completezza. Ne deriva l'inammissibilità dell'ultimo motivo di ricorso. 5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con le conseguenze di legge in ordine all'imputazione delle spese processuali, ai sensi dell' art. 616 c.p.p. . L'imputato deve essere altresì condannato alla rifusione delle spese processuali affrontate dalle parti civili costituite, liquidate nel dispositivo per i congiunti prossimi non ammessi al gratuito patrocinio mentre la liquidazione delle spese sopportate dal E.A.N. - in qualità di tutore dei figli minori dell'imputato e della vittima, ammessi al patrocinio a spese dello Stato - è riservata alla Corte di Assise di appello di Bologna che provvederà con separato decreto, disponendone il pagamento in favore dello Stato, ai sensi dell' art. 541 c.p.p. e del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 110 a tenore dell'ordinanza delle Sezioni Unite n. 5464 del 26/09/2019, dep. 2020, De Falco, Rv. 277760. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile E.A.N. , nella sua qualità di tutore dei figli minori, ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di Assise di appello di Bologna con separato decreto di pagamento, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 8 2 e 8 3 disponendo il pagamento in favore dello Stato. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili H.F. , E.A.N. in proprio, E.A.M. , E.A.A. ed E.A.S. , che liquida in complessivi Euro 4.497,00, come da nota spese. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 5 2 in quanto imposto dalla legge.