Coniugi separati in casa: prova un approccio insistito con la moglie e viene condannato per tentata violenza sessuale

L'uomo si era infilato nel letto della moglie, cingendola da dietro, mentre la donna stava dormendo ed era pertanto nell'impossibilità di esprimere il proprio dissenso. Impossibile, precisano i Giudici, sostenere l'esistenza di un diritto del marito di avere rapporti sessuali con la moglie. A maggior ragione poi quando l'approccio avviene in presenza di chiari indici dell'assenza di consenso, tenuto conto di una separazione di fatto già in atto e certificata dal dormire in stanze diverse.

Catalogabile come tentata violenza sessuale l'approccio insistito del marito verso la moglie, nonostante la loro situazione di separati di fatto . Riflettori puntati su una coppia in odore di separazione, come certificato anche dalla decisione di continuare sì a vivere sotto lo stesso tetto ma dormendo in letti differenti. A fronte della decisione della donna di porre la parola fine al matrimonio , la reazione del marito è scomposta, aggressiva, violenta. Esemplare, a questo proposito, è l'episodio che gli costa innanzitutto una condanna per violenza privata . Nello specifico, si è appurato che l'uomo, incontrando la consorte in Tribunale, in occasione dell'udienza di separazione, prima la insultò e la minacciò, dicendole hai fatto questa decisione, adesso ne pagherai le conseguenze, questa cosa non la dovevi fare, questa cosa te la farò pagare tu mi devi dire il reale motivo per il quale ti stai separando, perché sicuramente c'è altro”, e quindi le sfilò di mano il telefono cellulare e si allontanò iniziando a leggere i suoi messaggi, al fine di controllare i suoi contatti personali . Per i Giudici di Cassazione è sacrosanto parlare di violenza privata, poiché l'uomo, con la sua azione violenta , compiuta sfilando il telefono alla moglie , ha costretto quest'ultima a tollerare la sua azione, volta a controllare i messaggi da lei ricevuti e ha, così, leso la sua libertà di determinazione, accedendo a comunicazione private da cui lui era legittimamente escluso ed alle quali non aveva alcun diritto ad accedere . Inoltre, come risulta anche dalle parole pronunciate dall'uomo, lo scopo della sua azione non era l'uso del telefono ma verificare i contatti e le comunicazioni della donna , al fine di verificare le vere ragioni della separazione . In tale ottica, quindi, il telefono cellulare era solo lo strumento necessariamente da adoperare per coartare l'altrui libertà, imponendo un illegittimo controllo delle comunicazioni . Capitolo molto più delicato è quello relativo all'episodio che ha visto l'uomo cercare di costringere la moglie ad un rapporto sessuale. Anche su questo fronte, però, i Giudici di Cassazione ritengono palese la colpevolezza dell'uomo, condannato perciò anche per tentata violenza sessuale. In premessa, i Magistrati ribadiscono che i rapporti sessuali sono leciti solo in presenza del consenso , espresso o tacito, dei soggetti , e che tale condizione giuridica non muta neanche nei rapporti matrimoniali . Analizzando da vicino poi la vicenda oggetto del processo, si è concretizzata la violenza, vista la repentinità dell'atto , in quanto l'uomo si era infilato nel letto della moglie, cingendola da dietro, mentre la donna stava dormendo ed era pertanto nell'impossibilità di esprimere il proprio dissenso . Questi dettagli sono fondamentali, poiché in tema di violenza sessuale, l'elemento oggettivo, oltre a consistere nella violenza fisica in senso stretto o nella intimidazione psicologica in grado di provocare la coazione della vittima, si configura anche nel compimento di atti sessuali repentini, compiuti improvvisamente all'insaputa della persona destinataria di quegli atti, in modo da poterne prevenire anche la manifestazione di dissenso . In questo quadro poi i Giudici ribadiscono anche il principio secondo cui integra l'elemento oggettivo del reato di violenza sessuale non soltanto la condotta invasiva della sfera della libertà ed integrità sessuale altrui realizzata in presenza di una manifestazione di dissenso della vittima, ma anche quella posta in essere in assenza del consenso, non espresso neppure in forma tacita, della persona offesa , come nel caso in cui essa non abbia consapevolezza della materialità degli atti compiuti sulla sua persona fattispecie in tema di atti sessuali realizzati nei confronti di una persona dormiente . Impossibile, aggiungono i Giudici, sostenere l'esistenza di un diritto del marito di avere rapporti sessuali con la moglie . A maggior ragione poi quando, come nella vicenda in esame, l'approccio sessuale avviene in presenza di chiari indici dell'assenza del consenso , tenuto conto delle pregresse vicende tra i coniugi e della separazione di fatto già in atto, posto che dormivano separati in stanze diverse . Tirando le somme, il tentativo di avere un rapporto sessuale senza il preventivo consenso della moglie, separata di fatto, con il compimento di atti repentini, non solo concretizza il reato ma anche l'elemento soggettivo, poiché l'azione posta in essere è cosciente e volontaria . E l‘esplicito rifiuto all'approccio sessuale non è elemento essenziale , poiché integra il reato di tentata violenza sessuale la condotta di colui che , all'esplicito rifiuto di consumare un rapporto sessuale, reitera più volte la richiesta ponendo in essere violenze o minacce che , sebbene non comportino una immediata e concreta intrusione nella sfera sessuale della vittima, siano comunque chiaramente finalizzate a vincerne la resistenza . Impossibile, infine, parlare di desistenza volontaria da parte dell'uomo, poiché l'azione violenta non è stata portata a compimento per la reazione della vittima che, dopo aver subito l'azione repentina del marito, ha preso il telefonino ed ha iniziato a fare un video, sicché l'uomo ha interrotto l'azione .

Presidente Ramacci – Relatore Semeraro Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza del 12 ottobre 2021 il Tribunale di Larino ha condannato L.M. alla pena un anno di reclusione ritenuta la continuazione tra i reati di cui ai capi b ex art. 56 c.p. , art. 609-bis c.p. , comma 3, commessi ai danni della moglie M.D. in omissis c limitatamente agli episodi del omissis , qualificati nei delitti di minaccia ex art. 612 c.p. e di violenza privata ex art. 610 c.p. , sempre commessi ai danni della moglie M.D. in Lucera d ex artt. 595 c.p. , commi 1, 2 e 3, commessi ai danni della moglie M.D. in omissis 1.1. L'imputato è stato, altresì, condannato alla pena di 15 giorni di reclusione per il delitto di cui al capo e qualificato nel reato di lesioni colpose ex art. 590 c.p. , commesso ai danni della figlia minore L.E., in omissis . L'imputato è stato assolto con la formula perché il fatto non sussiste dal reato ex art. 572 c.p. di cui al capo a e per gli altri fatti contestati al capo c con l'imputazione era contestato il reato ex art. 612-bis c.p. 1.2. La Corte di appello di Campobasso, con la sentenza del 24 novembre 2022, in riforma di quella del Tribunale di Larino - ha dichiarato non doversi procedere ex art. 529 c.p.p. nei confronti dell'imputato per i reati di cui al capo b , limitatamente al fatto accaduto in Termoli nel mese di agosto 2017, ed e come riqualificato dal Tribunale, per mancanza di querela - ha assolto l'imputato dai reati di cui al capo c , come riqualificato dal Tribunale, limitatamente al fatto accaduto il 10 marzo 2019, perché il fatto non sussiste, e d , limitatamente alla pubblicazione su Facebook, perché il fatto non costituisce reato. Ha confermato la condanna per i residui reati di cui ai capi - b ex artt. 56 e 609-bis c.p. , ritenuta la circostanza attenuante di cui al comma 3 prevalente sulla contestata aggravante, commessi ai danni della moglie M.D. in omissis - c limitatamente all'episodio del 11 dicembre 2018, qualificati nei delitti di minaccia ex art. 612 c.p. e di violenza privata ex art. 610 c.p. - d ex art. 595 c.p. , commi 1, 2 e 3, commessi ai danni della moglie M.D. in omissis e consistiti nell'accusare la moglie di avergli rubato l'auto comunicando con i colleghi di lavoro. 2. Il difensore dell'imputato ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza. 2.1. Con il primo motivo si deducono la violazione degli art. 610, 624 e 626 c.p. , perché la sottrazione del telefono cellulare capo c , integrerebbe il delitto di furto d'uso non punibile ex art. 649 c.p. e la manifesta illogicità della motivazione sul rigetto della richiesta di qualificare il fatto quale furto d'uso. Con il secondo punto del primo motivo si deduce l'improcedibilità del reato ex art. 610 c.p. per mancanza di querela, tenuto conto delle modifiche alla procedibilità apportate dalla cd. riforma Cartabia. 2.2. Con il secondo motivo si deducono punto 2.1. la violazione dell' art. 195 c.p.p. , comma 7, in relazione alla prova del reato di diffamazione di cui al capo d la persona offesa non avrebbe indicato elementi per l'identificazione dei colleghi di lavoro da cui apprese la notizia della condotta del ricorrente la falsa applicazione dell' art. 595 c.p. e la mancanza assoluta di motivazione punto 2.2. sulla prova della pluralità dei destinatari della comunicazione diffamatoria contestata all'imputato. 2.3. Con il terzo motivo si deduce la manifesta illogicità della motivazione sulla responsabilità dell'imputato per il tentativo di violenza sessuale di cui al capo b , sotto il profilo della idoneità degli atti e del dolo. 2.4. Con il quarto motivo si deducono la manifesta illogicità della motivazione sull'esclusione della desistenza volontaria e la violazione dell' art. 56 c.p. , comma 3, in relazione al delitto tentato di violenza sessuale di cui al capo b . 2.5. Il difensore ha depositato le conclusioni con cui ha chiesto l'accoglimento del ricorso. 3. Il difensore della parte civile, ammessa al patrocinio a spese dello Stato, ha depositato una memoria con cui ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso e di condannare l'imputato alle spese processuali sostenute nel grado. Considerato in diritto 1. La questione preliminare della procedibilità dei reati a seguito delle modifiche apportate dalla riforma Cartabia è manifestamente infondato in quanto la persona offesa M.D. è costituita parte civile. Sez. 3, n. 19971 del 09/01/2023, Antonelli, Rv. 284616 - 01, ha affermato richiamando Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, Salatino, Rv. 273561, che in tema di reati divenuti procedibili a querela a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022 , la manifestazione della volontà punitiva da parte della persona offesa può essere implicitamente desunta, nei processi in corso, dall'avvenuta costituzione di parte civile o dalla riserva di costituirsi parte civile. Tale principio è stato ribadito anche da Sez. 3, n. 27147 del 09/05/2023, S. , Rv. 284844 - 01, secondo cui la costituzione di parte civile non revocata equivale a querela ai fini della procedibilità di reati originariamente perseguibili d'ufficio, divenuti perseguibili a querela a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 cd. riforma Cartabia , posto che la volontà punitiva della persona offesa, non richiedendo formule particolari, può essere legittimamente desunta anche da atti che non contengono la sua esplicita manifestazione. 2. Il primo motivo, relativo alla qualificazione del fatto di cui al capo c nel delitto ex art. 610 c.p. anziché nel furto d'uso ex art. 626 c.p. , comma 1, n. 1, è infondato. Non risulta proposta impugnazione rispetto alla condanna per il reato di minaccia. 2.1. Secondo la ricostruzione delle sentenze di merito cfr. pag. 2 della sentenza di primo grado , il ricorrente, incontrando la moglie M.D. nel Tribunale di Foggia per l'udienza di separazione, prima la insultò e minacciò dicendole hai fatto questa decisione, adesso ne pagherai le conseguenze, questa cosa non la dovevi fare, questa cosa te la farò pagare, ricordati niente per nessuno, tu mi devi dire il reale motivo per il quale ti stati separando, perché sicuramente c'è altro . Quindi, le sfilò di mano il telefono cellulare e si allontanò iniziando a leggere i suoi messaggi personali, al fine di controllare i suoi contatti personali. 2.1.1. La qualificazione giuridica del fatto è corretta perché il ricorrente, con la sua azione violenta, compiuta sfilando il telefono alla persona offesa, l'ha costretta a tollerare la sua azione, volta a controllare i messaggi ricevuti ha, così, leso la sua libertà di determinazione, accedendo a comunicazione private da cui il ricorrente era legittimamente escluso ed alle quali non aveva alcun diritto ad accedere. Come risulta anche dalle parole pronunciate, lo scopo dell'azione non era l'uso del telefono, per qualunque ragione prospettabile, ma imporre alla persona offesa la condotta del ricorrente, il quale voleva verificare i contatti e le comunicazioni della donna al fine di verificare le vere ragioni della separazione. Il telefono cellulare, in tal senso, era solo lo strumento necessariamente da adoperare per coartare l'altrui libertà, imponendo un illegittimo controllo delle comunicazioni. 2.1.2. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, in tema di violenza privata art. 610 c.p. , il requisito della violenza, ai fini della configurabilità del delitto, si identifica con qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente della libertà di determinazione e di azione l'offeso, il quale sia, pertanto, costretto a fare, tollerare o omettere qualcosa contro la propria volontà, mentre è irrilevante, per la consumazione del reato, che la condotta criminosa si protragga nel tempo, trattandosi di reato istantaneo. Ai fini della configurabilità del delitto di violenza privata, è sufficiente il dolo generico, ossia la coscienza e la volontà di costringere taluno, con violenza o minaccia, a fare, tollerare od omettere qualcosa, senza che sia necessario il concorso di un fine particolare, che costituisce l'antecedente psichico della condotta, cioè il movente del comportamento tipico descritto dalla norma penale Sez. 5, n. 2220 del 24/10/2022 , dep. 2023, Codoro, Rv. 284115 - 01 . 2.1.3. L'azione imposta, dunque, è stata la lettura dei messaggi e l'accesso alle comunicazioni private della donna a cui l'uomo non aveva alcun diritto ad accedere mediante l'uso del telefono cellulare è stata correttamente esclusa la qualificazione nel delitto di furto d'uso che sussiste solo se l'uso momentaneo che caratterizza la fattispecie tipica sia conforme alla natura e alla destinazione della cosa sottratta Sez. 5, n. 42048 del 26/06/2017 , Angiolosanto, Rv. 271425 . 3. Il secondo motivo relativo al capo d è infondato. 3.1. La Corte di appello non ha specificamente risposto all'eccezione di inutilizzabilità proposta con l'appello ai sensi dell' art. 195 c.p.p. , comma 7 la motivazione concerne l' art. 195 c.p.p. , comma 3. Il motivo è, però, infondato perché la persona offesa ha affermato di aver appreso i fatti relativi al capo d dai colleghi di lavoro che sono persone facilmente identificabili e la cui esistenza non può essere messa in dubbio. 3.2. La giurisprudenza ha affermato, in tema di testimonianza indiretta, che il divieto posto dall' art. 195 c.p.p. , comma 7 non opera in maniera automatica ogni qualvolta il testimone non è in grado di fornire elementi idonei ad una univoca ed immediata identificazione della fonte delle informazioni da lui riferite, ma solo quando, per effetto di tale omessa identificazione, non sia possibile discutere, sulla base di dati certi e non seriamente controvertibili, dell'esistenza ed attendibilità di tale fonte. In applicazione del principio, la Corte di cassazione ha giudicato legittima la ritenuta utilizzabilità, a fini probatori, della testimonianza resa da appartenente alla polizia giudiziaria e relativa ad informazioni apprese da agenti di forza di polizia straniera, non identificati nominativamente così Sez. 6, n. 37370 del 14/05/2014 , Romeo, Rv. 260251 01 . Tale principio è stato ribadito da Sez. 6, n. 12982 del 20/02/2020 , L., Rv. 279259 - 02, per cui in tema di testimonianza indiretta, l'inutilizzabilità prevista dall' art. 195 c.p.p. , comma 7, non opera per il solo fatto che il testimone de relato non sia in grado di fornire elementi che permettano l'immediata ed univoca identificazione del teste diretto, purché quest'ultimo risulti quanto meno identificabile fattispecie relativa a condotte di abuso di mezzi di correzione in danno di minori, in cui la madre di una delle vittime indicava, quali fonti della propria conoscenza dei fatti, compagne di classe del figlio che, conosciute con il nome di battesimo, erano agevolmente identificabili . 3.3. Il motivo, che contesta la sussistenza della pluralità di destinatari, è infondato perché dalle sentenze di merito risulta che il fatto è avvenuto recandosi presso il posto di lavoro della persona offesa i colleghi di lavoro avvertirono la parte civile che il ricorrente si era portato sul posto portando calici e spumante per brindare al fatto che la moglie gli aveva rubato l'auto la condotta è avvenuta in un luogo in cui vi erano necessariamente presenti più persone. 3.4. Secondo la giurisprudenza, in tema di diffamazione, sussiste l'estremo della comunicazione con più persone non solo quando l'agente prenda direttamente contatto con una pluralità di soggetti, ma anche quando egli comunichi ad una persona una notizia destinata, nelle sue stesse intenzioni, ad essere riferita ad almeno un'altra persona, che ne abbia poi conoscenza Sez. 5, n. 2432 del 14/01/1993, Albasi, Rv. 193804 - 01 . Si è, altresì, affermato, in tema di diffamazione, - Sez. 5, n. 10263 del 06/10/1981 , La Macchia, Rv. 150986, che sussiste l'estremo della comunicazione con più persone, ai fini del delitto di cui all' art. 595 c.p. , ove si accerti che l'agente anche eventualmente indirizzandosi ad una sola persona, abbia comunicato sostanzialmente con più persone presenti, parlando ad alta voce, in modo, quindi, che la comunicazione lesiva dell'altrui reputazione non potesse non essere percepita da una pluralità di soggetti. 3.5. Il reato di diffamazione sussiste nel caso de quo perché la condotta diffamatoria è avvenuta verso una pluralità di soggetti identificabili ed individuabili specificamente costituita dai colleghi di lavoro della persona offesa, per quanto non concretamente identificati. 4. Il terzo motivo, relativo al capo b ex artt. 56 e 609-bis c.p. , è in primo luogo inammissibile per il difetto del requisito della specificità estrinseca. 4.1. Premesso che i rapporti sessuali sono leciti solo in presenza del consenso, espresso o tacito del soggetto, e che tale condizione giuridica non muta neanche nei rapporti matrimoniali, la Corte di appello ha ritenuto, nel caso de quo, concretizzata la violenza per la repentinità dell'atto, in quanto l'uomo si era infilato nel letto della donna, che stava dormendo, cingendola da dietro, ed era pertanto nell'impossibilità di esprimere il dissenso. La motivazione è del tutto corretta in diritto perché secondo il costante orientamento della giurisprudenza, in tema di violenza sessuale, l'elemento oggettivo, oltre a consistere nella violenza fisica in senso stretto o nella intimidazione psicologica in grado di provocare la coazione della vittima, si configura anche nel compimento di atti sessuali repentini, compiuti improvvisamente all'insaputa della persona destinataria, in modo da poterne prevenire anche la manifestazione di dissenso e comunque prescindendo, nel caso di minori infraquattordicenni, da un consenso, ancorché viziato, o dal dissenso in ogni caso manifestabile Sez. 3, n. 46170 del 18/07/2014 , J., Rv. 260985 - 01 . Proprio con riferimento alle persone dormienti, la giurisprudenza cfr. Sez. 3, n. 22127 del 23/06/2016 , dep. 2017, S., Rv. 270500 - 01 ha affermato il principio per cui integra l'elemento oggettivo del reato di violenza sessuale non soltanto la condotta invasiva della sfera della libertà ed integrità sessuale altrui realizzata in presenza di una manifestazione di dissenso della vittima, ma anche quella posta in essere in assenza del consenso, non espresso neppure in forma tacita, della persona offesa, come nel caso in cui la stessa non abbia consapevolezza della materialità degli atti compiuti sulla sua persona fattispecie in tema di atti sessuali realizzati nei confronti di una persona dormiente . 4.2. Il ricorso è manifestamente infondato nella parte in cui sostiene che esiste un diritto del marito di avere rapporto sessuali con la moglie richiamando la sentenza n. 19112 del 2012 della Sez. 1 civ. Oltre a doversi rilevare che il principio espresso da tale sentenza non risulta più riproposto, la giurisprudenza non ha mai affermato l'esistenza di un simile diritto, come correttamente affermato dalla Corte di appello, bensì che Il persistente rifiuto di intrattenere rapporti affettivi e sessuali con il coniuge - poiché, provocando oggettivamente frustrazione e disagio e, non di rado, irreversibili danni sul piano dell'equilibrio psicofisico, costituisce gravissima offesa alla dignità e alla personalità del partner - configura e integra violazione dell'inderogabile dovere di assistenza morale sancito dall' art. 143 c.c. , che ricomprende tutti gli aspetti di sostegno nei quali si estrinseca il concetto di comunione coniugale. Tale volontario comportamento sfugge, pertanto, ad ogni giudizio di comparazione, non potendo in alcun modo essere giustificato come reazione o ritorsione nei confronti del partner e legittima pienamente l'addebitamento della separazione, in quanto rende impossibile al coniuge il soddisfacimento delle proprie esigenze affettive e sessuali e impedisce l'esplicarsi della comunione di vita nel suo profondo significato Sez. Civ. 1, n. 6276 del 23/03/2005 , Rv. 580257 - 01 . Tali sentenze si riferiscono a rapporti matrimoniali non solo effettivamente esistenti ma che dovrebbero essere fondati sull'affetto e sulla reciproca considerazione. Nel caso in esame, la Corte di appello ha sottolineato che il tentativo di violenza sessuale è avvenuto in presenza di chiari indici dell'assenza del consenso tenuto conto delle pregresse vicende tra i coniugi, della separazione di fatto già in atto, posto che dormivano separati in stanze diverse, sicché il principio di diritto è erroneamente richiamato. 4.3. Il ricorso è manifestamente infondato perché il tentativo di avere un rapporto sessuale senza il preventivo consenso della moglie, separata di fatto, con il compimento di atti repentini, non solo concretizza il reato ma anche l'elemento soggettivo perché l'azione posta in essere è cosciente e volontaria. 4.4. Il ricorrente, poi, richiama erroneamente Sez. 3, n. 41214 del 15/09/2015 , R., Rv. 264970, che non ha mai affermato che l'esplicito rifiuto è elemento essenziale della fattispecie ma solo che integra il reato di tentata violenza sessuale la condotta di colui che, all'esplicito rifiuto di consumare un rapporto sessuale, reitera più volte la richiesta ponendo in essere violenze o minacce che, sebbene non comportino una immediata e concreta intrusione nella sfera sessuale della vittima, siano comunque chiaramente finalizzate a vincerne la resistenza. 5. È manifestamente infondato il quarto motivo laddove deduce i vizi di violazione di legge e della motivazione in ordine all' art. 56 c.p. , comma 3, in quanto la Corte territoriale ha puntualmente motivato il proprio convincimento circa la non configurabilità della desistenza volontaria. 5.1. La Corte di appello ha, infatti, rilevato che l'azione non è stata portata a compimento per la reazione della vittima che, dopo aver subito l'azione repentina violenta prima descritta ha preso il telefonino ed ha iniziato a fare un video, sicché il ricorrente ha interrotto l'azione. La Corte territoriale ha correttamente applicato il principio per cui Sez. 3, n. 51420 del 18/09/2014 , M., Rv. 261389 - 01 integra il reato di violenza sessuale tentata, e non un'ipotesi di desistenza volontaria, il mancato soddisfacimento delle richieste a sfondo sessuale del reo, conseguente al rifiuto opposto dalla vittima della violenza o della minaccia, in quanto l'impossibilità di portare a consumazione il reato per l'opposizione della parte offesa costituisce un fatto indipendente dalla volontà dell'agente. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza sussiste l'ipotesi tentata e non la desistenza quando la consumazione del reato non abbia avuto luogo non per autonoma volontà dell'imputato, bensì per la ferma resistenza opposta dalla vittima Sez. 2, n. 3793 del 11/09/2019 , dep. 2020 , Fichera, Rv. 277969 - 01 in tema di estorsione . In tema di desistenza dal delitto, la mancata consumazione del delitto deve dipendere dalla volontarietà che non deve essere intesa come spontaneità, per cui la scelta di non proseguire nell'azione criminosa deve essere non necessitata, ma operata in una situazione di libertà interiore, indipendente da circostanze esterne che rendono irrealizzabile o troppo rischioso il proseguimento dell'azione criminosa fattispecie di tentato furto ai danni di una tabaccheria, nella quale la Suprema Corte ha escluso la configurabilità della desistenza volontaria nella condotta degli imputati che dopo aver compiuto atti idonei e diretti a commettere il furto si allontanavano scoraggiati dalla presenza di una lastra di metallo che impediva lo sfondamento del muro e dal sopraggiungere degli agenti di polizia Sez. 4, n. 12240 del 13/02/2018 , Ferdico, Rv. 272535 - 01 . 5.2. Va ricordato che nei reati a forma libera, la desistenza volontaria, che presuppone un tentativo incompiuto, non è configurabile una volta che siano posti in essere gli atti da cui origina il meccanismo causale capace di produrre l'evento, rispetto ai quali può invece operare, se il soggetto agente tiene una condotta attiva che valga a scongiurare l'evento, la diminuente per il cosiddetto recesso attivo così Sez. 5, n. 17241 del 20/01/2020 , P., Rv. 279170 - 01, in relazione al delitto di violenza privata . 6. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato. Ai sensi dell' art. 616 c.p.p. si condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Campobasso con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Campobasso con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 8 2 e 83 , disponendo il pagamento in favore dello Stato. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 5 2 in quanto imposto dalla legge.