Le pronunce in commento si occupano della individuazione delle ragioni a poste a fondamento della legittimazione passiva delle Regioni in tema di danni da fauna selvatica.
Le quattro pronunce in commento Cass. civ. sez. III n. 31350/2023 Cass. civ. sez. III n. 31343/2023 Cass. civ. sez. III n. 31335/2023 Cass. civ. sez. III n. 31330/2023 originano da domande risarcitorie proposte nei confronti della Regione Marche per danni provocati dalla fauna selvatica . Nei propri atti difensivi, la PA ha eccepito l'applicazione nei propri confronti dell' art. 2052 c.c , invocando l'applicazione dell' art. 2043 c.c. La S.C. in tutte le vicende processuali poste alla propria attenzione ha rigettato i ricorsi sul rilievo che in tema di danni provocati dalla fauna selvatica è applicabile l' art. 2052 c.c. , giacché, da un lato, il criterio di imputazione della responsabilità previsto da tale disposizione si fonda non sul dovere di custodia, ma sulla proprietà o, comunque, sull'utilizzazione dell'animale e, dall'altro, le specie selvatiche protette ai sensi della l. n. 157/1992 rientrano nel patri monio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura e alla gestione di soggetti pubblici in funzione della tutela generale dell'ambiente e dell'ecosistema. L' art. 2052 c.c. prevede un'imputazione di responsabilità in capo al proprietario dell'animale per i danni da quest'ultimo causati, salva la prova liberatoria del caso fortuito invero, il danneggiato è tenuto a provare il fatto illecito e il nesso eziologico tra il comportamento dell'animale e l'evento lesivo il proprietario può liberarsi provando l'intervento di un fattore imprevedibile, inevitabile ed eccezionale. La lettera della norma è chiara nell'individuare quale criterio di imputazione della responsabilità la proprietà dell'animale il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui l'ha in uso , sicché, quanto ai danni provocati dalla fauna selvatica, deve essere ormai superato quell'orientamento giurisprudenziale - elaboratosi sul punto che escludeva l'applicabilità dell' art. 2052 c.c. stante l'impossibilità di una custodia e un controllo diretto sull'animale selvatico da parte dell'ente pubblico proprietario v. ex adverso l'orientamento emerso a partire dalla pronuncia Cass. n. 7969/2020 i danni cagionati dalla fauna selvatica sono risarcibili dalla P.A. a norma dell' art. 2052 c.c. , giacché, da un lato, il criterio di imputazione della responsabilità previsto da tale disposizione si fonda non sul dovere di custodia, ma sulla proprietà o, comunque, sull'utilizzazione dell'animale e, dall'altro, le specie selvatiche protette ai sensi della l. n. 157/1992 rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura e alla gestione di soggetti pubblici in funzione della tutela generale dell'ambiente e dell'ecosistema . La fauna selvatica , di proprietà indisponibile pubblica , è nell' utilizzo delle Regioni , quali enti a cui sono attribuite ex lege le competenze per la tutela, la gestione e il controllo del patrimonio faunistico sul punto, v. Cass. n. 7969/2020 appare corretta l'impostazione di chi afferma che, avendo l'ordinamento stabilito, con legge dello Stato, che il diritto di proprietà in relazione ad alcune specie di animali selvatici, precisamente quelle oggetto della tutela di cui alla legge n. 157 del 1992 è effettivamente configurabile, in capo allo stesso Stato, quale suo patrimonio indisponibile e, soprattutto, essendo tale regime di proprietà espressamente disposto in funzione della tutela generale dell'ambiente e dell'ecosistema, con l'attribuzione esclusiva a soggetti pubblici del diritto/dovere di cura e gestione del patrimonio faunistico tutelato onde perseguire i suddetti fini collettivi, la immediata conseguenza della scelta legislativa è l'applicabilità anche alle indicate specie protette del regime oggettivo di imputazione della responsabilità di cui all' art. 2052 c.c. . Tali soggetti, in base alle disposizioni dell'ordinamento in precedenza richiamate, vanno individuato certamente, ed esclusivamente, nelle Regioni, dal momento che sono le Regioni gli enti territoriali cui spetta , in materia, non solo la funzione normativa , ma anche le funzioni amministrative di programmazione , coordinamento , controllo delle attività eventualmente svolte per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari da altri enti, ivi inclusi i poteri sostitutivi, per i casi di eventuali omissioni. Sono dunque in sostanza le Regioni gli enti che utilizzano il patrimonio faunistico protetto al fine di perseguire l'utilità collettiva di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema la quale pertanto è gravata della presunzione ex lege . Pertanto, la responsabilità per i danni derivati a terzi dalla fauna selvatica fa capo alla Regione , anche se quest'ultima abbia delegato i relativi poteri alla Provincia. Deriva da quanto sopra, pertanto, che la Regione, al fine di escludere la propria responsabilità per i danni patiti dal terzo, deve dimostrare che all'ente delegato cioè alla Provincia è stata conferita, in quanto gestore, autonomia decisionale e operativa sufficiente a consentirgli di svolgere l'attività in modo da potere efficientemente amministrare i rischi di danni a terzi inerenti all'esercizio dell'attività stessa e da poter adottare le misure normalmente idonee a prevenire, evitare o limitare tali danni Cass. n. 4202/2011 Cass. 3384/2015 . In relazione a queste fattispecie, la legittimazione passiva ex art. 2052 c.c. spetta, pertanto, in via esclusiva all'ente regionale che, ove assuma che il danno sia stato causato dalla condotta negligente di un diverso ente, potrà rivalersi nei suoi confronti, laddove lo ritenga opportuno chiamandolo in causa nello stesso giudizio azionato dal danneggiato nei suoi confronti, onde esercitare la rivalsa in tal caso l'onere di dimostrare l'assunto della effettiva responsabilità del diverso ente spetterà alla Regione, che non potrà avvalersi del criterio di imputazione della responsabilità di cui all' art. 2052 c.c. , ma dovrà fornire la specifica prova della condotta colposa dell'ente convenuto in rivalsa, in base ai criteri ordinari . Sicché, spetta alla Regione di fornire la prova liberatoria del caso fortuito , dimostrando che la condotta dell'animale si è posta al di tutto al di fuori della propria sfera di controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile o, comunque, non evitabile neanche mediante l'adozione delle più adeguate e diligenti misure - concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto e compatibili con la funzione di protezione dell'ambiente e dell'ecosistema - di gestione e controllo del patrimonio faunistico e di cautela per i terzi Cass. n. 37595/2022 Cass. n. 9677/2022 Cass. n. 3292/2022 . Se le Regioni sono tenute a predisporre tutte le misure idonee ad evitare che gli animali selvatici arrechino danno a persone e cose è evidente che sulle stesse si fa gravare un tipo di responsabilità che prescinde dalla previa individuazione di una condotta colposa, rilevando invece la mera posizione di controllore rispetto alla fonte del rischio. D'altro canto, l'affermazione di una tale responsabilità è già racchiusa nell' art. 26 della l. n. 157/1992 , laddove si prevede la costituzione di un fondo per il risarcimento dei danni arrecati alla produzione agricola e alle opere approntate sui terreni coltivati e a pascolo dalla fauna selvatica, in particolare da quella protetta, e dall'attività venatoria , ovvero a livello regionale si è prevista l'estensione del meccanismo indennitario no fault anche per i sinistri stradali. Appare evidente che a livello di regolazione pubblica è stato previsto un meccanismo di tipo indennitario gravante sul soggetto al quale sono state assegnate le funzioni di controllo e gestione del rischio anche mediante la pianificazione faunistico-venatoria. In tale materia da tempo si è osservato che l'esercizio del potere di controllo/governo dell'animale previsto dall' art. 2052 c.c. non è spendibile con riferimento alla fauna selvatica se non a scapito della natura selvatica delle specie animali che porterebbe ad una surrettizia riduzione in cattività. Sta di fatto che la responsabilità ex art. 2052 c.c. prescinde dalla nozione di custodia propria dell' art. 2051 c.c. , tant'è che il soggetto tenuto al controllo dell'animale ne risponde anche in caso di smarrimento o fuga. Da tanto deriva che la responsabilità in esame prescinde dal concreto ed attuale potere di controllo sull'animale , sì che occorre guardare solo alla presenza del nesso di causa ed alla possibilità di governo nel quadro della tutela degli interessi avuti di mira al momento dell'inclusione nel patrimonio indisponibile dello Stato. In realtà, già l'attività di pianificazione faunistico-venatoria prevista dall' art. 10 della l. n. 157/1992 smentisce l'ipotesi di partenza, ossia l'impossibilità di realizzare un governo delle specie animali, tanto più che i piani in questione prevedono un sistema di interventi da attuare, tra l'altro, mediante a le oasi di protezione, destinate al rifugio, alla riproduzione ed alla sosta della fauna selvatica b le zone di ripopolamento e cattura, destinate alla riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale ed alla cattura della stessa per l'immissione sul territorio in tempi e condizioni utili all'ambientamento fino alla ricostituzione e alla stabilizzazione della densità faunistica ottimale per il territorio c i centri pubblici di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale, ai fini di ricostituzione delle popolazioni autoctone d i centri privati di riproduzione di fauna selvatica allo stato naturale, organizzati in forma di azienda agricola singola, consortile o cooperativa, ove è vietato l'esercizio dell'attività venatoria ed è consentito il prelievo di animali allevati appartenenti a specie cacciabili da parte del titolare dell'impresa agricola, di dipendenti della stessa e di persone nominativamente indicate . A sostegno di tale considerazione militano, inoltre, ragioni di efficienza economica da intendersi come minimizzazione del costo sociale degli incidenti rappresentato dalla somma degli investimenti in precauzioni e dei danni arrecati a terzi . Al cospetto di un rischio governabile da un solo soggetto, il quale è in grado di operare valutazioni in termini di percentuali di verificazione di sinistri e di predisposizione di investimenti in precauzioni, è miglior partito far sì che i danni non rimangano lì dove cadono, ma siano internalizzati, a ciò potendo ovviarsi al riparto di costi mediante la leva tributaria ovvero mediante la gestione del rischio da parte di un assicuratore in grado di spalmare l'onere di quanto erogato su tutti gli assicurati. Soluzioni, queste ultime, certamente preferibili rispetto a quella di mantenere il costo del sinistro lì dove cade, tanto più che il rigore del criterio di imputazione può essere corretto valutando l' ambito del concorso colposo del danneggiato , il quale farebbe sì affidamento su una responsabilità piena del danneggiante, ma sarebbe comunque incentivato a prevenire situazioni di rischio connesse all'uso delle strade normalmente teatro di simili vicende non foss'altro per il carattere necessariamente incompleto del risarcimento del danno in tale tipologia di sinistri. Non è indifferente per un soggetto conservare il bene salute primariamente leso in simili evenienze o far affidamento sul supposto equivalente pecuniario.