Istanza di decisione senza nuova procura speciale e responsabilità del difensore

La Suprema Corte affronta per la prima volta, nella nuova formulazione dell’articolo 380-bis c.p.c., il problema dell’istanza volta a chiedere la decisione, senza che venga allegata la nuova procura. La questione riguarda il caso di istanza, pur con espresso riferimento nel testo ad una procura speciale “giusta procura speciale in calce al presente atto” , in realtà non risulta munita di una siffatta procura.

Si pone la duplice questione se tale atto dispieghi comunque un'efficacia quale atto di impulso di parte ed eventualmente il tipo di decisione conseguente. Si pone anche la questione se il difensore sia condannabile al pagamento della sanzione a favore della Cassa delle Ammende. La Cassazione scioglie questi dubbi. L'articolo 380-bis c.p.c. prevede che, nei casi di inammissibilità, improcedibilità o manifesta infondatezza del ricorso principale, il Presidente di sezione o il consigliere delegato possa formulare una sintetica proposta di definizione del giudizio. Entro 40 giorni dalla comunicazione, la parte, con istanza sottoscritta dal difensore munito di nuova procura speciale, può chiedere la decisione. In mancanza, il ricorso si intende rinunziato e la Corte provvede ai sensi dell'articolo 391 c.p.c. Se viene chiesta la decisione, la Corte, se definisce il giudizio secondo la proposta, applica i commi 3° e 4° dell'articolo 96 c.p.c. Dunque, in ordine all'istanza di decisione del ricorso in sede collegiale, l'articolo 380-bis c.p.c. esige due requisiti il deposito dell'istanza da parte del ricorrente tramite proprio difensore che per sottoscrivere l'istanza deve essere “munito di una nuova procura speciale” l'istanza depositata entro 40 giorni dalla comunicazione della proposta di definizione del giudizio. La questione riguarda il caso di istanza, pur con espresso riferimento nel testo ad una procura speciale “giusta procura speciale in calce al presente atto” , in realtà non risulta munita di una siffatta procura. Il primo interrogativo riguarda le conseguenze di tale mancanza sul giudizio, trovandoci di fornte ad un'alternativa tale carenza è ostativa e bloccante definitivamente della fattispecie progressiva della decisione collegiale, rendendo di fatto improcedibile il giudizio di legittimità pur non essendo un istituto rinvenibile in alcuna specifica norma, in quanto non si tratta di rinuncia, bensì, all'opposto, di una manifestazione sia pure carente della volontà di prosecuzione. oppure, al contrario, l'istanza realizza comunque, oggettivamente, un effetto giuridico di impulso al passaggio nella fase collegiale, pur dovendo poi il giudice collegiale, per rispettare il dettato dell'articolo 380-bis, secondo comma, dichiarare l'inammissibilità della istanza di giudizio, per essere stato l'impulso privo dell'apposita procura speciale. L'interrogativo riguarda, a ben vedere, se la riforma dell'articolo 380-bis c.p.c. con d.lgs. numero 149/2022 ha configurato una cognizione monocratica nel giudizio di legittimità. Dunque il tratto di capire il rapporto tra fase monocratica e fase collegiale. Al riguardo la Cassazione evidenzia che anche nelle previsioni previgenti il controllo e la valutazione monocratica assumeva valore di mero opinamento e il Collegio procedeva alla decisione, mantenendo il pieno potere di vagliare il ricorso anche disattendendo l'opinamento. La Corte ritiene che il nuovo istituto dell'articolo 380-bis c.p.c., pur nella logica procedimentale innovativa e diversa, non incide sull'essenza collegiale della giurisdizione di legittimità. La proposta monocratica di c.d. definizione accelerata del giudizio continua a rappresentare un mero opinamento del relatore proponente, privo di valore decisionale. La novità risiede nella richiesta del legislatore di una interlocuzione della parte. È solo la parte che rimane sovrana di decidere secondo due alternative la prima è quella che consegue all'omessa richiesta di decisione della Corte, così compiendosi, con il silenzio serbato nel termine previsto, una manifestazione tacita di rinuncia al ricorso, la quale segue la sorte procedimentale dell'ordinaria manifestazione di rinuncia espressa disciplinata negli artt.390 e 391 c.p.c. e comporta la definizione del giudizio non come indicato nella proposta, bensì appunto per sostanziale rinuncia al ricorso la seconda è invece rappresentata da una mera istanza, non motivata, di decisione, la quale di per sé provoca la decisione della Corte. Il termine perentorio di deposito e la nuova procura speciale costituiscono condizioni della sua ritualità, che, in difetto, conducono il ricorso a una sorte diversa dal caso di silenzio della parte, per diversità ontologica di fattispecie, in quanto dal punto di vista laterale, l'articolo 380-bis c.p.c. precede la rinunzia “in mancanza” della richiesta di decisione. dal punto di vista teleologico, la mancanza deve essere intesa come mancanza assoluta e non come mancanza di richiesta rituale. una diversa interpretazione, finirebbe per introdurre un potere di decisione monocratico su una manifestazione di volontà irrituale, in una situazione in cui la Corte è stata investita del ricorso. in pratica, poi, il rischio di una diversa interpretazione è che il ricorrente sia indotto a formulare istanze irrituali tardive, prive di nuova procura speciale per evitare l'applicazione del comma 3° dell'articolo 380-bis che implica l'articolo 96 commi 3° e 4° c.p.c. Troverebbe applicazione l'articolo 391con la sola possibilità di liquidare le spese. Consegue il seguente principio di diritto «qualora l'istanza di decisione collegiale di cui all'articolo 380-bis c.p.c. venga chiesta non rispettando i requisiti che le impone il medesimo articolo e quindi sia affetta da vizi processuali, come la tardività, la mancanza di nuova procura, oppure una nuova allegazione della stessa procura sulla base della quale era stato proposto il ricorso, il giudizio non può essere definito con il decreto di estinzione di cui all'articolo 391 c.p.c., ma occorre fissare l'adunanza collegiale ai sensi dell'articolo 380-bis c.p.c., giacché la definizione con decreto si effettua solo qualora non sia proposta l'istanza». Si pone poi il problema della formula decisoria all'esito dell'adunanza camerale. Le alternative possibili sono due il Collegio, accertato che l'istanza di decisione era tardiva o non accompagnata da nuova procura o accompagnata dalla procura originaria, cioè ritenuta la irritualità della istanza, potrebbe definire il giudizio come se fosse mancata l'istanza e, dunque, dichiararlo estinto. Pertanto non sarebbe applicabile la norma dettata dall'articolo 380-bis, comma 3, c.p.c., attenendo questa alla definizione del giudizio “in conformità alla proposta”. il Collegio, ritenuta l'irritualità dell'istanza, dichiara il giudizio definito sulla base della proposta e, dunque, gli assegni l'esito che aveva indicato la proposta, sebbene per l'esistenza di ragioni impedienti di rito sulla discussione della fondatezza di essa e prescindendo dalla condivisibilità dell'esito indicato dalla proposta. Il Collegio dà rilievo in questo caso alla irritualità dell'istanza di decisione e la fattispecie non può essere trattata come la mancanza dell'istanza e determinare l'estinzione sia pure per ordinanza collegiale, perché l'istituto correla l'estinzione solo alla mancanza di istanza quale tacita rinuncia al ricorso. La seconda soluzione è quella abbracciata dalla Corte. In sostanza, si equipara la situazione in cui la proposta non è discutibile perché condivisa nel merito, e quella in cui non è discutibile per ragioni di rito. Nell'uno e nell'altro caso ricorre il presupposto per cui il giudizio viene definito “in conformità alla proposta”. Diversamente, verrebbe preclusa, a fronte ad un comportamento del ricorrente irrituale nel provocare la decisione collegiale, l'applicazione automatica, prevista dal comma 3° articolo 380-bis c.p.c., dell'articolo 96, comma 3 e comma 4, c.p.c. Al massimo vi potrebbe essere la mera possibilità di applicare direttamente l'articolo 96, terzo e quarto comma. Ma vi è di più. La formula dichiarativa dell'estinzione introdurrebbe un tertium genus di estinzione, basato non sulla rinuncia effettiva alla decisione, ma su una richiesta di decisione irrituale. E così viene fissato l'ulteriore principio di diritto «quando l'istanza di definizione del giudizio dopo la formulazione della proposta sia stata fatta in modo irrituale, il Collegio fissato in adunanza camerale definisce il giudizio in conformità alla proposta per ragioni di rito impedienti la discussione su di essa con piena applicazione del terzo comma dell'articolo 380-bis c.p.c.». Rimane la sanzione a favore della Cassa delle Ammende. Questa condanna, invero, non può gravare sul difensore, in quanto, pur senza nuova procura, egli ha effettuato un atto riconducibile comunque all'ambito del giudizio per cui era stato nominato dal ricorrente il rapporto di mandato difensivo non permette il trasferimento di questo onere delle spese, senza snaturare la struttura e la natura della difesa tecnica.

Presidente Frasca – Relatore Iannello Rilevato che Il Tribunale di Reggio Calabria, con sentenza non definitiva del 13 ottobre 2015 in ordine alle domande proposte da G.F. avverso […] s.r.l. quale struttura nazionale e […] s.r.l. con sede di omissis per il risarcimento per un preteso danno di 241.092,90 Euro o della diversa somma di giustizia per non avere egli ottenuto, quale affidatario e comodatario rispettivamente di due fondi agricoli, un importo da un Fondo denominato Riserva Nazionale per il cui conseguimento aveva conferito mandato alle convenute, accoglieva la domanda attorea nei confronti di […] s.r.l. quale struttura nazionale e la dichiarava invece inammissibile nei confronti di […] s.r.l. con sede in omissis , disponendo per il resto la rimessione in istruttoria con separata ordinanza. […] s.r.l. quale struttura nazionale proponeva appello, cui il G. resisteva. Il 20 novembre 2017 il Tribunale pronunciava sentenza definitiva, condannando la convenuta a risarcire il danno all'attore nella misura di Euro 67.378,90 oltre interessi legali. Anche questa sentenza veniva gravata d'appello da parte di […] s.r.l., resistendo il G. , che presentava pure appello incidentale. Intervenivano le sue figlie G.D. e Ge.Do. , che presentavano ulteriore appello incidentale assumendo che il padre aveva loro ceduto nelle more l'azienda agricola. Riunite le cause, la Corte d'appello di omissis , con sentenza dal 22 novembre 2021, accoglieva gli appelli proposti da […] s.r.l. - frattanto entrata in liquidazione - rigettando la domanda presentata nei suoi confronti e respingeva gli appelli incidentali. G.F. ha proposto ricorso sulla base di due motivi, da cui l'intimata non si è difesa. In data 22 marzo 2023 il Presidente di Sezione delegato ha emanato proposta di definizione del giudizio, ai sensi dell'articolo 380-bis, comma 1, c.p.c., nel senso della inammissibilità del ricorso. Essendo stata comunicata la proposta il 29 marzo 2023, il difensore del ricorrente ha depositato il 28 aprile 2023 tempestiva istanza di decisione del ricorso. È stata pertanto disposta la trattazione ex articolo 380-bis.1., comma 3, c.p.c. Il Procuratore Generale non ha depositato conclusioni in data 4 settembre 2023 il difensore del ricorrente ha depositato note conclusive , contenenti le precisate conclusioni nel senso dell'annullamento della sentenza impugnata. Considerato che 1. Deve anzitutto rilevarsi che, in ordine all'istanza di decisione del ricorso in sede collegiale, l'articolo 380-bis c.p.c. esige due requisiti in primo luogo, il deposito dell'istanza da parte del ricorrente tramite proprio difensore che per sottoscrivere l'istanza deve essere munito di una nuova procura speciale in secondo luogo, che l'istanza così sottoscritta venga depositata entro quaranta giorni dalla comunicazione della proposta di definizione del giudizio emessa ai sensi del comma 1 dell'articolo. Nel caso in esame l'istanza, pur facendo nel testo un espresso riferimento ad una procura speciale giusta procura speciale in calce al presente atto , in realtà non risulta munita di una siffatta procura. Occorre pertanto accertare se tale carenza blocchi , e definitivamente, questa progressiva fattispecie di raggiungimento, per così dire, della collegialità di decisione, inibendo appunto la fase collegiale e in sostanza rendendo improcedibile il giudizio di legittimità si tratterebbe peraltro di un istituto non rinvenibile in alcuna specifica norma, non essendo sostenibile neppure che possa desumersi da un'applicazione analogica del paradigma di cui agli articolo 390 e 391 c.p.c., in quanto non si tratta di rinuncia nemmeno tacita bensì, all'opposto, di una - per quanto erronea - manifestazione della volontà di prosecuzione e peraltro l'articolo 390 esige espressamente, a sua volta, che, qualora la rinuncia non sia sottoscritta anche dalla parte, il difensore deve essere munito di un mandato speciale, proprio quel che qui manca oppure, al contrario, se l'istanza sprigioni comunque, oggettivamente, un effetto giuridico di impulso al passaggio nella fase collegiale, pur dovendo poi il giudice collegiale, pervenutagli così la cognizione, per rispettare il dettato dell'articolo 380-bis, comma 2, dichiarare l'inammissibilità della istanza di giudizio, e quindi - nel caso in esame - del ricorso al quale l'istanza si rapporta, per essere stato l'impulso superante la proposta monocratica privo dell'apposita procura speciale. 2. La riforma che ha investito l'articolo 380-bis c.p.c. - e precisamente l'articolo 3 D.Lgs. numero 10 ottobre 2022 numero 149 - parrebbe avere introdotto in effetti una cognizione monocratica nell'ambito della giurisdizione di legittimità. Come è ben noto, nella normativa previgente nell'ultima versione del D.L. 31 agosto 2016 numero 168, convertito, con modifiche, in l. 25 ottobre 2016 numero 197 la struttura diretta a identificare, raccogliere e dirimere i ricorsi di contenuto manifesto - tanto per questioni di diritto processuale quanto per questioni di diritto sostanziale, e parimenti tanto per le fattispecie di accoglimento quanto per quelle di disattendimento - era affidata comunque ad una apposita Sezione, la Sesta, la quale effettuava tale controllo mediante un procedimento che aveva sì una manifestazione monocratica, espressa nella proposta di definizione, ma le attribuiva solo il valore di un mero opinamento, insuscettibile di gravare il ricorrente di alcunché. Una volta formulata la proposta, infatti, veniva fissata automaticamente adunanza camerale collegiale ed il Collegio procedeva alla decisione, mantenendo il pieno potere di vagliare il ricorso non solo eventualmente disattendendo l'opinamento, ma potendolo fare anche a prescindere dallo svolgimento di attività di contestazione con memoria da parte del ricorrente ed in epoca ancor più anteriore, quando i difensori erano ammessi a discutere oralmente, a prescindere da una contraria presa di posizione mediante la discussione . Considerazioni non dissimili meritava la fattispecie procedimentale precedente, com'è noto imperniata sulla c.d. relazione. La collegialità nel decidere connotante la Suprema Corte, certamente imposta dalla stessa Costituzione, che la delinea sine dubio nella struttura di organo collegiale non imponendo semmai un numero preciso di componenti che esprima la collegialità, il che ha consentito in passato, com'è noto, di ridurre i componenti del Collegio, sia per le Sezioni Semplici, sia per le Sezioni Unite , era manifestamente assicurata dalla necessarietà della fissazione dell'adunanza collegiale a seguito della proposta e precedentemente a seguito della relazione . 3. Il nuovo istituto dell'articolo 380-bis c.p.c. si connota per una logica procedimentale innovativa e diversa, ma anche questa - nonostante la lettera, svincolandola dal quadro sistemico, potrebbe apparire compatibile con il contrario - non incide sull'essenza collegiale della giurisdizione di legittimità. La proposta di c.d. definizione accelerata del giudizio, non diversamente dalla previgente proposta e altresì dalla relazione, che, ut supra rammentato, l'aveva preceduta nel tessuto normativo , continua, infatti, a rappresentare un mero opinamento del relatore proponente, privo di valore decisionale, il novum essendo rappresentato unicamente dalla richiesta del legislatore di una interlocuzione della parte. Questa rimane domina effettiva dell'impulso di definizione del giudizio secondo due alternative a la prima è quella che consegue all'omessa richiesta di decisione della Corte, così compiendosi, con il silenzio serbato nel termine previsto, una manifestazione tacita di rinuncia al ricorso, la quale segue la sorte procedimentale dell'ordinaria manifestazione di rinuncia espressa disciplinata negli articolo 390 e 391 c.p.c. e comporta la definizione del giudizio non come indicato nella proposta, bensì appunto per sostanziale rinuncia tacita al ricorso, certamente indotta dal tenore della proposta stessa ma altrettanto certamente non considerabile come decisione sul merito del ricorso e, dunque, come decisione monocratica b la seconda è invece rappresentata da una mera istanza, non motivata, di decisione, la quale di per sé provoca la decisione della Corte. È vero che questa istanza deve essere compiuta entro un termine perentorio ed accompagnata dal rilascio di una nuova procura, ma queste sono condizioni della sua ritualità, che, qualora non si osservino, conducono il ricorso a una sorte che non può essere quella normativamente assegnata al silenzio della parte, cioè alla mera assenza d'istanza di definizione, per quel che ora si verrà a rilevare. Il secondo inciso dell'articolo 380-bis, comma 2, dopo che il primo inciso prescrive che l'istanza va effettuata nei quaranta giorni dalla comunicazione e corredata di nuova procura speciale, stabilisce che il ricorso si intende rinunciato in mancanza della richiesta di decisione. È pur vero che il primo inciso ricollega la richiesta di decisione al termine di quaranta giorni indicato nel comma precedente, ma il valore determinante dell'espressione si intende rinunciato , impone, seguendo il sentiero di un'esegesi teleologica, di intendere la mancanza non come mancanza di una richiesta di definizione rituale - cioè nel termine fissato e con la nuova procura, in modo da estendere la definizione con il decreto di estinzione presidenziale anche a tali ipotesi - bensì come mancanza assoluta. Ne consegue che una istanza tardiva o un'istanza non corredata da nuova procura - come nel caso di specie - o accompagnata dalla stessa procura originaria impongono alla Suprema Corte di fissare l'adunanza ai sensi dell'articolo 380-bis e nettamente escludono che il giudizio di cassazione possa definirsi con il decreto di estinzione. Una simile definizione postula, invero, che il ricorrente manifesti un'inerzia assoluta, perché solo questa integra la rinuncia tacita giustificativa della definizione del ricorso con provvedimento di estinzione. Qualora si aderisse all'esegesi opposta, ravvisando un potere valutativo della ritualità della condotta del ricorrente nella fase precollegiale in luogo di una mera constatazione della mancata richiesta di definizione id est di un silenzio significativo della rinuncia alla decisione e non altrimenti interpretabile , allora si introdurrebbe un potere di decisione non collegiale, ovvero monocratica, su una manifestazione di volontà della parte, che è comunque tale sebbene irrituale in quanto compiuta con il suo difensore - anche se sulla base della originaria procura -, in una situazione in cui la Corte è stata investita del ricorso. Peraltro, anche il criterio dell'esegesi conforme allo scopo perseguito dal legislatore impone di avallare l'opzione qui sostenuta, in quanto, qualora si ritenesse che nei casi di irrituale istanza di decisione il giudizio debba dichiararsi estinto dal Presidente con decreto ai sensi dell'articolo 391 c.p.c., il ricorrente sarebbe sempre indotto, pur se consapevole della correttezza della proposta di definizione - sempre a lui avversa nella configurazione operata dall'attuale novella -, a formulare l'istanza irrituale tardiva, senza nuova procura e quindi sulla base della stessa procura, come nella specie , giacché in tal modo non potrebbe trovare applicazione il regime del comma 3 dell'articolo 380-bis quanto all'applicazione del terzo e comma 4 dell'articolo 96 c.p.c., dovendosi invece trovare disciplina nell'articolo 391 comma 2 c.p.c., che prevede solo la possibilità di liquidare le spese. Lo stesso funzionamento del nuovo istituto quanto ai profili sanzionatori verrebbe in tal modo agevolmente eluso. Il Collegio ritiene, dunque, di affermare il seguente principio di diritto “qualora l'istanza di decisione collegiale di cui all'articolo 380-bis c.p.c. venga chiesta non rispettando i requisiti che le impone il medesimo articolo e quindi sia affetta da vizi processuali, come la tardività, la mancanza di nuova procura, oppure una nuova allegazione della stessa procura sulla base della quale era stato proposto il ricorso, il giudizio non può essere definito con il decreto di estinzione di cui all'articolo 391 c.p.c., ma occorre fissare l'adunanza collegiale ai sensi dell'articolo 380-bis.1 c.p.c., giacché la definizione con decreto si effettua solo qualora non sia proposta l'istanza”. 4. Si pone a questo punto il problema della formula decisoria che, all'esito dell'adunanza camerale il Collegio deve adottare. Le alternative possibili sono due. Il Collegio, accertato che l'istanza di decisione era tardiva o non accompagnata da nuova procura o accompagnata dalla procura originaria, cioè ritenuta la irritualità della istanza, potrebbe definire il giudizio come se fosse mancata l'istanza e, dunque, dichiararlo estinto. Pertanto non sarebbe applicabile la norma dettata dall'articolo 380-bis comma 3, attenendo questa alla definizione del giudizio in conformità alla proposta . L'altra alternativa - da preferire per la medesima ragione in precedenza indicata che un'istanza irrituale esige la decisione collegiale -, è invece che il Collegio, ritenuta l'irritualità dell'istanza, dichiari il giudizio definito sulla base della proposta e, dunque, gli assegni l'esito che aveva indicato la proposta, sebbene per l'esistenza di ragioni impedienti di rito sulla discussione della fondatezza di essa e prescindendo dalla condivisibilità dell'esito indicato dalla proposta. Il Collegio dà rilievo in questo caso alla irritualità dell'istanza di decisione e la fattispecie non può essere trattata come la mancanza dell'istanza e determinare l'estinzione sia pure per ordinanza collegiale, perché l'istituto correla l'estinzione solo alla mancanza di istanza quale tacita rinuncia al ricorso. In pratica, questa soluzione tratta allo stesso modo la situazione in cui la proposta non è discutibile perché condivisa nel merito, e quella in cui non è discutibile per ragioni di rito. Nell'uno e nell'altro caso ricorre il presupposto per cui il giudizio viene definito in conformità alla proposta . Il Collegio rileva che la prima alternativa, stante la formula decisoria estranea al dictum dell'articolo 380-bis precluderebbe, di fronte ad un comportamento del ricorrente irrituale nel provocare la decisione collegiale, l'applicazione automatica, cioè basta su detta norma, dell'articolo 96, comma 3 e comma 4, c.p.c. E semmai lascerebbe ferma la possibilità, ma appunto solo la possibilità, di applicare direttamente l'articolo 96, terzo e comma 4. Non solo la formula dichiarativa dell'estinzione introdurrebbe un tertium genus di estinzione, basato non già sulla rinuncia effettiva alla decisione, bensì su una richiesta di decisione irrituale. Nè potrebbe essere argomento favorevole all'adozione della prima alternativa almeno per il caso di richiesta di decisione senza nuova procura, il rilievo che, applicando la formula supposta dall'articolo 380-bis e così giustificandosi l'applicazione automatica dell'articolo 96, comma 3, e dell'articolo 96, comma 4, si finirebbe per sanzionare un comportamento non imputabile alla parte, ma al suo difensore. In tanto, questa eventualità, che suppone che il difensore non abbia richiesto volutamente alla parte la procura è solo un'eventualità, ben potendo il difensore avere agito senza nuova procura perché richiesto dalla parte, pur avvertita della necessità di una procura nuova. Inoltre il difensore che avesse agito senza interpellare la parte e chiederle una nuova procura, ne dovrebbe rispondere nei confronti del suo assistito, come di norma per lo svolgimento del rapporto processuale. Nè potrebbe pensarsi che la condanna ai sensi dell'articolo 96, terzo e comma 4, dovrebbe essere disposta a carico del difensore, in quanto ha agito senza la nuova procura. Tanto non sarebbe giustificabile, tenuto conto che il difensore dispone sempre della procura originaria e non può pertanto essere considerato sic et simpliciter alla stregua di un difensore che ricorre per cassazione senza procura invero, la definizione del giudizio sulla base della proposta è pur sempre correlata al ricorso, che il difensore ha redatto sulla base della procura originaria. L'ulteriore principio di diritto che si deve, dunque, affermare è in conclusione il seguente “quando l'istanza di definizione del giudizio dopo la formulazione della proposta sia stata fatta in modo irrituale, il Collegio fissato in adunanza camerale definisce il giudizio in conformità alla proposta per ragioni di rito impedienti la discussione su di essa con piena applicazione del comma 3 dell'articolo 380-bis c.p.c.”. 5. Scrutinando allora il caso concreto in esame, risulta evidente che l'istanza di cui all'articolo 380-bis, comma 2, è stata presentata in difetto di uno dei requisiti, ovvero della nuova procura speciale requisito ontologicamente innestato nella struttura di questo subprocedimento di legittimità, se si tiene in conto che, nel caso in cui il ricorso venga poi collegialmente deciso in modo conforme, il ricorrente patisce in modo automatico e ormai sanzionatorio gli effetti originariamente dissuasori dell'ultimo comma dell'articolo 380-bis. Il che comporta, assorbito ogni altro profilo, l'inammissibilità del presente ricorso, rientrando sine dubio nel paradigma dell'articolo 365 in ordine alla necessità per il ricorso per cassazione di conferire procura speciale all'avvocato cassazionista, poiché la fattispecie in esame a sua volta genera impulso per la prosecuzione di un ricorso che altrimenti sarebbe già definito. 6. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, in quanto l'intimata non si è difesa e ciò inibisce anche l'applicazione dell'articolo 96, comma 3, c.p.c. In applicazione del combinato disposto degli articolo 380-bis, comma 3, e 96, comma 4 c.p.c., si deve invece condannare il ricorrente a pagare una sanzione di 2000 Euro a favore della Cassa delle Ammende. Questa condanna, invero, non può gravare sul difensore, in quanto, pur senza nuova procura, egli ha effettuato un atto riconducibile comunque all'ambito del giudizio per cui era stato nominato dal ricorrente e d'altronde pure il trasferimento qui inattuabile, per quel che si è appena rilevato dell'onere delle spese correlate al ricorso dal cliente/mandante al difensore/mandatario non può non essere configurato stricto sensu, senza subire espansioni confliggenti con la struttura dell'istituto della difesa tecnica. Seguendo l'insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 numero 4315, infine, si dà atto, ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater, D.P.R. numero 115/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e non luogo a pronuncia sulle spese. Condanna il ricorrente al pagamento della sanzione di Euro 2000 a favore della Cassa delle Ammende. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater, D.P.R. numero 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto. Si dà atto altresì che il Presidente del Collegio ha sostituito come estensore il Cons. Graziosi al relatore Cons. Iannello.