La gelosia non costituisce da sé sola l’aggravante dei motivi abietti e futili

La condizione emotivo-psicologica della gelosia rientra a pieno titolo nei c.d. stati emotivi e passionali che, ai sensi dell’articolo 90 c.p., non escludono né diminuiscono l’imputabilità, quindi non è idonea ad integrare automaticamente l’aggravante ex articolo 61, comma 1, numero 1 c.p.

Omicidio e motivi abietti e futili Con questa sentenza, la S.C. torna sul tema dell'aggravante dei motivi abietti e futili, sempre più spesso contestata nei processi per “femminicidio” e passata alla ribalta dell'opinione pubblica non specializzata con il noto caso Carol Maltesi, ove esclusa, con conseguente clamore mediatico. Le basi della pronuncia di condanna Dopo una fase iniziale dell'indagine molto travagliata, viene rinviato a giudizio e successivamente condannato per l'omicidio di A.M. il suo partner, con cui la ragazza aveva vissuto una relazione a fasi alterne, densa di rotture e riappacificazioni. La responsabilità penale dell'uomo viene basata su alcuni elementi di fatto la sua presenza sulla scena del crimine documentata anche dalle telecamere di videosorveglianza in orario compatibile con quello del decesso le dichiarazioni confessorie rese nell'immediatezza del fatto e l'inattendibilità della successiva ritrattazione il complessivo contegno tenuto nell'immediatezza del delitto e – soprattutto e «la presenza di un movente costituito dalla gelosia che egli provava per A.M. e dal timore che ella intendesse interrompere  il rapporto sentimentale per riprendere la relazione con il suo ex fidanzato». Il perimetro delle circostanze nel caso in esame I motivi abietti e futili contestati nel capo di imputazione avrebbero determinato all'omicidio «in ragione della intenzione della donna di lasciarlo e di coltivare una relazione clandestina». Ad aggravare ulteriormente il trattamento sanzionatorio inflitto, sono state negate le attenuanti generiche in ragione delle particolari modalità della condotta l'avrebbe uccisa a mani nude, cogliendola alla sprovvista ed impedendole di chiedere aiuto, senza mostrare mai un momento di esitazione o resipiscenza anche successiva al reato, caratterizzata da particolare freddezza e dal ricorso ad una messa in scena volta a far ricadere su altri senza che in dibattimento si fosse mai percepito alcun pentimento. L'aggravante di cui all'articolo 61 numero 1 c.p. nella giurisprudenza La decisione in esame passa in rassegna alcune massime da cui trae l'avvenuto consolidamento, nei precedenti citati, di alcuni connotati precipui da cui poter ricavare, o meno, la ricorrenza della circostanza contestata. Per motivi futili, per cominciare, si intendono quelli ove – sotto il profilo oggettivo sussista sproporzione tra il reato concretamente realizzato e sotto quello soggettivo quando quello stimolo esterno, che ha funto da detonatore, appaia quale mero pretesto per lo sfogo dell'impulso criminale per motivi abietti si intendono quelli ignobili, rivelatori di un tale grado di perversità da destare un profondo senso di ripugnanza in ogni persona di media moralità sez. V numero 33250/2017 in CED, rv 271214-01 ovvero quando siano spregevoli e vili, provochino repulsione e si palesino ingiustificabili per la loro abnormità di fronte al sentimento umano sez. I, numero 32851/2008, in CED, rv 241230-01 . La necessità di motivazione ulteriore nel caso in esame La Cassazione premette che, nelle decisioni di merito, sia stata ben evidenziata la cornice emotiva in cui si inseriva la relazione tra imputato e vittima, sottolineando l'atteggiamento possessivo manifestato dal primo e denotante un contesto pienamente compatibile con una causale passionale dell'omicidio, ma ciononostante ha rinviato ad altra sezione della Corte Assise Appello per nuovo giudizio limitatamente alla circostanza aggravante di cui all'articolo 577 comma 1, numero 4 c.p. che rinvia alle circostanze di cui all'articolo 61 da 1 a 4 per i motivi abietti e futili non possono ritenersi integrati «per il solo fatto che l'autore del delitto abbia agito in preda alla gelosia … collegata ad un sia pur abnorme desiderio di vita in comune, ma sia espressione di spirito punitivo nei confronti di una vittima considerata come propria appartenenza, della quale pertanto non possa tollerarsi l'insubordinazione» sez. I, numero 9590/1997 in CED, rv 208773-01 sez. V, numero 35368/2006, in CED, rv 235008-01 sez. I, numero 1489/2012, in CED, rv 254269-01 venendo in definitiva «connotata da una abnormità dello stimolo possessivo verso la vittima» sez. 1, numero 49673/2019, in CED, rv 278082-02 e assumendo caratteristiche di «ingiustificata espressione di supremazia e possesso» sez. 1, numero 16054/2023, in CED, rv 284545-02 . E di tutte queste connotazioni peculiari, a loro dire, non v'era adeguata motivazione in sentenza, anche alla luce del fatto che la gelosia non fosse stata espressamente indicata come motivo aggravante nel capo di imputazione.

Presidente Siani – Relatore Renoldi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza della Corte di assise di Messina in data 1.8/06/2021, I.C. fu condannato alla pena dell'ergastolo in quanto riconosciuto colpevole, escluse le circostanze aggravanti previste dall'articolo 577 c.p., numero 1 e articolo 61 c.p., numero 4, del delitto di cui all'articolo 575 c.p., articolo 577 c.p., numero 4, articolo 61 c.p., numero 1, per avere cagionato la morte della compagna, M.I., uccisa all'esito di una lite, soffocandola e strozzandola fino a cagionarne la morte fatto avvenuto in Omissis . 2. Con sentenza in data 27/05/2022, la Corte di assise di appello di Messina, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato I. al risarcimento del danno in favore della parte civile Cedav Onlus da liquidarsi in separata sede, confermando, nel resto, le precedenti statuizioni in punto di responsabilità e condannando l'imputato al pagamento delle spese del giudizio di appello in giudizio in favore delle parti civili. 2.1. In sintesi, all'esito dei due giudizi di merito I. è stato ritenuto responsabile dell'omicidio sulla base dei seguenti elementi 1 la presenza di un movente, costituito dalla gelosia che egli provava per M.I., da tutti chiamata A., e dal timore che ella intendesse interrompere il rapporto sentimentale per riprendere la relazione con il suo ex fidanzato, O.D., con cui la giovane avrebbe continuato a vedersi anche dopo la rottura del loro rapporto, avvenuta qualche tempo prima 2 la esclusiva presenza di I. sulla scena del crimine, documentata dalla ripresa di alcune telecamere di sorveglianza in orario compatibile con il decesso della M., collocato in un arco temporale in cui i due, che si erano sentiti sino alle 00.28, avevano cessato di comunicare telefonicamente, quantomeno sino alle ore 1.45, allorché I. aveva chiamo l'amico S. 3 le dichiarazioni confessorie rese dall'imputato nell'immediatezza del fatto davanti al Pubblico ministero procedente e alla presenza del difensore, con sottoscrizione da parte di entrambi del relativo verbale 4 l'inattendibilità della successiva ritrattazione, avvenuta dopo la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini, resa attraverso dichiarazioni mendaci e, peraltro verso, del tutto inverosimili 5 il complessivo contegno tenuto dall'imputato sia la notte dell'omicidio, allorché egli aveva reso diverse affermazioni mendaci quali quella di avere ricevuto una chiamata con cui M.A. gli chiedeva aiuto per essere stata aggredita informazione poi condivisa con i familiari della ragazza e aveva tenuto, in ogni caso, un comportamento incompatibile con il normale stato di apprensione che dovrebbe accompagnare chi sia convinto che la sua compagna si trovi sottoposta ad aggressione, sia la mattina successiva al delitto allorché I. aveva sottratto il cellulare della vittima e aveva, poi, singolarmente rinvenuto, all'interno di un cassonetto, il cavo di alimentazione dell'apparecchio . 3. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione lo stesso I. a mezzo del difensore di fiducia, avv. Carlo Taormina, deducendo quattro distinti motivi di impugnazione, di seguito sinteticamente enunciati nei limiti necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p 3.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e , la inosservanza o erronea applicazione degli articolo 575 e 85 c.p., nonché dell'articolo 603 c.p.p., per avere la Corte di assise di appello, con motivazione congetturale e manchevole, fatto erronea interpretazione delle norme processuali in punto di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in relazione alla necessità di disporre perizia 1 sul cellulare di I. ai fini di accertare se il messaggio delle ore 2.33 inviato, tramite il profilo Facebook di A., al padre della ragazza, M.L., fosse stato inviato da I. con il proprio cellulare, usando le credenziali della donna ovvero fosse stato mandato da altra persona accertamento dirimente per comprendere se la M., in quel momento, fosse ancora viva o se altri potesse trovarsi in casa, trovandosi I. fuori dall'abitazione nell'ora di invio del messaggio 2 sulla persona di I., ai fini di accertarne la capacità di intendere e di volere al momento del fatto. 3.1.1. Quanto all'accertamento tecnico sul cellulare di I., la difesa osserva che ove dall'accertamento sul cellulare dell'imputato fosse emerso che il messaggio di aiuto ricevuto dal padre della donna alle 2.33 non era stato inviato da I. con il suo cellulare, i dati ricavati dal tabulato telefonico avrebbero perso qualunque capacità dimostrativa della presenza dell'imputato in casa della M. al momento dell'omicidio. 3.1.2. Quanto alla perizia psichiatrica, la Corte di assise di appello, dopo avere elencato i disturbi psichici documentati dell'imputato e avere riassunto la terapia farmacologica e i risultati della consulenza della difesa redatta dai Dott.ri Ma. e C., sembrerebbe avere recuperato, travisandolo, soltanto il contributo del Dott. Ch. del DSM di Messina, che senza ricordare nulla di I. e basandosi sul dosaggio dei farmaci prescrittigli concluderebbe per la presenza di un modesto disturbo del temperamento . , per giungere a ritenere la capacità di intendere e volere dell'imputato e, dunque, la non necessità di una perizia psichiatrica. In questo modo, però, la sentenza non si sarebbe confrontata con quanto prospettato dalla difesa in merito a una ipotesi di schizofrenia, fondata sulla prescrizione di farmaci neurotropici a I., né con il dato probatorio, rimasto travisato, relativo alle testimonianze della madre dell'imputato, secondo cui il figlio da bambino era stato seguito in relazione a qualcosa . qualcosina ma è stato in cura . di I.M., sorella dell'imputato, che avrebbe descritto il fratello come autore . di comportamenti autolesionistici e talora di condotte aggressive poste in essere ai danni di animaletti domestici . . 3.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e , la inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 575 c.p., articolo 577 c.p., nnumero 1 e 4, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla responsabilità dell'imputato, fondata sui seguenti elementi a la presenza di I. all'interno dell'abitazione della M. la notte fra il 6 ed il 7/03/2019 in orario compatibile con il decesso della donna b la commissione dell'omicidio fra le ore 00.30 e l'1,44 in ragione della assenza di attività dei cellulari dell'uomo e della donna in tale periodo c l'invio del messaggio di aiuto da parte di I., fingendo di essere la M. d il movente della gelosia, dovuto alla relazione della donna con O.D 3.2.1. Sotto un primo profilo, la difesa censura che si sia dato credito a quanto raccontato dall'imputato nel primo interrogatorio, ovvero che il litigio culminato nella colluttazione con la ragazza si sarebbe verificato nel pomeriggio circostanza smentita dal fatto che, in tale momento, ella era viva e lo sarebbe rimasta ancora per diverse ore nonché dal fatto che i due non avrebbero avuto alcun segno di lotta, fatta eccezione per una lesione sanguinante presente sotto il calcagno della giovane. 3.2.2. Quanto al contenuto delle immagini delle telecamere, esse non dimostrerebbero che I. fosse all'interno della abitazione della donna ma al contrario descriverebbero, nel pomeriggio del 6 marzo, una situazione di piena armonia tra i due giovani. Le ulteriori immagini, valorizzate dalla sentenza, sarebbero quella delle 00.28, da cui emergerebbe il passaggio di un uomo di esile corporatura con un berretto e un giubbotto, che teneva nella mano sinistra un sacchetto di carta e che si dirigeva verso l'abitazione della M. quella delle 1.44, che riprendevano I. mentre percorreva il tragitto inverso tenendo in mano non più il sacchetto, ma una busta della spesa quelle riprese tra le 1.59 e le 2.02.56, relative a un individuo, alcune volte immerso nel buio e in altri casi riconoscibile in I., che continuava a muoversi sul posto quella delle 2.38.46, che aveva ripreso M.S. che usciva di casa alla presenza di I., ripreso nuovamente dalle 3.01 alle 3.35 quella delle 3.49, che riprendeva I. mentre si allontanava definitivamente con M.L., quantomeno sino alle 6.59, quando aveva fatto ritorno sul posto, per rimanervi definitivamente. In realtà, le riprese delle 00.27.50 e 00.28 non restituirebbero la presenza di I., attestata solo successivamente, per come riferito dal teste B., grazie alla luce accesa del display del cellulare, mancante, invece, nelle prime immagini nonostante che, alle 00.28, tabulato alla mano, I. fosse al telefono con la M A riprova del deficit di certezza nell'identificazione, la sentenza, mentre affermerebbe che nelle immagini delle 1.44 si poteva individuare I., nella ripresa delle 00.28 si limiterebbe a richiamare la presenza di un uomo di esile corporatura con un berretto e un giubbotto che teneva nella mano sinistra un sacchetto di carta , non identificabile nell'imputato in assenza di una comparazione somatica ricostruttiva delle immagini e non apparendo dirimente la circostanza che I. avesse con sé un sacchetto nel quale era stato riposto un cornetto, comprato prima di andare dalla M E anche volendo ipotizzare, che l'uomo ritratto fosse effettivamente I., ciò non dimostrerebbe che egli fosse entrato all'interno dell'abitazione ciò che dovrebbe escludersi anche in ragione delle successive chiamate ai familiari della donna e della dimostrata impossibilità di entrare nell'abitazione anche dopo che il fratello della vittima gli aveva dato le chiavi dell'appartamento. Del resto, lo stazionare di I. nei pressi della abitazione, svegliando i familiari della vittima per cercare di entrare nella abitazione, dimostrerebbe la sua estraneità all'omicidio, poiché a rimanere sul posto avrebbe potuto consentire ai parenti della ragazza di vederlo sporco di sangue b allertare i familiari chiedendone l'intervento in soccorso immediato e/o in ausilio sarebbe stato contrario all'interesse dell'imputato, cui sarebbe convenuto allontanarsi senza creare clamore attorno al fatto appena compiuto. Inoltre, la Corte di assise di appello svaluterebbe illogicamente la testimonianza di D.G., che tra le 00.24 e le 00.27, avrebbe sentito due colpi decritti come tonfi provenire dalla stanza di A., i quali non avrebbero potuto essere prodotti da I., che certamente non si trovava all'interno dell'abitazione della donna in quel momento. Ancora, le mancate risposte della donna al cellulare e il suo messaggio di aiuto rivolto al padre delle ore 2.33 sarebbe compatibile con una azione di aggressione protrattasi ben oltre le ore 1.44, la quale, iniziata nel bagno, sarebbe poi proseguite in altre stanze, sino alla camera in cui la donna era stata rinvenuta, ormai cadavere. In ogni caso, dal momento che I. si era allontanato con M.L. dalle 3.49 alle 6.59, in tale lasso di tempo l'assassino avrebbe potuto essersi allontanato dalla abitazione, non più perlustrata, tanto più che le telecamere in loco non consentivano di riprendere le scale e l'ingresso dell'abitazione della M 3.2.3. Quanto, ancora, ai tabulati telefonici, la Corte territoriale affermerebbe apoditticamente, a partire dalla telefonata conclusasi alle 00.28 e alta circostanza che, successivamente, sino alle 1.44, i due telefoni non avessero generato alcun traffico telefonico, che I. aveva annunciato alla M. il suo arrivo, che ella gli aveva aperto la porta dell'abitazione all'interno della quale l'imputato era rimasto fino alle ore 1.44, compiendo l'omicidio in tale arco temporale. In realtà, la mera assenza di contatti tra le 00.30 e l'1.44 non autorizzerebbe, sul piano logico, all'abduzione articolata in motivazione, contrastata sia dal racconto dei rumori uditi dalla D. quando I. non era certamente in casa, sia dalla logicità della spiegazione alternativa, secondo cui, alle 00.30, M.A. non aveva risposto a I. perché ormai non più in condizione di farlo, dopo i due tonfi uditi dalla cugina, come del resto confermato dal messaggio di aiuto inviato al padre alle 2,33. Inoltre, l'uccisione della vittima nell'arco di tempo compreso tra le 00.28 e le 1.44 sarebbe smentita dal fatto che il cellulare della donna avrebbe continuato a produrre traffico dati internet in uscita dalle 22.49,14 alle 3.05,45 sicché ella ben avrebbe potuto inviare al padre il messaggio di aiuto delle 2.3 3. 3.2.4. La Corte di assise di appello escluderebbe il coinvolgimento di terzi e, in particolare, di O.D. sul presupposto che se costui avesse ucciso la M., non avrebbe avuto ragione di telefonarle e, tuttavia, contraddittoriamente, riterrebbe giustificato che I. le abbia telefonato, sulla base del rilievo, del tutto congetturale, che egli stesse cercando il cellulare della ragazza. E congetturale sarebbe la ricostruzione della dinamica dell'omicidio, ovvero che la giovane avrebbe avuto una colluttazione con il suo assassino nel bagno, dove avrebbe rotto il water mentre scalciava, per poi essere condotta, ormai morta, nella stanza in cui era stato rinvenuto il corpo e che I., una volta andato via di casa, non vi abbia potuto più fare rientro a causa della presenza della chiave nella toppa. Invero, la tesi dello spostamento del cadavere scagionerebbe ulteriormente I. in ragione a dell'assenza di tracce da imbrattamento ematico sullo stesso b dell'assenza di tracce da trascinamento c del mancato accertamento di tracce ematiche calpestate sul pavimento e/o sotto la suola delle scarpe di I 3.3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e , la inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 575 c.p., articolo 577 c.p., nnumero 1 e 4, articolo 61 c.p., numero 1, articolo 62-bis e 133 c.p. e articolo 438 c.p.p., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 61 c.p., numero 1 al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche con prevalenza sulle aggravanti alla mancata applicazione della diminuzione di pena ai sensi dell'articolo 438 c.p.p. all'applicazione di una pena eccessiva. 3.3.1. Si premette che secondo la Corte territoriale l'aggravante dei motivi abietti o futili sarebbe da ravvisare nella gelosia di I., che lo avrebbe determinato all'omicidio in ragione dell'intenzione della donna di lasciarlo e di coltivare una relazione clandestina con O Tale ragionamento, tuttavia, ometterebbe di spiegare perché I. dovrebbe avere ucciso la vittima proprio nel giorno in cui i due erano stati insieme per tutta la giornata, a raccogliere mimose e ramoscelli per le imminenti festività, in un contesta di totale serenità della ragazza, attestata sia dalla cugina, D.G., che l'aveva vista, intorno alle 18.00, davanti al portone di casa, tranquilla e serena, sia dalla madre, D.A., cui la vittima, tramite sms, aveva detto di essere tranquilla , oltre che dall'assenza di messaggi attestanti una qualsivoglia discussione tra i due. Dunque, l'affermazione secondo cui il movente dell'omicidio sarebbe da rinvenirsi nella gelosia sarebbe congetturale, così come la volontà della M. di lasciare I. . E congetturale sarebbe il fatto che la gelosia, quand'anche esistente, abbia causato l'azione omicidiaria. Infatti, pur ammettendo l'esistenza, come situazione latente, di una condizione di gelosia, difetterebbe la prova che essa abbia costituito un pretesto per l'azione, non essendo stato dimostrato quale possa essere stato il fattore che aveva fatto scattare la molla dell'azione violenta. E ciò in quanto non emergerebbero specifici comportamenti della vittima che l'agente possa avere percepito come una manifestazione di rifiuto del suo volere, come una insubordinazione alla quale reagire dando sfogo a un impulso violento. 3.3.2. Il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche sarebbe stato motivato con l'assenza di elementi sui quali ancorare il benevolo apprezzamento della richiesta della difesa, nonché con le particolari modalità della condotta avendo I. ucciso la giovane a mani nude , cogliendola alla sprovvista e impedendole di chiedere aiuto, non avendo mostrato alcun momento di esitazione o di resipiscenza e con il comportamento susseguente al reato, caratterizzato da particolare freddezza, dal ricorso a una messa in scena volta a far ricadere su altri la responsabilità di quanto accaduto, dalla mancanza, nel corso del processo, di pentimento. In questo modo, la Corte territoriale non avrebbe considerato come la condotta fosse stata assolutamente estemporanea e improvvisa, posta in essere da un ragazzo incensurato, pieno di fragilità, in un contesto in cui egli subiva gli stati d'animo della donna fragilità dimostrata dalla condotta susseguente al reato, piena di contraddizioni e del tutto illogica. Confondere l'analisi di gravità della condotta contestata con il giudizio sulla personalità e sui parametri ex articolo 133 c.p. sarebbe illogico e meritevole di censura. 3.3.3. Infine, la difesa lamenta il mancato riconoscimento della diminuzione di pena ai sensi degli articolo 438 e ss. codice di rito, motivata, senza confrontarsi con l'atto di appello, con la pedissequa riproduzione degli argomenti della sentenza di primo grado, ovvero che le testimonianze indicate in sede di richiesta di giudizio abbreviato condizionato dei testi P., O., Po. e l'esame del consulente della difesa Dott. Bo., fossero prive dei requisiti della novità e decisività, con conseguente difetto del requisito della necessarietà ai fini della decisione richiesto per la operatività dell'articolo 438 c.p.p., comma 5. Detto ragionamento sarebbe, però, il frutto di una erronea interpretazione dell'articolo 438 c.p.p., comma 6-ter, in quanto a il fatte che i testi fossero stati già sentiti in fase di indagini preliminari o che gli accertamenti fossero già presenti in atti non considererebbe che è sempre ammissibile la richiesta di giudizio abbreviato condizionata all'acquisizione della testimonianza di persone già escusse in sede di indagini preliminari, sempre che la prova sia utile a verificare la prima deposizione e che la richiesta precisi la rilevanza delle relative criticità ai fini della valutazione dei temi di prova riguardanti l'affermazione o l'esclusione della responsabilità b in base all'articolo 438 c.p.p., comma 6-ter la valutazione di ammissibilità dovrebbe essere condotta con giudizio ex ante, con riferimento alle condizioni esistenti al momento della decisione sul rito, senza tenere conto degli elementi emersi successivamente a tale decisione c la escussione del consulente della difesa Dott. Bo. sarebbe stata necessaria ai fini del decidere, considerata la nomina come perito del Dott. G.L., incaricato di ricostruire la dinamica dell'omicidio. 3.4. Con il quarto motivo, il ricorso deduce la inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 575 c.p., articolo 577 c.p., nnumero 1 e 4, articolo 185 c.p. anche in relazione all'articolo 2043 c.c. , articolo 538 e 541 c.p.p., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al riconoscimento del danno risarcibile. La Corte territoriale avrebbe erroneamente riconosciuto in capo alla CEDAV Onlus il diritto al risarcimento del danno, quale parte civile, sul presupposto che l'azione omicidiaria abbia leso l'interesse dalla stessa perseguito quale sua precipua finalità, quale diritto soggettivo inerente alla personalità o all'identità dell'ente. In questo modo, però, il giudizio di congruità, ammissibilità ed esistenza del danno risarcibile in capo alla associazione si svolgerebbe sulla base di generici riferimenti a elementi caratterizzanti la associazione stessa, senza dimostrare l'effettiva esistenza di un danno risarcibile subito dalla CEDAV. Ciò finirebbe per violare le regole generali di cui all'articolo 185 c.p. anche in relazione all'articolo 2043 c.c. , articolo 538 e 541 c.p.p. che presiedono alla ammissione di costituzione di parte civile, al riconoscimento del danno civile da reato, dei principi sanciti dalle Sezioni unite con la sentenza numero 38343 del 24/04/2014, secondo cui il danno civile deve essere sempre processualmente dimostrato, come danno conseguente alla condotta dell'imputato. Nella specie, difetterebbe in toto la dimostrazione dell'esistenza dell'an del danno, riconosciuta soltanto sul presupposto che la tutela della vita indicata in statuto legittimi il riconoscimento della effettiva lesione del diritto soggettivo inerente alla personalità o all'identità dell'ente come conseguenza diretta della condotta criminosa. 4. In data 11/09/2023 è pervenuta in Cancelleria una memoria, a firma dell'avv. Carlo Taormina, contenente motivi nuovi. 4.1. Con un primo motivo, si deduce violazione dell'articolo 85 c.p. e articolo 603 c.p.p. per avere la Corte territoriale, con motivazione apodittica, illogica e contraddittoria, escluso la incapacità di intendere o di volere, totale o parziale, di I.C., facendo applicazione di criteri scientifici erronei e sulla base di elementi di fatto non pertinenti e in particolare per aver rigettato, con erronea interpretazione delle norme processuali in punto di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, la richiesta di perizia psichiatrica di I. al fine di accertarne la capacità di intendere e di volere dell'imputato, ritenuta non rilevante in base alle sole conclusioni rassegnate dal Dott. Ch., senza considerare quelle della Dott.ssa Ma., che deponevano verso la necessità della perizia psichiatrica. Pertanto, in presenza di divergenti conclusioni tra i consulenti, i Giudici di merito avrebbero dovuto fare ricorso alla perizia, tenuto conto della sottoposizione dell'imputato, fin da piccolo, a trattamenti psichiatrici con farmaci neurotropi della conclamata diagnosi di schizofrenia psicotica in capo allo stesso, irreversibile anche in ragione del ritardo mentale da cui era affetto dell'aumento del dosaggio di quetiapina fino ad oltre 100 mg disposto dallo specialista. Con l'opposta decisione, invece, la Corte territoriale si sarebbe impegnata in una diagnosi psichiatrica del tutto estranea alla sua sfera di competenza, giungendo illogicamente ad affermare che proprio il fatto che, per molto tempo, l'imputato non si era sottoposto a cure farmacologiche, fosse la dimostrazione della sua sanità mentale, laddove, al contrario, il lungo periodo di tempo senza cure potrebbe avere causato il peggioramento delle condizioni di salute. 4.2. Con il secondo motivo, la difesa prospetta la violazione dell'articolo 438 c.p.p. per avere la sentenza impugnata, con motivazione apodittica, contraddittoria e illogica, nonché fondata su una errata interpretazione della legge penale processuale, non applicato la riduzione di pena ai sensi degli articolo 438 ss. c.p.p., pur in presenza di prove connotate da novità e decisività rispetto al materiale probatorio in atti. Infatti, dalla testimonianza dibattimentale di O., sarebbe emerso che costui aveva mentito, in sede di indagini preliminari, sulla disponibilità di diverse autovetture e di due diverse utenze cellulari, nonché sulla assenza di contatti con la vittima dopo che i due avevano posto fine alla loro relazione dall'esame dibattimentale del Dott. p. sarebbero emersi elementi di assoluta novità circa alcune contraddizioni a proposito delle tracce di DNA e biologiche dell'imputato sul corpo della vittima dall'esame dibattimentale di P., incaricato di analizzare i tabulati telefonici della vittima, dell'imputato e di S., sarebbe emerso un elemento centrale circa il traffico internet dei cellulari dell'imputato e della vittima dalla consulenza medico-legale del Dott. Bo. sarebbero emersi elementi tali da indurre la Corte territoriale a disporre perizia sulla dinamica omicidiaria e sulle modalità esecutive dell'omicidio. In ogni caso, nel valutare l'ammissibilità della richiesta di giudizio abbreviato condizionato, il Giudice avrebbe dovuto compiere un giudizio ex ante con riferimento agli elementi probatori esistenti al momento della relativa decisione. E nel caso di specie, le prove indicate dalla difesa sarebbero state, proprio attraverso una valutazione ex ante, indispensabili ai fini del decidere. 4.3. Con il terzo motivo, il ricorso deduce la violazione di legge in relazione all'articolo 61 c.p., numero 1, per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente - con motivazione apodittica, illogica e contraddittoria, nonché fondata su una errata interpretazione e applicazione della legge penale - l'aggravante dei motivi abietti o futili in capo a I., genericamente fondata sulla gelosia dell'imputato, senza distinguere tra le due aggravanti, che essendo concettualmente diverse necessiterebbero ciascuna di adeguata motivazione, mancante nel caso di specie. In ogni caso, la gelosia di I. quale causale del delitto non sarebbe stata dimostrata, tenuto conto che la teste D.G., avrebbe riferito di avere incontrato la vittima M. il pomeriggio del 6 marzo, intorno alle 18.00, e di averla vista tranquilla e serena la teste D.A. avrebbe riferito di avere avuto, la sera precedente, intorno alle 22.00, uno scambio tramite sms e che la giovane era tranquilla I. sarebbe stato descritto, nel corso del processo, come un soggetto remissivo, non aggressivo, né tantomeno violento nessun atteggiamento ispirato a gelosia sarebbe emerso dalle risultanze processuali e, anzi, I. si sarebbe recato da O., suo datore di lavoro, dichiarandosi disponibile a fare un passo indietro purché giovasse alla M Dunque, nessun elemento probatorio consentirebbe di ritenere esistente una qualche situazione idonea a fungere da stimolo/pretesto per il dispiegarsi dell'azione omicidiaria. In conclusione, la sentenza impugnata avrebbe affermato illogicamente la sussistenza dell'aggravante sulla base di una gelosia rimasta indimostrata e, anzi, smentita da elementi probatori di segno contrario. Considerato in diritto 1. Il ricorso proposto dall'imputato è parzialmente fondato e, pertanto, deve essere accolto per quanto di ragione. 2. Le censure difensive concernenti la commissione dell'omicidio di M.I. A. da parte di I.C 2.1. Con il secondo motivo, il ricorso articola una serie di osservazioni critiche su ciascuno degli elementi indiziari che la Corte territoriale ha valorizzato per giungere all'affermazione di responsabilità di I. elementi che si possono riassumere nei termini che seguono. I.C. e M.A. avevano una relazione sentimentale contrassegnata da un andamento oscillante, che aveva portato a interrompere la loro convivenza, senza che però i due cessassero di vedersi. Il 6/03/2019, giorno prima dell'omicidio, in cui essi avevano compiuto, nella prima parte della giornata, delle attività insieme, si era verificato, intorno alle 19.00, dopo che, alle 18.00 circa, la giovane aveva incontrato la cugina, D.G., un litigio telefonico, nel corso del quale I. si era messo a urlare all'indirizzo della M., come riferito dall'amico S., secondo cui le urla erano state sentite anche dal personale della stazione di servizio presso cui I. si trovava durante la telefonata v. pag. 40 della sentenza di secondo grado . Intorno alle 22.00 circa, la ragazza aveva scambiato degli sms con la madre, mostrandosi tranquilla intorno a mezzanotte la D. aveva visto che la cugina stava modificando i cd. stati dell'applicazione whattsapp sino alle 00.28, infine, M.A. era stata in contatto telefonico con I., come dimostrato dai rispettivi tabulati telefonici. E non avendo l'imputato negato di aver parlato con lei fino a quell'ora, i Giudici di merito hanno logicamente ritenuto che sino a quel momento ella fosse ancora in vita. Per la stessa ragione, i rumori provenienti dall'appartamento della vittima che la cugina, D.G., aveva udito poco prima di mezzanotte e mezza, non potevano essere riconducibili ad alcuna aggressione, anche perché, se così fosse stato, I., che proprio in quei frangenti stava parlando con lei al telefono, lo avrebbe riferito agli inquirenti in sede di interrogatorio. E soprattutto, se in quel frangente taluno fosse stato intento ad aggredire la ragazza all'interno dell'abitazione, I. lo avrebbe visto uscire dall'edificio, posto che alle 00.30, egli era stato notato passare davanti alle telecamere di casa dei Ni., mentre con un sacchetto in mano si recava verso l'abitazione della vittima. E dal momento che egli era stato immortalato, dalle stesse telecamere, mentre si allontanava nella direzione da cui era giunto, intorno alle 1.44 e che, per l'intero arco temporale, i telefoni dello stesso I. e della M. non avevano generato traffico telefonico, le sentenze di merito hanno logicamente concluso che, nel periodo considerato, essi erano insieme all'interno della casa della vittima. Una conclusione confermata, secondo tale ricostruzione, da una serie di significativi elementi indiziari il primo costituito dalle ammissioni dello stesso I., che ha affermato di essersi addormentato fuori dalla porta di casa della M. con ciò confermando che era lui la persona che era stata vista dirigersi intorno alle 00.30 verso l'abitazione della vittima il secondo dalla falsità di quanto riferito da I. alla madre della ragazza nella telefonata delle 1.59, allorché l'imputato le aveva detto che si stava recando presso l'abitazione di costei per aiutarla, avendo ella subito un'aggressione, laddove, invece, egli vi si trovava già da un'ora e mezza circa e, soprattutto, non aveva affatto parlato, da poco, con la giovane, posto che dai tabulati telefonici non erano emerse chiamate tra i due in quell'arco temporale. Le sentenze hanno, poi, evidenziato la falsità di quanto da I. riferito a M.L., padre della vittima, cui l'imputato aveva telefonato per riferirgli di essere stato da poco contattato da A. che gli chiedeva aiuto e di essersi, perciò, mosso da casa alla volta dell'abitazione della fidanzata per vedere cosa fosse successo . Circostanza smentita, appunto, dal fatto che, in tale frangente, la M. e I. non avevano avuto alcuna conversazione telefonica, che in realtà risaliva a oltre un'ora e mezza prima. Quanto, poi, al messaggio che, alle 2.33, M.L. aveva ricevuto dalla figlia papà aiutami D. mi sta ammazzando o chiamato C. ma non ho potuto aprire la porta mi teneva ferma aiuto per favore Dio aiuto , le due sentenze hanno sottolineato la assoluta inverosimiglianza che esso fosse stato mandato dalla ragazza sia perché era inconcepibile che ella scrivesse mentre era aggredita, senza provare a chiamare telefonicamente il padre, e che riferisse una circostanza del tutto irrilevante, come l'avere contattato I. nel corso dell'aggressione sia perché se, a quell'ora, fosse stata in corso l'aggressione da parte di O., costui sarebbe stato visto avvicinarsi all'edificio grazie alle telecamere e, soprattutto, sarebbe stato notato mentre usciva dall'edificio da I., il quale, a quell'ora, pattugliava la zona, secondo quanto documentato dagli strumenti di videosorveglianza, che, peraltro, non avevano registrato, tra le ore 1.44 e 1.59, la presenza di alcuno nei pressi della casa della ragazza, ad eccezione di I E per la stessa ragione, è stata, altresì, esclusa la possibilità che l'omicidio sia stato consumato dopo l'1.59, considerata l'assenza di immagini che possano avvalorare l'ipotesi in questione. Inoltre, la sentenza ha evidenziato la cornice emotiva in cui si inseriva la relazione tra I. e la vittima, sottolineando l'atteggiamento possessivo manifestato dal primo, che era arrivato a scoraggiare un soggetto che aveva espresso apprezzamento per i contenuti che la ragazza pubblicava sulla sua pagina del soda network denominato Facebook. Un contesto, dunque, pienamente compatibile con una causale passionale dell'omicidio. Il complesso degli elementi raccolti, di per sé sufficiente all'affermazione di responsabilità dell'imputato, è stato ulteriormente consolidato attraverso il puntuale richiamo alle risultanze dei due interrogatori cui I. è stato sottoposto, in entrambi i casi alla presenza del Pubblico ministero e del difensore di fiducia. Le dichiarazioni raccolte in tali frangenti sono state valorizzate, per ragioni diverse, a sostegno delle tesi di accusa. Il primo interrogatorio, invero, ha cristallizzato la sostanziale confessione dell'imputato, che ha ricondotto la morte della giovane a un'azione d'impeto, consumatasi a seguito di un litigio nel corso del quale la vittima avrebbe colpito lo stesso I., il quale ha ammesso di essere entrato nell'appartamento della giovane e di averla uccisa, sia pure collocando l'evento in una fase antecedente della giornata e benché M.A. non potesse essere stata uccisa in quel frangente, atteso che le testimonianze della madre e della cugina la descrivevano come ancora in vita nelle ore successive. Nel secondo interrogatorio, invece, I. ha reso delle dichiarazioni che sono state ritenute mendaci, stante l'assoluta inverosimiglianza di alcune come l'invio del messaggio al padre della M. con il proprio cellulare da parte di uno sconosciuto che gli avrebbe dato un passaggio , l'evidente incompatibilità tra il loro contenuto e alcune acquisizioni certe v. quanto riportato a pag. 31 della sentenza impugnata a proposito di presunte pressioni che egli avrebbe subito per autoaccusarsi in occasione del primo interrogatorio e stante la smentita di alcune specifiche circostanze da parte delle acquisizioni istruttorie, come in relazione alla presenza di O. a bordo della sua jeep presso l'abitazione della M., riferita da I. in maniera inspiegabilmente tardiva e, in ogni caso, rimasta del tutto indimostrata, tenuto conto che il veicolo, quella notte, era in uso alla moglie dello stesso O. v. pag. 26 della sentenza di primo grado e che costui, né il veicolo, erano stati ripresi, nei pressi dell'edificio e nemmeno nelle strade che ad esso portavano, da alcuna telecamera. 2.2. Le censure difensive alla motivazione della sentenza impugnata. 2.2.1. La sintesi della ricostruzione delle due sentenze di merito restituisce un quadro sostanzialmente coerente e logicamente congruo, che resiste alle obiezioni difensive sia rispetto ai singoli passaggi della motivazione, sia, soprattutto, rispetto alla lettura di insieme del complesso degli elementi indiziari, che, con le precisazioni che si faranno per quanto concerne la causale, appare priva di smagliature del tessuto argomentativo. Va, infatti, ricordato che in tema di valutazione della prova indiziaria, il giudice di merito non può limitarsi a una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi, né procedere a una mera sommatoria di questi ultimi, ma deve, preliminarmente, valutare i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti e l'intrinseca valenza dimostrativa di norma solo possibilistica , e, successivamente, procedere a un esame globale degli elementi certi, per accertare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all'imputato al di là di ogni ragionevole dubbio e, cioè, con un alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana Sez. 1, numero 8863 del 18/11/2020, dep. 2021, S., Rv. 280605 02 . Inoltre, il requisito della molteplicità degli indizi, che consente una valutazione di concordanza, e quello della gravità sono tra loro collegati e si completano a vicenda, nel senso che, in presenza di indizi poco significativi, può assumere rilievo l'elevato numero degli stessi, quando una sola possibile è la ricostruzione comune a tutti, mentre, in presenza di indizi particolarmente gravi, può essere sufficiente un loro numero ridotto per il raggiungimento della prova del fatto Sez. 5, numero 36152 del 30/04/2019, Barone, Rv. 277529 - 02 . 2.2.2. In particolare, la difesa ha dedotto, quanto alle fasi dell'esecuzione del delitto, che I. non sia stato identificato nell'individuo che, alle 00.28, era stato ripreso dalle telecamere mentre, con un sacchetto in mano, si recava presso l'abitazione della M Sul punto, è però appena il caso di osservare che, anche ammettendo che dalle immagini non si distinguano nitidamente le fattezze dell'individuo, tale identificazione è stata compiuta in maniera certa e la motivazione ha dato puntualmente conto del relativo passaggio, anche attraverso insuperabili considerazioni di carattere logico, che corroborano le indicazioni dei testi di polizia giudiziaria in particolare dell'assistente capo B. . Le sentenze, infatti, hanno in primo luogo rilevato che il soggetto recava in mano un sacchetto e che è stato accertato che, poco prima, I. avesse acquistato dei cornetti per portarli dalla M. e che li avesse, appunto, riposti in un sacchetto di carta. E anche l'abbigliamento, compreso il capellino, corrispondevano a quelli indossati dall'imputato, secondo quanto confermato dai testi della polizia giudiziaria sentiti a dibattimento. In secondo luogo, i Giudici di merito hanno sottolineato come alle ore 1.44 I. fosse stato certamente identificato mentre si allontanava dall'abitazione della vittima di tal che, se si escludesse che fosse lui il soggetto che era stato visto dirigervisi intorno alla mezzanotte e mezza, non si comprenderebbe come possa egli essere arrivato presso l'edificio in cui la M. abitava, da cui, come detto, era stato poi pacificamente visto allontanarsi. In terzo luogo, e la circostanza assume una valenza dirimente, nella tenuta logica del ragionamento delle due sentenze, è stato lo stesso I. ad ammettere dr essersi recato dalla M. e di avere suonato alla porta, senza che ella aprisse. Quindi, nessun dubbio può avanzarsi rispetto alla logicità dell'affermazione dei Giudici di merito secondo cui I. si trovasse, tra mezzanotte e mezza e le ore 1.44, nell'edificio in cui si trovava l'abitazione della vittima. Secondo la difesa, poi, l'estraneità di I. alla tragica aggressione della M. sarebbe dimostrata dal fatto che egli, sicuramente, non si trovava in casa della vittima nel momento in cui D.G. aveva udito i tonfi provenire dall'appartamento della cugina, posto al piano inferiore. La deduzione difensiva è però generica, nel senso che non appare decisiva, non riuscendo a disarticolare la complessiva ricostruzione compiuta dalla sentenza impugnata. Anche a prescindere dalla circostanza che non è stato dimostrato che i tonfi uditi dalla D. siano ricollegabili alla aggressione e che, in ogni caso, non è stata dimostrata la assoluta correttezza del riscontro cronologico dell'ora in cui essi erano stati prodotti, non potendo escludersi un disallineamento temporale di qualche minuto rispetto al riferimento fornito dalla testimone, è stato comunque osservato, in maniera logica e convincente, che a voler immaginare la presenza di un terzo soggetto, rimasto non identificato, nell'appartamento della M., costui avrebbe dovuto essere visto da I., che era rimasto a lungo fuori dall'abitazione della vittima, nell'atto di allontanarsene. Parimenti, non decisiva e', ancora, la deduzione difensiva secondo cui il telefono di M.A. non sarebbe stato spento, dal momento che, secondo quanto emerso dagli accertamenti svolti dall'ispettore P., nel periodo di tempo considerato esso avrebbe generato del traffico dati. Invero, la considerazione in questione si rivela del tutto fuorviante, nel senso che non intercetta, sul piano logico, l'argomentazione svolta in sentenza circa il silenzio telefonico riscontrato, tra la mezzanotte e mezza e le ore 1.44, con riferimento ai due apparecchi. I Giudici di merito, infatti, non hanno affermato che il telefono fosse spento quanto che fosse significativo, in rapporto a tutte le ulteriori circostanze evidenziate, che I. e M. avessero avuto ripetute comunicazioni telefoniche, e in particolare, fossero stati impegnati in una lunga conversazione dalle 23.12 della durata di 52 minuti, seguita da ulteriori conversazioni alle 00.05, alle 00.18, per 4 minuti e 17 secondi, nonché alle 00.28 e che, singolarmente, nell'arco temporale successivo, più sopra indicato, essi avessero smesso di comunicare tra loro e i loro apparecchi non fossero stati impegnati in telefonate con terzi. E ciò benché I. avesse poi affermato, in occasione della prima chiamata ad D.A. delle ore 1.59, che la ragazza lo avesse appena chiamato per chiedergli aiuto, essendo stata aggredita presso la propria abitazione. Del pari non concludente è l'osservazione difensiva che evidenzia l'assoluta illogicità della condotta di I., che dopo avere commesso, secondo la tesi di accusa, l'omicidio, aveva chiamato a raccolta i parenti della ragazza. Anche in questo caso, in disparte il carattere fattuale della doglianza, è appena il caso di osservare che tale condotta ben si sarebbe potuta spiegare con l'intento di stornare da sé eventuali sospetti dopo il rinvenimento del cadavere. Ma, soprattutto, si rivelano molto esili le considerazioni svolte dal ricorso rispetto alla confessione resa da I. e alla successiva ritrattazione, che obliterano il dato, significativo in chiave accusatoria, del tentativo, assai poco riuscito, di addossare la responsabilità su O.D. e rispetto al quale la difesa non ha replicato convincenternente all'osservazione della Corte territoriale secondo cui, ove O. si fosse portato nei dintorni dell'abitazione della M., le telecamere presenti in loco ne avrebbero registrato la presenza mentre tentava di avvicinarsi. E mentre O. non avrebbe avuto alcun motivo per chiamare la vittima la notte in cui costei era stata uccisa, le successive chiamate di I., nel corso della stessa notte, sono state spiegate, in maniera niente affatto illogica, con l'esigenza di rinvenire l'apparecchio e di sottrarlo, come poi avvenuto per ammissione dello stesso imputato. Quanto, poi, al movente passionale, salvo quanto si dirà in ordine alla configurabilità dell'aggravante dei motivi futili o abietti, le sentenze di merito, come già ricordato, hanno ricostruito in maniera niente affatto arbitraria, rispetto al complesso delle emergenze istruttorie, il contesto emotivo in cui il delitto è maturato, caratterizzato da sicure manifestazioni di gelosia da parte dell'imputato, salva poi la difficoltà di stabilire con precisione, come si dirà, quale sia stato il concreto accadimento che aveva funto da detonatore. 3. Le censure sulla capacità di intendere e di volere di I. e sul rigetto della richiesta di perizia psichiatrica avanzato dalla difesa. Ritenute infondate le censure difensive in punto di affermazione della riferibilità della condotta omicidiaria in capo all'imputato, osserva il Collegio che anche le osservazioni sviluppate in ricorso con riferimento alla capacità di intendere e di volere di I. non possono essere condivise. La difesa ha, con il primo motivo di ricorso, lamentato il mancato accoglimento della richiesta di un approfondimento peritale, che sarebbe stato, in tesi, necessario a fronte di risultanze istruttorie indicative, sul piano anamnestico, di una storia personale di malattia psichiatrica e segnatamente di schizofrenia , a partire dalla quale i consulenti della difesa avrebbero affermato la rilevanza di tale condizione patologica sulla capacità di intendere e di volere. In argomento deve premettersi, in termini generali, che la perizia costituisce un mezzo di prova neutro , sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui diniego, costituendo il risultato di un giudizio di fatto, è insindacabile in cassazione se sorretto da adeguata motivazione Sez. U, numero 39746 del 23/03/2017, A., in motivazione . Dunque, se è vero che la sentenza deve dare adeguata spiegazione delle ragioni per le quali, a fronte della richiesta dell'imputato di perizia, gli esiti degli accertamenti sfavorevoli all'imputato vengano ritenuti esaustivi e incontrovertibili, giacché la regola di giudizio dell'oltre ogni ragionevole dubbio impone al giudice l'adozione di un metodo dialettico di verifica dell'ipotesi accusatoria v. Sez. 3, numero 15444 del 15/03/2023, Leone, Rv. 284364 - 01 , tuttavia, come anticipato, la presenza di adeguata motivazione rende la decisione non censurabile nel giudizio di legittimità. Sulla base di tali premesse, deve ritenersi che la decisione della Corte territoriale sia immune dalle censure difensive. La sentenza impugnata, infatti, ha puntualmente argomentato, alle pag. da 63 a 69, in relazione alla mancanza di evidenze concrete circa l'esistenza di disturbi di natura psichiatrica tali da influire, in maniera apprezzabile, sulla capacità di intendere e di volere dell'imputato al momento del fatto. In particolare, la Corte territoriale ha evidenziato come il Dott. Ch., in servizio presso il Dipartimento di salute mentale di Messina, avesse visitato l'imputato in data 4/01/2019 e, dunque, soltanto due mesi prima dell'omicidio, diagnosticando unicamente un modesto disturbo del temperamento, per ili quale aveva prescritto una adeguata terapia, assai differente da quella somministrata in presenza di gravi patologie psichiatriche, tanto da consentire ai Giudici di secondo grado di motivare, in maniera ragionevole e senza alcuna illogicità argomentativa, le ragioni del rigetto della richiesta istruttoria. La possibilità che I. si sia scompensato nell'arco di tempo intercorrente tra la visita medica e l'omicidio appartiene, palesemente, all'ambito delle mere congetture, sfornite di qualunque base fattuale. In tale prospettiva, non pare censurabile nemmeno il passaggio nel quale la sentenza ha evidenziato come la Dott.ssa Ma., consulente della difesa, non avesse sottoposto a visita l'imputato, per inferire da tale circostanza, ancora una volta non illogicamente, l'astrattezza della relativa valutazione, compiuta senza alcun riscontro di natura clinica. 3. Le censure sul trattamento sanzionatorio. 3.1. La circostanza aggravante dei motivi futili o abietti. L'articolo 61 c.p., comma 1, numero 1 contempla le circostanze aggravanti dei motivi abietti e dei motivi futili, richiamate anche tra le aggravanti speciali del delitto di omicidio. Si tratta di due distinte fattispecie, le quali, pertanto, possono ricorrere disgiuntamente. Secondo la giurisprudenza di legittimità, i motivi possono essere qualificati come futili quando v. Sez. 5, numero 45138 del 27/06/2019, Vetuschi, Rv. 277641 01 vi sia sproporzione tra il reato concretamente realizzato e il motivo che lo ha determinato profilo oggettivo e quando detta sproporzione sia espressione di un moto interiore assolutamente ingiustificato, tale da configurare lo stimolo esterno come mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale profilo soggettivo e come abietti quando siano qualificabili come ignobili, rivelatori di un tale grado di perversità da destare un profondo senso di ripugnanza in ogni persona di media moralità Sez. 5, numero 33250 del 2/02/2017, Barone, Rv. 271.214 - 01 , ovvero quando siano spregevoli o vili, che provocano ripulsione e si palesano ingiustificabili per la loro abnormità di fronte al sentimento umano Sez. 1, numero 32851 del 6/05/2008, Sapone, Rv. 241230 - 01 . La giurisprudenza della Suprema Corte ritiene che le aggravanti in parola non possano essere integrate per il solo fatto che l'autore del delitto abbia agito in preda alla gelosia. Tale condizione emotivo-psicologica - rientrante a pieno titolo nei cd. stati emotivi e passionali che peraltro, ai sensi dell'articolo 90 c.p., non escludono né diminuiscono l'imputabilità - non e', dunque, ritenuta idonea a integrare, automaticamente, le aggravanti di cui si discute. Secondo il prevalente indirizzo interpretativo di legittimità, alla luce del comune sentire che, nell'attuale momento storico, attribuisce sempre maggiore rilevanza alla libertà di autodeterminazione, deve ravvisarsi la sussistenza dell'aggravante dei motivi abietti nel caso in cui un omicidio sia compiuto non per ragioni di gelosia collegate ad un sia pur abnorme desiderio di vita in comune, ma sia espressione di spirito punitivo nei confronti della vittima considerata come propria appartenenza, della quale pertanto non può tollerarsi l'insubordinazione Sez. 1, numero 9590 del 22/09/1997, Scarola, Rv. 208773 - 01 . Dunque, secondo questo indirizzo interpretativo, deve escludersi che la pura gelosia possa ritenersi, da sola, espressione di spirito punitivo nei confronti della vittima né manifestazione di intolleranza alla insubordinazione di questa, considerata come propria appartenenza Sez. 5, numero 35368 del 22/09/2006, Abate, Rv. 235008 - 01 . Viceversa, essa deve essere ritenuta configurabile quando la vittima sia considerata, nell'ambito di un processo di sostanziale reificazione, come una sorta di appartenenza dell'agente, tanto da determinare una reazione punitiva a quella che è ritenuta come una forma di insubordinazione al volere dell'altro Sez. 1, numero 1489 del 29/11/2012, dep. 2013, Titta, Rv. 254269 - 01 venendo, in definitiva, connotata da una abnormità dello stimolo possessivo verso la vittima v. Sez. 1, numero 49673 del 1/10/2019, P., Rv. 278082 - 02 assumendo caratteristiche di ingiustificata espressione di supremazia e possesso Sez. 1, numero 16054 del 10/03/2023, Moccia, Rv. 284545 - 02 . Tanto premesso, va in primo luogo osservato che, nel caso in esame, la gelosia non è espressamente indicata, nel capo di imputazione, come motivo aggravante. Tuttavia, nel corso dei due gradi di giudizio essa è stata ripetutamente indicata come la causale dell'omicidio, tanto che la Corte di secondo grado, alle pag. da 55 a 62, ha evidenziato gli elementi probatori acquisiti indicativi della gelosia di I., per arrivare a concludere che, al momento del fatto, egli avesse ormai perduto ogni controllo su tale stato emotivo, come confermato dal litigio pomeridiano di cui le due pronunce hanno dato ampio conto. La Corte di secondo grado, infatti, ha affermato che non è da revocare in dubbio che il delitto sia stato mosso dalla gelosia accompagnata dalla frustrazione per il fallimento di quella la sua prima relazione che non solo non aveva assunto la forma desiderata, ma che si stava sgretolando, forse proprio volgendo al termine per determinazione della donna, che probabilmente aveva ripreso a sentirsi e forse anche a vedersi con O., e non anche per volontà dell'imputato ciò per I. era diventato intollerabile v. sentenza impugnata pag. 60 e ancora che un dato può dirsi provato, che la gelosia che I. nutriva nei suoi confronti le è costata la vita v. sentenza impugnata pag. 62 . Dunque, la circostanza che essa non sia stata espressamente indicata nel capo di imputazione non consente di configurare alcun vulnus alle prerogative difensive, essendo emerso costantemente, in fase dibattimentale, il fatto che il movente aveva, secondo l'ipotesi di accusa, una matrice passionale. Tuttavia, come anticipato, affinché l'aggravante sia configurabile, nei termini sopra indicati, non è sufficiente riscontrare che l'omicidio si sia inserito su uno sfondo caratterizzato dalla gelosia morbosa dell'autore del delitto, ma è anche necessario riscontrare che essa abbia assunto una forza tale da costituire espressione di quel connotato di reificazione o di esercizio di supremazia che deve avere rappresentato la causa diretta dell'azione omicidiaria. Nel caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata non fornisce una puntuale esplicazione di tale profilo, non riuscendo nemmeno a chiarire se il dato della gelosia, che può comunque ritenersi storicamente provato, abbia rappresentato il movente dell'omicidio ovvero che essa sia stata lo sfondo su cui si è innestato un litigio che abbia eventualmente portato alla realizzazione di un'azione c'impeto. Sotto tale profilo, si rende dunque necessario, un'ulteriore valutazione o comunque un ulteriore sforzo motivazionale da parte del Giudice di merito. 3.2. Il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Dall'accoglimento della censura svolta, con il terzo motivo, in relazione alla motivazione relativa alla configurabilità dell'aggravante dei motivi futili o abietti, consegue la necessità di una rivalutazione anche del profilo relativo al riconoscimento delle attenuanti generiche, al quale non e', ovviannentelestraneo , quello della eventuale sussistenza di una circostanza aggravante indipendente come quella sopra menzionata. 3.3. La mancata applicazione della diminuente prevista dall'articolo 438 c.p.p Infondate sono, invece, le censure difensive in ordine alla mancata applicazione della diminuente di pena prevista per il giudizio abbreviato nei casi di rigetto ingiustificato della richiesta di ammissione del rito speciale. In argomento, va, infatti, ricordato che il giudice del dibattimento che abbia respinto in limine litis la richiesta di accesso al rito abbreviato - rinnovata dopo il precedente rigetto del giudice dell'udienza preliminare ovvero proposta per la prima volta in caso di giudizio direttissimo o per citazione diretta - deve applicare anche d'ufficio la riduzione di un terzo prevista dall'articolo 442 c.p.p., se riconosce, alla luce dell'istruttoria espletata, che quel rito si sarebbe dovuto celebrare Sez. 2, numero 8097 del 4/02/2016, Alfiero, Rv. 266216 - 01 . Dal lato del richiedente, nel caso in cui l'istanza sia stata proposta in forma condizionata all'espletamento di una data attività istruttoria, essa deve sostanziarsi nella indicazione di una prova necessaria, tale dovendo ritenersi quella indispensabile ai fini di un solido e decisivo supporto logico-valutativo per la deliberazione in merito ad un qualsiasi aspetto della regiudicanda v. Sez. U, n, 44711 del 27/10/2004, Wajib, Rv. 229173 - 01 . E come correttamente rilevato dal ricorso, la valutazione sull'eventuale rigetto della richiesta di giudizio abbreviato subordinato ad integrazione probatoria deve essere effettuata con giudizio ex ante, con riferimento alle condizioni probatorie esistenti al momento della decisione sul rito, tenendo tuttavia conto, come criterio ausiliario, e di per sé non risolutivo, anche delle indicazioni sopravvenute dall'istruttoria espletata Sez. 1, numero 20495 del 20/02/2019, Ziu, Rv. 276311 - 01 . Nel caso di specie, peraltro, tale valutazione è stata adeguatamente motivata dal Giudice dell'udienza preliminare, che ha non soltanto esplicato le ragioni per cui l'attività istruttoria richiesta si palesava come non necessaria nei termini indicati, come del resto confermato dal successivo sviluppo dibattimentale, ma soprattutto ha sottolineato come l'eventuale espletamento degli accertamenti istruttori cui era stata condizionata la richiesta, avente ad oggetto l'esame di ben quattro soggetti, fosse in radicale contrasto con quelle esigenze di economia processuale che stanno alla base del rito speciale. Un profilo, questo, rispetto al quale il ricorso è rimasto totalmente silente, risultando sul punto aspecifico. 4. Le censure sulla ammissione della costituzione di parte civile di Cedav Onlus e sul riconoscimento della relativa pretesa risarcitoria. Infondate sono, altresì, le doglianze difensive con cui si contesta l'ammissione della CEDAV quale parte civile e, a seguire, la condanna di I. al risarcimento dei danni in suo favore. In argomento, va premesso che la giurisprudenza di legittimità ritiene ammissibile la costituzione di parte civile di un'associazione anche non riconosciuta che avanzi, iure proprio, la pretesa risarcitoria, assumendo di aver subito per effetto del reato un danno, patrimoniale o non patrimoniale, consistente nell'offesa all'interesse perseguito dal sodalizio e posto nello statuto quale ragione istituzionale della propria esistenza e azione, con la conseguenza che ogni attentato a tale interesse si configura come lesione di un diritto soggettivo inerente alla personalità o all'identità dell'ente Sez. U, numero 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261110 - 01 . Nel caso di specie, le sentenze hanno evidenziato la natura esponenziale dell'associazione in questione, le cui previsioni statutarie individuavano, quale ragione istituzionale della sua esistenza, la tutela dell'interesse alla vita delle donne e al contrasto della violenza di genere, offesi dal delitto in contestazione. E una volta riconosciuta la legittimazione dell'associazione, correttamente la sentenza di appello ha riconosciuto i presupposti per la condanna generica dell'imputato al risarcimento dei danni, alla luce del principio, condiviso e riaffermato dal Collegio, secondo cui non è necessaria la prova della concreta esistenza di danni risarcibili ed e', invece, sufficiente l'accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e dell'esistenza di un nesso di causalità tra questo e il pregiudizio lamentato, desumibile anche presuntivamente Sez. 6, numero 28216 del 25/09/2020, Ionata, Rv. 279625 - 01 . E ciò anche alla luce della giurisprudenza civile di legittimità, secondo la quale, ai fini della pronunzia di una condanna generica ai sensi dell'articolo 278 c.p.c., non occorre la prova certa di un danno, non necessaria ai fini dell'ammissibilità stessa della domanda, essendo quindi richiesto che l'attore fornisca le prove del quantum debeatur nel relativo e successivo giudizio Cass. civ., Sez. U, numero 29862 del 12/10/2022, Rossetti, Rv. 665940 - 03 ed essendo, in definitiva, sufficiente il mero accertamento della sussistenza di condizioni di fatto potenzialmente causative di effetti pregiudizievoli, fermo restando che, in presenza di una condanna generica, il giudice chiamato a liquidare il danno può, nel caso concreto, negarne l'esistenza Cass. civ., Sez. 2, numero 8729 del 28/03/2023, Oliva, Rv. 667320 - 01 . 5. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto limitatamente alla configurabilità della circostanza aggravante prevista dall'articolo 61 c.p., comma 1, numero 1, articolo 577 c.p., comma 1, numero 4, sicché la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio, per nuovo giudizio su tale punto, alla Corte di assise di appello di Reggio Calabria. Nel resto il ricorso deve essere, invece, rigettato. Inoltre, l'imputato deve essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili M.C., Ca. e L., ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di assise di appello di Messina con separati decreti di pagamento ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 82 e 83 disponendosi sin d'ora il pagamento in favore dello Stato. Infine, I. deve essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile D.A., che devono essere liquidate in complessivi 4.500,00 Euro, ai sensi del D.M. numero 55 del 2014, articolo 12 e 16 come modificato dal D.M. numero 37 del 2018, tenuto conto - in relazione alle voci precisate nella nota spese depositata - dell'attività svolta e delle questioni trattate, cui devono aggiungersi gli accessori di legge, costituiti, D.M. numero 55 del 2014, ex articolo 2, dalle spese forfettarie, da calcolarsi in misura del 15A , oltre all'IVA e al contributo per la Cassa previdenziale, da computarsi sull'imponibile. La richiesta di rifusione delle spese del presente grado di giudizio avanzata dall'associazione Pink Project deve, invece, essere dichiarata inammissibile, tenuto conto che, secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, le richieste risarcitorie di tale associazione erano già state respinte nel giudizio di primo grado e che le relative statuizioni non sono state oggetto di impugnazione in quello successivo. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla circostanza aggravante di cui all'articolo 577 c.p., comma 1, numero 4, con rinvio per nuovo giudizio su tale punto alla Corte di assise di appello di Reggio Calabria. Rigetta il ricorso nel resto. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili M.C., M.L. e M.C., ammesse al patrocinio a spese dello stato, nella misura che sarà liquidata dalla corte di assise di appello di Messina, Con separati decreti di pagamento ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 82 e 83 disponendo il pagamento in favore dello Stato. Condanna, infine, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile D.A. che liquida in complessivi Euro 4.500,00, oltre accessori di legge. Dichiara inammissibile la richiesta dell'associazione Pink Project.