Per comprendere bene il punto centrale della sentenza in commento occorre partire dal significato che negli anni il legislatore ha conferito al silenzio della pubblica amministrazione.
Il silenzio della P.A. invero non è altro che un mero comportamento nel quale non si rinviene nessuna manifestazione di volontà, neppure implicita, da parte della stessa, eccetto nei casi in cui la legge stessa attribuisce all'inerzia un valore legale tipico. Dalla definizione, dunque, si può ricavare una divisione classica tra silenzio-inadempimento e silenzio significativo. Quest'ultimo ricorre, appunto, ogni qualvolta la legge stessa assegni al contegno inerte e/ o omissivo della P.A. un significato di accoglimento ovvero di rigetto dell'istanza del privato. Esso richiede dunque un'apposita norma di legge. Si distingue tra silenzio assenso ogniqualvolta il contegno silenzioso della P.A. significhi ex lege l'accoglimento dell'istanza del privato silenzio rigetto là dove la formazione del silenzio comporti secondo la legge il rigetto dell'istanza del privato. Quanto in particolare al silenzio-assenso, il legislatore ne ha fatto un ampio utilizzo, introducendo all'articolo 20, della l. 7.8.1990 numero 241 un sostanziale principio generale in forza del quale la domanda di atti di assenso si intende accolta qualora il provvedimento di diniego non venga ad essere comunicato entro un certo termine. Al proposito, il legislatore, escludendo che si possa fare un uso indiscriminato dell'istituto in parola, specie in ipotesi caratterizzate da elevata discrezionalità, ha tipizzato le fattispecie. Ciò perché l'adozione del provvedimento implicito oblitera l'obbligo di motivazione e quindi confligge con il principio di trasparenza e, direi, anche con il diritto alla difesa dei controinteressati . Così delineati gli aspetti principali dell'istituto del silenzio assenso, occorre entrare nel vivo dell'argomentare. La sentenza in esame Cons. di Stato, sez. IV, sent. 2 ottobre 2023, numero 8610 affronta il caso di un proprietario di un terreno che formulava al Comune territorialmente competente il rilascio del permesso di costruire per l'edificazione di una residenza turistico-alberghiera. Il Comune, ritualmente, ai sensi dell'articolo 14 bis della l. 7.8.1990 numero 241 indiceva la conferenza di servizi decisoria in forma semplificata e asincrona al fine di acquisire tutti i necessari atti di assenso, ivi compreso il parere della Sopraintendenza. Quest'ultima esprimeva parere contrario, che, recepito dall'Amministrazione comunale con determina, statuiva il rigetto dell'istanza, proprio in virtù del parere negativo della Sopraintendenza. Il Proprietario impugnava il provvedimento sostenendo che prima che la Sopraintendenza si pronunciasse, essendo decorsi i termini legislativamente previsti, era già intervenuto un silenzio assenso e che, dunque, il successivo parere negativo era tamquam non esset. Accolto il ricorso in primo grado, l'Amministrazione proponeva appello in Consiglio di Stato il quale rigettandolo ha avuto modo di esaminare i due filoni giurisprudenziali esistenti sul punto e argomentare sulla ratio per la quale sia da preferire l'uno, anziché l'altro. Invero il Consiglio di Stato innanzi tutto esamina il quadro normativo di riferimento. Originariamente, l'articolo 146, d.lgs. 22 gennaio 2004, numero 42, prescriveva che l'autorità competente alla gestione del vincolo di regola il comune, delegato dalla Regione doveva provvedere sulla domanda del privato entro 60 giorni, acquisito il parere del Soprintendente obbligatorio e vincolante fino alla conformazione o adeguamento della strumentazione urbanistica alla nuova pianificazione paesaggistica , da rendere entro 45 giorni dalla ricezione degli atti. In caso di parere non emesso nel termine suindicato, veniva in rilievo la fattispecie del c.d. silenzio devolutivo, nel senso che, decorso inutilmente il termine senza che la Soprintendenza avesse comunicato il parere, il comune aveva il dovere funzionale di decidere da solo e doveva provvedere sulla domanda. Tuttavia, il potere della Soprintendenza di esprimere il suo parere non si consumava automaticamente allo scadere del termine di 45 giorni, ma solo nel momento in cui il comune chiudeva il procedimento con l'adozione della formale autorizzazione paesaggistica, ragion per cui il parere ministeriale “tardivo” non era né nullo, né annullabile, ma perdeva solo la sua efficacia vincolante. In base a tale ricostruzione, appariva evidente la distinzione tra silenzio devolutivo e silenzio-assenso. Nel primo caso, l'autorizzazione paesaggistica veniva imputata esclusivamente all'ente territoriale che l'ha rilasciata, mentre nel secondo caso era riconducibile in co-decisione a entrambe le amministrazioni. Successivamente con l. numero 124/2015 e relativi decreti delegati la cd. Riforma Madia , si è introdotto - il silenzio assenso orizzontale tra pubbliche amministrazioniex articolo 17-bis, l. numero 241 del 1990, applicabile anche nel caso in cui l'atto di assenso di una p.a. su uno schema di provvedimento predisposto da altra p.a. , che non sia pervenuto nei termini, provenga da un'amministrazione preposta alla cura di interessi sensibili - la riscrittura della disciplina della conferenza di servizi articolo 14 ter caratterizzata sia dalla previsione del silenzio assenso in caso di mancata partecipazione o partecipazione non collaborativa o costruttiva anche di amministrazioni preposte ad interessi sensibili sia dal fatto che il dissenso di una p.a. preposta a un interesse sensibile non è più ostativo alla conclusione positiva della conferenza simultanea nonché dalla figura del rappresentante unico in conferenza. L'articolo 17-bis, a sua volta, dispone, che nei casi in cui l'amministrazione procedente deve acquisire, su uno schema o proposta di provvedimento l'assenso, concerto o nulla osta, comunque denominati, di altre amministrazioni pubbliche queste devono comunicare la propria determinazione entro un termine tassativo comma 1 , decorso inutilmente il quale si forma in automatico il silenzio assenso comma 2 . Il successivo comma 3 precisa che il silenzio-assenso, in caso di mancata pronuncia, si forma anche per le amministrazioni chiamate a pronunciarsi, a fini decisori, a tutela dell'ambiente, del paesaggio, dei beni culturali e della salute. Sulla base di questo assetto normativo si sono formati due filoni giurisprudenziali in tema di acquisizione del parere della Soprintendenza nell'ambito di una conferenza dei servizi. Una prima tesi sostiene che, pur avendo il legislatore scelto una speciale concentrazione procedimentale, come quella che si attua con il sistema della conferenza dei servizi, non vi è comunque un'attenuazione della rilevanza della tutela paesaggistica perché questa si basa su un espresso principio costituzionale «L'itinerario argomentativo di quest'ultima decisione muove dalla considerazione per cui l'autorizzazione paesaggistica costituisce un provvedimento mono-strutturato, essendo il relativo procedimento attivato ad istanza della parte interessata e non della p.a. precedente. Il rapporto tra regione/ente locale e Soprintendenza è meramente interno, ossia finalizzato a co-gestire non la fase decisoria ma quella istruttoria. Dall'accoglimento di tale premessa si fa discendere la non applicabilità dell'art 17-bis al parere della Soprintendenza in quanto quest'ultima disposizione non riguarderebbe la fase istruttoria del procedimento amministrativo, che rimarrebbe regolata dalla pertinente disciplina positiva, influendo soltanto sulla fase decisoria, attraverso la formazione di un atto di assenso per silentium con la conseguenza che l'amministrazione procedente è, comunque, tenuta a condurre un'istruttoria completa e, all'esito, a elaborare uno schema di provvedimento da sottoporre all'assenso dell'amministrazione co-decidente. In tale ordine di idee, la disciplina del silenzio assenso orizzontale va riferita unicamente agli assensi da rendere direttamente dall'amministrazione procedente e non già al parere della Soprintendenza, chiamata ad esprimersi non direttamente sulla compatibilità dell'intervento ma sulla proposta formulata dalla regione o dall'ente delegato . Da tale impostazione consegue che, nonostante l'inutile decorso del termine di legge assegnato alla Soprintendenza per esprimere il proprio parere vincolante alla regione, non si forma un silenzio assenso che impone agli organi regionali di conformarsi. Allo stesso modo, nonostante il decorso del richiamato termine, resta ferma in capo alla regione la facoltà di apprezzare in modo autonomo la fattispecie ai fini della migliore e più adeguata tutela del valore paesaggistico, inteso nella sua dimensione costituzionale». Di diverso avviso un secondo orientamento, fatto poi proprio dalla sentenza in commento, sostiene l'applicarsi dell'istituto del silenzio assenso orizzontale anche al parere della Soprintendenza. «Sul piano sistematico, questo diverso indirizzo muove dalla premessa per cui tutti i pareri vincolanti partecipano alla formazione di un provvedimento finale pluri-strutturato, in quanto la decisione dell'amministrazione procedente richiede per legge l'assenso vincolante di un'altra amministrazione. Si evidenzia, infatti, al riguardo che il parere della Soprintendenza è “espressione di una cogestione attiva del vincolo paesaggistico” cfr. cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19 aprile 2021, numero 3145 Cons. Stato, sez. VI, 21 novembre 2016, numero 4843 idem, 18 marzo 2021, numero 2358 idem, 19 marzo 2021 numero 2390 . A tali pareri si applicherebbe pertanto l'articolo 17-bis della legge numero 241/1990, diversamente che ai pareri consultivi non vincolanti , che restano assoggettati alla disciplina di cui agli articolo 16 e 17. Dunque, alla stregua di tale ricostruzione, la formulazione testuale del comma 3 dell'articolo 17-bis consente di estendere il meccanismo del silenzio assenso anche ai procedimenti di competenza di amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili, ivi compresi i beni culturali di modo che, scaduto il termine fissato dalla normativa di settore, vale la regola generale del silenzio assenso cfr. Cons. Stato, comm. spec., 23 giugno 2016, numero 1640, reso su uno specifico quesito posto dal Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione idem, sez. VI, 1 ottobre 2019, numero 6556 idem, sez. IV, 14 luglio 2020, numero 4559 idem, sez. V, 14 gennaio 2022, numero 255 . A sostegno di questa impostazione si valorizza principalmente l'argomento letterale per cui “La formulazione testuale del comma 3 dell'articolo 17- bis l. numero 241 del 1990 consente di accogliere la tesi favorevole all'applicabilità del meccanismo di semplificazione anche ai procedimenti di competenza di Amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili, ivi compresi i beni culturali e la salute dei cittadini. Sul punto la formulazione letterale del comma 3 è chiara e non lascia spazio a dubbi interpretativi le Amministrazioni preposte alla tutela degli interessi sensibili beneficiano di un termine diverso quello previsto dalla normativa di settore o, in mancanza, del termine di novanta giorni , scaduto il quale sono, tuttavia, sottoposte alla regola generale del silenzio assenso”. Cons. Stato, comm. spec., 23 giugno 2016, numero 1640, cit.». Viene, dunque, da chiedersi la motivazione sulla base della quale, il Consiglio di Stato propende per questa seconda tesi. Sul punto, la pronuncia è molto interessante in quanto riconosce la possibilità di applicare l'istituto del silenzio assenso orizzontale al parere della Soprintendenza applicando i profili di teoria generale dell'interpretazione. Ogni enunciato normativo, beninteso, presenta margini più o meno ampi di incertezza circa il suo ambito di applicazione. Questo spazio dipende in larga parte dalla semantica della lingua legale, essendo tanto più ampio e indeterminato quanto più ampio e indeterminato è il significato associabile ai termini della lingua legale. Esso cresce inevitabilmente in presenza di una normazione elaborata per principi o per clausole generali e decresce al cospetto di norme predisposte secondo la tecnica della c.d. fattispecie!. La sentenza analizza in modo approfondito il ruolo della giurisprudenza e i principi generali che debbono coadiuvare il giudice nell'interpretare le norme, concludendo, nel caso che qui ci occupa, per una esegesi letterale del dettato normativo.