Poliziotto condannato per peculato: scomparsi 50 euro e bancomat dal portafoglio smarrito consegnatogli

I Giudici sottolineano che il poliziotto è entrato in possesso del portafoglio e di quanto in esso contenuto proprio in ragione della sua veste di pubblico ufficiale, quale addetto a compiti di pubblica sicurezza, implicanti anche la tutela della proprietà.

Colpevole di peculato il poliziotto che sottrae una banconota e una tessera bancomat dal portafoglio dimenticato in un bar e successivamente consegnatogli dal titolare del locale. Ricostruita la vicenda, originata dalla sbadataggine di un privato cittadino che ha lasciato il proprio portafoglio in un bar, per i giudici di merito è confermata la condanna del poliziotto che quel portafoglio ha ricevuto per mano della persona – il proprietario del bar – che lo aveva rinvenuto nel locale e ne ha sottratto poi una banconota da 50 euro e una tessera bancomat. Per i giudici di primo e di secondo grado, difatti, è logico parlare di peculato, poiché il portafoglio era stato affidato al poliziotto proprio in veste di pubblico ufficiale. Sulla stessa lunghezza d'onda dei giudici d'Appello si pongono anche i Magistrati di Cassazione, i quali rendono definitiva la condanna del poliziotto per il reato di peculato . In prima battuta viene chiarito che è impossibile mettere in discussione la condotta attribuita dall'accusa al poliziotto. Su questo fronte, difatti, è acclarato che il poliziotto aveva ricevuto dal titolare del bar il portafoglio smarrito da un privato cittadino e che al momento della consegna al poliziotto nel portafoglio vi era la tessera bancomat e la banconota da euro 50 , in quanto il titolare del bar aveva mostrato il contenuto al poliziotto , che, poi, aveva portato con sé il portafoglio, riponendolo in un cassetto del posto di guardia della Prefettura, dove poi sarebbe stato recuperato . Inoltre, è ritenuto poco plausibile che terze persone abbiano potuto sottrarre tessera e banconota, a fronte del fatto che proprio il comportamento del poliziotto , inizialmente volto a negare con i superiori la diretta ricezione del portafoglio e comunque il previo esame del suo contenuto alla presenza del titolare del bar, costituiva elemento di riscontro dell'ascrivibilità a lui della sottrazione di quanto risultato mancante dal portafoglio al momento del suo recupero e della sua restituzione al legittimo proprietario . Senza dimenticare, a questo proposito, l'estrema difficoltà di una rapida sottrazione del portafoglio, da parte di terze persone, da un cassetto sito in un luogo non deputato alla conservazione di reperti e frequentato da poliziotti . Inevitabile, perciò, la condanna del poliziotto, giustamente, sanciscono i Giudici, reputato colpevole di peculato. Su questo fronte, difatti, viene sottolineato che il titolare del bar consegnò il portafoglio, che era stato rinvenuto nel suo locale in quanto lì lasciato dal legittimo proprietario all'uomo sotto processo e presentatosi nella veste di poliziotto . Ciò significa che l'agente di Polizia era consapevole di aver agito in tale qualità, tanto da aver avvertito la necessità di giustificarsi per la mancata redazione di un verbale di rinvenimento del portafoglio. Dunque, il poliziotto è entrato in possesso del portafoglio e di quanto in esso contenuto proprio in ragione della sua veste di pubblico ufficiale , quale addetto a compiti di pubblica sicurezza, implicanti anche la tutela della proprietà . Tirando le somme, il poliziotto ha avuto, in concreto, nella sua veste pubblicistica, la disponibilità del portafoglio e si è appropriato di quanto poi non rinvenuto all'interno di esso, commettendo così il delitto di peculato , concludono i Giudici.

Presidente Di Stefano – Relatore Ricciarelli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 09/02/2023 la Corte di appello di Torino ha parzialmente riformato, estendendo il beneficio della sospensione condizionale alle pene accessorie, quella del Tribunale di Alessandria in data 23/09/2021, con cui V.R., assistente capo della Polizia di Stato presso il Gabinetto della Questura di omissis , è stato riconosciuto colpevole del delitto di peculato, avente ad oggetto una tessera bancomat e la somma di Euro 50,00, contenute in un portafoglio smarrito da Va.Al. e rinvenuto da F.A., che l'aveva consegnato a V. 2. Ha proposto ricorso V. tramite i suoi difensori. 2.1. Con il primo motivo denuncia vizio di motivazione in assenza di un'affermazione di penale responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio. Anche ammettendo che la banconota fosse contenuta nel portafoglio, quest'ultimo era rimasto incustodito in un locale all'interno della Prefettura, cosicché un soggetto di passaggio avrebbe potuto prelevarla. D'altro canto, il ricorrente, ove avesse personalmente operato la sottrazione, avrebbe avuto la certezza di essere ritenuto responsabile, essendo semmai più plausibile l'appropriazione dell'intero portafoglio, tale da dar luogo ad un mero contrasto di versioni. Inoltre, data la successione degli avvenimenti, una volta presentatosi Va. e chiamata la Prefettura, il ricorrente ben avrebbe potuto cogliere l'occasione per recarsi personalmente a ritirare il portafoglio reintroducendo la banconota, mentre aveva lasciato che vi si recasse lo stesso Va. Illogica era inoltre la motivazione con cui la Corte aveva ritenuto di poter escludere che nessun altro avrebbe potuto impossessarsi della banconota, considerato che nel locale avrebbero potuto transitare altri soggetti ed altri poliziotti, in grado di prelevare la banconota e il bancomat anche in pochi secondi. Nè avrebbe potuto rilevare la mancanza di tracce, in realtà non ricercate, dovendosi inoltre escludere che fosse plausibile l'impossessamento dell'intero portafoglio. Peraltro, non avrebbe potuto escludersi che la banconota fosse stata fatta sparire dallo stesso Va. oppure da F., il quale avrebbe avuto maggior interesse ad affermare di aver consegnato il portafoglio con all'interno gli oggetti sottratti, fermo restando che non era stato superato il ragionevole dubbio. 2.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge in relazione all' art. 314 c.p. Indebitamente la Corte aveva omesso di riqualificare il fatto ai sensi dell' art. 646 c.p. dovendosi rilevare che il peculato presuppone che la disponibilità della cosa sia acquisita per ragioni di ufficio o di servizio, situazione non ravvisabile nel caso di specie, non diversamente da quanto ravvisato dalla Corte di cassazione in una sentenza del 2003, all'uopo richiamata e illustrata, relativa al caso di consegna di una somma di denaro da parte della ragioneria ad un Sindaco ai fini del versamento di corrispettivi trimestrali IVA dovuti dall'Ente. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Il primo motivo è volto a sollecitare una diversa valutazione di merito, sulla base della prospettazione di alternative ipotesi ricostruttive, ma senza individuare profili di manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata. Costituisce del resto ricorrente affermazione nella giurisprudenza di legittimità che in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante , su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che attaccano la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021 , Caradonna, Rv. 280747 . Si tratta di principio che si ricollega al consolidato insegnamento delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, alla cui stregua il sindacato di legittimità deve essere limitato a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata e l'illogicità denunciata deve essere percepibile ictu oculi, essendo vietata la rilettura degli elementi di fatto e dovendo il sindacato essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti minime incongruenze Sez. U, n. 24 del 24/11/1999 , Spina, Rv. 214794 Sez. U, 6402 del 30/04/1997 , Dessimone, Rv. 207944 . Orbene, nel caso di specie la Corte territoriale ha dato conto degli elementi in forza dei quali ha ritenuto che il ricorrente avesse ricevuto da F. il portafoglio smarrito da Va. , che al momento della consegna nel portafoglio vi fosse la tessera bancomat e la banconota da Euro 50,00, in quanto F. aveva mostrato il contenuto al ricorrente, e che di seguito costui avesse portato con sé il portafoglio, riponendolo in un cassetto del posto di guardia della Prefettura, dove poi sarebbe stato recuperato. Inoltre la Corte ha spiegato le ragioni per cui ha ritenuto infondate le deduzioni difensive, in particolare sottolineando come non fosse plausibile che terzi avessero potuto sottrarre tessera e banconota, a fronte del fatto che proprio il comportamento del ricorrente, inizialmente volto a negare con i superiori la diretta ricezione del portafoglio e comunque il previo esame del suo contenuto alla presenza di F. , costituiva elemento di riscontro dell'ascrivibilità al ricorrente della sottrazione di quanto risultato mancante dal portafoglio al momento del suo recupero e della sua restituzione all'avente diritto. A fronte di ciò il motivo di ricorso ripropone argomenti difensivi già esaminati, pretendendo di cogliere profili di illegittimità in valutazioni della Corte, cui in realtà sono contrapposte solo alternative opzioni ricostruttive, non idonee a disvelare la manifesta inadeguatezza del giudizio di merito. Ciò vale sia con riguardo all'ipotesi della sottrazione da parte di terzi sia con riferimento alla pretesa irragionevolezza della sottrazione da parte del ricorrente della sola banconota o della carta bancomat, alle quali la Corte ha contrapposto l'estrema difficoltà di una rapida sottrazione da parte di terzi da un cassetto sito in luogo non deputato alla conservazione di reperti e frequentato da poliziotti, ferma restando la sicura conoscenza da parte del ricorrente del contenuto del portafoglio, vanamente negata, a fronte dell'iniziale tentativo di ascrivere ad altri la ricezione dell'oggetto, poi giustificato con il timore di sanzioni per la mancata redazione di verbale. Ma non diverso giudizio deve riservarsi alla deduzione incentrata sull'ipotesi che la banconota fosse stata fatta sparire dallo stesso Va. o dal F. o sul fatto che il ricorrente avesse se del caso interesse a recarsi di persona a prelevare il portafoglio senza consentire a Va. di recarsi in Prefettura si tratta in tutti i casi di ricostruzioni alternative inidonee a dimostrare la manifesta illogicità di quella formulata dai Giudici di merito, suffragata dal fatto che F. aveva avuto occasione di parlare del portafoglio e del suo contenuto con la moglie di Va., prima della scoperta dell'ammanco, a conferma della non riferibilità della sottrazione a taluno dei protagonisti, diverso dal ricorrente. 3. Altrettanto inammissibile deve ritenersi il secondo motivo, in quanto manifestamente infondato. Del tutto irrilevante, al fine di suffragare la non dipendenza della disponibilità del bene da ragioni inerenti al servizio o all'ufficio, risulta la sentenza della Corte di cassazione invocata nel motivo, che si riferisce ad ipotesi non corrispondente a quella in esame. In realtà è pacifico, in base alla ricostruzione contenuta nella sentenza impugnata, che F. consegnò il portafoglio che era stato rinvenuto nel suo bar, in quanto ivi lasciato da Va., a V., presentatosi nella veste di poliziotto il ricorrente era peraltro consapevole di aver agito in tale qualità, tanto da aver avvertito la necessità di giustificarsi per la mancata redazione di un verbale di rinvenimento. Deve dunque ritenersi che il ricorrente fosse entrato in possesso del portafoglio e di quanto in esso contenuto proprio in ragione della sua veste di pubblico ufficiale, quale addetto a compiti di pubblica sicurezza, implicanti anche la tutela della proprietà e la garanzia della certezza dei rapporti, anche se, in caso di rinvenimento di oggetti smarriti, l' art. 927 c.c. stabilisca che debba darsi. Sta di fatto che il ricorrente, nella sua veste pubblicistica, ha in concreto avuto la disponibilità del portafoglio e si è appropriato di quanto poi non rinvenuto all'interno di esso, commettendo il delitto di peculato, secondo le puntuali e corrette osservazioni della Corte territoriale, non vulnerate sul punto dalle deduzioni difensive. 4. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, conseguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa sottesi alla causa dell'inammissibilità, a quello della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.