La Cassazione ritorna su un istituto risalente nel tempo: il “livello”

Prendendo spunto dalla sentenza numero 30823/2023, ieri in commento, è di particolare interesse approfondire il “livello”, un istituto giuridico risalente nel tempo, di origini romane, largamente utilizzato in epoca medievale, che ha trovato applicazione fino ai giorni nostri. 

Il livello  o precario è un istituto di origini romane. Era un contratto che richiedeva la forma scritta. Esso nasceva da una petizione scritta del richiedente che redigeva normalmente due libelli di egual contenuto duo libelli pari tenore conscripti , ivi specificandosi le condizioni della concessione di una terra. Se la petizione veniva accolta, uno dei due libelli veniva trattenuto dal concedente e l'altro, sottoscritto dal concedente stesso, veniva consegnato al concessionario. Il livello veniva stipulato fra persone della più varia condizione sociale, aveva per oggetto beni di qualunque entità e natura, di qualsiasi durata, con un canone pecuniario o in natura, con o senza obbligo di miglioramenti del fondo concesso. La Chiesa fece largo uso del livello, per la cui costituzione si rispettava una rigorosa procedura formale istanza di concessione per libellos  due , che dovevano poi essere sottoscritti dal Vescovo, ed uno dei quali veniva riconsegnato al concessionario prassi di cui Papa Felice IV, nel sec. VI, raccomandava rigida osservanza. Il livello conferiva al livellario un diritto reale di pieno godimento della cosa. Al livellario veniva normalmente imposto di lavorare direttamente la terra e di risiedere in essa. Nel diritto medievale, il canone dovuto dal livellario era normalmente assai tenue e quindi non adeguatamente remunerativo, dato che al Feudatario, più che il canone, interessava l'obbligo di fedeltà e di avere sempre a disposizione un numero adeguato di servi e di soldati per cui il canone era considerato non tanto come corrispettivo del godimento del fondo, ma piuttosto come simbolo di ossequio e di vassallaggio. Come ebbe ad affermare, nel XIV secolo, Bartolo da Sassoferrato, il canone era fissato magis ad ostendum dominium quam in recompensationem fructuum . Ampiamente usato anch'esso nel Medioevo, soprattutto fra privati e chiese, il livello si configurava originariamente come una vendita per un certo termine, allo scadere del quale il contratto si poteva rinnovare versando nuovamente il corrispettivo detto esso stesso livello, o anche pensio, censo . Il concedente rimaneva pertanto domino diretto, e così la Chiesa si avvalse di questa figura per effettuare concessioni temporanee del godimento di fondi a cittadini, su richiesta di questi, contro pagamento del canone, mentre alla morte del livellario la piena proprietà tornava alla Chiesa concedente. Spesso si ebbero più livelli sullo stesso immobile. Il contratto aveva durata lunga, anche per più generazioni, o perpetua, e comprendeva l'obbligo di miglioria, oltre al pagamento del canone cui si aggiungevano talora altre prestazioni o servigi e pattuizioni varie. In origine le concessioni erano revocabili e avevano una durata non eccedente la vita del concessionario, ma nel tempo le concessioni divennero vitalizie ed ereditarie, dato che i continui conflitti di guerra e quindi il bisogno di disporre sempre di guerrieri al suo ordine e di persone a lui fedeli rendevano sconsigliabile al Feudatario far valere la precarietà della concessione e cioè di far valere la avvenuta o prossima scadenza del contratto, sicché si consentì che il concessionario potesse disporre della concessione perpetuamente, con possibilità di disporne anche mortis causa. Già a partire dai Glossatori, si ritenne che livello ed enfiteusi fosse figure sovrapponibili. Ed in tal senso si è pronunciata, in diverse occasioni, la Suprema Corte Cass. 12.6.1961, numero 1366 Cass. 22.6.1963, numero 1682 Cass. 6.6.2012, numero 9135, affermando che il regime giuridico dei livelli va assimilato a quello dell'enfiteusi, in quanto nell'evoluzione storica i due istituti, pur se originariamente distinti, finirono in prosieguo per confondersi ed unificarsi, con la conseguente estensione anche ai livelli della generale disciplina sulla enfiteusi perciò il livello va ricompreso, al pari del diritto di enfiteusi, fra i diritti reali di godimento su cosa altrui. Secondo altra impostazione, nel suo processo storico, il termine enfiteusi venne ad assumere il ruolo di concetto contenitore , comprensivo di situazioni giuridiche diverse, in quanto in esso confluirono species contrattuali diverse il livello, la precaria, la locazione ed altri rapporti agrari . Di certo l'enfiteusi divenne uno schema contrattuale estremamente vasto, utilizzato come generale strumento di concessione fondiaria, in cui potevano intravedersi sia i caratteri tipici della enfiteusi, sia nonché quelli di altri istituti similari. Quest'ultima tesi è stata fatta propria della Corte Cost. 15.7.1959, numero 46, quando, valutando i motivi di legittimità costituzionale della l. 15.2.1958, numero 74 Regolamentazione dei canoni livellari veneti , ebbe a rilevare che «Vero che, per una parte, la disciplina data dalla legge impugnata ai livelli veneti - id est L. 74/1958 - accosta ancor più il trattamento di essi a quello dell'enfiteusi ed è anche vero che, per un'altra parte, il trattamento stesso ne viene differenziato. Ma questa constatazione, lungi dal dimostrare che sussista una contraddizione, conferma che l'istituto è stato dal Legislatore considerato nella sua autonomia e disciplinato con criteri autonomi, che in parte coincidono ed in parte contrastano con la disciplina giuridica dell'enfiteusi e degli altri istituti similari». Nella successiva evoluzione storica, fino ai nostri giorni, i nomi “livello” ed “enfiteusi” vennero promiscuamente adoperati nell'uso comune, per modo che i due istituti, pur se originariamente distinti finirono, già prima delle codificazioni moderne, per confondersi ed unificarsi, con la conseguente estensione della generale disciplina sulla enfiteusi anche ai livelli. La figura del livellario e quella dell'enfiteuta appaiono infatti considerate unitariamente, ad esempio, nel Regolamento per l'esecuzione delle disposizioni legislative sul riordinamento dell'imposta fondiaria, approvato con il R.D. numero 1539 del 1933, con riguardo le modalità di intestazione dei beni articolo 55 e nel Regolamento per la conservazione del nuovo catasto terreni, approvato con il R.D. numero 2153 del 1938, con riguardo alle modalità di redazione della nota di voltura articolo 29 . Si realizzò, pertanto, nel corso dei secoli una totale fusione tra i due istituti a vantaggio dell'enfiteusi, con la conseguente estensione, in maniera diretta ed analogica, ai livelli della disciplina e della normativa prevista per l'enfiteusi dal codice civile e dalle varie leggi speciali che si sono succedute nel tempo. E' interessante, da ultimo, osservare come la Suprema Corte, nella recente sentenza in rassegna, abbia posto in luce due vizi nel ragionamento logico-giuridico condotto dai Giudici di merito in una fattispecie nella quale era in discussione l'esistenza o meno di un livello su un dato terreno. In primo luogo – evidenziano i Giudici di legittimità - l'indagine relativa all'esistenza del livello è stata condotta senza tenere conto del titolo originario costitutivo del livello, che era, invece, necessario, in primo luogo, per verificare se il fondo oggetto di causa rientrasse tra quelli gravati da livello, a fronte della contestazione dell'attrice in ordine all'inclusione del fondo tra quelli indicati nell'atto costitutivo. L'atto di provenienza consentiva, inoltre, di individuare la natura giuridica del livello, le obbligazioni poste a carico del concedente e del livellario e la durata del livello. In secondo luogo, la Corte d'appello ha limitato l'indagine ai titoli di proprietà delle parti e ha dato rilievo all'iscrizione catastale del livello sul fondo della proprietà dell'attrice, nonostante la giurisprudenza di legittimità abbia escluso valore probatorio alle risultanze del catasto. Si è, infatti, affermato che, essendo il catasto preordinato a fini essenzialmente fiscali, il diritto di proprietà, al pari degli altri diritti reali, non può, in considerazione del rigore formale prescritto per tali diritti, essere provato in base alla mera annotazione di dati nei registri catastali Cass., 24.8.1991, numero 9096 .